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pubblicato nel 1556, ma la cui stesura risale almeno a sei anni prima, come si ricava dalla dedica. La sua conoscenza del De la pirotechnia gli consentì di aggiungere altre nozioni a quelle acquisite nella sua esperienza transalpina, facendo del suo manuale uno strumento insostituibile per tutti coloro che volevano iniziare la produzione vetraria. Infatti il libro XII contiene sia un accenno alla produzione del vetro e alla sua composizione, sia la descrizione delle fornaci, integrate da illustrazioni relative alle due tipologie in uso a Murano, che egli conosceva bene avendo soggiornato a Venezia per due anni. Il forno era lo strumento principe per il conseguimento di ottimi risultati e l’esperienza secolare delle vetrerie della Serenissima non poteva essere superata da ricerche che prescindessero da questa, ragione per la quale si cercò sempre di riprodurre le fornaci, per la prima fusione della massa ve- trosa, e quelli più piccoli, per la lavorazione dei vetri, secondo la tecnologia sperimentata a Venezia.

È bene ricordare, però, che la ricetta per ottenere il vetro cristallino ve- neziano, anche se divulgata assai prima dell’arrivo di Bortolo d’Alvise a Firenze, probabilmente non era stata mai codificata ufficialmente. Lo fece Antonio Neri, un prete fiorentino, il quale pubblicò nel 1612 un testo, L’Ar-

te Vetraria 45, poi tradotto in molte lingue, dove troviamo, soprattutto nel primo libro, gli ingredienti necessari ad ottenere il vetro incolore 46. Per questo motivo, anche se in base a recenti ricerche sappiamo che la produ- zione vetraria toscana aveva raggiun-

to buoni risultati, c’era la necessità di far venire maestri da Venezia, al fine eseguire gli oggetti, ma soprattutto di sovrintendere alla costruzione della fornace.

I tempi erano maturi perché anco- ra una volta Maggino avesse credito presso il Granduca, facendo coinci- dere le proprie aspirazioni con quelle di Ferdinando, il quale ambiva a rag- giungere quanto più possibile una sua autonomia produttiva per svincolarsi dalla sudditanza da altri centri italiani e stranieri. Nello stesso tempo avviava il progetto di ridare una forza econo- mica all’antico porto toscano di Pisa anche attraverso l’accoglienza di genti altrove invise, quali erano gli ebrei, e a tutti coloro che si facevano promo- tori di iniziative imprenditoriali inte- ressanti 47. È chiaro che, considerando la propensione mostrata dalla famiglia Medici verso le attività vetrarie, diven-

45 L’arte vetraria distinta in libri sette del r. p. Antonio neri fiorentino. Né qual si scoprirono effetti

meravigliosi e s’insegnano segreti bellissimi del Vetro nel fuoco & altre cose precuriose, Firenze, 1612.

46 Per l’edizione critica del testo del Neri cfr. bAroVier MentAsti, Introduzione … cit., pp. XI-

XXXVI.

47 L’arte vetraria era stata appannaggio degli ebrei anche nel Medioevo. Essi poterono dedicar-

si a questa attività quando gli altri mestieri erano loro preclusi. Cfr. Jütte, Handel, Wissenstran- sfer … cit., p. 279.

12. Georg Agricola, De re metallica. La fornace di vetri, 1555

tavano degne di attenzione le proposte di Maggino, tanto da investirvi un co- spicuo capitale e da concedergli privilegi straordinari, come il taglio di boschi, altrimenti proibito, per alimentare la fornace 48. La volontà esplicita del Gran- duca di affidare a Maggino questa impresa appare in calce ad un documento relativo alla nascita della cartiera di Calenzano dove si dice che la fornace dei cristalli è stata fatta «ad servitium et ex ordine suae Celsitudinae Serenissi- mae» 49. Nonostante questo, niente sappiamo dei primi passi del Gabrielli a Pisa, dove, almeno inizialmente, non aveva stabilito la sua residenza poiché in tutti i documenti prossimi agli anni in cui sviluppò le sue attività nella città risulta dimorante in Firenze 50. È con una certa approssimazione che dobbia- mo porre l’avvio della fornace a partire dal 1590, ipotesi non supportata da alcuno degli studi sull’arte vetraria, che stranamente tacciono sulla fornace o le fornaci di Maggino 51. Probabilmente si recò a Pisa immediatamente dopo l’arrivo da Roma, all’indomani della morte del Papa suo protettore, avvenuta il 27 agosto 1590, o addirittura poco prima, se poteva inoltrare il 23 novembre la richiesta di acquistare una cartiera e alcuni edifici 52. L’acquisizione della fornace per vetri di Pisa era certamente contestuale o addirittura precedente a queste date, poiché al momento in cui fu firmata la società con Daniele Calò per la Cartiera di Calenzano il 28 dicembre 1590, si dice che egli non è presente perché impegnato a Pisa con la fornace dei cristalli e con alcuni altri «exercitia» 53. Inoltre il 16 febbraio del 1591 chiese una dilazione nel paga- mento della gabella per la cartiera che aveva acquistato a Campi, accordatagli nei limiti di un anno, perché si diceva convinto che dopo la «prima fiera di Pisa», durante la quale avrebbe venduto i suoi vetri, sarebbe stato in grado di saldare il debito con l’erario. Egli portava la giustificazione che l’acquisto del- la cartiera e del mulino aveva comportato un ingente esborso di denaro e che aveva dovuto spendere una grossa somma «nelle sue fornaci et edificij di Pisa» [e] «gli saria di grande scomodo se avessi a sborsare di presente detta gabel- la» 54, supplica questa che ha ripetuto due settimane dopo, il 3 marzo, poiché il Provveditore mostrava incertezza nell’ottemperare alla volontà del Granduca.

48 Il 25 agosto 1593 Maggino chiese che gli fossero restituiti i soldi già anticipati agli agenti

del marchese di Carrara per l’acquisto di legna per rescritto granducale con clausola speciale che consentiva il taglio del bosco, altrimenti proibito, «nel tempo che fece lavorare la fornace di Pisa», episodio che sembra, dunque, concluso. ASPi, Consoli del Mare, 965, n. 2, citato in l. frAttArelli fisCHer, Ebrei a Pisa fra Cinquecento e Settecento, in Gli Ebrei di Pisa (secoli IX-XX), atti del Convegno Internazionale (Pisa, 3-4 ottobre 1994), a cura di M. luzzAti, Pisa, 1998, p. 95, n. 24. Ringrazio la studiosa per avermi trasmesso il documento.

49 ASFi, Notarile moderno, 6646, notaio Giovanni Dal Poggio, doc. 290, c. 130r. (28 dicembre

1590).

50 Nell’atto notarile del 30 luglio 1591, stilato per richiedere ai rappresentati della Nazione

Ebrea fiorentina l’Aron Ha-Kodesh e il Sefer prestati venti anni prima egli risultava residente a Firenze, ma certamente la sua abitazione era a Pisa se aveva avuto l’incarico di perorare la causa degli ebrei locali e a quell’epoca era già noto per avere credito presso i correligionari e presso le autorità R. toAff, La Nazione Ebrea a Livorno e a Pisa (1591-1700), Firenze, 1990, p. 54 e pp. 531-532, doc. 6. Cfr. Biografia, p. 20.

51 L’attività nel campo della produzione del vetro è stata citata esclusivamente da studiosi che

hanno rivolto la loro attenzione alla figura dell’Ebreo per il suo ruolo nella costituzione della Nazione Ebrea prima a Pisa e poi a Livorno.

52 ASFi, Consulta poi Regia Consulta, prima serie, 102, alla data; cit. in frAttArelli fisCHer,

Ebrei a Pisa … cit., p. 95, n. 24.

53 ASFi, Notarile moderno, 6646, notaio Giovanni Dal Poggio, doc. 290, c. 130r.

54 ASFi, Gabella dei Contratti, 1260, c. 29, cit. in frAttArelli fisCHer, Ebrei a Pisa … cit., p. 90.

Di nuovo affermava che in occasione della prima fiera di Pisa «possi aver al ordine mercanzie de cristalli in abundanza» 55. Non dobbiamo sottovalutare l’importanza di questi mercati perché, nella politica di Cosimo I, erano già prefigurati come uno strumento indispensabile per tenere vivo e vivace il commercio a Pisa e in Toscana, dando la possibilità di utilizzare magazzini per depositare le merci e di avere un alloggio per i numerosi mercanti, nonché di concedere franchigie e facilitazioni per i cambi delle monete 56.

La fornace, dunque, già all’inizio del 1591 era in grosse difficoltà, se il porto- ghese Marciana «l’è ito aiutando e fattoli credito», come leggiamo nella lette- ra inviata il 22 maggio di quell’anno al segretario granducale Lorenzo Usim- bardi 57: egli riferiva a Ferdinando delle difficoltà in cui versava l’impresa a rischio di perdere i propri lavoranti, che minacciavano di piantare in asso Maggino in ogni momento, «un’ora che tardi a pagarli», ma anche per l’ecces- sivo carico di lavoro 58. Infatti, nella stessa missiva si aggiunge che i lavoranti avrebbero dovuto essere dodici e non sei per permettere il cambio di giorno e di notte, dal momento che i forni da vetri, restando costantemente accesi, necessitavano di una assidua sorveglianza e ininterrotta presenza a causa del ciclo continuo di lavoro. Leggiamo poi che erano attesi «certi ebrei ricchi che vengano ad abitare qua», i quali avrebbero dato respiro all’affannoso tentativo di Maggino di non soccombere 59. La sua buona volontà, attestata nella relazione, non fu sufficiente a ripianare i debiti, anche se il Granduca continuava a puntare molto su questa nuova impresa che poteva vivacizzare l’economia di Pisa e che, nonostante la breve e sfortunata esperienza, per mezzo del Gabrielli aveva consentito di portarvi i segreti della fabbricazione di un vetro simile a quello muranese e assai più raffinato di quanto fosse stato fatto fino ad allora nella città 60.

Ferdinando, per avere un quadro esatto della situazione, decise di inviare a Pisa Niccolò Sisti, uno dei personaggi più importanti nella storia della pro- duzione vetraria toscana, attivo presso la corte medicea fin dal 1578 61. Già il

55 ASFi, Gabella dei Contratti, 1260, c. 43 r., cit. in frAttArelli fisCHer, Ebrei a Pisa … cit., p. 95.

Nel documento precedente si parla di due fornaci, nel secondo di una soltanto.

56 g. ViVoli, Annali di Livorno dalla sua origine sino all’anno di Gesù Cristo 1840, vol. III, Livorno,

1844, p. 172. Inoltre il Granduca, secondo Vivoli, «trattava con i mercanti di Genova acciò col loro concorso si trasferissero a Pisa le celebri fiere di Besansone» (ibidem).

57 ASFi, Mediceo del Principato, 1236, cit. in frAttArelli fisCHer, Ebrei a Pisa … cit., 1998. p. 90;

l. frAttArelli fisCHer, Vivere fuori dal Ghetto. Ebrei a Pisa e Livorno (secoli XVI-XVIII), Torino, 2009, p. 91. Lorenzo Usimbardi, nativo di Colle Valdelsa fu nominato ministro segretario non appena Ferdinando salì al trono e fu tra coloro che ebbero l’incarico di gestire la costruzione della nuova città di Livorno. Per questo motivo firmava tutti i rescritti del Granduca.

58 ASFi, Mediceo del Principato, 1236, cit. in frAttArelli fisCHer, Ebrei a Pisa … cit., p. 95, n. 24. 59 Ibidem.

60 Qui prestò la sua consulenza Antonio Neri, con l’aiuto del quale furono prodotti nel 1603

vetri colorati (bAroVier MentAsti, Introduzione … cit., p. xv).

61 Niccolò Sisti era figlio di Maestro Sisto de’ Bonsisti da Norcia, il quale era specializzato nel

contraffare pietre preziose. Non sappiamo quando esattamente giunse a Firenze ma pare pochi anni dopo il 1563, chiamato da Francesco I. Il Sisti fu prima a capo della fornace del Casino di San Marco, per poi divenire nel 1580 il curatore della vetreria della villa di Pratolino dove Francesco I conduceva i suoi esperimenti. Nel 1587 lavorò anche nella Fonderia che dal Casino di San Marco era stata trasferita agli Uffizi (J.r. gAlluzzi, Istoria del granducato di Toscana sotto il governo della Casa Medici, Firenze, 1781, vol. III, p. 423; guAsti, Di Cafaggiolo … cit., p. 416; D. HeiKAMp, Studien zur Mediceischen Glaskunst. Archivalien, Entwurfszeichnungen, Gläser und Scher- ben, Firenze, 1986, p. 286, n. 17). Nel 1591 impiantò una fornace per la produzione di maioliche alla faentina e, successivamente, di vetri; berti, Il Principe … cit., p. 55; r. MAzzei, Pisa Medicea. L’economia cittadina da Ferdinado I a Cosimo III, Firenze, 1991, p. 42.

5 agosto del 1592 giungeva una relazione redatta da Niccolò Biffoli, il quale poneva il Granduca di fronte alle prime osservazioni compiute dal Sisti, stilate in termini drammatici, poiché affermava senza speranza che «tutti li lavori che sono nella torre del suo Palazzo di qui, quelli che sono per mano al Fedino suo guardaroba in Galleria, in fonderia, al casino, in mano a Doroteo Fiorelli, in dispensa e due casse che ne ha a dar conto messer Jacopo Riccardi» rappre- sentavano un debito, giacendo invenduti. A questo si aggiungeva la somma im- pegnata per l’acquisto del materiale necessario a dare l’avvio alla produzione e per il rimborso dei viaggi compiuti dal Sisti a Pisa 62. La ostinazione a voler tenere aperta un’attività visibilmente in disavanzo è la dimostrazione della fi- ducia che il granduca Ferdinando aveva riposto nell’impresa di Maggino e per la sopravvivenza della quale attivò un personaggio del calibro del Sisti. Alla luce di queste ultime osservazioni è chiaro che egli ebbe, evidentemente, la funzione non di fondatore dell’impresa, come generalmente si dice, ma di su- pervisore e di tutore. Tuttavia, nel 1591, quando fece il primo sopralluogo alla fornace di Maggino, non intervenne direttamente se non, probabilmente, con qualche consiglio dato al Biffoli e certamente non era stata ancora avviata dallo stesso Sisti la fornace di maioliche che si sviluppò parallelamente 63.

Immediatamente dopo la prima visita, il Granduca gli chiese di prendere in mano la situazione e dalla fine del medesimo anno Maggino era già scomparso dalla scena della manifattura pisana, come traiamo anche da un documento del 6 marzo 1595, in cui, chiedendo che gli sia consegnata la soda giacente presso la Dogana di Livorno, afferma che «già tre anni sono nel tempo che faceva la fornace di vetri in Pisa» 64. Nel novembre dell’anno successivo partì probabilmente per il Levante, anche se per brevissimo tempo, come leggiamo in una lettera di Ferdinando I il quale chiedeva al Gran Maestro di Malta di lasciar passare le navi sulle quali il Gabrielli era imbarcato che aveva con sé un salvacondotto granducale della durata di un anno per «venire, stare, praticare, partirsi, et ritornare a suo piacimento in tutti i luoghi di terra e di mare delli nostri stati senza alcuno impedimento» 65. Il Granduca gli aveva dato l’incarico di condurre con sé alcuni mercanti ebrei, forse gli stessi in cui aveva sperato che gli finanziassero la fornace di Pisa 66, e per riscattare alcuni sudditi schiavi e condurre con sé alcuni mercanti ebrei, impresa da cui forse sperava di trarre guadagno, e per riportare in Toscana mercanzie e materie prime 67.

La storia della fornace continuò con altri protagonisti, poiché nel luglio del 1592 il Granduca, convinto che potesse ancora avere un futuro, aveva chiesto un’informativa relativa alla tipologia di oggetti che si facevano a Murano e ai

62 ASFi, Mediceo del principato, 1240, c. 159 r. Da questa relazione sembra che Sisti non fosse

ancora stabilmente a Pisa.

63 guAsti, Di Cafaggiolo … cit., p. 416. L’assenza di menzioni dirette della fabbricazione di ce-

ramiche nella documentazione d’archivio non giunge infatti ad avvalorare definitivamente l’in- dicazione offerta da manufatti di questo genere che portano la scritta “Pisa”. berti, Il Principe … cit., p. 55; MAzzei, Pisa Medicea … cit., p. 42. Per la produzione di porcellane e maioliche vedi anche:D. HeiKAMp, Le porcellane medicee: la manifattura di maioliche di Niccolò Sisti, in Magnifi- cenza alla Corte dei Medici: arte a Firenze alla fine del Cinquecento, catalogo della mostra (Firenze, 24 Settembre 1997-6 Gennaio 1998), Milano, 1997, p. 403.

64 ASLi, Governatore Auditore, 2602, tomo I, c. 2 r.

65 ASFi, Mediceo del Principato, 281, c. 147 r. e v., cit. in toAff, La Nazione Ebrea … cit., p. 109,

n. 3; frAttArelli fisCHer, Ebrei a Pisa … cit., p. 95, n. 27.

66 ASFi, Mediceo del Principato, 281, c. 147 r. e v., cit. in toAff, La Nazione Ebrea … cit., p. 109,

n. 3; frAttArelli fisCHer, Ebrei a Pisa … cit., p. 95, n. 27.

mercati dove venivano piazzati, lista in cui le voci sono affiancate dai prezzi relativi e dalle quantità vendute, con la speranza che, trovando i prodotti giu- sti e giusti acquirenti, la vetreria avrebbe potuto dare dei profitti 68.

68 piero ginori Conti, Il vetro per l’ottica in Italia, Firenze, Tip. Chiari Succ. Mori, 1931; Hei-

KAMp, Studien zur … cit., p. 348. doc. LVII; n. 17; frAttArelli fisCHer, Ebrei a Pisa … cit., p. 96, n. 31.

Il seguente documento è stato trascritto da Gino Corti, ma senza che sia stato legato alle vicende di Maggino (g. Corti, L’industria del vetro a Murano alla fine del secolo XVI in una relazio- ne al Granduca di Toscana, in «Studi Veneziani», XIII (1971), pp. 649-654). Il documento è citato anche da MAitte, L’arte del vetro … cit., p. 244.

ASFi, Mediceo del Principato, 1240, cc. 110 r. e v. Il documento è senza data ma è posto tra due lettere rispettivamente del 19 luglio 1592 del 18 luglio 1592.

Memoria di vetreria che si cava di Murano

In Venetia si consuma vetri di più sorte e sono delle fazioni sotto | scritte per circa đ 25000 |

Guastade ordinarie in grosso L (?) 7 su 7 ½ il cento | Dette larghe di boccha L 8 il cento |

Dette di cristallo bollito L 40 il cento |

Bicchieri ordinari L 3 su 3 ½ il cento il cento a numero | Detti di cristallo ordinarij L 7 su 71/2 il cento | Detti con oro L L 20 su 21 il cento |

Detti di cristallo bollito schietti L 40 cento | Detti lavorati L 45 cento |

Occhi da finestre di cristallo ordinario L 8 fino a 10 il cento |

Detti piccholi comuni L 30 in 35 il cento delle libre tutti gli altri vanno a numero | Per tutta la terra ferma del dominio e la Lombardia per đ 15000

e va delle sorte sopra dette

Per la Sicilia, Napoli e Roma e Puglia đ 12000 Nel qual luogho va alcune guastade piccole e bicchieri Di cristallo ordinario e de bolliti la maggior parte per li prezzi detti di sopra con alcuni bicchieri e ampolle dipin te secondo l’uso di quel paese di niepitella maiorana fiori e simili Per Costantinopoli vetrerie di più sorte per đ 10000 Guastade con il collo lungho con laticino biancho

Che vagliano L 30 fino a 35 il cento

Boccali di vetro coperti detti mastrapani simili L 60 su 70 cento Bicchieri ordinarij come di sopra

Specchi grezzi assaj che vagliano L 50, e 60, e 70, secondo la grandezza

Lampane di moschee al modo delli ebrei, e altre foggie secondo l’ordine e le bizzarrie di tal gente

Per Alessandria d’Egitto vetreria simile a quella di Constantinopoli Per đ 5000

Nel quale luogho vanno cose come in Constanti

Nopoli e alcune guastade piccole con il collo sottile e lungho Per Alemagnia ne va pochi potria esser per đ 3000 110 v.

segue

nel qual luogho va bicchieri grandi alti di più sorte ma tutti passono L 25 fino a 30, e 35 il cento Altri coperti e lavorati con laticino, et altri colori che costano fino a L 80 e 90 il cento

Altri in modo di tabernacoli,alcuni messi a oro di prezzo di L 1 ½ L 2, e 3 e 3 ½ il pezo

Per Lisbona vetreria fina e cristalli assai per đ 10000 Cristalli bolliti grandi di L 40 fino a 50 cento

Foggie di lione, nave, sporte, fontane tal

Pezo l 1, 1 ½, L 2, 2 ½ 3 L 3 il pezo, e spechierie sorte Per Spagnia e per l’Indie per đ 30000

Il Sisti non ebbe immediatamente un ruolo di protagonista nella fornace pisana dei cristalli, ma il suo coinvolgimento fu graduale, prima con una consulenza, successivamente con la richiesta di mettere in pratica i suoi sug- gerimenti per riportarla in attivo con il contribuito economico del pubblico erario 69, poiché i dissesti finanziari attraversati e i danni provocati dalla pie- na dell’Arno dell’anno precedente avevano minato definitivamente le fon- damenta dell’iniziativa 70. Infatti, furono la sua esperienza e la sua capacità organizzativa, nonché la sua presenza sul posto, a convincere il Granduca a dargli l’incarico di esaminare i problemi di produzione e le questioni com- merciali e, eventualmente, di togliere l’impresa dal disordine che rischiava di affossarla definitivamente. Ma in una lettera del 16 settembre del 1594 egli si lamentava che «hora il negozio è quasi disperato perché, seguitando, si augu- menterà la vetraria dell’anno passato e quella fatta quest’anno presente» 71. Inoltre comunicava con irritazione che l’attesa di un certo maestro Noro, che doveva giungere a Pisa da Roma, era risultata vana e che quindi si era tenuta la fornace accesa inutilmente per tutto il mese di agosto. Con l’inverno inci- piente, periodo che portava ad una diminuzione drastica dello smercio dei prodotti giacenti, la situazione sarebbe stata compromessa senza rimedio 72. Niccolò Sisti insisteva di aver individuato i problemi principali della la forna- ce di Pisa non solo nella cattiva gestione, ma anche nella concorrenza di altri centri ben più agguerriti e nella difficoltà di procurarsi materie prime 73. A questo punto sembra più che verosimile che la vetreria che Sisti aveva l’in- carico di salvare dal tracollo fosse quella del Gabrielli, che, come risulta dalla già citata lettera indirizzata a Lorenzo Usimbardi, si trovava fin dai primi mesi in pessime acque. Nonostante tutto, gli stessi funzionari riconoscevano che, se la fornace fosse stata messa in condizione di lavorare specchi, paternostri e al- tri oggetti di varia natura, l’impresa sarebbe andata avanti bene, confermando

che vanno per tutto il mondo per đ 40000 Avvertendo che questi dua anni non si è vendu- ta per la metà per le penurie passate, e di for-

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