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Nel 2012 la Spagna si trovava in una situazione particolarmente com- com-plessa

Nel documento RIVISTA TRIMESTRALE (pagine 38-43)

L'allora governo di centro-destra guidato da Mariano Rajoy decise di chiedere aiuto ai partners europei che attraverso il Fondo Salva-Stati misero a disposizione di Madrid fino a 100 miliardi di euro in cambio di una profonda ri-strutturazione del settore creditizio. Il Governo spagnolo accettò di buon grado l'aiuto per un valore di 41 miliardi di euro necessari per la ricapitalizzazione del

le banche a fronte del quale, però, furono poste alcune condizioni tra cui la creazione di una bad bank. Nello stesso anno fu creata l'Asset Management

Company denominata SAREB (Sociedad de gestión de activos procedentes de la

reestructuración bancaria), alla quale fu concesso di gestire assets per un perio-do massimo di quindici anni. Gli aiuti del Fonperio-do Salva-Stati vennero canalizzati nel FROB (Fondo de Reestructuraciòn Ordenada Bancaria) al quale fu attribuito il potere di obbligare gli istituti finanziari a trasferire alla SAREB determinate at-tività particolarmente deteriorate che potevano essere considerate una minac-cia per la redditività di un istituto.

Il capitale della SAREB è a maggioranza privato (55%): lo controllano, ol-tre a quattro compagnie assicurative e al gigante energetico Iberdrola, quasi tutti i principali istituti di credito del paese, Santander e Caixa bank in prima li-nea, con l’eccezione del Bbva che per la sua “diserzione” si è visto penalizzato con l’obbligo di versare per intero il contributo statale al fondo di garanzia in-terbancaria dei depositi (mentre gli altri hanno beneficiato di sconti proporzio-nali alle quote di partecipazione al “banco malo”). Il restante 45% del capitale è stato sottoscritto dallo Stato attraverso il FROB (Fondo de reconstrucìon orde-nada bancaria). Il meccanismo prevedeva il trasferimento dei crediti deteriorati all'Asset Management Company senza che fosse necessario il consenso di parti terze ma, prima che ciò accadesse, vi doveva essere la determinazione del valo -re degli assets basato su stime affidabili da parte del Banco de España.

La BCE espresse già sul finire di quell'anno il suo apprezzamento per l'o-perazione ma inviando il rapporto sulla SAREB firmato dal suo Vice Presidente Victor Constâncio al Ministero dell'Economia spagnolo consigliava la prudenza nel pagamento di dividendi proponendo, per l'appunto, delle limitazioni a ga

ranzia del pagamento del debito garantito dallo Stato utilizzato nel finanziamen -to della SAREB41.

L'operazione però presenta, al contrario dell'esperienza irlandese, alcuni punti di debolezza. Il “banco malo” nel 2014 già registrava una perdita per 585 milioni di euro, il 124% in più rispetto al 2013. Secondo alcuni analisti, il nodo principale che non ha permesso una completa riuscita dell'operazione è il ren-dimento del 15% che, per statuto, deve essere garantito ai suoi azionisti privati, in primis Santander e Caixa Bank che insieme detengono quasi il 30% del capitale e agli altri 25 soggetti privati. Tacapitale scelta è frutto di un preciso intento del Go -verno Spagnolo che, timoroso che l'operazione potesse fallire nel 2012, decise di invogliare gli investitori privati a partecipare al capitale del banco malo garan-tendogli un rendimento irrealistico e fuori dalle logiche di mercato. Una parte-cipazione del FROB al di sotto del 50% era necessaria affinché lo Stato spagnolo non nazionalizzasse le banche coinvolte nel salvataggio. Tale concessione fatta agli azionisti ha costituito, però, quel “peccato originale” che non ha permesso alla SAREB di trasformarsi subito in quella esperienza di successo quale, invece, è rappresentata dalla NAMA in Irlanda.

All'inizio del 2017 erano stati trasferiti 200 mila crediti in sofferenza per un valore di 50,7 miliardi42 e ciò ha permesso alle banche spagnole di erogare nuovi finanziamenti e di poter ridurre gli accantonamenti richiesti dalle regole prudenziali.

41Opinion of the European Central Bank of 14 December 2012 on asset management companies (CON/2012/108).

42Cfr. BUFACCHI, La via spagnola per gli Npl, serve la bad bank anche per l’Italia, Il Sole 24ORE, 12 gennaio 2017

12. La crisi esplosa nel 2008 ha impattato contro un sistema istituzionale europeo non ancora pronto ad affrontare le grandi sfide che si sono profilate in un ristretto arco temporale.

La BCE, divenuta grazie al Trattato di Lisbona, una delle sette istituzioni dell'Unione Europea ha svolto, in varie occasioni, un ruolo supplente nei con -fronti di una politica litigiosa e incapace di giungere a soluzioni condivise per il timore di scontentare gli elettorati interni ai singoli Stati Membri.

Negli ultimi anni, quasi come una reazione istintiva alla grande crisi, in Europa si sono susseguiti regolamenti (CRR), direttive (CRD IV e BRRD),

guide-lines e raccomandazioni di varia provenienza, tutti volti a ristabilire il principio

della sana e prudente gestione delle banche con aumento dei requisiti patrimo-niali, predisposizione di accantonamenti, modalità uniformi di risoluzione con l'introduzione del principio del bail-in e verifiche periodiche sulla qualità degli attivi. Il passaggio della vigilanza dalle Banche Centrali Nazionali alla BCE per le

significant banks ha segnato uno snodo fondamentale della strategia di

control-lo e di rafforzamento della stabilità finanziaria europea.

Le istituzioni europee sono intervenute più volte per sollecitare gli Stati Membri a predisporre soluzioni finalizzate a favorire la liberazione delle banche dall'enorme stock di NPLs. Ci sono Paesi come, per esempio, la Germania che già allo scoppio della crisi ha iniettato nel sistema bancario qualcosa come 250 mi-liardi di euro permettendo a questo di attutire l'effetto della crisi. Altri Paesi come gli esempi celebri di Spagna e Irlanda descritti sopra hanno scelto la via della creazione di una bad bank per rigenerare le loro banche uscite malconce dalla crisi. Questi due Paesi, seppur con qualche distinguo, grazie anche agli aiu -ti ricevu-ti dai partners europei, rappresentano due casi in cui si è verificato il

successo di questo strumento.

L'Italia, ha sempre sostenuto, per bocca di suoi maggiori esponenti politi-ci, che il suo sistema bancario fosse complessivamente solido e che, eccetto il caso isolato dei Tremonti-bonds prima e, dei Monti-bonds poi, non vi fosse ne-cessità di ulteriori interventi.

Sappiamo, però, che la storia è proseguita con una doppia recessione per l'Italia e con una perdita pesante della sua capacità manifatturiera e il fallimento di numerose aziende.

Le banche italiane, quindi, strette tra un aumento esponenziale dei credi-ti in sofferenza e la diminuzione del valore dei credi-titoli di stato italiani che avevano acquistato in massa per sostenerne le quotazioni, si trovarono, chi più chi meno, in enorme difficoltà dopo l'introduzione delle nuove regole sui requisiti patri-moniali molto più stringenti delle precedenti.

La diversità di classificazione delle esposizioni creditizie in sofferenza pre sente nei diversi Stati Membri ha, di per sé stessa, contribuito a ingenerare con -fusione. Per tale ragione si sono susseguiti una serie di interventi, linee-guida e definizioni provenienti da alcune Istituzioni (EBA, BCE). Ma il nodo principale ri -maneva come riuscire a smaltire quella grande mole di NPLs in un tempo ragio-nevole ed evitando che le banche continuassero a inserire nei propri bilanci va-lori sovrastimati.

L'Italia, dopo estenuanti trattative con la Commissione Europea, ha indi-viduato la strada di una garanzia statale sulle cartolarizzazioni di crediti più affi-dabili (tranches senior) ma con il limite di essere un sistema ad adesione volon-taria e, in aggiunta, ha effettuato alcune modifiche alla normativa in tema di diritto fallimentare per rendere più semplice e conveniente il compimento di al

-cune operazioni. Ciò nonostante, l'opzione della creazione della bad bank sa-rebbe stata risolutiva, mentre tale sistema prolunga i tempi di smaltimento degli NPLs appesantendo i bilanci bancari anche alla luce di un indirizzo sempre più stringente, imposto della BCE su impulso dei Paesi del Nord Europa. L'Istituto di Francoforte ha dato ad ogni banca, tra le 119 che vigila nella zona euro, una di-versa deadline a seconda del suo stato di salute e del peso degli NPLs. Tutti gli istituti, gradualmente, dovranno svalutare per intero lo stock di crediti deterio-rati, indicando per il 2026 l’orizzonte temporale medio. 43

Nel documento RIVISTA TRIMESTRALE (pagine 38-43)