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Così come nei romanzi, anche nella prosa breve Sologub si limita a descrizioni lapidarie e spesso sommarie per delineare il tempo e lo spazio di azione97. Nel capitolo V di Svet i Teni, il lettore viene informato che si tratta ancora una volta di una città di provincia. La vicenda si svolge per lo più tra le mura domestiche, che si rivelano l’ambiente ideale per la comparsa delle ombre. Con l’incalzare della follia, esse si presenteranno anche a scuola, per strada e in chiesa a simboleggiare che il mondo esterno non è più così spaventoso perché popolato dalle ombre.

Per quanto riguarda invece il tempo, la vicenda si svolge in pochi giorni, ma anche nelle indicazioni temporali Sologub rimane piuttosto vago. Il racconto è ambientato in autunno e l’atmosfera di malinconica tristezza riprende lo stato d’animo dei protagonisti98.

L’alternanza tra il giorno e la sera è evidente e spesso riportata all’inizio di ogni capitolo. Il giorno è spesso collegato al mondo reale mentre la sera, in particolare il tramonto, è il momento della tentazione e del desiderio sempre crescente di immergersi nel mondo delle ombre. Se la sera, con gli ultimi bagliori del giorno, porta ancora con sé del razionale e dei legami con la realtà, di notte

96 C. Hansson, Fedor Sologub as a Short-Story Writer: Stylistic Analyses, Stockholm, 1975, pp. 44-45. 97 Ivi, pp. 38-39.

98 M. G. Barker, Reality and Escape: Sologub’s “The Wall and the Shadows”, The Slavic and East European Journal, Vol.

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questi scompaiono definitivamente, non esiste alcuna via di fuga e la follia si insinua senza ostacoli nei protagonisti. La frase finale del racconto segna dunque il punto di non ritorno: su Volodja e sua madre cala la notte.

Stile

Come già detto in precedenza, le descrizioni dei personaggi, del tempo e dello spazio sono piuttosto concise: Sologub si limita infatti a fornire le indicazioni essenziali al fine di comprendere il messaggio di fondo del racconto. In tal modo il ritmo del racconto è sostenuto, la lettura è veloce e alleggerita dall’assenza di lunghe descrizioni e dalla presenza di periodi brevi. L’unica eccezione è rappresentata dalla descrizione iniziale, piuttosto superflua ai fini dello sviluppo della vicenda, ma fortemente realistica. La presenza di numerosi dettagli contribuisce infatti a rendere il tutto più reale99.

La stessa funzione si riscontra nei dialoghi tra madre e figlio, presenti nella maggior parte dei capitoli e di lunghezza variabile. Nonostante si tratti di un contesto quotidiano e familiare, il registro linguistico dei dialoghi rimane pur sempre medio, non si individuano infatti espressioni gergali, la grammatica è sempre corretta e l’ordine sintattico è più vicino alla lingua scritta che a quella parlata100.

L’utilizzo di diminutivi in riferimento al mondo delle ombre, in particolare knižečka (libricino) che si ritrova dall’inizio alla fine del racconto, è indicativo della volontà dell’autore di far apparire le ombre meno importanti rispetto alla realtà, presentandole così come un passatempo trascurabile101. Con questo escamotage dunque, all’inizio della vicenda il lettore non ha alcun indizio per prevedere cosa succederà in seguito.

Frequente è il ricorso alle ripetizioni per evidenziare ed accrescere un determinato stato d’animo, emblematici sono i casi dei capitoli X, XI e XIV. La fine del capitolo X è segnata dalla ripetizione di termini appartenenti tutti alla stessa area semantica: stydno (vergogna), dosada (disappunto) e

serdit’sja (arrabbiarsi) a enfatizzare la drammaticità della situazione102. Il capitolo successivo è

segnato dalla parola bojazn’ (paura) in forma di aggettivo e di sostantivo che viene ripetuta quattro

99 C. Hansson, Fedor Sologub as a Short-Story Writer: Stylistic Analyses, Stockholm, 1975, p. 37. 100 C. Hansson, Fedor Sologub as a Short-Story Writer: Stylistic Analyses, Stockholm, 1975, p. 39.

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16, N° 4, 1972, p. 422.

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volte per enfatizzare lo stato d’animo dei due protagonisti e in particolare quello della madre che entra in possesso del libricino103. Con un effetto specchio, è ora la madre a ricoprire il ruolo di colpevole che caratterizzava fino a questo momento Volodja. Sarà infatti Evgenja Stepanovna nel capitolo XI ad appassionarsi alle ombre, a provare paura e a temere di essere scoperta da suo figlio, situazione ben descritta dal passaggio: “All’improvviso sentì i passi del figlio. Sobbalzò, nascose il libricino e spense la candela” (cap. XI). Il terzo chiaro ricorso alla ripetizione si ha nel capitolo XIV in cui l’incipit di tre paragrafi è sempre On ponimal (Capiva) per mettere in risalto la presa di coscienza di Volodja ormai inesorabilmente immerso nel mondo delle ombre e dunque della pazzia.

Il dualismo tra la vita terrestre e quella delle ombre, tra raziocinio e pazzia, tra gioia e paura, è descritto degli ossimori tipici dello stile di Sologub. In Svet i Teni il più evidente, anche per la sua posizione nel testo e per la presenza di un chiasmo, è: “[…] la loro felicità irrimediabilmente triste e la loro tristezza selvaggiamente felice” (cap. XXX) che contribuisce alla visone dualistica tra esistenza terrena e mondo ideale104.

Di importanza significativa è il cambio di tempo verbale espresso dall’alternanza tra passato e presente indicativo, conservata anche nella traduzione italiana del racconto. Se nel capitolo II il tempo presente ha in realtà la funzione di presente storico, a partire dal capitolo VIII esso è sempre collegato al mondo delle ombre. La narrazione è infatti al tempo presente quando si tratta di azioni e sentimenti riferiti alle ombre e l’utilizzo del presente si intensifica a partire dal capitolo XXI, quando entrambi i protagonisti sono avvolti dalla rete delle ombre e dal desiderio sempre crescente e irresistibile di calarsi in questa realtà fittizia. A questo punto viene pressoché abbandonato l’uso del passato e tale espediente rende ancora più evidente il crescendo di follia di Volodja e di sua madre. Il racconto termina al presente a significare che lo stato di pazzia dei personaggi è tale da non permettere più un ritorno alla realtà.

In quanto autore decadente, Sologub riporta alcune caratteristiche della lirica di fine Ottocento anche nella prosa breve e tra queste spicca l’utilizzo di simboli. In Svet i Teni, ad esempio, si individua il ricorso ai colori: il pallore che contraddistingue il volto di Volodja e di sua madre e l’ambiente domestico (capp. I, III, V) li differenzia dalla realtà e li allontana dalla luce del sole105; il bianco viene

103 M. G. Barker, Reality and Escape: Sologub’s “The Wall and the Shadows”, The Slavic and East European Journal, Vol.

16, N° 4, 1972, p. 422.

104 C. Hansson, Fedor Sologub as a Short-Story Writer: Stylistic Analyses, Stockholm, 1975, p. 25.

105 M. G. Barker, Reality and Escape: Sologub’s “The Wall and the Shadows”, The Slavic and East European Journal, Vol.

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menzionato 26 volte e bianche sono le pareti di casa e gli oggetti da cui provengono le ombre (capp. III e VI) candide e affini ai protagonisti; rosse sono invece le macchie di luce tra cui si muovono le ombre nemiche, quelle che spaventano il protagonista (cap. VIII) e in antitesi con il verde delle ombre dolci e familiari (cap. IX)106; il grigio del libricino (cap. I) non fa invece presagire il pericolo insito in esso che potrebbe piuttosto evocare il nero.

Nella stessa ottica simbolica è evidente anche il motivo allegorico del numero tre: tre sono le volte in cui la madre di Volodja lo sorprende alle prese con le ombre, tre le soluzioni proposte dalla madre per cercare di arginare la follia e tre volte viene ripetuta l’espressione “On ponimal” analizzata sopra. Così il mondo delle ombre assume una dimensione ultraterrena e magica107, ripresa dall’utilizzo del verbo čarovat’ (incantare) nel capitolo XI.

Allo stesso modo, il contrasto luce-ombre rappresenta non soltanto l’alternanza tra giorno e notte ma anche tra due realtà: quella ostile e quella in cui trovare riparo. Le ombre diventano dunque un’allegoria della vita in un mondo di fantasia, in cui ci si può ritirare la sera, quando la luce del sole è ormai debole e inerme. Il motivo delle ombre accomuna Sologub e il suo stile a quello di Edgar Allan Poe che scrisse il racconto Shadow (1850) in cui le ombre sono caratterizzate da un significato simbolico spesso anche di natura mistico-religiosa108.

Qualche episodio della vicenda si svolge invece durante la notte (capp. XXIV e XXVI), momento in cui l’atmosfera di angoscia aumenta fino a raggiungere l’apice nel capitolo conclusivo. Il finale infatti potrebbe risultare vago: la notte che cala sui protagonisti può essere interpretata come follia ultima, senza spiragli di luce e senza dunque possibilità di tornare alla realtà. Come ha osservato Michajlov, il finale riporta una drammatica capitolazione: la vittoria della vita delle ombre sulle ombre della vita109.

Altro elemento simbolico del racconto è l’angelo del capitolo VI che compare sulle bianche pareti e porta via con sé qualcosa di importante ma disprezzato e, in questo senso, ci si potrebbe forse riferire alla sanità di Volodja o alla resurrezione della sua volontà creatrice110.

106 Ivi, p. 423.

107 C. Hansson, Fedor Sologub as a Short-Story Writer: Stylistic Analyses, Stockholm, 1975, p. 60. 108 C. Hansson, Fedor Sologub as a Short-Story Writer: Stylistic Analyses, Stockholm, 1975, p. 36.

109 O. N. Michajlov, O Fedore Sologube, cit. in: A. N. Berezina, Transformacija klassičeskih predstavlenij o dobre i zle v

neklassičeskoj literature, Ural’skij filologičeskij vestnik N° 5, 2015, p. 212.

110 M. G. Barker, Reality and Escape: Sologub’s “The Wall and the Shadows”, The Slavic and East European Journal, Vol.

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Nei capitoli III e VI si individua uno stile lirico, suggestivo e dai tratti tipicamente decadenti, in contrasto con la prosa semplice e chiara dei passaggi narrativo-descrittivi profondamente realistici. Nel capitolo III Sologub fornisce un quadro dettagliato e realistico, ogni parola è accuratamente selezionata per produrre un effetto di quiete e sonnolenza e i colori tenui e i suoni deboli enfatizzano il silenzio. Tuttavia, la frase Kipjatok, plešča, padal iz krana v maminu čašku111, volontariamente

separata dal resto testo, si distingue per il ritmo e per la sua composizione più simile alla lirica, la quale però non è stata mantenuta nella traduzione italiana. La frase si compone di un anapesto, un giambo, una cesura e uno schema inverso di dattilo e trocheo ripetuti due volte112. Il suono dominante, presente anche nella resa italiana, è quello della vocale –a.

Nel capitolo VI, Carola Hansson osserva che si tratta di una struttura insolita per un componimento in prosa: si individuano infatti dieci paragrafi indipendenti in cui sono abbondanti le pause intensificate dall’uso della punteggiatura113. Il ritmo della prima parte risulta lento, in perfetta sintonia con l’atmosfera sonnolenta del lungo autunno grigio. La descrizione dell’angelo rappresenta la più lunga e rapida sezione in cui il ritmo accelera e la monotonia si spezza per poi riapparire nell’ultima parte che riprende l’inizio con una costruzione ad anello. Dal punto di vista metrico, il primo paragrafo contiene due periodi brevi in rima tra loro grazie alla ripetizione di večer e alla sequenza di suoni o-e-e/o-o-e. Il secondo paragrafo contiene invece un parallelismo: kak

nadoedlivo, kak ravnodušno gorit lampa114. Nel terzo ci sono sia una ripetizione di preposizioni (na-

nad-na-na-na) sia un parallelismo: na beluju stenu komnaty, na beluju štoru okna115. Nel quarto

paragrafo lo schema vocalico è dominato ancora una volta dai suoni e-o. Nel sesto paragrafo si individua un periodo di lunghezza maggiore rispetto ai precedenti che rompe il ritmo creato, mentre il settimo è formato da un’unica frase nominale di 52 sillabe in cui prevalgono i suoni o-u e gr. Il paragrafo successivo mostra un’evidente accelerazione nel ritmo che rallenta nel paragrafo nove e si ricongiunge al primo con il paragrafo finale. Oltre agli effetti stilistici di ripetizioni, parallelismi e ritmo, il capitolo VI è interessante anche per la costruzione sintattica dei periodi, raggruppati in un’alternanza regolare di corti (1-6) –lunghi (7-8) –corti (9-10) che contribuisce alla resa ritmica del capitolo116.

111 “L’acqua calda scese schizzando dal rubinetto del samovar nella tazza della mamma” cap. III. 112 C. Hansson, Fedor Sologub as a Short-Story Writer: Stylistic Analyses, Stockholm, 1975, p. 42. 113 C. Hansson, Fedor Sologub as a Short-Story Writer: Stylistic Analyses, Stockholm, 1975, pp. 47-52.

114“Così fastidiosa, così indifferente arde la lampada!” cap. VI.

115 “…la bianca parete della camera e la bianca tenda alla finestra” cap. VI.

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Temi

Il racconto in questione è testimonianza del fatto che Sologub tratti i temi della lirica e del romanzo anche nella prosa breve. Come si è accennato in precedenza, il tema della scuola e dell’istruzione è piuttosto frequente nella prosa sologubiana. In Svet i Teni la scuola rappresenta il mondo esterno, quello da cui Volodja fugge perché ostile e spietato così come lo è la figura dell’insegnate.

I capitoli V e XVI affrontano invece il tema dell’abbandono. Prima con Praskov’ja e la sua figura cupa dagli occhi tristi che pensa alla vecchiaia in solitudine, abbandonata dal marito avvezzo all’alcol e dai figli morti prematuramente. Si passa poi al padre di Volodja, morto nove anni prima di alcolismo. Poiché nel linguaggio simbolista un semplice fatto di vita quotidiana è sempre intriso di un significato secondo e più profondo, come osserva M. Pavlova, l’abbandono paterno è ricongiungibile all’abbandono del Padre Celeste (bogoostovlennost’) e dunque alla mancanza di una guida mistica e alla conseguente pazzia117.

La pazzia risulta essere il tema principe del racconto: si tratta di una pazzia che va crescendo, alternata ad attimi di lucidità che spesso coincidono con la luce del giorno. La pazzia è in questo senso quello che nell’ideologia sologubiana è rappresentato dalla morte; in Svet i Teni infatti, la via di fuga dalla gabbia terrestre non è la morte ma la pazzia, ovvero la creazione di una realtà immaginaria fatta di ombre. Sono solo due i personaggi del racconto che si rifugiano in questo mondo fittizio. Il loro ingresso nella realtà parallela è del tutto casuale: Volodja trova le illustrazioni delle ombre in un piccolo libro e vi si appassiona, sua madre si incuriosisce dopo aver sorpreso per tre volte il figlio e decide di provare anche lei a riprodurle. Se le ombre sono prima considerate šalost’ (marachella), zabava (passatempo), pustjaki (nonnulla) finiscono rapidamente per essere personificate: si dividono in ombre neponjatny (incomprensibili) e zagadočny (enigmatiche) e in ombre milye (dolci), blizkie (care), znakomye (familiari) e i soggetti concreti illustrati nel libricino (la signorina con cappello, la testa dell’asino, il toro e lo scoiattolo) si fanno via via più complessi, articolati e astratti fino ad arrivare a raffigurare un vecchio errante nella bufera, a cantare e a sussurrare qualcosa oramai comprensibile anche a Volodja e a sua madre.

Volodja finisce per prestare attenzione non agli oggetti ma esclusivamente alle loro ombre (cap. XX) che circondano i due protagonisti come fossero una rete o una ragnatela. Se nei primi capitoli il ritorno alla vita quotidiana era rappresentato dal giorno, a partire dal capitolo XXX la realtà delle

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ombre si fa così coinvolgente da accompagnare i personaggi anche alla luce del sole. Alla fine del capitolo XXIX si ritrova l’ultimo tentativo di riprendere i contatti con il mondo, sforzo che si rivelerà vano. Nel capitolo conclusivo il focus è sugli occhi di Volodja e della madre permeati di beata pazzia, dalla pazzia ultima dalla quale non si fa ritorno, dalla salvezza dal mondo reale. In questo senso, come osserva M. Pavlova118, il racconto appare come la messa in pratica di ciò che Nietzsche teorizzò in Così parlò Zarathustra:

Sofferenza e impotenza – questo creano quelli fuori del mondo; e quel breve e folle istante di felicità esperimentato soltanto da chi soffre. […] Fu il corpo che disperava di sé – il quale con le dita di uno spirito tubato, tastava le ultime pareti. […] E allora volle cacciar la testa oltre le ultime pareti, e non solo la testa – per arrivare a “quell’altro mondo”119.

Volodja e Evgenja Stepanovna raggiungono definitivamente “quell’altro mondo” rappresentato per loro dalle ombre e la beatitudine della loro pazzia sta proprio nell’aver raggiunto la felicità. Il mondo reale dei muri opprimenti è contrapposto a quello senza confini delle ombre e in quest’ottica dualista si coglie immediatamente l’opposizione tra realtà (trappola) e irrealtà (libertà) così tipica del pensiero di Sologub.

118 M. Pavlova, Meždu Svetom i Ten’ju, 1990, in: F. Sologub, Tjažely sny, Leningrad, 1990, p. 15. 119 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, 2011, p. 62.

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Capitolo III

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