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Sociologia e shoah negli anni 1950-

L’antisemitismo totalitario deve il suo trionfo in Germania a una costellazione sociale ed economica, non alle specificità e alle predisposizioni di un popolo che, in modo spontaneo, ha senza dubbio espresso un razzismo meno forte di quei paesi che hanno escluso e massacrato gli ebrei da secoli. Paul W. Massing, 1958

Do not harm your neighbour and, if at all possibile, save him […] What doomed that experiment to fail was the fact that the Nazi mind had not considered the possibility of psychological resistance in extremity or the various forms of struggle and solidarity in self-

defense. Anna Pawełczyńska, 1973

L’umanità è un grande inferno, ma un inferno a cui abbisogna la speranza della guarigione, un inferno che per rivivere ha bisogno gli venga posata una dolce mano sulla fronte, venga consolato da uno sguardo di cui leggerà la fede in un domani migliore del giorno prima. Luisa De C.

1. Gli anni del dopoguerra

Alla fine del secondo conflitto mondiale sono pochissimi coloro che si preoccupano della distruzione degli ebrei. L’olocausto occupa una posizione non essenziale, al contrario abbastanza secondaria nella cultura e nella realtà del dopoguerra, contraddistinto da trasformazioni socioeconomiche, da definizioni nuove di confini e da mutamenti di regime. Su questa indifferenza o su tale silenzio pesa molto l’eredità di un antisemitismo duro a scomparire. Nel campo degli studi sociologici ciò è molto evidente; dunque, recuperare i primi tentativi di studio sull’olocausto significa andare a trovare delle eccezioni, cioè dei lavori straordinari (extra-ordine), fuori dall’ordinarietà, che sfuggono al disagio evidente nell’affrontare simili tematiche. Ecco perché cisembra più che opportuno porre al centro dell’analisi lo stato della sociologia dinanzi al tema della distruzione degli ebrei: in questo periodo non è affatto raro trovarsi di fronte a sociologi che

148 incontrano difficoltà nello studio del problema e che si vedono costretti a ritardare la pubblicazione delle loro ricerche445.

Il ventennio “1950-1970” si può dividere in due periodi abbastanza larghi: il primo è caratterizzato da esigui lavori, quasi tutti sui temi del fascismo o del militarismo tedeschi, il secondo vede crescere gradualmente l’interesse per l’olocausto. Nel complesso ci si trova dinanzi a ricerche che studiano le componenti politiche e ideologiche dello stato tedesco, fino ad arrivare al secondo decennio, quando si assiste a un aumento delle ricerche specifiche sullo sterminio degli ebrei. Negli anni Sessanta e Settanta, in particolare, si contano più scienziati sociali sensibili a questo evento invisibile alla gran parte degli intellettuali; al centro dei loro lavori si trovano le categorie di «sistema totalitario», «massa», «ideologia», «movimento sociale», «banalità del male». La novità maggiore che apportano alla sociologia della shoah la troviamo nella combinazione tra tali concetti e la realtà del «sistema concentrazionario», vale a dire che le loro ricerche indagano sul modo in cui la gente ordinaria o normale contribuisce alla realtà del sistema totalitario. Gli scritti di riferimento sono quelli di Theodor W. Adorno, Seymour M. Lipset, Everett C. Hughes. E poi ancora le ricerche di Anna Pawełczyńska, Barrington Moore Jr., Celia S. Heller e Helen Fein.

La domanda di questi studiosi è a grandi linee la seguente: quali sono state le ragioni che hanno spinto la gente comune ad acconsentire alla politica nazionalsocialista di igiene razziale? E’ inoltre possibile individuare percorsi interpretativi che risentono in modo evidente di un evento come il processo celebrato a Eichmann in Israele446.

È importante di nuovo tenere presente il contesto politico-internazionale profondamente cambiato dalla fine della guerra: sullo scena ci sono l’ideologia comunista da una parte e quella capitalista dall’altra. Da qui una serie di scelte politiche ed economiche, tese a far prevalere l’una o l’altra posizione, e la collaborazione delle comunità scientifiche occidentali, soprattutto statunitensi, con i servizi segreti nella lotta contro il comunismo, una collaborazione che ha come esito la pubblicazione di ricerche tese a privilegiare in modo esclusivo tali temi447.

445 Cfr. E. TRAVERSO, Auschwitz e gli intellettuali, cit., p. 9.

446 Per quanto riguarda le diverse linee storiografiche interpretative degli anni ’60 «che convivono con gli effetti

provocati nella ricerca storica da un evento clamoroso: la decisione dello stato di Israele di sequestrare e processare a Gerusalemme uno dei più importanti gestori dello sterminio» si veda A.SALOMONI, I libri sulla Shoah, cit., p. 2.

447 «Che cosa» ricercare e «chi» far ricercare lo stabiliscono le fondazioni che finanziano le università. Dal 1945 le

priorità politiche da parte occidentale di sconfiggere il comunismo di sinistra si ritrovano negli interessi di ricerca degli studiosi: gli altri argomenti non ricevono le risorse finanziare necessarie per essere affrontati e resi pubblici; alcune tematiche, come quella della distruzione degli ebrei, in campo sociologico, sono messe da parte. Durante il periodo della coesistenza competitiva sono praticamente altri gli interessi e «nel nome della guerra fredda», la shoah non ha la meglio. Si veda C. SIMPSON, Blowback. The First Full Account of America’s Recruitment of Nazis, and its Disastrous Effect on Our Domestic and Foreign Policy, cit.; S. DIAMOND, Compromised Campus. The Collaboration of

Universities with the Intelligence Community, 1945- 1955, cit.; M. OPPENHEIMER, To the Editor, in «Sociological

149 2. L’Istituto di Francoforte per la Ricerca Sociale (1950-1970)

I Minima Moralia, scritti tra il 1944 e il 1947, ma pubblicati più tardi, nel 1951, da Adorno, propongono una riflessione sulla necessità di pensare Auschwitz, poi completata con Dialettica

negativa nel 1966. I due testi, a loro volta basati sugli Studi sul pregiudizio, permettono di chiudere,

tra la fine degli anni Cinquanta e la metà circa degli anni Sessanta, le lezioni dell’Istituto per le Ricerche Sociali sulla questione ebraica.

In questa fase della ricerca dei francofortesi, emerge il concetto-madre di tutta la loro riflessione, ossia l’idea di una teoria critica, riassumibile, con le parole di Adorno, nella formula «ticket

mentality». Dopo Auschwitz, nella interpretazione della realtà sociale proposta dalla Scuola si

sottolinea come l’alterità fatichi a essere tollerata o compresa.

Se il capitalismo liberale aveva emancipato gli ebrei, la Volksgemeinschaft hitleriana era la negazione di una società rispettosa dell’alterità ebraica448.

Gli studi sociologici del primo dopoguerra, in particolare quelli sul pregiudizio, i Minima Moralia e la Dialettica negativa, mettono in luce come, nell’ambito dei regimi autoritari, l’individuo sia annullato nella massa e presenti una mentalità disposta ad accettare qualsiasi etichetta (Ticketmentalität) contraria a ogni forma di differenza. Per i francofortesi, l’antisemitismo è espressione di tale mentalità.

Le aspirazioni umaniste ed emancipatrici, che avevano fatto seguito alla Rivoluzione francese, promuovevano l’uguaglianza degli esseri umani, ma non avevano trovato nella società borghese un terreno favorevole: l’uguaglianza è sostenuta dalla borghesia, ma con modalità unilaterali che non fanno riconoscere e non creano rispetto per le differenze culturali, religiose, etniche o di genere. Chi non rientra nelle norme conformistiche dell’etica borghese e puritana, che è l’ordine dominate, è messo da parte449. Tale forma di uguaglianza «repressiva» porta all’affermazione del principio totalitario di identità e poi al trionfo del razzismo totalitario, in base al quale il principio dell’uguaglianza cede il posto alla discriminazione e alla persecuzione dei diversi.

Come sottolineano i francofortesi, nei regimi totalitari fascisti la pluralità sociale viene soppressa e si assiste, per via del meccanismo della personalità autoritaria, allo schiacciamento del «non- identico». Per questa ragione, in Minima Moralia Adorno si pronuncia contro la ratio totalitaria e

448 Cfr. E. TRAVERSO, Auschwitz e gli intellettuali, cit., p. 124.

449 Questo aspetto si riflette anche nel campo della ricerca accademica: la Scuola di Francoforte, per esempio, nutre

dei sospetti nei confronti della sociologia positivistica, soprattutto americana, perché tende a risolversi, visto che assume la realtà come un insieme di dati da osservare e registrare, in un’apologia dell’esistente.

150 riconosce l’avvento di una società emancipata solo nel momento in cui ogni tipo di differenza è realmente accolta e accettata. In Dialettica negativa qualcosa però cambia: l’autore precisa che Auschwitz, i campi di concentramento e di sterminio, hanno «confermato il filosofema della pura identità come morte» e la fine di ogni contraddizione grazie a una massa di civili alienati, incapaci di ribellarsi450. La complicità con i criminali nazisti non ha richiesto una partecipazione cosciente, «poiché bastava che l’automa immerso nella massa, il «padre di famiglia antisemita», diventasse «spettatore irresponsabile» delle tendenze totalitarie, agendo quando richiesto come membro del partito nazista o lavorando come impiegato zelante di una fabbrica di Zyklon B»451.

Le ricerche compiute in questo decennio sono ovviamente realizzate «a caldo», sotto l’impatto della distruzione degli ebrei e proprio per questo sono così significative. Adorno e Horkheimer

concepiscono il nazismo come un’autodistruzione (Selbstzerstörung) incessante della ragione: la rappresentazione dello sterminio, che essi pongono come esito della civiltà occidentale, è d’altro canto una loro intuizione dialettica; nel mondo occidentale, quello della Dichiarazione universale

dei diritti dell’Uomo, vengono portati alla luce in modo violento un insieme di elementi accumulati

nei decenni precedenti: la Rivoluzione industriale, la formazione della società di massa, la razionalizzazione dell’amministrazione pubblica all’interno degli Stati, la modernizzazione degli eserciti, lo sviluppo delle scienze e della tecnologia applicata, hanno portato a nuovi usi della

razionalità. «Auschwitz nella dialettica di ratio e potenza del razionalismo occidentale, ci ha istillato alcuni dubbi in proposito – ci ha reso intellettualmente vigili»452.

Nel decennio in questione, i francofortesi, specie Adorno, sentono il bisogno di meditare su Auschwitz: dai Minima Moralia alla Dialettica negativa si ritrova un originale filo rosso, che è soprattutto “preoccupazione per un ritorno al fascismo”; in queste condizioni, essi si trovano a tracciare il percorso dell’obbligo della memoria, dato che le condizioni sociali che avevano costituito le premesse del nazismo, del totalitarismo e della distruzione degli ebrei non sono state tolte di mezzo453.

Adorno, in Dialettica negativa, insiste sull’urgenza e sull’obbligo di rileggere la cultura e l’intera storia alla luce dell’olocausto. «Che Auschwitz non si ripeta, che non accada nulla di simile», è «l’imperativo categorico» lasciato in eredità dalla Scuola di Francoforte alle generazioni future di studiosi e di uomini. Enzo Traverso ha sottolineato come Horkheimer, alla fine degli anni Sessanta, nelle sue Notizen, si esprimesse allo stesso modo nei confronti degli intellettuali ebrei sfuggiti alla

450 Cfr. Theodor L. W. ADORNO, Dialettica Negativa, Einaudi, Torino 2004. 451 Cfr. E. TRAVERSO, Auschwitz e gli intellettuali, cit., p. 126, nota 64.

452 J.HERF, Il modernismo reazionario, Tecnologia, cultura e politica nella Germania di Weimar e del Terzo Reich, il

Mulino, Bologna 1988.

151 distruzione: «La loro morte è la verità della nostra vita; noi siamo qui per esprimere la loro disperazione e la loro nostalgia»454.

3. Il consenso alla NSDAP secondo Seymour M. Lipset

Su coloro che votarono per Hitler, garantendo il suo successo elettorale nel 1933, aveva già scritto Abel nel 1938, quando, in Why Hitler Came to Power, si era occupato della crescente popolarità del movimento nazista. 22 anni dopo, nel 1960, Seymour M. Lipset approfondisce il discorso, cercando di capire quali sono i partiti politici che hanno garantito la vittoria politica al partito nazionalsocialista455. A Lipset, come ad Abel, interessa sapere chi sono stati coloro che hanno votato per Hitler: quale fetta, cioè, della popolazione tedesca è stata a favore della sua politica e della distruzione degli ebrei.

Il punto da cui parte Lipset è l’analisi del bacino elettorale hitleriano negli anni che vanno dal 1928 al 1933. Tale scelta ha una sua spiegazione: secondo lo studioso, la legittimazione popolare è un elemento fondamentale, e da cui non si può prescindere, per comprendere la natura degli strati sociali che hanno appoggiato Hitler, garantendone il consenso duraturo. Egli studia le basi sociali del consenso elettorale per la NSDAP, riuscendo così a definire «chi ha votato a favore di Hitler» e a capire le modalità attraverso le quali dei cittadini comuni, ordinari, sono arrivati a sostenere il totalitarismo nazista e la sua politica di igiene razziale. È dunque essenziale studiare gli orientamenti politici prima del 1933, per comprendere le ragioni che hanno spinto l’elettorato «a spostare» il proprio voto a favore della NSDAP. Da qui la scelta dell’autore di parlare, fin dal titolo, di «basi sociali (del consenso)».

E’ opportuno qui precisare che gli studi di Lipset si collocano dopo quelli di Abel (1938) - secondo il quale, ad appoggiare la NSDAP, non era stata la cosiddetta classe media, ma i ceti più agiati - e quelli di Heberle (1945). Il sociologo politico americano riprende le ipotesi dei due autori già citati, ma riflette molto più di loro sulle cause sociali dell’obbedienza a Hitler, dal momento che prende in considerazione più casi di studio, proponendo infine un’analisi esaustiva. Il suo studio recupera soprattutto molto da Heberle: la ricerca perfeziona aspetti solo accennati da quest’ultimo autore e rimasti, fino a Lipset, sostanzialmente isolati456.

454 Cfr. E. TRAVERSO, Auschwitz e gli intellettuali, cit., p. 129, nota 79; D. KELLNER, recensione di: R.

WIGGERSHAUS, The Frankfurt School: Its History, Theories, and Political Significance, in «American Journal of

Sociology», C, 1995, n. 5, pp. 1369-1371.

455 S. M. LIPSET, L’Homme et la Politique, cit.

456 S. PAPCKE,M.OPPENHEIMER, Value- Free Sociology. Design for Disaster German Social Science from Reich to

Federal Republic, in «Humanity & Society», VIII, 1984, n. 3, p. 279. Lipset è il critico per eccellenza di Heberle: è cioè

152 3. 1. Dietro l’uomo politico di Lipset: la società moderna

Dès que la classe moyenne a commencé de jouer un rôle politique, il devient impossibile de distinguer entre partisans et adversaires de la démocratie selon la distinction linéaire de «droite» et de «gauche». Comme nous allons le voir au chapitre V, la distinction entre une gauche, une droite, et un centre, chacune de ces tendances ayant son idéologie et sa base sociale, ainsi que ses mouvements démocratiques et extrémistes particuliers, est susceptible d’éclairer le probléme de «l’autoritarisme», et de preciser quels peuvent être ses rapports avec les phases du dévelopment économique457.

La questione con cui Lipset inizia la sua ricerca riguarda il bacino degli elettori tedeschi. L’indagine è basata per lo più sui risultati dei suffragi elettorali ed è condotta in due periodi storici precisi: quello pre-nazista (1928-1932); e l’anno 1933, che segna la vittoria politica della NSDAP.

Lipset studia il comportamento elettorale dei tedeschi ma, a differenza di Heberle, non si limita a considerare il caso della regione dello Schleswig-Holstein458: egli prende anche in esame la Bassa

Sassonia (stato nord-occidentale della Germania e regione, per posizione geografica, non-centrale nel territorio tedesco) e la Baviera. Ciò perché la sua preoccupazione maggiore riguarda il «come cambia il consenso elettorale dei tedeschi». Tra le numerose nozioni a cui l’autore si rifà nella ricerca, a metà tra l’approccio ecologico e quello analitico di natura statistica (con l’adozione di nozioni quali «ideologia», «movimento sociale e politico», «classe sociale», «autorità»), il concetto più importante che guida l’intero percorso è quello di «massa», da Lipset definita la «forza sociale più irrazionale della modernità»459. Dopo aver fatto un’analisi storica della società moderna e della sua evoluzione, Lipset individua due tipi di massa: il primo è di natura «popolare» ed è però contraddistinto da un agire politico che va contro i diritti del popolo (il contesto di riferimento è quello degli Usa di fine anni Cinquanta); il secondo tipo invece, sulla base di quanto accaduto nel Sudafrica segregazionista, prende il nome di massa «lavoratrice» per il fatto che va contro la libertà del singolo individuo. Nei suoi idealtipi di massa, collettività indistinte, rientrano anche gli impiegati commerciali o industriali, i piccoli funzionari e gli operai.

La scelta della categoria di «massa» si deve al fatto che al suo interno si forma e prende piede il «pregiudizio» alimentato, come nel caso sudafricano, dal nazionalismo etnico, terreno fertile per far

457 S. M. LIPSET, L’Homme et la Politique, cit., p. 109.

458 Si ricordi che questa regione è ai confini rispetto al resto del Paese; occupa cioè una posizione geograficamente ai

margini. Tale elemento di marginalità, su cui si tornerà più avanti, è uno dei tanti elementi su cui fa leva la politica nazionalsocialista che sostiene l’autonomia regionalista di contro alle posizioni berlino-centriche della Prussia.

459 L’autore misura il consenso alla NSDAP attraverso dei coefficienti di correlazione di tipo positivo o negativo. Per

quanto riguarda le variabili che concorrono (alla) ed influenzano la legittimazione popolare dei nazionalsocialisti durante la Repubblica di Weimar si fa riferimento ai fattori di natura religiosa (il protestantesimo appoggia la politica nazionalsocialista in misura maggiore rispetto a quella cattolica) e di genere (tra gli uomini il consenso è più elevato).

153 attecchire forme di discriminazione razzista e, al contempo, mantenere il potere della classe vigente460.

Per quanto riguarda invece le altre due categorie sociologiche, quelle di «movimento» e «classe sociale», l’autore vi ricorre spesso per definire che cosa è il nazionalsocialismo e qual è stata la sua politica di sterminio. Nello specifico, il nazionalsocialismo viene presentato come un movimento sociale rivoluzionario e, contemporaneamente, come un autoritarismo della classe media (autoritarisme de la classe moyenne) e un fascismo di destra (fascisme de droit)461.

Poiché a Lipset interessa il comportamento politico dell’individuo nella società moderna di massa, vale a dire che cosa lo orienta e qual è la sua ragion politica, è bene sottolineare che la sua società perfetta è quella democratica. Ma come mantenere la qualità della democrazia?462. All’ombra dei totalitarismi, passati e contemporanei, Lipset cerca di scoprire quali condizioni sono necessarie per mantenere stabile un governo democratico: più volte ritorna sulle ragioni sociali che portano alla formazione di movimenti politici con posizioni estremiste e che minacciano le istituzione democratiche; il suo sforzo di recuperare dati a sostegno della sua tesi, secondo cui esiste un collegamento fra determinate condizioni socioeconomiche e la comparsa o la durata dei regimi democratici, va inserito nel discorso più ampio della democrazia in generale463.

Poiché al centro dell’analisi si trova la comparsa di movimenti sociali e politici, Lipset presenta subito il nazismo come un fascismo di destra, una forma estremista dello spirito della classe media, sulla cui composizione ritornerà più volte. Per lo più, tale forma è suggerita dagli strati inferiori (piccoli proprietari, piccoli commercianti, piccoli artigiani, piccoli agricoltori) della società e si distinguerà per le sue posizioni estremiste464: per motivi sociali ed economici, legati all’evoluzione della società industriale e capitalistica, questa classe voterà per Hitler465.

460 L’attenzione per il caso sudafricano gli torna utile per spiegare quanto accade nella Germania nazista. Lipset si rifà

nel suo studio alla ricerca sul Sudafrica di Tingsten, che spiega il razzismo e la forza della masse con i processi sociali dell’industrializzazione e del commercio capitalistico.

Si veda Seymour M. LIPSET, L’Homme et la Politique, cit., p. 146, nota 75.

461 Ibidem, pp. 146- 147. 157. A differenza dell’autoritarismo di sinistra, che è l’autoritarismo della classe operaia e

che in questa sede non sarà analizzato, secondo i dati statistici presentati da Lipset, i sostenitori del populismo, autoritarismo di sinistra, hanno una base sociale differente da quelli che fanno parte dei movimenti di destra.

462 Da qui il suo continuo ricorso alla storia ed alle origini della società moderna e l’uso frequente di categorie

sociologiche specifiche.

Si veda S. N. EISENDSTADT, Paradossi della democrazia. Verso democrazie illiberali?, il Mulino, Bologna 1999. 463 L’interesse sociologico di Lipset si concentra sull’uomo che vive nella polis. Lipset dedica alle condizioni di

questo uomo politico quattro ampie sezioni. Ad esempio, nella prima, Le condizioni del regime democratico, si occupa dell’autoritarismo della classe operaia e del fascismo di sinistra, di destra e di centro. Almeno quattro sono i requisiti socioeconomici che favoriscono la comparsa e il mantenimento della democrazia e cioè il grado di urbanizzazione, il livello di industrializzazione, il grado di istruzione e, per ultimo, il reddito pro-capite.Tuttavia Lipset mette in guardia dal credere che la democrazia possa considerarsi consolidata in assenza di una cultura politica fatta di atteggiamenti di tolleranza, di accettazione del dissenso, di critica dei governanti.

464 Cfr. Seymour M. LIPSET, L’Homme et la Politique, cit., pp. 149- 151.

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