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Una soggezione non assoggettabile

Dall’incrinatura subita all’incrinatura amata Un pensiero alla misura della passione

1. Una soggezione non assoggettabile

a) Il paradosso della sovranità

Al fine di abbozzare una prima tematizzazione del nesso tra contestazione delle forme tradizionali dell’autorità e affermazione di un diverso tipo di autorità in Bataille, prendiamo ora avvio dall’intuizione di Giorgio Agamben secondo cui alla base della sovranità batailleana è rintracciabile il confronto del suo autore con il paradosso incarnato dalle figure storiche del “soggetto sovrano”. Tale paradosso è definibile attraverso la seguente formula: «Il soggetto (cioè etimologicamente, ciò che sta sotto) è sovrano (è, cioè, ciò che sta sopra). E forse il termine soggetto (conformemente all’ambiguità della radice indoeuropea da cui derivano le due proposizioni di senso opposto super e sub) non ha altro significato che questo paradosso, questo dimorare là dove esso non è»185. Secondo Agamben, dinanzi alla presa d’atto di tale paradosso, Bataille con la sua declinazione peculiare della sovranità sceglie di non spingere l’idea di ‘supremazia’ nella direzione che potremmo definire “alta”, ovvero nella direzione tradizionale che contraddistingue la figura sovrana in quanto detentrice del potere di legittimare la legge. Egli piuttosto associa tale figura all’ambito “basso”, che invece è esperibile grazie all’abbandono passionale, alla perdita di sé e a una condotta di pura impotenza.

Attraverso una simile declinazione del termine sovranità, secondo Agamben, Georges Bataille si è dunque inserito nel discorso della filosofia occidentale sulla dualità dell’essere: dualità che da Aristotele in poi è stata pensata anche come antinomia di potenza e atto. A tale

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22 [febbraio]. Lettera di H (p. 168)

185 G. Agamben, Bataille e il paradosso della sovranità, in J. Risset (a cura di), Georges

riguardo va inoltre aggiunto che in base al dualismo aristotelico, come ricorda ancora Agamben, «la potenza è innanzitutto potentia passiva, passione nel senso etimologico di patimento, passività»186. Sulla base di tali categorie, la sovranità “bassa” batailleana - che, stando alla suddivisione introdotta da Robert Hertz e impiegata in più occasioni da Bataille, si può considerare di “sinistra”187 – risulta, quindi, inscrivibile

nel polo della potentia passiva.

Se fino a questo punto dell’analisi, condividiamo in pieno la chiave di lettura proposta da Agamben, la nostra posizione si discosta nettamente dal suo taglio interpretativo in merito agli effetti che l’operazione batailleana determina per la concezione del soggetto. Agamben infatti sostiene che «cercando di pensare al di là del soggetto, cercando di pensare l’estasi del soggetto, egli [Bataille] ha pensato, in verità, soltanto il suo limite interno, la sua antinomia costitutiva: la sovranità del soggetto, l’esser sopra di ciò che è sotto». Ora bisognerebbe chiedersi se effettivamente la scelta batailleana di indirizzare la sovranità verso il polo rappresentato dall’esperienza passionale sia da addurre a un tentativo, peraltro non riuscito, di realizzare un superamento del paradosso della sovranità attraverso un superamento della soggettività, o, per dirla con Agamben, attraverso un pensiero «al di là del soggetto»188. Esplicitando la questione, ci poniamo dunque la seguente domanda: si può davvero ‘legittimamente’ ritenere che la sovranità teorizzata da Bataille ricerchi un simile superamento oppure è più in accordo con la sua prospettiva l’idea, ampiamente

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Ivi, p. 118.

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Cfr. R. Hertz, La preminenza della mano destra, trad. it. e a cura di D. Altobelli, Milano 2017. La lettura di Hetz si rivela fondamentale per l’individuazione da parte di Bataille del carattere dinamico dell’eterogeneo e del sacro.

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Ibidem. Segnaliamo che in merito a tale nucleo problematico anche Roberto Esposito giunge a conclusioni simili a quelle espresse da Agamben. Egli infatti ritiene che l’operazione teorica batailleana tenda a una vera e propria «soppressione del soggetto». Cfr. R. Esposito, Le

sviluppata da Felice Ciro Papparo189, e da noi avallata, secondo cui tale sovranità corrisponda al tempo e al luogo in cui il soggetto smette, seppure momentaneamente, di perseverare nella durata del proprio essere individuale, per provarsi in una soggettività sovranamente cosciente del suo desiderio?

A questo proposito è opportuno sottolineare che il nostro propendere per la seconda opzione si fonda soprattutto sulla constatazione che, malgrado l’utilizzo di un linguaggio talvolta semanticamente mutevole e, di conseguenza, non del tutto esente da fraintendimenti, Bataille abbia inteso per sovranità esattamente lo stato di soggezione al mondo del “soggetto”, quello «stare sotto» già insito nell’etimologia del termine che contraddistingue il suo ‘statuto’. Detto diversamente, riteniamo che la riflessione batailleana si sviluppi volutamente e completamente all’interno della questione della soggettività e della sua “energetica” peculiare Ma la specificità della soggezione soggettiva pensata da Bataille è da attribuire a una condizione che risulta estranea non solo al potere situabile alla sommità della piramide sociale ma anche alle forme dell’asservimento che nella scala gerarchica sono simbolicamente collocate nella sua parte bassa. Lo ‘stare in basso’ che egli ha rappresentato con la sovranità, in virtù della sua matrice passionale, non aspira infatti a conquistare la posizione in “alto”, come invece fa il soggetto sovrano di cui Agamben denuncia il paradosso, né tanto meno corrisponde all’antinomia a fondamento di questo paradosso in quanto il sopra di ciò che è sotto.

A tale proposito bisogna considerare quanto l’autore francese dichiara in La souveraineté: «Non ho mai perso di vista il fatto che la sovranità non è veramente oggettiva, che al contrario essa designa la

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soggettività profonda»190. La forma batailleana della sovranità, attraverso il suo movimento di sollevazione – movimento a cui, forse, si deve la scelta da parte dell’autore di una denominazione che contiene la preposizione “super” nel suo etimo -, annulla dunque il significato stesso dei termini “basso” e “alto”, rovescia la dimensione oggettiva all’interno di cui tale significato si inscrive e riveste la sua funzione, si sottrae alla ‘dicotomia sopra/sotto’ corrodendola dal di dentro e alterandone la sua fissità sostanziale. Detto in altro modo, questa soggettività profonda, cui Bataille allude, si erge come un grido di rivolta lanciato contro il mondo delle sovranità oggettive: un grido di rivolta che col suo movimento di opposizione insinua nella realtà un orientamento della soggettività letteralmente ‘rivoluzionario’.

Di conseguenza, il soggetto sovrano, secondo Bataille, è lo sperimentatore di una dimensione del tutto differente rispetto a quella di cui i termini “basso” e “alto” (e i loro corrispettivi “sotto” e “sopra”) consuetamente indicano la base e il vertice. Se, da una parte, la sua dimensione esperienziale si rivela anche essa assolutamente paradossale, dall’altra, il paradosso che le è peculiare risulta costituzionalmente irriducibile al paradosso che contraddistingue invece le figure sovrane tradizionali. La dimensione sovrana dischiusa dalla riflessione batailleana potrebbe infatti essere adeguatamente designata come la condizione in cui il soggetto si pone al mondo in una ‘soggezione non assoggettabile’, e che, di conseguenza, risulta specularmente refrattaria a qualsiasi opera di assoggettamento altrui191.

190 P. 79 191

Agli esordi del suo impegno filosofico, a cavallo tra la fine degli anni Venti e gli anni Trenta del Novecento, in seno alla rivista «Documents» Bataille intraprende una lotta contro l’idealismo attraverso una contestazione dell’opera capillare di mistificazione a cui esso ha sottoposto la vita umana. In questa circostanza egli osserva che i termini “alto” e “basso”, lungi dall’essere meramente descrittivi, sono stati caricati di significati morali sin dall’antichità. Nel linguaggio comune si contraddistingue con la parola “basso” ciò che provoca vergogna e turbamento perché connesso a istinti e comportamenti che tradiscono la nostra prossimità agli animali. Quanto è “alto”, invece, celebra e reitera l’eccezionalità degli uomini delle origini in

b) La parodia della sovranità

Spingendo ancora più a fondo il confronto tra i due paradossi, quello illustrato da Agamben, in riferimento alle forme oggettive della sovranità, e l’altro incarnato dalla sovranità soggettiva introdotta da Bataille, si potrebbe arrivare a ipotizzare che il secondo paradosso costituisca la duplicazione in chiave parodica del primo o, per essere ancora più precisi, la duplicazione parodica di quella funzione direttiva che è il tratto distintivo del primo. A porci lungo questa via interpretativa è una dichiarazione dello stesso Bataille, risalente agli anni Cinquanta del Novecento e presente in una delle ultime pagine dell’incompiuta La souveranineté: «“Io non sono RIEN”: questa parodia dell’affermazione è l’ultima parola della soggettività sovrana liberata dal dominio che essa volle – o dovette – esercitare sulle cose»192. Con il richiamo alla dimensione del “rien”, del nulla, Bataille non intende affatto sostenere che la sovranità possa corrispondere a un superamento della soggettività mediante una negazione della sua condizione esistenziale, come sembrerebbe suggerire la linea interpretativa tracciata da Agamben. La questione che pone l’autore francese con l’identificazione dell’ «io» al

qualità di unici mammiferi ad essersi alzati stabilmente da terra e aver assunto una postura eretta, equilibrata e direzionata verso la luce. Secondo Bataille, l’idealismo, sbilanciando il movimento a vantaggio degli aspetti elevati dell’esistenza, ha messo in atto un processo di rimozione degli atteggiamenti più bestiali della vita. Alla luce di tale constatazione, l’autore, ispirandosi al dualismo gnostico, definisce il suo pensiero come un “basso materialismo” e giustifica la sua scelta affermando che porsi sotto l’egida del basso significa propendere per una materia sensibile, che per sua natura, in quanto non inscrivibile nell’ideale razionale, non può essere investita di nessun valore superiore e, di conseguenza, non può neanche assurgere a nessuna forma di autorità. (Cfr. G. Bataille, Le bas matérialisme et la gnose, in Œuvres. cit., vol. I, pp. ; trad. it. di S. Finzi, Il basso materialismo e la gnosi, in G. Bataille, Documents,

raccolta di testi apparsi su «Documents», trad. it. e a cura di S. Finzi, Bari 1974, pp. 93-103.)

Come ha opportunamente osservato Maurizio Ciampa, Bataille, grazie alla sua lettura dello gnosticismo, mediata dall’interpretazione che in quegli anni ne dava Henri-Charles Puech (il quale, peraltro, collaborava anche a «Documents»), «comincia a pensare all’umana esistenza come istanza eversiva e in pura perdita, istanza fuori-legge, intimamente antinomica». (M. Ciampa, La gnosi paradossale di Georges Bataille, in in J. Risset (a cura di), Georges Bataille. cit., pp. 25-26.) Una traccia di “basso materialismo” permane in Bataille anche dopo l’esperienza di «Documents», attraversa trasversalmente tutto il suo pensiero e contribuisce alla declinazione anti-autoritaria della sua nozione di sovranità.

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«rien» ci sembra andare in una direzione completamente differente. Egli, richiamandosi alla dimensione dischiusa dal “nulla”, intende, infatti, incrinare un piano specifico di esistenza: il suo piano oggettivo, ovvero il piano all’interno del quale, non soltanto le cose sono classificate come oggetti di produzione e consumo, ma anche l’esistenza soggettiva è ridotta alla funzione servile di un oggetto produttore di altri oggetti. Detto in altro modo, con il riferimento al “nulla”, Bataille vuole aprire il campo a quella condizione scevra da qualsiasi forma di dominio imposto o subìto, cui già nel precedentente capitolo abbiamo avuto modo di alludere.

Per comprendere il discorso batailleano bisogna mettere in relazione il suo ‘concetto’ di sovranità con le forme tradizionali della sovranità. A tale riguardo si può sottolineare che, prima dell’avvento del Moderno, come Bataille stesso sostiene, all’interno del mondo oggettivo la sovranità autentica è stata storicamente appannaggio esclusivo di «Dio, delle figure degli dei e dei re»193. Tuttavia, anche questa “sovranità autentica”, nonostante la sua posizione di supremazia incrontastata, ha finito col degradarsi a comportamenti e aspirazioni parimenti servili. Difatti, le forme della sovranità calate nel corso della Storia e nel mondo degli oggetti sono sempre state legate, da una parte, a una serie di privilegi materiali connessi al rango di appartenenza e, dall’altra, all’arbitrio di innescare la guerra, che costituisce la più grande forma di “dépense” sociale esistente. Detto in altro modo, le figure della sovranità oggettiva risultano contraddistinte dall’autorità che gli derivava dal potere di godere dei prodotti del lavoro altrui e del potere di distruggerli (e di distruggere, almeno potenzialmente, anche i loro produttori, ridotti alla posizione di sudditi). Pur situandosi dal lato del consumo anziché da quello della produzione, i sovrani della tradizione si mostravano,

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insomma, comunque invischiati con la sfera dell’azione efficace, e di questa sfera hanno simboleggiato il vertice in qualità di detentori del potere.

Secondo Bataille, è stata l’affermazione dell’economia capitalista ad aver segnato, quindi, la fine di questo tipo di sovranità oggettiva e aver implicitamente preparato il terreno per una sovranità radicalmente differente, del tutto disgiunta da qualsiasi ingerenza con la dimensione servile, slegata da interessi e privilegi materiali e persino dall’esercizio del potere. L’aspetto del discorso batailleano su cui riteniamo opportuno porre l’accento a tale proposito è il seguente: una simile sovranità, che si rivela accessibile a tutti gli esseri umani, pur risultando apparentemente estranea a qualsiasi legame con la politica, come d’altronde Bataille stesso ha tenuto precisare, e pur corrispondendo a un’esperienza del tempo che si pone al di fuori della Storia, appare nondimeno legata a doppio filo alla modernità. Difatti, se da una parte, essa, ha tratto lo slancio per palesarsi con maggiore nitore proprio dal superamento moderno delle forme tradizionali della sovranità e da un modello di società fondato sulle differenze di rango, d’altra parte, la sua esperienza si rivela assolutamente necessaria per frenare il rischio di consumi distruttivi che un’accumulazione e una crescita indiscrimate, proprie delle società contemporanee, possono comportare per il genere umano.

Questa connessione intrinseca tra la sovranità soggettiva e la situazione storica sembrerebbe ampiamente confermata dai continui richiami batailleani allo scenario politico ed economico degli anni della Guerra Fredda. Nello specifico, il quadro che egli registra nel corso degli anni Cinquanta testimonia di «un’immensa ipocrisia del mondo dell’accumulazione. Esso si situa, nel suo principio, esattamente all’opposto delle due forme principali di attività della società arcaica, la posizione di rango fondata su forme dispendiose di fasto, e la guerra che

è certo la forma più costosa di distruzione di beni. [...] Ma se il mondo dell’accumulazione le condanna moralmente, non è però riuscito ad altro che ad accrescere la loro importanza poiché ha prodotto in fin dei conti un aumento della ricchezza. [...] Il mondo dell’accumulazione non può esaurire la sua ricchezza senza il ricorso alle differenze di rango e alla guerra. Nel mondo arcaico questi ‘salassi’ erano praticati a misura d’uomo e le virtù umane prosperavano, non sempre nel migliore, ma almeno in maniera esaltante. Oggi invece, per la duplice ragione che vengono condannate e insieme sono più necessarie, la ricerca generalizzata del rango, nella sua ipocrisia, è l’ultima umiliazione di una moltitudine che è diventata comica, e la guerra sta diventando la bancarotta fraudolenta del genere umano»194.

Dinanzi a tale scenario minaccioso, Bataille ‘oppone’ l’esperienza sovrana dell’arte. La sua preferenza per questa forma peculiare della sovranità scaturisce dalla constatazione che il mondo dell’arte – ma, evidentemente, non quello della sua mercificazione - è l’unico a mettersi dalla parte di quelli che egli definisce i «diretti», ovvero «coloro che preferiscono che altri [...] dirigano [...]. Sono i soli a frenare [...] quel vasto movimento di crescita la cui dismisura è garanzia di consumi disastrosi»195. Un simile ordine di considerazioni ci induce a ritenere che il discorso batailleano sulla sovranità, lungi dall’essere apolitico o, anche “impolitico”196

, sia piuttosto espressione di un orizzonte rigorosamente politico, ma, per dirla con Nietzsche, propiziatore di una “grande politica” che non è riferibile alle figure cardine della politica moderna - lo Stato, il partito, la classe - e non è neanche attivamente e direttivamente partecipe degli eventi storici. Per approcciarci a questo peculiare orizzonte politico, che in una lettera al suo editore Lindon 194 P. 261 195 196

Bataille ha definito “politique de l’impossible”, poniamo nuovamente l’accento sulla sovranità al fine di capire la modalità peculiare con cui essa si estrinseca e transfonde nella realtà umana.

Nel procedere lungo questo asse di indagine ritorniamo all’estratto proposto precedentemente. Ora la nostra attenzione cade soprattutto sulla definizione specifica che dà Bataille di quel «“Io non sono RIEN”» da cui abbiamo preso le mosse. Stando a quanto egli dichiara, questa affermazione della soggettività sovrana è una «parodia dell’affermazione». Con l’intento di comprendere la portata del discorso attualmente in esame attingiamo, dunque, a un’indicazione interessante sulla natura della “parodia” che ci proviene da Farui Jesi. A proposito del procedimento letterario intrapreso da Apuleio nelle Metamorfosi, egli intercetta l’intervento dell’elemento sovrano della parodia197

e così lo descrive: «Parodia è crisi nel significato antico della parola: è, dunque, l’istante che precede e annuncia la rivelazione o, meglio, la nuova rivelazione»198. Riferendo l’affermazione di Jesi al procedimento parodico intrapreso da Bataille, possiamo in prima istanza attestare che la “sovranità profonda” è effettivamente frutto di un’operazione di messa in crisi. Essa, infatti, va strettamente correlata alla categoria politica e giuridica della sovranità tradizionale. D’altronde, forse non è un caso, come mostreremo nelle prossime pagine, che la sua configurazione peculiare cominci a prendere consistenza tra le righe del pensiero batailleano nella fase di piena espansione dei fascismi.

Restando nel solco della prospettiva dischiusa da Jesi, si può inoltre constatare, che, attraverso l’incrinatura suscitata dal processo erosivo e adulterante o, se vogliamo, ‘farmacologico’, della crisi, dalla sua capacità di decomposizione dei contenuti e di inversione del senso alla

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base delle forme dell’autorità, la parodia apre a una «nuova rivelazione»: una rivelazione che, nel caso della sovranità batailleana, proviene dall’intera operazione parodica di trasfigurazione dell’esistente. Il nucleo di verità che scaturisce da questo procedimento metamorfico risulta sedimentato, come sostiene ancora Jesi, su «due livelli differenti di conoscenza»199. Tali livelli che nel pensiero di Bataille appaiono coesi e intrecciati all’interno di un unico dispositivo. Se, da una parte, la parodia si sviluppa ancora lungo la linea razionale della narrazione e del linguaggio, dall’altro, non può prescindere da quello che è il suo più autentico centro di irradiazione, ovvero dalla dimensione pathica dell’esperienza e della sofferenza. Ecco dunque che l’esercizio della parodia permette a Bataille di estrarre dal paradosso classico della sovranità il germe ‘rivoluzionario’ di una sovranità liberamente autonoma.

c) Lineamenti del basso materialismo

Scavando ora nel corpus di Bataille, acquista concretezza l’ipotesi che l’ordine di questioni implicato nella concezione del soggetto sovrano affondi ancora una volta le sue radici in una serie di riflessioni risalenti all’esperienza di «Documents». Per cominciare a circoscrivere più precisamente il campo tematico che stiamo chiamando in causa, recuperiamo, quindi, nuovamente i termini “alto” e “basso” e analizziamoli sulla base del loro contesto di provenienza all’interno del testo di Bataille. Essi sono stati originariamente adoperati nel quadro della sua lotta tenace contro la mistificazione idealista della realtà. È nel solco di tale operazione critica, su cui abbiamo già avuto il modo di soffermarci a proposito della nozione di “informe”, che egli ha visto in questi due termini la presenza attiva di fulcri semantici impregnati di

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giudizi morali ed estetici, da lungo tempo immagazzinati e sedimentati nel corpo parola. Da tale constatazione l’autore francese ne ha dedotto che l’uso degli aggettivi “alto” o “basso” non si rivela mai meramente descrittivo: aldilà delle intenzioni specifiche di chi li impiega di volta in volta, e oltre al senso immediato che essi veicolano, i due termini trasmettono nondimeno anche un’immagine specifica del mondo, strutturata gerarchicamente e ben salda nella sua composizione. Difatti, come Bataille medesimo ha messo acutamente in evidenza, di norma si usa contraddistinguere con il termine “basso” gli ambiti della vita che provocano vergogna e turbamento perché connessi a istinti e a comportamenti che tradiscono la nostra prossimità agli animali, mentre si adotta l’aggettivo “alto” per indicare tutto ciò che allude, e in qualche modo reitera, l’eccezionalità dei primi uomini, la loro capacità di essersi distinti dalle altre specie viventi nell’attimo in cui si sono alzati stabilmente da terra e hanno assunto una postura eretta, equilibrata e direzionata verso la luce.

A tale proposito nell’articolo di «Documents» Le gros orteil l’autore sottolinea che, «benché all’interno del corpo il sangue scorra in

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