I Dialoghi è un libro impresso a Roma per gli Heredi di Giovanni Gigliotti 1. Il formato è in quarto e misura cm. 35,4x24,2, anomalo rispetto a quello dei testi tecnici che furono stampati numerosi nel corso del XVI secolo. Si ritie- ne che questo sia dovuto all’utilizzo del ritratto calcografico di Sisto V, posto nel verso della prima pagina (Π1), di cui già si possedeva la matrice e che ne ha condizionato le dimensioni 2.
La numerazione delle pagine arriva al numero 92. Il libro è composto da 12 fascicoli 3, delle dimensioni sopra indicate e con piccole varianti rispetto ai vari esemplari in base alla rifilatura delle pagine. La prima parte è costituita da 12 pagine introduttive non numerate e con numerazione moderna sul recto del foglio in numeri romani a matita da I a VI (Π4, A2); il Dialogo Terzo è introdotto da cinque carte non numerate [H2]. I tre Dialoghi veri e proprio constano di 84 pagine di testo che inizia con la prima pagina del Dialogo
Primo. Il numero totale delle pagine del libro è di 96.
La parte introduttiva è costituita da una pagina con il frontespizio e lo stemma di Sisto V, sul recto, e il ritratto del Pontefice, sul verso. Segue la dedica al Papa, la Cantica, il poemetto scritto in ebraico, il Privilegio in la- tino a firma di Tommaso Gualteruzio, la traduzione italiana del Privilegio, una pagina bianca, la traduzione della Cantica in volgare e l’avvertenza ai
Benigni Lettori.
Le copie presentano identici errori di numerazione: B1 presenta numerazio- ne 9-14, anziché 9-10; B2, numerazione 13-12, anziché11-12; B3 numerazione 13-12 anziché 13-14; B4 presenta numerazione 11-16, anziché 15-16; manca di D1 essendo un fascicolo di due fogli e D2 (Dialogo Primo, Figura Terza) riprende la numerazione da 27; E1 riprende da 33; [H2] non è numerato; I1 riprende da 57; L2 riprende da 79 anziché da 75; M3 comincia con 89 anziché con 85;dopo pagina 30 (D3) manca una figura, annunciata dal richiamo; a p. 84 è annunciata una sesta figura, mancante ma annunciata dal richiamo, e la numerazione riprende da p. 89. È assente almeno una altra carta (recto e verso corrispondenti a pp. 87 e 88), poiché la parola iniziale di p. 89 è tron-
1 MAgino gAbrielli, Dialoghi di M. Magino Gabrielli hebreo venetiano sopra l’utili sue inuen-
tioni circa la seta. Ne’quali anche si dimostrano in vaghe figure historiati tutti gl’essercitij, & instrumenti, che nell’arte della seta si ricercano, in Roma, per gli Heredi di Giovanni Gigliotti, 1588. In Italia esistono cinque copie di cui due a Firenze nella Biblioteca Nazionale centrale (Bibl. Nazionale Centrale di Firenze, Collocazione: MAGL.2.4.152 Inventario: CF005646216, FI0098 CFICF; Palat. 8. 1. 6. 6. 6.); uno a Venezia (Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, collocazione, C 214C; Inventario, ANT 00000056420), duea Napoli (Biblioteca Nazionale Vit- torio Emanuele III - Napoli – NA, Timbro della Biblioteca Brancacciana. NA0079 NAPBNCN- CE 46642, EX000, inventario 1400184; collocazione B. Branc. 054G 22, inventario 25420); uno nella Città del Vaticano (Biblioteca Apostolica Vaticana, ) CNCE 46642, EX0001 ), uno a Washington (U.S.A.) (The Library of Congress, collocazione SF553.G28 (Rosenwald Coll.), inventario 49043645).
2 e. linColn, The Jew and the worms: portraits and patronage in seventeenth century how to man-
ual, in «Word and Image», XIX, 1-2 (gennaio-giugno 2003), p. 93. Per maggiori dettagli vedi in questo stesso volume il capitolo su Sisto V.
cata e nel testo si fa riferimento a un ragionamento evidentemente svolto in precedenza.
Il fascicolo K, presenta la stessa lettera sulla seconda pagina anziché K2. La terza figura del Terzo Dialogo (Venezia), invece di recare la lettera K3 del fascicolo relativo, presenta la lettera E2, identica a quella che compare sulla
Figura Quinta del Dialogo Secondo con la medesima immagine e medesimo
riferimento.
Nel Dialogo Primo manca la quinta figura ma non vi è salto di pagina. Alcune Figure del Dialogo Secondo e del Terzo presentano uguali scritte nella Legen- da in basso, altre, piccole differenze.
Didascalie uguali:
Dialogo Secondo, Figura Prima, senza numerazione (E2); Dialogo Terzo, Figura
Prima, p. 61 (I2) (Roma, Castel Sant’Angelo);
Dialogo Secondo, Figura Ottava, p. 47 (F4) e Dialogo Terzo, Figura Quinta, p. 79 (L2) (Torino). Nella seconda delle due tavole alla lettera D della prima colon- na le parole sono disposte su una riga, anziché su due.
Didascalie con piccole varianti:
Dialogo Secondo, Figura Quinta, p. 35 (E2) e Dialogo Terzo, Figura Terza, p. 69 (K2) (Venezia);
Cambiano solo la lettera I, la lettera A; la lettera H è al primo posto invece che all’ultimo della prima colonna
Dialogo Secondo, Figura Sesta, p. 39 (E4) e Dialogo Terzo, Figura Quarta, p. 73 (L1) (Milano)
Alla lettera D invece che «setaccio» si legge «scatola».
È da notare, inoltre, che la sequenza delle lettere delle didascalie segue rara- mente l’ordine alfabetico.
La carta delle pagine dei fascicoli presenta diverse filigrane in numero di cin- que 4, che si susseguono in serie omogenee identiche nei due volumi della Bi- blioteca Nazionale di Firenze: il fascicolo (Π 1-Π4) con frontespizio e ritratto del Pontefice (Π1), dedica e Cantica in ebraico (Π2), Privilegio in latino e in volgare(Π2), pagina bianca (Π3) presenta il Pellegrino in campo circolare; il fascicolo(A1-A2) con la Cantica nella traduzione italiana (A1) e una pagina bianca (A1) presenta
Aquila a sinistra su due torrioni; il Dialogo Primo (A1-B4) presenta Giglio entro scudo
araldico (?); il fascicolo (C1-D2) presenta Fiore a sei punte in campo circolare sormon-
tato da croce latina, (E1- Secondo Dialogo D2) Pellegrino in campo circolare; Terzo
Dialogo (I1-M4) Pellegrino in campo circolare.
La carta è di spessore e consistenza diverse difficili da quantificare. Sola- mente A1-A2 è stampata su fogli sensibilmente più pesanti.
Considerando le piccole differenze tra le varie copie dovute ai diversi criteri di numerare modernamente le prime pagine, e al fatto che i Dialoghi presen- tano una sequenza delle pagine non corretta (salti ed errori di numerazione), è stato tenuto come testo di riferimento il volume del fondo Magliabechiano della Biblioteca Nazionale di Firenze (MAGL. 2.4.152).
Le due copie, assolutamente identiche, conservate nella Biblioteca Nazionale di Firenze, hanno provenienze diverse. Quella qui utilizzata, appartiene al fondo Magliabechiano, che costituì con i suoi trentamila volumi il primo nucleo della attuale biblioteca, e che fu lasciato da Antonio Magliabechi alla
4 Per le filigrane cfr. C.M. briquet, Les Filigranes: dictionaire historique des marques du papier,
voll. IV, Leipzig, 1923; D. WooDWArD, Catalogue of Watermarks in Italian printed maps: ca. 1540- 1600, Firenze, 1996; A. bAsAnoff, Itinerario della carta all’Oriente all’Occidente e la sua diffusione in Europa, Milano, 1965. Vedi anche: Produzione e uso delle carte filigranate in Europa (secc. XIII-XX), atti del convegno (Fabriano, 1993), a cura di g. CAstAgnAri, Fabriano, 1996.
città di Firenze nel 1737 5. Reca sul frontespizio due timbri: il primo con lo stemma sabaudo coronato con la scritta che corre intorno “Biblioteca Nazionale Centrale” (Fig. 36), il secon- do, circolare con al centro il giglio fio- rentino e la scritta nella cornice “Bi- blioteca Nazionale” (Fig. 37). A penna in basso a sinistra è scritto: “Dono di Francisci Sameria (o Gameria)/Micha- el Herminius” 6 (Fig. 38). L’altra copia faceva parte del fondo Palatino, come testimonia il timbro con lo stemma mediceo lorenese, che Pietro Leo- poldo fece confluire nella Biblioteca Magliabechiana nel 1771, allora situa- ta in alcune sale degli Uffizi. Tuttavia, i testi scientifici rimasero a palazzo e poi passarono nel Museo di Fisica e Storia Naturale di Firenze, di cui resta testimonianza in un secondo timbro apposto sul frontespizio. Il terzo, re- cante la data 1872 e la scritta “Biblio- teca Nazionale Firenze” segna l’arrivo nella sua destinazione attuale.
Nel Privilegio concesso da Sisto V e pubblicato il quattro luglio del 1587 si diceva che, per permettere ai sudditi papali di «imparare l’essercitio di queste nuove invenzioni», Maggino avrebbe dovuto impegnarsi a mettere in pratica la sua promessa «che in tutti i giorni di fiere, nelle piazze, et luoghi pubblici si ritroveranno e potranno leggere in Stampa edificij d’essercitar tal invenzioni nuove» 7. Il libro fu dunque scritto o addirittura composto nella seconda metà di quell’anno 8, completato l’anno successivo, vista l’allusione alla galea pontificia, varata il 22 aprile 1588 9, e stampato in tempi affrettati, come più volte Maggino ribadisce per giustificare alcune imprecisioni nella successione delle pagine e nelle xilografie.
Non sappiamo se già fosse stata fatta una prima bozza, perché nel docu- mento del 12 maggio del 1587, risulta che il testo era stato consegnato a Francesco I de’ Medici, presso il quale Maggino si era riservato il compito di recarsi personalmente, tanto che Firenze era stata esclusa dalla lista dei luoghi stilata con il Guidoboni 10. Al cospetto del Granduca egli chiese, come poi farà con il Pontefice, che si valutasse la possibilità di vendere il
5 M. MAnnelli goggioli, La biblioteca Magliabechiana: libri, uomini, idee per la prima biblioteca
pubblica a Firenze, Firenze, 2000.
6 Michael Herminius, cioè Michele Ermini, fu bibliotecario del cardinale Leopoldo dei Me-
dici e colui che indusse Antonio Magliabechi a riprendere gli studi dopo la morte della madre, avvenuta nel 1673.
7 Dialoghi, (A2 ) p. VI.
8 Nella Cantica iniziale Maggino rivolto al Papa scrive: «E d’un fiorito, e diletto Aprile, orni li
già depressi alteri colli…», forse un’allusione al mese in cui il poemetto è stato composto.
9 Dialoghi, p. 12 (B3).
10 l. Molà, The Silk Industry of Renaissance Venice, Baltimore and London, 2000, p. 209.
36.-38. (in alto a sinistra) timbro con lo stemma sa- baudo e la scritta “Biblio- teca Nazionale Centrale”, da Dialoghi, frontespizio; (in alto a destra) timbro circolare con al centro il giglio fiorentino e la scrit- ta “Biblioteca Nazionale”, da Dialoghi, frontespizio; (in basso) scritta: “Dono di Francisci Sameria (o Game- ria)/Michael Herminius”, da Dialoghi, frontespizio
libro in occasione di fiere e mercati 11, ma è documentato che il Granduca lo abbia restituito perché poco interessato 12. Si trattava con qualche pro- babilità di una prima stampa con la spiegazione del metodo approntata dal Guidoboni e da quest’ultimo presentato al Governatore di Bologna 13, contenente la parte puramente tecnica, senza la struttura tipografica a noi nota e senza l’impianto in forma di colto dialogo tra gentiluomini corre- dato da immagini che fa di questo trattatello un caso isolato nella storia della produzione libraria ebraica in Italia. Tuttavia, il termine “libro” del documento mediceo induce a pensare a qualche cosa di più complesso di semplici fogli sparsi. In tal caso, significa che a quella data la stesura era già a buon punto, forse semplicemente mancante di tutti i commenti accessori e funzionali al tornaconto di Maggino e alla sua ambizione di presentarsi come uomo di lettere, oltre che esperto nel commercio e nell’industria; era privo certamente anche dell’apparato illustrativo, che fu concluso in tempi brevi, con aggiunte di tavole nuove appena prima della stampa. Poiché si dice in più punti che è stato concluso in fretta e furia, per non perdere un altro anno di produzione della seta 14, e poiché la prima raccolta del gelso avviene in primavera, la stesura è da porre nei primissimi mesi del 1588, considerando che la riforma gregoriana fin dal 1582 aveva imposto l’inizio dell’anno il primo di gennaio.
Oltre alle osservazioni qui fatte, a confermare questa ipotesi, ossia che il tratta- to sia stato stampato in momenti successivi, vi sono le diverse filigrane rilevate nei fascicoli, tutte appartenenti ad anni che vanno dal 1585 circa al 1590. C’è da capire per quale motivo si riscontra una tale varietà e se questo può influire sulla successione cronologica delle varie parti del libro, aiutati in questo anche da alcuni riferimenti contenuti nei Dialoghi. Quasi certamente, ad esempio, la
Cantica in volgare fu stampata separatamente sia per la presenza della segna-
tura del fascicolo in corsivo, sia perché la filigrana che si legge non compare in alcun altro fascicolo, sia perché la carta è sicuramente più pesante, sia infine perché l’apparato decorativo è differente da quello di tutte le altre parti del volume.
Nella dedica del libro «Alla Santità di Nostro Signore Sisto V», il Gabrielli dice che, considerando gli ampi privilegi concessi dal Papa, si è persuaso dell’opportunità di non tenere più nascosti «al Mondo» i segreti della sua invenzione, per cui ha «con molta […] spesa figurati nel presente libro tutti gl’istrumenti, & essercitij, che vi intervengono» 15, annotazione che avvalora l’appartenenza del corredo di immagini alla stesura definitiva di esclusiva spettanza di Maggino, quella che poi, durante il soggiorno romano, fu stam- pato per i tipi degli Heredi Gigliotti, quando ormai l’Inventore si era appro- priato dei segreti del Guidoboni.
L’esclusione del mercante lucchese dal progetto appare anche da un altro particolare: come vedremo meglio in seguito 16, Maggino ha adattato la ve- duta della Piazza Maggiore di Bologna, città nella quale Guidoboni si era recato personalmente, in modo da farla apparire con piccoli accorgimenti
11 ASFi, Auditore poi Segretario delle Riformagioni, 16, inserto 9.
12 ASFi, Mediceo del Principato, 270, c. 115 (tratto da The Medici Archive Project, doc. 19330; cit.
anche in l. frAttArelli fisCHer, Vivere fuori dal Ghetto. Ebrei a Pisa e Livorno (secoli XVI-XVIII), Torino, 2009, p. 41, n. 118).
13 Molà, The Silk Industry … cit., p. 209. 14 Dialoghi, p. 49 (G1).
15 Ivi, p. II (Π 2).
(come l’apposizione dello stemma mediceo) Piazza della Signoria di Firenze. Questa fu una pronta risposta alla nuova situazione politica determinatasi a seguito dell’ascesa, nell’ottobre del 1587, al trono granducale della Toscana di Ferdinando de’ Medici, che non aveva ancora abbandonato la porpora cardinalizia, e dell’ottenimento del Privilegio da parte del Pontefice, che lo metteva al sicuro da ogni rivendicazione da parte del socio, con il quale, almeno inizialmente, aveva condiviso il progetto di illustrare il testo con al- cune xilografie.
I Dialoghi sono ambientati nella Città Santa, nella casa di Orazio «huomo di negotij e di lettere Romano» il quale con Giulio Cesare, mercante di Napo- li, suo ospite, intrattiene una conversazione in attesa che arrivino Maggino e Isabella, moglie del primo, la vera destinataria delle istruzioni relative al metodo, che le saranno fornite sia attraverso il linguaggio colto e forbito dell’Ebreo, sia attraverso tavole esplicative inserite nel testo, che saranno di ausilio per spiegare le varie fasi dell’allevamento seguendo il sistema da lui inventato.
Alla pagina 2 (A1) del Dialogo Primo, mentre i suoi due interlocutori, Orazio e Cesare, lo stanno aspettando, si dice che «nel mese d’Agosto passato dell’ot- tantasette il nostro M. MAGINO fece esperienza chiarissima del secondo nuo- vo raccolto» alla presenza di Camilla Peretti, l’ambasciatore di Spagna e molti altri cardinali e signori nel tentativo di ottenere più velocemente la conferma dei privilegi, già accordati dal Vicerè di Napoli e Sicilia e dal Governatore di Milano, da parte del Re di Spagna, senza il cui imprimatur i governanti avreb- bero potuto ritirarli, «secondo pare sia solito», quando il volume era stato già stampato. Per questo motivo in una lettera indirizzata ai Benigni Lettori, l’ultimo dei documenti che precede i Dialoghi veri e propri, Maggino si scusa di aver tardato tanto a pubblicare il libro, che evidentemente è stato dato alle stampe alla fine dell’estate del 1588. Infatti, egli scrive che, in attesa del privilegio concesso dal Re di Spagna Filippo II, allora impegnato nella san- guinosa guerra contro l’Inghilterra e quindi distratto dall’occuparsi di ogni altra faccenda, aveva messo in pratica il suo metodo per due anni consecutivi nella dimora dell’ambasciatore di quella nazione, Conte d’Olivares, incari- cato di rappresentarlo a Roma, perché tutti fossero in grado di apprendere in ogni dettaglio il nuovo sistema di allevamento dei bachi da seta. Essendo palese che la prima dimostrazione si era svolta nel mese di agosto del 1587, è probabile che anche la seconda fosse avvenuta lo stesso mese dell’anno successivo, infrangendo la speranza di Maggino di diffondere il suo metodo prima del secondo raccolto 17. Questa cronologia trova una base credibile nel fatto che, approfitta della già citata lettera di scusa rivolta ai Benigni Lettori, per fornire ulteriori suggerimenti sul metodo per conservare metà del seme prodotto in febbraio affinché potesse essere utilizzato nel secondo raccolto. Proprio quest’ultima data è suffragata da un ulteriore elemento, ossia che le pagine che contengono la Cantica e le ulteriori istruzioni sono decorate con medesimi fregi, che non riscontriamo in alcun altro luogo del libro, e che la prima delle due reca una filigrana, l’Aquila a sinistra su due torrioni, non ripe- tuta nella carta degli altri fascicoli. A questo si aggiunge un’ultima conferma offerta da una chiara allusione nel testo della Cantica alla Mostra dell’Acqua Felice, opera monumentale con cui, sotto l’egida di Sisto V, si concludevano i lavori, tormentati e protrattisi per anni, del monumentale acquedotto. La statua del Mosè al centro, a cui Maggino allude, opera che fu saldata a Leo-
17 Nel Dialogo Terzo a p. 60 (I2) Maggino conferma che la seconda raccolta di seme non può
nardo Soriani, il suo esecutore, nel settembre del 1588, rappresentò l’ultimo atto dell’impresa e costituisce un importante riferimento per circoscrivere la stampa definitiva dei Dialoghi.
La persistenza delle cornici attorno alle didascalie conferma che il libro è usci- to dai torchi di una stessa tipografia, la quale, tuttavia, dovette lavorare non continuativamente, ma in serie successive, come dimostrato dall’avvicenda- mento delle filigrane. Ciò fu dovuto probabilmente al ritardo, di cui abbiamo già fatto cenno, dovuto all’attesa della conferma da parte del Re di Spagna di poter applicare il metodo anche nei territori italiani da lui governati.
Nonostante l’incidente, per il quale il Pontefice dovette adirarsi non poco, visti i ritardi nel dare inizio all’allevamento dei bachi da seta, il Gabrielli soggiornava a Roma in piena auge, nelle grazie del Papa e in affari con la sorella di questi, Camilla Peretti 18. Consapevole che tale possibilità, aperta come una parentesi insperata dopo una serie di anni bui e travagliati per tutti gli ebrei italiani, fosse unica e irripetibile, intese mostrare sia attraver- so le illustrazioni e i ritratti di se stesso di corredo al testo, sia attraverso i contenuti dei Dialoghi, che questo ruolo non era usurpato, ma appropriato alle sue capacità e alla sua educazione. Egli, in più di un’occasione, tenta di mettere in luce il fatto che le sue conoscenze nel campo della letteratura, della poesia, dei testi sacri, delle scienze e della geografia, nonché dei cam- pi specifici oggetto dei suoi studi e delle sue invenzioni, erano altrettanto, se non più vaste, di quelle dei suoi contemporanei con continui riferimen- ti, talvolta assai colti e altrettanto spesso difficili da decifrare, allo scibile proprio dei gentiluomini che frequentavano le corti italiane. È chiaro il richiamo a testi diffusi fin dall’inizio del Cinquecento, in primis Il libro del
Cortegiano di Baldassarre Castiglione 19, che, strutturato in forma di dialogo tra persone colte e illustri, e ambientato presso la corte urbinate, definiva quali dovessero essere le caratteristiche del cortigiano, ovvero di colui che possedeva le necessarie qualità per vivere al contatto dei sovrani. Tuttavia egli appare come erede della mentalità dell’ebreo medievale, il quale aspi- rava «ad un sapere universale, di cui la produzione letteraria doveva logi- camente essere manifestazione concreta» 20. Solo raramente vi sono riferi- menti al suo essere ebreo, se non in alcune citazioni bibliche, inserite a mo’ di esempio nel corso della trattazione, e soprattutto nella Cantica, il breve poema in lode di Sisto V posto in apertura del testo, composto in ebraico e stampato a fianco della sua traduzione in italiano 21. Egli dà sfoggio di una conoscenza che intreccia riferimenti letterari della classicità a quella dei te- sti biblici, quasi a mettere sullo stesso piano i due lati della sua personalità poliedrica, che mescolava alla formazione umanistica quella scientifica e tecnica. Dalla lettura dei Dialoghi desumiamo che l’interesse principale di Maggino era di salvaguardare l’invenzione, a cui egli voleva affidare la sua fama e il suo futuro benessere, esaltandola al di là dei veri meriti. Una volta
18 Probabilmente la fiducia accordatagli dal Sisto V si dovette al fatto che il raccolto dell’anno
precedente era andato distrutto per una tempesta, cui allude Isabella, la quale afferma che con gli strumenti proposti da Maggino tale disastro non si sarebbe verificato. Dialoghi, pp. 3 (A2), 41
(F2). Gli archivi storici di climatologia testimoniano che a partire dal 1570 si verificò una piccola
glaciazione e che in particolare le difficili condizioni atmosferiche del 1587 portarono l’anno successivo a sommosse a causa della terribile carestia che devastò l’Europa.
19 b. CAstiglione, Il Libro del Cortegiano, Venezia, 1528.
20 r. bonfil, Lo spazio culturale degli ebrei d’Italia fra Rinascimento ed Età Barocca, in Gli Ebrei in
Italia. Dall’Emancipazione a oggi, Storia d’Italia, Annali 11, a cura di C. ViVAnti, Torino, 1996, vol. II, p. 441.