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Soglia del visibile: ciò che si vede, ciò che si è visto (la memoria)

Il capitolo undici ospita uno dei momenti più intensi dell'intero romanzo. Brahe ha organizzato uno spettacolo pirotecnico in onore di Epstein, da godersi insieme dal giardino dello scrittore, loro abituale luogo d'incontro. Al termine della visione Brahe, punzecchiato da Epstein sulle ragioni di quello spettacolo, ammette esserci «anche un motivo di simmetria» (AO, 146). Aggiunge poi, parlando del suo lavoro:

[il] mio lavoro è simmetria, una simmetria molto molto spinta. Che con la simmetria si riesca a prendere qualcosa delle fluidità e velocità e inafferrabilità è sempre sorprendente. Ma da questo punto di vista anche la luce è una simmetria (AO, 146-147).

Brahe sta parlando del suo lavoro, ma tra le righe sta introducendo Epstein alla sua richiesta: «Del resto io le ho fatto vedere dove lavoro, le ho detto ciò che vedo, e anche ciò che forse non vedrò. Lei non mi ha mai mostrato cosa vede. Né mi ha invitato a vedere dove si produce» (AO, 147).

Epstein per tutta risposta inizia a scomporre i corpi di cui è fatta la materia del suo lavoro: «una storia è fatta di avvenimenti, un avvenimento è fatto di frasi, una frase è fatta di parole, una parola è fatta di lettere» (AO, 147). Arrivato fino al corpo più piccolo, l'atomo della scrittura, si chiede: «E' l'"ultimo"? No, dietro la lettera c'è un'energia, una tensione che non è ancora forma, ma non è già più sentimento» (AO, 147). Epstein sta tracciando a Brahe il collegamento tra i loro esperimenti. Questo collegamento si regge esattamente su quel punto di forza in cui si genera la parola, la forma. Nel punto d'interazione tra l'energia e il corpo si trova la simmetria tra Brahe ed Epstein. Per Epstein il sentimento legato alla parola, per Brahe l'interazione

elettrodebole e i bosoni W e Z, per entrambi l'impossibilità di indicare «la differenza tra il prodotto e ciò che lo produce» (AO, 147). «Purtroppo in ogni esperimento vale solo quello che si può mostrare» (AO, 75), questo è il modo di operare che ha scelto Brahe, inserendosi nella ricerca scientifica; in esso deve operare, in un linguaggio specifico e rigoroso, coerente con ciò che gli è possibile e plausibile nel suo linguaggio limitato e

determinato. Questo modo di contribuire alla conoscenza ha scelto, e a questo intende attenersi. Perciò questo chiede ad Epstein: «che cosa vede» (AO, 148); cioè cosa di quello che vede, può mostrare.

Così Epstein, nonostante ammetta di sentirsi scomodo «a parlare di tutto questo» (AO, 148), poiché per scelta ne sarebbe «uscito fuori» (AO, 148), con un gesto di amicizia e d'onesta intellettuale insieme, comincia a descrivere ciò che ha visto. Inizia in modo assolutamente rilevante, utilizzando il tempo della narrazione per eccellenza, il passato remoto: «Ci furono due botti secchi, senza luce, e i fuochi cominciarono» (AO, 148).

La scena si svolge all'interno di un «riquadro di cielo buio»65 (AO, 149), che si può

associare senza fatica al monitor che utilizza Brahe per la visualizzazione nel suo laboratorio66. Epstein dà subito prova di conoscere con precisione nomi e proprietà degli

elementi chimici, elencando nel dettaglio le corrispondenze probabili tra elementi e colori presenti in quelle «linee traccianti [che] si divaricavano in un punto dove la materia diventava luce» (AO, 149). Sodio giallo, bario verde, rame azzurro, magnesio bianco, stronzio rosso, calomelano celeste. Qualche riga dopo, per sottolineare la natura narrativa delle sue parole, parla di se stesso e Brahe usando la terza persona plurale («senza che loro due» (AO, 149)). I fuochi gli appaiono come un'esplosione del divenire: «la materia diventava luce», «l'aria si trasformava in luce», «gli alberi si trasformavano in luce». E' un inno descrittivo al divenir altro, una Metamorfosi dal sapore totalmente diverso rispetto a quella Kafkiana, più affine al sentimento che si trova in Ovidio67. Qui Epstein dimostra gli esiti del suo essersi volto con passione alla

conoscenza, senza discriminazione di sorta, se non quella dell' allontanamento da generalità e disinteresse. Epstein simboleggia l'amore per la diversità, per l'identità descrivibile, seppur soltanto probabilmente (si noti nel testo l'abbondante utilizzo del termine probabile), delle cose. Egli è sempre stato spinto ad avvicinarsi e conoscerle

65 Per il rapido alternarsi di parti di testo e parti di commento, non si annoteranno tutte le citazioni inserite nella spiegazione di questa scena. Tutto il virgolettato qui non citato si riferisce a parti di testo contenute nelle pp. 149-153.

66 «dal buio si formava sul monitor prima una cornice col numero della serie, il tempo, la sigla dell'esperimento; poi da destra e da sinistra entravano linee rapidissime, alcune collidenti al centro dove l'impatto generava altre linee continue o tratteggiate, curve e parabole e ellissi e piccoli vortici attorcigliati su se stessi» (AO, 21).

tutte, una ad una, nel fondo della loro singolarità. Così, nei fuochi artificiali riesce a discernere delle forme esatte.

I fuochi si dividono per momenti. Dopo l'introduzione, si entra tramite la descrizione di Epstein in un giardino fiorito in cielo, dove ogni "fiore" è riconosciuto e chiamato con il suo nome: «ombrelliformi come gli eucalipti», «dal blu al porporino al bianco come la passiflora», «fiori dal calice allungato che scoppiava in una corona doppia e tripla di sfumature viola, come la granadilla», «come l'iperico [...], come il papavero da oppio [...], come la buddleia [...], come le fucsie». Anche «i fiori erano diventati luce», e «anche gli animali [...]. Per la presenza dell'acido gallico, [...] che dà sonorità alle miscele [creando quasi] il verso di animali inferociti». Poi «il ferro stava diventando luce», inoltre gli «sembrava che [anche] l'acqua diventasse luce» risucchiata dal riflesso luminoso. Epstein ottempera nel suo punto di vista molti punti di vista, offrendo con disinvoltura il realismo delle materie e dei processi chimici, l'astrattismo delle forme e l'impressionismo delle suggestioni. Due bragantini vengono fatti bruciare sul bordo dell'acqua, così «in una combustione lenta [...] anche gli oggetti e la meccanica finirono in luce». La guerra e la geometria convergono nell'astronomia nel seguente passaggio, divenendo comunemente luce:

granate a serpentelli che tracciavano nel buio ellissi luminose, e del resto in geometria anche l'ellisse ha i suoi fuochi [...], granate raggianti [...], granate a pioggia, granate a paracadute, [...] fino alla perfezione circolare delle granate a sfera [...]; enormi globi di stelle gialle che

generavano enormi globi di stelle verdi che generavano enormi globi di stelle violette, o stelline rosse come il rosso verso cui nello spettro si sposta la luce delle galassie in allontanamento, probabilmente infinito, se l'universo è aperto (AO, 152)

Mondi che generano altri mondi, come discipline che generano altre discipline, momenti che generano altri momenti («secondo altre geometrie più complesse,

comprendenti nella simmetria anche il tempo» (AO, 152)), uomini e donne che generano figli, che generano altri figli, tecnica che genera scienza e scienza che genera tecnica, sentimenti che generano parole, che generano sentimenti, generando al contempo «stelline rosse [...] in allontanamento», tempi perduti.

sempre più infernale», qui è possibile il rimando all'acceleratore di particelle con cui Brahe può vedere ciò che deve riuscire a vedere. Questa velocità, utilizzata con

consapevolezza dagli artificieri che si potrebbero pensare come gli scienziati ed Epstein stesso, produce un nuovo tipo di interazione visiva. Per la gran velocità i colori sparati dagli artificieri interagivano con gli occhi degli spettatori, sfruttando «anche i colori che l'occhio secerne come una ghiandola sollecitata», così risultavano «colori che

esplodevano con dentro soltanto colore, colore senza più dentro né fuori, colore fuori e colore dentro». Con la velocità, l'interazione con l'occhio cambia i connotati, via le forme, via le immagini, rimangono soltanto i colori: «blu e porpora e arancione e verde», in colori base dello spettro elettromagnetico, e «anche il bianco – l'insieme di tutti i colori – che non lo si pensa mai come un colore ma soltanto come luce», e poi «luce e luce e luce e luce-buio».

Questo è ciò che Epstein ha potuto mostrare a Brahe. La storia di come la sua

conoscenza, tutta la sua conoscenza, sia finita in luce, diventata luce, giunta alla luce.