• Non ci sono risultati.

GRÀFICO 3: I CANALI DI ACCESSO PRIVILEGIATO ALLE RISORSE ECONOMI­ CHE MESSI IN ATTO DALLA DC.

N. DELLE SOCIETÀ' IN PARTECIPAZIONE

FATTURATO (in Md.) FONDO DI DOTAZIONE (in Md.) RISULTATO D'ESERCIZIO <in Md.ì

Iri 586 6.028 1.805 non dispon.

Eni 200 2.490 1.087 + 65

Efim 120 360 289 - 13

Gepi 57 203 60 - 19

Egam 4 3 309 334 - 24

Eagat 13 26 18 non dispon.

Eagc 3 53 51 - 2

Totali 1022 9.469 3.644 + 7

Fonte Galli e Nannei 1976, 122 1

...Continued...

delle strutture aziendali ma dai rapporti intercorrenti fra le imprese e la Pubblica Amministrazione. ... I Ministeri in tale modo sono obbligatoriamente spinti a favorire non gii interessi dell'intera industria (pubblica o privata) ma dei singoli indu­ striali (pubblici o privati). La necessità di mantenere una poli—

Come si può leggere in nota, perciò, perlomeno a partire dai pri­ mi anni settanta (ma sembra ragionevole poter spostare questa da­ ta di anche dieci anni all'indietro) le aziende delle partecipa­ zioni statali non svolgono più alcuna funzione definibile nei termini di una logica economica. Se a ciò si aggiunge il fatto che, fin dalla loro nascita, tali aziende risultano provviste di meccanismi puramente politici di finanziamento, mentre la loro funzione di sostegno dell'occupazione non sembra "economicamente" rilevante , si può scorgere un quadro che rappresenta in maniera sostanzialmente convincente le reali funzioni di tali aziende, il loro strutturarsi, cioè, come canali privilegiati di accesso alle risorse economiche del paese.

Questa ipotesi risulta rafforzata da un'analisi che prende in considerazione i risultati di 249 società a partecipazione stata­ le per quanto riguarda i primi anni settanta (per alcune i bilan­ ci disponibili sono del 1971, per altre del 1972 e ancora del 1973). Nella tabella 7, infatti, per ogni capogruppo viene preso in esame il numero di società con profitti, perdite e in pareggio e in generale l'importo dei profitti e delle perdite in milioni di lire (del 1973).

...Continued...

tica industriale unitaria ha fatto respingere in Gran Bretagna la proposta di costituire un Ministero delle Imprese Pubbliche».

1. Questi risultati potrebbero apparire non tanto gravi se assun­ ti come tali. Per un'interpretazione più dettagliata dei dati ci riferiamo però agli autori:

«I risultati di esercizio non corrispondono però esattamente alla realtà, principalmente per due motivi. Innanzi tutto le per­ dite sono sottovalutate perché le società a partecipazione stata­ le effettuano una politica degli investimenti bassissima: meno del 5% annuo del valore degli impianti ... In altri termini, è come se l'impresa pubblica decidesse di seguire una politica di investimento, in base alla quale considera "efficienti" i propri impianti attuali, sino all'anno 2030, oppure come se ora lavoras­ se su impianti del 19151 ... A questa osservazione se ne deve

TABELLA 7: RISULTATI DI 249 SOCIETÀ' A PARTECIPAZIONE STATALE.

capogruppo N società con importi importi

prof. perd. par. profitti perdite

Egam 1 9 2 144 24.007 Eni 13 7 3 7.128 12.620 Efim 14 33 25 305 10.222 Iri 77 44 16 81.107 69.053 Eagat 1 1 1 6 151 Eagc — 2 — — 1.716 Totali 106 96 47 88.690 117.769

Fonte: ripreso e rielaborato da Galli e Nannei 1976, 12'

Come si può vedere dalla tabella, 96 società chiudono il bilancio in perdita per 117,8 miliardi di lire complessivi, mentre 106 lo chiudono con un profitto che ammonta a quasi 88,7 miliardi di li­ re. Se a ciò si aggiunge il fatto che a volte il computo dei pro­ fitti sembra ottenuto con accorgimenti puramente contabili (dimo­ strato dall'esiguità del profitto stesso rispetto al fatturato dell'azienda, per es. nel 1973 la RAI-TV chiude con un profitto di 4 milioni di lire su un fatturato di 112 miliardi, le Terme di Recoaro con un profitto di 6 milioni su un fatturato di 11 mi­ liardi, ecc.), dovrebbe risultare chiaro il ruolo essenziale del­ le Partecipazioni Statali, nel contesto dei rapporti interorga- nizzativi basati sul denaro, tra sistema politico e sistema eco­ nomico. Il fatto che questa interconnessione rappresenti un par­ ticolare tipo di modello organizzativo, che il partito popolare strutturandosi per correnti adotta nel corso della sua evoluzione postideologica al fine della gestione del consenso, risulta anche indicato dalla presenza operativa delle imprese pubbliche sul mercato dei capitali in quanto fruitrici del debito pubblico. La tabella 8, infatti, indica i debiti delle società a partecipazio­ ne statale (in miliardi di lire) nel 1973.

TABELLA 8: DEBITI DELLE SOCIETÀ' A PARTECIPAZIONE STATALE (1973).

capogruppo N* società debiti debiti

(medio-lungo (breve termine)

termine) Iri 137 6.139,6 5.055 Eni 23 1.327,3 1.024,7 Egam 12 156,4 249,2 Ef im 72 296,9 280,1 Eagat 3 5,7 11,1 Eagc 2 — H CO Totali 249 7.926,1 6.621,9

Fonte: tratto e rielaborato da Galli e Nannei 1976, 130.

Dalla tabella risulta che il debito complessivo del 1973 per quanto riguarda 249 società a partecipazione statale ammonta a 14.548 miliardi di lire a cui, alla stessa data, andrebbero ag­ giunti i debiti degli enti locali che assommano a circa 15.000 miliardi di lire. A differenza di questi ultimi, però, le imprese pubbliche dovrebbero essere considerate aziende operative con un fondo di dotazione che dovrebbe essere paragonato a un capitale sociale, invece la loro attività, come già visto in precedenza, sembra incapace di attivare delle fonti di autofinanziamento. Da tutti questi dati, perciò, si evince un risultato che sembra in­ contestabile. Il sistema delle Partecipazioni Statali in Italia indipendentemente dai risultati economici contingenti che ha ot­ tenuto risulta essere, fin dalla sua nascita, strutturalmente un modello organizzativo che ha la funzione di trasformare parte di un sistema di produzione in un sistema di distribuzione di risor­ se economiche finalizzate a un particolare tipo di gestione (po­ stideologica) del consenso. Tale modello si attua essenzialmente tramite una serie di legami interorganizzativi tra sistema poli­ tico e sistema economico basati sulla selezione di un personale burocratico, su una particolare struttura della spesa pubblica e su una giustificazione valoriale dell'interventismo statale nella sfera economica che trova le sue radici nelle funzioni residuali della Weltanschauung cattolica. Tale modello inoltre si attua in maniera completa quando ad esso corrisponde l'affermazione defi­ nitiva di un'organizzazione postideologica di partito strutturata per correnti che risultano quasi assolutamente prive di un qual­ siasi riferimento a un filone ideale. Organizzazione che richiede su base stabile la moltiplicazione degli accessi privilegiati (da parte di ogni singola corrente) alle risorse economiche del pae­ se.

L'affermarsi di una serie di legami interorganizzativi tra siste­ ma politico e sistema economico insieme all'affermarsi dell'orga­ nizzazione per correnti nel partito popolare al potere, che pro­ voca il fallimento della stabilizzazione della leadership di Fan- fani ( ricercata sulla base dell'utilizzazione dei legami inte­ rorganizzativi sopradescritti al fine della costituzione di un partito "cattolico laburista di massa" fortemente organizzato e centralizzato), giunge così a determinare, a partire dal 1959, l'attuazione di una politica postideologica da parte del partito popolare dominante fondata su una gestione economica della poli­ tica e su una gestione amministrativa dell'economia. Con questa formula intendo caratterizzare l'evoluzione postideologica dell'organizzazione democristiana del potere e del consenso at­ tuata tramite l'accesso diretto (anche se sempre mediato a livel­ lo di corrente) alle risorse finanziarie disponibili sul piano nazionale. Con la dizione di "gestione economica della politica" intendo definire l'utilizzo di risorse finanziarie al posto di quelle ideologiche (di Weltanschauung) al fine della massimizza­ zione dei voti, con la dizione di "gestione amministrativa dell'economia" intendo invece definire la trasformazione di parte di un sistema di produzione in un sistema di distribuzione delle risorse (in senso più tecnico di amministrazione delle agevola­ zioni finanziarie) al fine del mantenimento del consenso.

Proprio a partire da queste osservazioni si possono comprendere le ragioni del fallimento riorganizzativo fanfaniano. La creazio­ ne di una struttura politica a livello di partito in grado di es­ sere portatrice autonoma di consenso elettorale, insieme alla co­ struzione di un sistema di accesso diretto alle risorse finan­ ziarie pubbliche, può riuscire solamente se tale partito risulta in grado di esercitare un'egemonia culturale schiacciante sulla base di un'ideologia direttamente politica nel sistema politico in questione e se inoltre tale partito risulta fortemente unito a livello di apparati e di gruppi sociali e ideologici di riferi­ mento. Questa dimensione, però, si trova in palese contraddizione con le funzioni (contro) ideologiche pre-politiche della Weltan­

schauung cristiana e con l'interclassismo strutturale e program­

matico del partito.

Quando così si verifica un relativo indebolimento della contrapposizione ideologica contro il comuniSmo e il socialismo atei, e il ruolo del collateralismo cattolico, pur rimanendo im­ portante, perde il suo compito organizzativo fondamentale, la DC persegue 1' obiettivo essenziale di massimizzare i voti al di là di ogni forma di rappresentanza ideologicamente coerente degli interessi, attraverso l'organizzazione correntizia del partito correlata a una gestione economica della politica e a una gestio­ ne amministrativa dell'economia. A questo proposito, ^l'accesso diretto alle risorse finanziarie pubbliche e la creazione di un ceto politico funzionalmente delegato alla gestione di questi le­ gami interorganizzativi, risulta molto più funzionale a questa organizzazione di partito della presenza invece di una struttura politica in grado di essere portatrice autonoma di consenso elet­ torale. Tutto ciò conduce direttamente a una drastica caduta

dell'offerta politica (rispetto a una forte domanda di identifi­ cazione ideologica da parte di determinati gruppi sociali, alcuni dei quali particolarmente colpiti dalla perdita delle funzioni proprie alla Weltanschauung cristiana), che avrà i suoi effetti disaggregativi più dirompenti negli anni a seguire.

La DC così nel corso del suo primo, fondamentale, trend di evolu­ zione postideologica si avvia a diventare, come si vedrà, un par­ tito pigliatutto organizzativamente debole, ma istituzionalmente forte. Ciò avviene come conseguenza dell'ambivalente riuscita del tentativo riorganizzativo fanfaniano, che crea il partito-istitu­ zione, ma non riesce a costituire il partito-organizzazione. Ci si può chiedere, legittimamente, se tale processo sia derivato, in un certo modo, dal tipo specifico di competizione elettorale esistente in Italia all'epoca. Competizione che avrebbe potuto richiedere, ipoteticamente, un'organizzazione di partito analoga a quello della principale forza politica di opposizione (il PCI). A questo riguardo, però, sia la struttura del partito di De Ga- speri e i suoi successi elettorali, sia la storia politica e so­ ciologica della CDU, sembrano negare la validità di questa ipote­ si. Non c'è stato alcun rapporto causa-effetto (come mi pare que­ sto capitolo abbia illustrato) tra organizzazione del PCI e la via istituzionale della trasformazione in senso permanente del potere attuata dalla DC. La Democrazia Cristiana è diventata un partito istituzionalmente forte e organizzativamente debole, strutturato per correnti ed "espansivo" nei confronti della cosa pubblica, in quanto risultato contingente dell'ambivalente riu­ scita della riforma fanfaniana di trasformare la dimensione stra­ tegica e pre-politica della Weltanschauung cristiana in una di­ mensione tattica e concreta della gestione del potere e del con­ senso. Per questo fine, Fanfani, ha cercato di organizzare para­ dossalmente un partito dominante come un partito di opposizione. Alla fine degli anni cinquanta il sorgere del "doroteismo" (sorta di "metacorrente" democristiana che come già visto si struttura unicamente sulla gestione delle risorse pubbliche e sulla comple­ ta negoziabilità dei fini politici), contraddistingue in pieno il nuovo assetto organizzativo della DC, frutto del suo primo ri­ levante trend evolutivo postideologico. Un'organizzazione di par­ tito articolata per correnti, una funzione di pivotal party a li­ vello di governo, l'attuazione di dispositivi per una gestione economica della politica e una gestione amministrativa dell'eco­ nomia, determinano le caratteristiche essenziali del suo funzio­ namento il cui sbocco finale viene offerto dall'istituzionalizza­ zione di una oligarchia consociativa strutturata per correnti e adibita alla gestione del partito e dei rapporti interorganizza­ tivi tra sistema politico e sistema economico.

Le correnti, in questo modo, si connettono in maniera organica alla gestione delle risorse finanziarie pubbliche svolgendo non solo il ruolo di moltiplicatore del consenso, ma stabilendo anche una ferrea relazione direttamente proporzionale tra partito fra­ zionato e partito rappresentativo, ma postideologico (tante più frazioni, cioè, tanta più rappresentatività). Al punto da giunge­ re a un massimo di frantumazione del potere per assicurare il

massimo di accumulazione dello stesso (cfr. Follini 1990). Si può tranquillamente affermare, così, che a partire da questa fase storica la DC può continuare a essere forte solo tramite le cor­ renti, le correnti però non possono tollerare una struttura orga­ nizzativa autonoma a^ livello di partito. Ciò determina anche un cambiamento nei piani strategici individuali di Fanfani che, ab­ bandonata l'idea di riorganizzare il partito sulla base dell'ef­ ficienza, tenterà in seguito la strada del carisma. 1

...Continued...

partecipazione statale nascondono le proprie perdite con semplici accorgimenti contabili. Fra questi, sembra diffuso quello della compravendita fra imprese appartenenti allo stesso gruppo ...»

(Galli e Nannei 1976, 122-123).

1. Certamente dovrebbe essere fatto un altro discorso sulla fun­ zione politica-clientelare delle politiche di occupazione svolte dalle partecipazioni statali.

1. Sul fallimento di Fanfani rispetto all'affermarsi dell'orga­ nizzazione per correnti si può vedere anche l'interessante anali­ si di Orfei (1976, 182-183).

«La DC, dopo più di un decennio di potere esclusivo, aveva prodotto un gruppo dirigente che ormai considerava lo Stato un suo feudo, dal quale non voleva essere estromesso. Ciò comportava ... Che l'azione politica del partito (e del governo) non risentisse di elementi esterni prepolitici (morali e ideolo­ gici) (enfasi mia). ... Alla luce di ciò si deve vedere l'espe­ rienza fanfaniana come l'ultimo tentativo di "dedurre" dalla so-

CAPITOLO QUINTO.

AVVENTO E CRISI DEL DOROTEISMO.

2. Il modello "organizzativamente debole", ma "istituzionalmente

forte" del partito doroteo.

Il fallimento del tentativo fanfaniano di riorganizzare la Democrazia Cristiana inaugura per il partito la cosiddetta "era dorotea" contrassegnata da due caratteristiche principali:

a) la struttura oligarchica e consociativa dell'organizzazione "interna" del partito e

b) l'articolazione delle frazioni interne in riferimento alle strategie delle alleanze esterne.

Questo stato delle cose determina un livello organizzativo tale per cui le correnti aumentano progressivamente di volume, ma perdendo consistenza politica. Si viene a creare, in questo modo, un circolo vizioso grazie al quale il potere conseguito nel partito grazie all'appartenenza di frazione serve a ottenere del potere nelle istituzioni che a sua volta viene utilizzato per rafforzare le posizioni nel partito. Le correnti, perciò, giungono addirittura a esprimere cosi la struttura stessa della rappresentanza politica in una maniera completamente svincolata dalle linee programmatiche e dalla Weltanschauung del partito. 1 L' adozione del metodo proporzionale per l'elezione degli organi del partito, adottata al congresso di Roma nel 1964, 2 conferma

...Continued...

ciologia cattolica una politica "cristiana", popolare e sociale. ... Questo è il primo segno della svolta: cioè l'abban­ dono della sociologia cristiana in nome di una razionalizzazione non confessionale dell'esercizio del potere».

A mio avviso, Orfei, non ha chiara la distinzione analitica tra partito confessionale e partito popolare puro, nonostante ciò le sue osservazioni colgono indubbiamente alcuni aspetti della svol­ ta postideologica che ha caratterizzato la DC a partire dall'e­ sautorazione di Fanfani nel 1959.

1. A questo proposito si veda ancora Orfei (op. cit., 187):

«Il centrismo nuovo (cioè il doroteismo, N.d.A.) non era più solo di contenuto, ma anche di metodo e si inseriva in un proces­ so di trasformazione della società contemporanea, che ha bisogno di una classe dirigente mediocre, incapace di prendere iniziati­ ve, ma abile in tutte le funzioni mediatrici, da svolgere median­ te la manipolazione degli organi dello Stato, a costo di concede­ re alcune riforme slegate fra loro e logorate da lunghi dibatti­ ti».

questo tipo di organizzazione del partito popolare postideologi­ co, organizzazione^ che correla la rappresentatività alla frammen­ tazione dei gruppi che gestiscono le risorse pubbliche. Questo modello organizzativo può benissimo essere definito come oligar­ chia consociativa, proprio perché la frammentazione dei gruppi di potere, affinché sia riprodotta, deve basarsi sulla de- ideologizzazione dei confronti interni al partito, ma anche sulla deideologizzazione dei metodi esterni di formazione delle allean­ ze politiche (e la formula governativa del centro-sinistra è e- semplare a questo riguardo, cfr. anche Tamburrano 1971). La ge­ stione delle risorse pubbliche, in quanto equivalente strutturale delle risorse organizzative pre-politiche dell'ideologia, deve così basarsi su una prassi distributiva del potere capace di so­ stituire con efficacia le basi precedenti del consenso e delle alleanze politiche, costituite dalle relazioni speciali esistenti tra la Weltanschauung pre-politica di cui il partito popolare di­ spone e le sue strategie postideologiche di azione politica, come illustrate nei capitoli precedenti.

La direzione collegiale del partito, in questo modo, diviene il metodo funzionale di espressione politica di questa svolta post­ ideologica. Al punto tale che, a partire dalla conclusione dell'esperienza relativa al "partito del cancelliere" (1945-1953) e con il fallimento del tentativo fanfaniano, la DC boicotterà sempre con decisione i tentativi di instaurare una leadership e- gemonica, come si può vedere nei casi di Moro (costretto a dimet­ tersi dalla segretaria del partito per poter diventare Premier nel 1964) e di De Mita (come si vedrà in seguito). 1

Questo fatto inoltre determina anche una "strana" relazione (se­ condo almeno una logica esterna) con i metodi di selezione dei successi politici dell'élite democristiana. Fanfani, infatti, vince le elezioni del 1958, ma viene sconfitto politicamente nel 1959, Moro subisce la stessa sorte nel 1968, dopo un successo e- lettorale, Forlani perde il congresso del 1973 dopo una buona prova elettorale nel 1972, De Mita paga di più la buona tenuta nei test elettorali del 1984 e 1987 che la grave sconfitta del 1983, lo stesso Forlani rimane per ben 5 mesi alla segreteria del partito dopo la grave sconfitta elettorale del 5 aprile 1992 e abbandona quella carica solo quando il rinnovamento della leader­

ship democristiana diventa improrogabile a fronte della grave

crisi morale del regime politico incentrato sulla DC e ai cre­ scenti successi elettorale della Lega Nord. In questo modo una caratteristica dell'evoluzione postideologica del partito sembra essere anche quella di spezzare il rapporto diretto esistente tra attribuzione del consenso elettorale e forza della leadership. In un modo che sottolinea uno spostamento rilevante di attenzione politica, che passa dai problemi concernenti l'ottenimento del

...Continued...

2. A questo proposito si veda Ranci Ortigosa (1964) riguardo all'utilizzo del metodo proporzionale nelle elezioni interne del­ la DC:

« ...: esso (tale metodo, Nda) è fatto su misura per offrire alle attuali leadership di corrente garanzie sulla quantità e

consenso a quelli relativi la qestione dello stesso.

In sintesi l'organizzazione per correnti che ha conosciuto il suo apogeo negli anni sessanta ha funzionato come un grande ammortizzatore per la DC, ha infatti organizzato il consenso attorno e nel partito, ma ha anche permesso la rappresentanza del dissenso interno, ha messo in campo dei contrasti, ma anche le regole per dirimerli. Questo metodo ha soprattutto evitato, in pratica, la scissione di un partito composito come la DC, sulla base di una prassi di azione tipicamente catch-ali come l'abban­ dono, sia a livello di rapporti interni che esterni, di una struttura di fini non negoziabili. Questo fatto risulta ben colto da un osservatore attento come Orfei, il quale sostiene (op. cit., 242)

«La cultura del centro-sinistra ebbe per presupposto non una ideologia sociale (come erroneamente viene presupposto da critici ideologici), ma un processo economico (enfasi mia). Quel presup­ posto fu che in un'economia di mercato ad alto ritmo di sviluppo, si formino sufficienti risorse per rispondere alla domanda che spontaneamente la società avanza mediante il mercato, e per ri­ spondere anche alle domande di consumi sociali. La ridistribuzio­ ne del reddito mediante le riforme diventa l'accessorio di quella cultura (capace di soddisfare l'etica del cambiamento).»

A questo commento, sostanzialmente esatto, aggiungo che non solo la cultura del centro-sinistra, ma di tutta la DC nel suo passaggio di trasformazione ideologica da partito popolare puro a partito pigliatutto, abbia presupposto alla sua prassi di azione politica non già certamente una qualsiasi ideologia sociale (an­ che se determinati valori residuali della Weltanschauung hanno giocato un loro ruolo cfr. Ardigò 1966), ma un processo economico che si basava, più precisamente, da un lato sulla produzione spontanea di risorse assicurata dai meccanismi dell'economia di mercato (produzione i cui risultati rimanevano assicurati dall'alleanza necessaria e poi da quella contrattata stabilita con i ceti industriali) e dall'altro dall'organizzazione di un meccanismo di distribuzione delle risorse prodotte (nel senso che la DC ne "permetteva" la produzione, ma ne monopolizzava la di­ stribuzione medesima).

Documenti correlati