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LA VOLONTÀ DI DIO COME PRINCIPIO PRODUTTIVO

3. L A SOLUZIONE DI G IOVANNI D UNS S COTO

3.1 La critica agli argomenti del Gandavense

Esaminiamo dapprima la reazione di Scoto alla soluzione di Enrico, per poi investigare il suo tentativo di reimpostare la questione su basi metafisiche differenti.

Innanzitutto occorre notare che Scoto dimostra in più occasioni di aver ben assimilato il ragionamento con cui Enrico intende spiegare la produzione dello Spirito Santo. In questo caso la ricostruzione del Sottile può considerarsi aderente sia alle intenzioni che alle soluzioni del Gandavense, delle quali individua altresì i nodi teoretici più problematici: la doppia necessità, la natura annessa assistente, la produttività della volontà e il conseguente rischio di ammettere una necessità di natura. Questa lettura attenta si esprime sia nella scelta delle citazioni letterali di Summa, a. 60, q. 1, che costituiscono un blocco cospicuo di argomenti nella versione dell’Ordinatio della distinctio 10, sia nella riproposizione sintetica di alcuni aspetti della soluzione enriciana, soprattutto per quanto concerne gli accenni alla spirazione contenuti in Summa, a. 47, q. 5.

Scoto, così, penetra facilmente nel meccanismo di Enrico e sembra in grado di coglierne i legami interni, riuscendo a distinguere i quattro modi di intendere natura e le tre azioni della volontà, a capire che il problema della questione non è l’atto della volontà ut tendit in obiectum ma ut elicitur a potentia, che prima di affrontare il nodo trinitario Enrico pone già una differenza tra voluntas ut voluntas (libera) e voluntas ut natura (libera e necessaria), che intelletto e volontà sono capaci di comunicare una natura (cioè di produrre) solo in quanto collocati in natura divina, che essi lo fanno in modo diverso, rispettivamente coincidendo e non coincidendo con la ratio naturae, che la necessità di natura con valore produttivo è ammessa non in quanto praeveniens ma in quanto concomitans, che Enrico la vorrebbe distinta da quella in virtù della quale ‘Dio vive’, che vi sono due necessità (est duplex necessitas) da non confondere tra loro (benché entrambe immutabilitatis), che la loro distinzione corrisponde a quella tra l’atto essenziale (ut ordinatur in summum amatum) e quello nozionale (ut ordinatur in amorem productum), che la naturalità della volontà non praevenit eius libertatem ma est consecutiva et annexa libertati, che essa non ha una funzione elicitiva ma solo assistenziale158.

Ora, il contraccolpo di Scoto di fronte a un tale quadro è simile a quello che alcuni potrebbero accusare entrando in contatto con le soluzioni alquanto stratificate di Enrico. Il filosofo scozzese, infatti, si domanda provocatoriamente: a che giova il fatto che un principio abbia in se stesso la capacità di fungere da ratio eliciens del suo atto, avendo però al contempo bisogno di un’altra ratio

158 Cfr.IOANNES DUNS SCOTUS, Lect., I, d. 10, q. un., nn. 9-13, Vaticana, XVII, pp. 117-119;Quodl., q. 16, nn. 41-51,

annexa (non eliciens) concomitante all’atto? È davvero necessario supporre l’assistenza della natura primo modo dicta affinché la volontà divina possit communicare naturam? In una formula: quid est ista assistentia159?

Il Dottor Sottile prova così ad invertire la tendenza enriciana dando credito all’ipotesi per la quale la volontà, nel grado di natura in cui si trova, è già perfettamente adeguata ad illam communicationem. Infatti, alla luce di quanto esposto inizialmente dallo stesso Scoto, affinché la volontà produca lo Spirito Santo è sufficiente avere due fattori: un suppositum perfetto e adeguato all’azione del comunicare (Dio), e un principium ‘quo’ altrettanto perfetto e adeguato (la volontà)160. Se, dunque, voluntas est totale principium productivum, se la natura assistens – in base alle intenzioni dello stesso Enrico – nec est impellens nec praefigens, allora ogni assistenza appare agli occhi di Scoto inconsistente e superflua (non curo de assistentia tua iuxta me), quand’anche ut operans partiale161.

Come abbiamo accennato, l’altro aspetto controverso della opinio Henrici contro cui si rivolge l’argomentazione scotiana è quello della doppia necessità del volere divino, in base alle due diramazioni imposte dal livello essenziale e nozionale. Scoto discute criticamente la soluzione – da noi esaminata in precedenza – secondo la quale nella semplice volizione di Dio verso se stesso si attiverebbe solo un tipo di necessità, mentre nella più articolata spirazione da parte di Padre e Figlio in favore dello Spirito Santo si attiverebbero due diversi tipi di necessità (unica necessitas in volitione

159 Cfr. IOANNES DUNS SCOTUS,Ord.,I, d. 10, q. un., n. 25, Vaticana, IV, pp. 349-350: «Primo: quantum ad hoc quod

ponit de assistentia illa naturae ipsi voluntati, ut voluntas vi istius assistentiae possit communicare naturam, quaero quid est ista assistentia? Videtur quod non sit necessaria ad illam communicationem, quia habito supposito agente perfecto et conveniente actioni, et principio ‘quo’ agendi perfecto, non videtur esse aliquid aliud necessarium ad agendum; sed per te voluntas sola est principium ‘quo’ respectu actus notionalis, et constat quod suppositum est perfectum et conveniens actioni; ergo non videtur illa assistentia esse necessaria ad talem productionem»; Rep. I-A, d. 10, q. 1, n. 8, Wolter/Bychkov, I, pp. 387-388.

160 Cfr. IOANNES DUNS SCOTUS,Quodl., q. 16, n. 53, Noone/Roberts, p. 187: «[...] sicut memoria perfecta in supposito

conveniente est perfectum principium producendi verbum perfectum, sic videtur quod voluntas perfecta in supposito vel suppositis convenientibus sit perfectum principium producendi amorem perfectum; sicut ergo memoria in Patre est principium gignendi Filium, sic voluntas in Patre et Filio est principium spirandi Spiritum Sanctum. Nec videtur, ultra rationem perfectae memoriae vel perfectae voluntatis, coassistentia alicuius esse necessaria sic quod sine illo assistente non posset voluntas in actum spirandi et memoria in actum dicendi».

161 Cfr. IOANNES DUNS SCOTUS,Lect., I, d. 10, q. un., n. 15, Vaticana, XVII, p. 120: «Sed ad propositum arguo contra

eos, quia cum dicunt quod ‘voluntas producit et communicat naturam ex vi naturae assistente sibi, quae dicitur essentia’, quaero an assistit ut operans totale vel partiale, an ut principium operandi totale aut partiale? Secundum eos nec sic nec sic, quia tunc esset praeveniens et impellens voluntatem. Si autem non praedicto modo assistit, igitur exclusa illa vi naturae, adhuc erit communicatio illius naturae per voluntatem, quia posito supposito producente et principio productivo totali, sequitur productio ubi non requiritur approximatio passi; sed in proposito est sic, nam hic est Pater et Filius sicut in loco producentis, et voluntas est totale principium productivum, et non natura assistens, quia nec est impellens nec praefigens voluntatem ad operandum; igitur exclusa illa vi, Spiritus Sanctus producetur. Si enim habeam potentiam motivam et principium movendi, non curo de assistentia tua iuxta me, ad hoc quod moveam. Sic in proposito»; Quodl., q. 16, n. 54, Noone/Roberts, pp. 187-188.

et duplex in spiratione). L’opinione si rivela contra ipsum (ovvero contro la stessa teoria enriciana) et contra veritatem162.

È contra ipsum dal momento che lo stesso Enrico – come abbiamo ampiamente verificato nel primo frangente della nostra trattazione163 – afferma a più riprese che gli atti nozionali si fondano sugli atti essenziali – così come, d’altronde, tutti sarebbero concordi nel riconoscere che gli atti nozionali sono ‘preceduti’ da quelli essenziali –, nella misura in cui i secondi rappresentano il requisito necessario per l’innescarsi dei primi, dal momento che la possibilità della generazione e della spirazione è legata ad una qualche rielaborazione dell’intellezione e della volizione ‘precedenti’ (considerando sempre l’impossibilità in divinis di parlare di una priorità temporale). Se dunque Enrico vuole mantenere questo meccanismo di fondazione degli atti nozionali su quelli essenziali, non può al contempo ammettere che i primi abbiano qualcosa in più (e di diverso) rispetto ai secondi164. Infatti, l’atto nozionale, in quanto fondato, non può aggiungere da sé un’ulteriore necessità che non sia già presente nell’atto essenziale, in quanto fondamento. Enrico, quindi, sembra contravvenire alla sua stessa dottrina affermando che in ciò che è fondato vi è una necessità in più rispetto alla necessità presente nel fondamento.

Ciò rende l’argomento anche contra veritatem, giacché è razionalmente insostenibile che nel fondamento (atto essenziale) vi sia un’unica necessità, mentre in ciò che su esso si fonda (atto nozionale) vi sia una duplice necessità. La prova è frutto di un ragionamento serratissimo, in pieno stile scotiano: se per impossibile una necessità venisse separata dall’altra, si verificherebbe il paradosso per il quale, escludendo una delle due necessità, ciò che è fondato resterebbe necessario in virtù dell’altra necessità residua, mentre ciò che fonda perderebbe anche quell’unica necessità che aveva, ovvero tutta la sua necessità165. Pertanto, in base al tema della questione, dato che, da un lato, l’atto nozionale di spirazione si regge sia sulla necessità ex libertate voluntatis che su quella ex illa

162 Cfr. IOANNES DUNS SCOTUS,Ord., I, d. 10, q. un., n. 26, Vaticana, IV, p. 350: «Praeterea, quod ponitur unica necessitas

in volitione et duplex in spiratione, videtur esse contra ipsum et contra veritatem».

163 Vide supra, I, §4.1.

164 Cfr. IOANNES DUNS SCOTUS,Ord., I, d. 10, q. un., n. 26, Vaticana, IV, p. 350 «[...] ipse ponit actus notionales fundari

in essentialibus et omnes concedunt communiter quod actus essentiales aliquo modo praecedunt actus notionales. Non videtur autem quod in fundato possit esse aliqua necessitas formaliter maior quam in eo in quo fundatur, vel quod duplex necessitas erit in fundato et unica in fundamento»; Lect., I, d. 10, q. un., n. 16, Vaticana, XVII, pp. 120-121: «Praeterea, quod dicitur quod hic est una necessitas ‘Deus amat se’, sed hic est necessitas duplex ‘Deus spirat’, – contra: secundum eos actus notionales fundantur in actibus essentialibus; sed non potest esse maior necessitas in eo quod fundatur in aliquo, quam sit in illo in quo fundatur, aliter enim aliquid esset necessarium et tamen non esset necessitas in eo in quo fundatur. Igitur non potest esse maior necessitas in actu notionali quam in actu essentiali».

165 Cfr. IOANNES DUNS SCOTUS,Ord., I, d. 10, q. un., n. 26, Vaticana, IV, p. 350: «[...] probatio, quia tunc per impossibile

vel per incompossibile, separata una necessitate ab alia (scilicet illa quam fundatum habuit a fundamento), adhuc remanebit illud fundatum necessarium; non autem remanebit illud in quo fundatur necessarium, quia non habuit nisi illam unicam necessitatem, quae circumscribitur in fundamento; ergo posset – illa positione posita – necessitas esse in fundato et non in illo in quo fundatur»; Lect., I, d. 10, q. un., n. 16, Vaticana, XVII, p. 121: «[...] unde si in actu notionali esset duplex necessitas et in actu essentiali tantum una necessitas, tunc excluso actu essentiali et fundamento actus notionalis, erit adhuc necessitas in actu notionali, – quod falsum est, quia tunc non fundaretur in actu essentiali. Non igitur est possibile quod Pater et Filius spirant aliqua necessitate, quin eadem necessitate diligant se».

necessitate naturalitatis annexa voluntati, mentre, dall’altro lato, l’atto essenziale di dilezione semplice è guidato esclusivamente dalla prima necessità, allora se quest’ultima venisse tolta (circumscripta prima necessitate) al fondamento (essenziale) non resterebbe più alcuna necessità, mentre al fondato (nozionale) resterebbe purtuttavia la necessità ex naturalitate166.

La debolezza della posizione di Enrico agli occhi di Scoto si mostra altresì dal punto di vista della posizione della natura rispetto alla volontà. Se una certa naturalità compete alla volontà in quanto quest’ultima è radicata nell’essenza divina, non è vero – come vorrebbe Enrico – che tutta la naturalità è consecutiva o concomitante rispetto all’innesco della volontà, poiché almeno in un punto la precede, rappresentando propriamente la giunzione tra la volontà divina e la natura/essenza divina in cui è fondata. Per Scoto, di conseguenza, questa derivazione della naturalità produttiva della volontà dalla natura/essenza divina rischia di far slittare la voluntas ut voluntas (in quanto principio elicitivo) al secondo posto e di intaccarne la costitutiva libertà. Detto in altri termini, nel sistema di Enrico tutto ciò che scaturisce dalla volontà come principio produttivo sembra in realtà scaturire ‘prima’ dalla voluntas ut natura, in quanto è dotata di quella naturalitas ricavata dalla natura annexa, e solo ‘poi’ dalla voluntas ut voluntas, in quanto libera167.

A Scoto non sfugge neanche l’altro punto controverso della questione – più sottinteso che esplicitamente affrontato nei testi di Enrico sopra analizzati –, quello dell’inclinazione naturale della volontà rivolta al fine, da noi sollevato nei termini in cui viene problematizzato da Guido Alliney. Nella Lectura, infatti, il maestro francescano si premura altresì di specificare il suo disaccordo con la dinamica che presiede, secondo Enrico, all’operazione essenziale dell’adesione necessaria al bene sommo, in base ad una necessità che non si vuole definire ‘naturale’, in quanto tratta dall’immutabilità e autoimposta dalla volontà, ma che – come abbiamo visto – può essere considerato come una sorta di vestito naturale tagliato addosso alla volontà (inclinatio naturae repugnat libertati, et ubi est necessitas naturae ibi non est libertas)168.

166 Cfr. IOANNES DUNS SCOTUS,Ord., I, d. 10, q. un., n. 26, Vaticana, IV, pp. 350-351: «Hoc ad propositum, quia si actus

spirandi habet necessitatem ex libertate voluntatis et – praeter hoc – ex illa necessitate naturalitatis annexa voluntati, et actus dilectionis simplicis non habet nisi tantum primam necessitatem, igitur circumscripta prima necessitate circumscribetur tota illa necessitas quae erat in fundamento, et tamen adhuc remanebit alia necessitas in productione illa, videlicet illa quae est ex naturalitate»; Quodl., q. 16, n. 52, Noone/Roberts, pp. 186-187: «Contra istud: Non videtur quod illud quod fundatur in aliquo possit habere duplicem rationem necessitatis et illud in quo fundatur tantum unicam, quia tunc circumscripta per possibile vel impossibile ista unica ratione necessitatis, adhuc remaneret alia ratio necessitatis in fundato – et ita fundatum necessarium remaneret –, et tamen non maneret necessitas fundamenti. Nunc autem, secundum istos, actus notionales fundantur in actu essentiali, et secundum omnes, actus essentiales aliquo modo sunt priores, igitur non potest esse quod in actu essentiali, quo Deus diligit se, sit tantum unica necessitas et ex unica ratione necessitatis, scilicet ex infinitate libertatis, et tamen quod in actu spirandi sit cum hoc alia ratio necessitatis, scilicet naturalis».

167 Cfr. IOANNES DUNS SCOTUS,Ord., I, d. 10, q. un., n. 27, Vaticana, IV, p. 351: «Praeterea, videtur quod tota naturalitas

non consequatur actum voluntatis, quia illa competit voluntati – per ipsum – ex hoc quod fundatur in essentia divina; ergo cum prior sit ratio essentiae divinae ratione voluntatis, quidquid consequitur rationem essentiae vel voluntatem ratione essentiae, consequetur illam per prius quam illud quod consequitur voluntatem ut voluntas est: et ita videtur quod naturalitas illa praecedat aliquo modo ipsam libertatem, et per consequens impediet libertatem».

Scoto, infine, interpella indirettamente il maestro gandavense chiamando in causa una controversia teologica intorno alla quale le posizioni dei due doctores sono già apparse divergenti, quella che riguarda la distinzione tra gli attributi divini. Secondo il Dottor Sottile, anche da questo punto di vista, la teoria della spirazione sembra ritorcersi contro lo stesso Enrico. Infatti, se tra gli attributi divini dovrebbe intercorrere – in base a quanto sostenuto da Enrico – una mera distinzione di ragione, perché mai – domanda provocatoriamente Scoto – si richiede la presenza coassistente della natura nei riguardi della volontà per conseguire un tipo diverso di necessità e, quindi, un diverso atto? Se la loro differenza è tanto inafferrabile realiter, perché mai dovrebbero individuarsi nella dinamica spirativa due fattori (volontà e natura) talmente distinti da essere tra loro cooperanti169?

Ora, al di là della debolezza e dell’inconsistenza rinvenute da Scoto in alcuni dettagli del ragionamento di Enrico (l’assistenza della natura annessa, la doppia necessità, la naturalità dell’atto essenziale e di quello nozionale), ciò che ci preme maggiormente sottolineare è l’insofferenza del Dottor Sottile rispetto alla mancanza di un’impostazione metafisica rigorosa del problema trinitario, che ne rende più ostico ogni sforzo di risoluzione. Egli lamenta in modo piuttosto esplicito questa carenza della dottrina del Gandavense, che agli occhi del filosofo scozzese sembra infatti abdicare all’impresa di raggiungere una ratio communis che unifichi le varie flessioni ontologiche della facoltà volitiva.

Non si può certo affermare che Enrico voglia archiviare tout court l’esigenza autoritativamente riconducibile ad Anselmo in base alla quale la volontà nostra, quella dell’angelo e quella di Dio devono poter rimandare ad uno stesso contenuto definitorio, pena la totale equivocità170. Anzi, da un

169 Cfr. IOANNES DUNS SCOTUS, Ord., I, d. 10, q. un., n. 29, Vaticana, IV, p. 351: «Praeterea, quae necessitas distinguendi

inter voluntatem quam ponit principium eliciendi actum, et naturam quam ponit coassistere voluntati elicienti, si tantum est inter ista distinctio rationis, sicut videtur alibi sentire de distinctione attributorum in divinis?». L’obiezione di Scoto, pur restando efficace dal punto di vista argomentativo, non sembra tuttavia tenere in debito conto la precisazione del Gandavense – da noi già evocata – in base alla quale gli attributi sono, sì, distinti razionalmente (sola ratione differunt), ma solo finché non assumono un carattere nozionale, in virtù del quale arrivano a distinguersi realmente (differunt re). Cfr. HENRICUS DE GANDAVO, Summa, a. 54, q. 4, OpOm, XXXI, pp. 227-228.

170 Anselmo di Canterbury fu il primo a dichiarare espressamente questa esigenza di arrivare ad una medesima definizione

della libertà di arbitrio (in utrisque secundum hoc nomen eadem debet esse) che non contenga né più né meno del dovuto (oportet dare definitionem libertatis arbitrii, quae nec plus nec minus illa contineat) e a fornire poi una prima risposta al quesito: dal momento che non può coincidere con la potestas peccandi, non rinvenibile né in Dio né negli angeli buoni (nec libertas nec pars libertatis est potestas peccandi), essa si configura come potere di serbare la rettitudine della volontà per amore della rettitudine stessa (illa libertas arbitrii potestas servandi rectitudinem voluntatis propter ipsam

rectitudinem). Cfr. ANSELMUS CANTUARENSIS, De libertate arbitrii, c. 1, in S.ANSELMI CANTUARIENSIS ARCHIEPISCOPI

Opera omnia, ed. F.S.SCHMITT, 6 vv., Thomas Nelson & Sons, Edinburgh 1938-61, I, p. 208: «Quamvis differat liberum

arbitrium hominum a libero arbitrio dei et angelorum bonorum, definitio tamen huius libertatis in utrisque secundum hoc nomen eadem debet esse. [...] Quapropter talem oportet dare definitionem libertatis arbitrii, quae nec plus nec minus illa contineat. Quoniam ergo liberum arbitrium divinum et bonorum angelorum peccare non potest, non pertinet ad definitionem libertatis arbitrii ‘posse peccare’. Denique nec libertas nec pars libertatis est potestas peccandi»; De lib. arb., c. 3, ed. SCHMITT, I, p. 212: «[...] illa libertas arbitrii est potestas servandi rectitudinem voluntatis propter ipsam

rectitudinem». Gli autori successivi, pur assistendo ad un notevole mutamento terminologico e speculativo (rispetto al tentativo solitario di Anselmo), saranno sempre costretti a confrontarsi con il compito di reperire una ratio communis della volontà libera. Sul tema si veda ad esempio ALLINEY, «La chimera e il girarrosto», pp. 214-219.

certo punto di vista, Enrico sembra assolvere regolarmente questo compito delicatissimo, nella misura in cui eslude la ‘produttività’ dal nucleo definitorio comune, dal momento che essa non si registra in tutti gli enti dotati di intelletto e volontà: se essi fossero di per se stessi principi o potenze capaci di comunicare una natura, dovrebbero possedere una tale capacità sia in Dio che nelle creature, mentre l’estensione del potere produttivo a queste ultime è palesemente smentita dall’esperienza. Ciò che si impone alla nostra osservazione è piuttosto il fatto che secondo Scoto questa ‘unità’ non si può guadagnare senza l’‘univocità’, tanto da valutare infruttuoso ogni tentativo che non voglia passare attraverso questa via metafisica, ivi compreso quello di Enrico. Ne è riprova il fatto che il Dottor Sottile è certamente concorde con il maestro secolare nel riconoscere che la volontà creaturale non può mai produrre qualcosa in forma naturali, ma si domanda quale sia l’efficacia di un argomento il cui esito sembra sancire che la ratio formalis dell’intelletto e della volontà è del tutto equivoca in Dio e nelle creature.

Praeterea, contra opinantem. Quod argumentum esset illud quod ipse facit ‘si intellectus et voluntas essent principia communicandi naturam unde tales potentiae, ergo in creaturis essent tales potentiae principia communicandi naturam’, si omnino esset alia ratio formalis intellectus et voluntatis in Deo et in creaturis171?

Per il Doctor Subtilis, quindi, l’operazione attraverso la quale Enrico decide di confinare la potestas communicandi naturam nel solo intelletto e nella sola volontà divini (per di più con l’annessione di un elemento esterno), escludendola dall’intelletto e dalla volontà in se stessi (unde tales potentiae), rischia di porre una cesura troppo netta tra Dio e la creatura, di istituire tra le loro potenze una distanza talmente incolmabile da dover ammettere che abbiano, nei due casi, nozioni formali del tutto diverse (omnino esset alia ratio formalis intellectus et voluntatis in Deo et in creaturis).