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Staccando l'ombra da terra: il volo concretato

Staccando l'ombra da terra

4.2 Staccando l'ombra da terra: il volo concretato

Tracciata la continuità, le medesimezze che legano il volo di fantasia al volo della mente concretato, vanno sottolineate ora, sulla scorta di Del Giudice, le diversità ossia le specificità proprie di quest'ultimo, poiché in esse lo scrittore romano troverà terreno fertile per la sua particolare poetica dell'esattezza, e il compimento forse più felice dell' intera sua esperienza d'utilizzo della metafora.

Il romanzo si articola su una serie di racconti che trovano la loro continuità, oltre che nel tema, nella figura del narratore. Il volo come esperienza umana viene trattato

attraverso l'esperienza aerea particolare della voce narrante, a cominciare dal primo atto: il conseguimento del brevetto di volo.

E' narrato in seconda persona dal protagonista l'atto primo del divenire pilota. La struttura a doppia elica Uno-Molteplice trova sbocco in questo capitolo attraverso una figura concettuale solida: il tema dell'errore.

Al protagonista viene data la possibilità di volare da solo dopo aver compiuto un gravissimo errore in fase di decollo, durante una guida con l'istruttore Bruno. Il motivo per cui quest'ultimo ha deciso di permettergli il primo volo «solista» è da ricondursi all'errore: «per via dell'errore, hai visto l'errore», dice (SOT, 14). L'esattezza quindi è un procedimento che coincide «con una disciplina e un rigore assoluti» (SOT, 4), ma richiede altresì di avere consapevolezza del carattere manchevole di questi attributi; per chiudere il cerchio serve disporre anche dell'altra parte, quella che sfugge alla misura: l' «intuito» (SOT, 4). Come conoscenza scientifica, la conoscenza del pilota ha un

carattere asintotico, poiché per quanto si conoscano alla perfezione tutte le componenti del volo (dalla strumentazione agli elementi naturali, fino a se stessi) il presente si svolge, suggerisce Del Giudice, con un un'indice di probabilità e «le probabilità non

hanno memoria delle circostanze o dell'anzianità di volo» (SOT, 12). Nel precedente romanzo Barnaba era stato invitato a scegliere pur non disponendo della certezza di una verità incontrovertibile, ora la situazione è posta in questi termini: «"Che cosa conosce Bruno di te? Niente." Eppure ha preso lo stesso la decisione di metterti da solo su un aereo» (SOT, 11). Qui il narratore si accorge che «il primo decollo da solo è l'incontro di due paure, [...] paure reciproche e concordi di due persone costrette a fronteggiare un evento avendo soltanto una conoscenza parziale» (SOT, 11). La conoscenza di cui dispone l'uomo è mutabile, alla pari di esso. Questo non le dà un carattere meramente erroneo, bensì errante. E' una prosecuzione di quanto esposto nel precedente romanzo, in nuova forma. L'uomo può errare, errare così nel dettaglio e precisamente e

sentitamente da poter volare. Infatti

[nel] volo non c'è nessuna nozione che non abbia impiego, nessuna nozione «disoccupata», nemmeno la più astratta, nemmeno la più remota, la più nascosta nelle pieghe della memoria o dei manuali [...]. Né ci sono nozioni principali e nozioni secondarie; quello del pilota non è un sapere gerarchico, perché non è gerarchico l'errore (IL, 160-161).

Gli errori sono i punti in cui si fissa il viaggiare della conoscenza umana106, di questo

sembra esser fatto il sapere del pilota. Del Giudice associa la capacità di comportamento nell'errore alla probabilità di volare. Saper volare è la conoscenza e la padronanza di errori certi (nozioni esatte) e insieme una conoscenza consapevole del fondo di erroneità di queste nozioni (probabilità). La capacità di mantenere quindi con esse un legame flessibile, soltanto probabile, che permetta di adattarsi e far fronte all'ignoto che arriva. L'ignoto è quindi alle spalle come innanzi, per questo volare è «probabilmente la cosa più innaturale che esiste» (IL, 147).

Il tema dell'errore, simbolo del primo capitolo dandogli del resto il titolo, viene corroborato, come è costume di Del Giudice, da una raggiera di dettagli collaterali che in sordina, appartati, fanno da scorta al concetto, lavorando nella mente del lettore come sostegni per fissarne il quadro. Questa tecnica non deve passare inosservata, o rimanere in secondo piano, poiché è una delle cifre stilistiche più caratterizzanti dell'opera di Del

106Su questo tema, cfr. B. Antomarini, Pensare con l'errore. Il bersaglio mobile della conoscenza, Codice Edizioni, Torino, 2007.

Giudice. Nell'opera si presentano più occasioni in cui viene evidenziato che questo è anche altro.

Le immagini più plateali a riguardo sono proprio quelle che riguardano il pilota e l'aereo.

La corsa di decollo è una metamorfosi, ecco una quantità di metallo che si trasforma in aeroplano per mezzo dell'aria, ogni corsa di decollo è la nascita di un aeroplano (SOT, 5).

In questo Del Giudice sembra proseguire la sensibilità di Calvino, nell'arco dello stesso periodo egli ottempera entrambe le visioni, quella di Ovidio, volta a sottolineare il movimento fluido e mitico delle forme che si trasfigurano in altro, e quella di

Lucrezio, volta a sottolineare il continuo incedere casuale di nascita e morte, di

distinzione, assegnazione d'identità discernibili discretamente. Nei precedenti capitoli si è tracciato un ponte con le discipline scientifiche, notando come i concetti di continuo e discreto siano da sempre nodi cardine del pensiero umano. Lo sforzo di Del Giudice è quello di risolverli nella compresenza «in pari dignità» (AO,66). Così si possono spiegare le sue manie: il volo e la luce («il mondo anfibio delle onde e delle particelle, dei campi e dei quanti» IL, 58); poiché forse in esse egli scorge la possibilità di

evidenziare questa compresenza. A proposito va sottolineato come dal punto di vista formale egli sia perennemente teso a sciogliere il linguaggio tecnico nella metafora, e viceversa a dare alla impalpabile forza metaforica un corpo solido: l'esattezza tecnica. Anche il pilota vive questo complesso movimento di trasformazione, nascita di un nuovo sé in altro, in altro sé: «a mano a mano che l'aereo si trasforma in aereo tu ti trasformi in Bruno e diventi comandante di te stesso» (SOT, 8).

La trasformazione investe anche l'ottica sul mondo, e le informazioni (cfr. Primo Cap.) contribuiscono a dar forma mobile alle cose, come avviene al narratore di dar forma a Bruno. Nel momento del loro primo incontro il narratore non conosce nulla di Bruno, non ha nessuna informazione su di lui, non sa ad esempio «che era stato un pilota acrobatico e pilota collaudatore, che negli anni del dopoguerra si era guadagnato da vivere facendo piroette in pubbliche gare, che aveva trentamila ore di volo su ogni tipo d'aeroplano» (SOT, 9-10). Non disponendo di tutte queste informazioni, Bruno è

per lui «quel signore coi capelli bianchi» (SOT, 10) che sta compiendo manovre ai limiti dell'umano e che fa pensare al narratore: «adesso muoio con questo signore che non conosco» (SOT, 10). L'informazione agisce e tempera le intensità emotive presenti nell'atto percettivo.

Ci sono altri tre casi interessanti nei quali il concetto d'identità si articola dando importanza di volta in volta ad aspetti diversi della medesima dinamica. Nel primo caso Del Giudice sottolinea come la definizione sia arbitraria e approssimativa, e risulti quasi come una confezione inappropriata al regalo che essa avvolge; il narratore chiama l'ufficio di Bruno "ufficio", e questo lo induce ad aprire una rapida parentesi riflessiva: «se può chiamarsi ufficio una vecchia scrivania anni quaranta, una rastrelliera di carte aeronautiche, un dondolo e un monitor con l'Italia e le nubi viste come le vede in quest'istante un satellite meteo» (SOT, 13). Nel secondo caso un atto particolare e distinto viene riconosciuto come tale, ma al contempo divaricato nei suoi confini e aperto a una continuità che non gli appartiene, condensata in esso dalla fantasia del narratore felice, che per tale felicità non vede discrezioni: «è solo l'autorizzazione a un contropista, ma a te sembra un'autorizzazione più ampia, autorizzato a qualcosa che si é appena iniziato e cui solo un evento ultimativo potrebbe porre fine» (SOT, 13)107. Nel

terzo e ultimo esempio si rileva come la medesima parola, pur all'interno di un utilizzo formale del significato, tragga il suo esatto significato non a priori, ma sulla base delle circostanze, aprendo persorsi di possibilità flessibili, pur all'interno di una dimensione esatta: «un "tu", uno di quei tu che non accorciano le distanze, anzi, né scompongono il portamento, ma che [...] ti consentirà di domandargli nella nuova dimensione del tu come mai proprio oggi» (SOT, 13)108.

Vi è poi un pensiero del narratore, posto tra parentesi, che sintetizza bene la struttura dinamica adottata da Del Giudice.

(Se nella memoria esistesse un comparto per le prime volte [...] metteresti il primo

107Vale la pena notare come in Atlante Occidentale Epstein collegasse la mancanza distintiva ad un sentimento opposto, di tristezza: «e tu sei così triste che tutto sembra uguale a tutto» (AO, 30). Il ponte tra i due casi si regge sul «sembra», come a dire che il sentimento, non importa quale esso sia, sfugge alla distinzione, alla discrezione, ma da solo non è reale, non è completo, e si riduce di per sé solo all'apparenza («sembra»).

decollo da solo nella stessa regione della prima volta in amore [...]; curioso però che la prima volta e più travolgente compenetrazione con un'altra creatura si trovi per te in compagnia della prima e più grande solitudine, radicale, 'solista' nell'aria) (SOT, 13). Il contenuto della frase pone la questione della compresenza dialogica di

medesimezza e alterità. Ma questa compresenza è considerata a tal punto che non si chiude unidirezionalmente nel contenuto, ma si perpetua reiterandosi in un sempre ulteriore dialogo con la forma stessa. Se per il narratore questa coincidenza desta curiosità, Del Giudice ne traccia consapevolmente i lineamenti, facondogli narrare il suo primo volo 'solista' alla seconda persona singolare.