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Sperimentazione,
ristrutturazione
del
campo
d’intervento
e
ruolo
degli
strumenti

In
contesti
difficili,
caratterizzati
da
ambiguità
e
sottodeterminazione63,

il
lavoro
dell’attore
 è
quello
di
ricostruire
senso,
decifrarlo
e
questo
può
essere
fatto
solo
attraverso
azioni
ad
 elevato
carattere
sperimentale
e
innovativo
(Lanzara
1992).
 Nel
dibattito
sullo
sviluppo
si
auspica
frequentemente
il
ricorso
alla
sperimentazione.
Sono
 le
 individualità,
 le
 differenze
 e
 i
 conflitti
 che
 possono
 svolgere
 un
 ruolo
 decisivo
 per
 la
 formazione
 di
 una
 idea
 di
 bene
 comune
 e
 di
 un
 grado
 accettabile
 di
 coesione
 sociale.
 Questi
 diversi
 scenari
 rappresentano
 sempre
 e
 solo
 delle
 possibilità
 da
 “sperimentare
 attivamente”,
 dice
 Hirschman.
 Non
 ci
 sono
 vie
 brevi
 (dello
 sviluppo),
 se
 non
 la
 “sperimentazione
continua”
di
regole
e
pratiche
attive
in
un
campo
aperto
di
interazioni
 (Palermo
2009).


L’ultima
 stagione
 delle
 politiche
 di
 sviluppo
 si
 proponeva
 come
 un
 grande
 laboratorio
 sperimentale
di
sviluppo
locale.
Il
ruolo
della
sperimentazione,
purtroppo,
si
è
indebolito
 nel
tempo.
Il
tentativo,
lecito,
di
istituzionalizzare
l’innovazione
per
rendere
permanenti
i
 risultati
e
aggredibili
in
modo
ordinario
i
problemi
rischia
di
essere
frettoloso
e
di
favorire
 forme
 di
 adattamento
 controproducenti.
 Lanzara
 ci
 spiega,
 infatti,
 che
 la
 riserva
 di
 disponibilità
di
soluzioni
standard
o
di
routine
–
pur
essendo
una
risorsa
ancora
spendibile
 e
preziosa
‐
è
importante
per
affrontare
l’ordinarietà
degli
interventi.
Questa
riserva,
però,
 è
normalmente
più
disponibile
in
contesti
già
abbastanza
efficienti
o
efficaci,
dove
si
rileva
 anche
 una
 maggiore
 capacità
 di
 revisionare
 velocemente
 lo
 standard
 e
 di
 adattarlo
 a
 situazioni
nuove
o
a
contesti
diversi.



Il
 caso
 difficile,
 dunque,
 richiederebbe
 una
 continua
 azione
 di
 sperimentazione
 fino
 a
 quando
si
esaurisca
la
spinta
capacitante,
quindi
il
territorio
risulti
complessivamente
ben
 governato.
 Non
 sembrerebbe
 opportuno,
 pertanto,
 anticipare
 i
 tempi
 nel
 passaggio
 








63
 Lanzara
 fa
 riferimento
 al
 post
 terremoto
 dell’Ottanta,
 occasione
 per
 analizzare
 il
 comportamento


capacitante
 degli
 attori
 locali
 in
 un
 caso
 difficile
 in
 condizione
 di
 incertezza.
 In
 una
 situazione
 di
 estremo
 disordine
si
attiva
un
laboratorio
sociale
di
esperimenti
e
azioni
non
programmati.
Mentre
le
routines
formali
 e
burocrazie
formali
fallivano
miseramente,
individui
e
gruppi
di
volontari
cominciarono
a
sviluppare
forme
 elementari
di
intervento
e
di
organizzazione
che,
benché
informali
ed
effimere,
e
con
carattere
di
espedienti,


all’ordinarietà
istituzionalizzante.
Quello
che
è
poi
avvenuto,
nella
nuova
programmazione,
 è
 stato,
 più
 che
 l’istituzionalizzazione,
 la
 modellizzazione
 e
 la
 replica
 delle
 tipologie
 di
 intervento
 che
 avevano
 dato
 i
 risultati
 migliori.
 Il
 modello,
 per
 diventare
 spendibile
 in
 contesti
 diversi
 e
 per
 poter
 essere
 controllato
 da
 un
 apparato
 burocratico
 valutativo,
 è
 diventato
un
oggetto
complesso,
che
ha
perso
l’effetto
di
rottura
iniziale.



Cosa
 s’intende,
 tuttavia,
 quando
 ci
 si
 riferisce
 alla
 sperimentazione?
 R.
 M.
 Unger
 (2006)
 parla
di
sperimentalismo
democratico
in
termini
di
riforma
rivoluzionaria
per
ricostituire
il
 nesso
tra
cittadini
e
città.
Tre
sono,
secondo
Cremaschi,
gli
aspetti
fondamentali:
il
minimo
 di
realismo‐strutturale
con
una
prospettiva
valoriale
fondata
su
alcuni
principi;
una
critica
 alla
formazione
discorsiva
dei
modi
con
cui
la
società,
la
politica
e
gli
esperti
costruiscono
 problemi
e
definizioni,
invece
di
costruire
orizzonti
di
senso;
un
atteggiamento
pragmatico
 nei
 confronti
 delle
 azioni
 di
 trasformazione
 ed
 eventualmente
 di
 sviluppo,
 che
 connette
 senza
 pretesa
 di
 originalità
 demiurgica
 processi
 e
 progetti
 in
 corso,
 e
 valorizza
 invece
 le
 valenze
generative
delle
connessioni
esistenti.


Innanzitutto
 è
 necessario
 ricostruire
 il
 campo
 di
 intervento.
 Innanzitutto,
 dice
 Lanzara,
 bisogna
andare
alla
ricerca
di
situazioni
di
rottura
e
osservare
discontinuità
e
asincronie,
da
 questa
 osservazione
 nasce
 la
 possibilità
 di
 un
 mutamento.
 È
 un’operazione
 che
 prevede
 una
 trasformazione
 iconica
 della
 realtà,
 nell’ingrandimento
 o
 distorsione
 deliberata
 di
 eventi
 e
 azioni
 con
 lo
 scopo
 di
 rivelarne
 aspetti
 periferici,
 trascurati,
 nascosti,
 non
 immediatamente
 evidenti.
 L’obiettivo
 è
 una
 ricostruzione
 riflessiva
 delle
 situazioni
 e
 dei
 contesti
 organizzativi
 entro
 cui
 gli
 attori
 agiscono.
 Quello
 che
 è
 stato
 già
 fatto
 a
 Gela,
 in
 questa
 direzione
 è,
 come
 abbiamo
 visto,
 importante
 per
 evidenziare
 alcune
 modalità
 possibili
 di
 azione.
 Le
 narrative,
 quelle
 selezionate,
 ma
 anche
 tutte
 le
 altre
 proiezioni
 dinamiche
che
il
territorio
produce,
aiutano
a
costruire
modelli
alternativi
della
realtà.
Si
 tratta
di
attivarli
in
situazioni
di
azione
specifici,
ambiti
di
azioni
per
lo
sviluppo,
attraverso
 elementi
correttivi
e
modernizzatori
delle
politiche.
La
sperimentazione,
così
intesa,
va
ad
 agire
 sia
 sui
 prerequisiti
 sociali
 che
 funzionali
 dello
 sviluppo.
 Contemporaneamente,
 bisogna
 dare
 certezza
 di
 alcune
 regole,
 per
 esempio,
 attraverso
 argomenti
 fondati,
 database
 affidabili,
 monitoraggi
 incisivi
 (Donolo
 2009).
 Infine,
 con
 la
 molteplicità
 della
 sperimentazione
si
va
ad
aggredire,
invece,
la
s‐regolazione.


Scendendo
al
livello
dell’operatività
sperimentale,
quali
esperimenti
pratici
possono
essere
 condotti
in
situazioni
di
azione
per
facilitare
processi
di
cambiamento
in
cui
è
necessario
 modificare
radicalmente
modelli
consolidati
di
comportamento
e
apprendimento
di
nuovi?
 Quali
 sono
 i
 possibili
 interventi
 eventi
 in
 grado
 di
 rappresentare
 una
 discontinuità
 nel
 sistema
dei
comportamenti
locali?



Sono
 azioni
 generative
 che
 si
 costruiscono
 con
 il
 contesto
 e
 si
 attuano
 attraverso
 l’uso
 “ampio
ed
estensivo”
di
strumenti
“piccoli
e
mirati”.


Dicevano
Hytten
e
Marchioni:
«Se
si
continua
a
scindere
così
nettamente
tra
l’intervento
 industriale
 come
 lo
 strumento
 dello
 sviluppo
 e
 le
 comunità
 di
 insediamento
 come
 gli
 oggetti
su
cui
si
interviene,
è
bene
che
si
tenga
presente,
in
termini
del
tutto
artigianali,
che
 se
 una
 determinata
 operazione
 non
 va
 bene,
 bisogna
 anzitutto
 vedere
 se
 l’attrezzo
 adoperato
funziona
(Hytten
e
Marchioni,
p.
128‐129)».
All’incrocio,
infatti,
tra
sviluppo
e
 pianificazione,
 è
 importante
 un
 ripensamento
 sugli
 strumenti.
 Mentre
 nel
 linguaggio
 comune
delle
politiche
gli
strumenti
sono
intesi
secondo
una
logica
funzionalista
(ovvero
in
 termini
 di
 scelte
 tecniche),
 gli
 strumenti
 dell’azione
 pubblica
 possono
 essere
 interpretati
 come
 istituzioni,
 in
 senso
 ampio,
 inclusivi
 di
 dispositivi,
 tecniche,
 organizzazioni,
 modi
 di
 operare,
introdotti
per
mettere
in
opera
politiche,
ma
capaci
poi
di
avere
vita
autonoma,
 indipendenti
 dagli
 obiettivi
 e
 condizionanti
 nei
 fini
 (Lascoumes
 e
 Le
 Galès
 2009).
 Questo
 capovolgimento
 di
 significato
 dello
 strumento,
 che
 da
 unità
 di
 analisi
 diventa
 oggetto
 di
 analisi
(Pinson
2007),
ci
aiuta
a
esplorarne
migliori
formulazioni
e
possibili
innovazioni
nel
 modo
di
programmare
e
gestire
l’amministrazione
urbana.


Innanzitutto,
 su
 quale
 tipo
 di
 domanda
 e
 progettualità
 far
 leva?
 Chi
 può
 usare
 gli
 strumenti?
 A
 Gela,
 esistono
 forme
 di
 progettualità,
 che
 appartengono
 a
 istituzioni
 altre
 rispetto
all’amministrazione
comunale:
organizzazioni
economiche
(ASI,
Confindustria,
Eni),
 imprese
 internazionali,
 terzo
 settore,
 volontariato,
 parti
 di
 istituzioni
 pubbliche
 (distretti
 scolastici),
 alcuni
 privati
 cittadini,
 che
 presentano
 e
 implementano
 progetti.
 Gli
 attori
 operano
nel
pieno
mandato
istituzionale
(Lotti)
oppure
ai
margini
(Tuccio)
o
fuori
mandato
 (Abbenante),
si
scambiano
i
ruoli
momentaneamente
per
riacquistarli
dopo.
Tutto
questo
 rappresenta
il
governo
urbano.
Istituzioni
economiche,
sociali
e
politiche
“mischiano”
i
fini:
 l’Asi
 finanzia
 la
 cultura,
 la
 Procura
 la
 sostiene
 indirettamente,
 alcuni
 cittadini
 la
 promuovono.
Si
tratta
ancora
di
piccoli
tentativi
di
riconversione
economica,
interventi
sul


sociale
 di
 tipo
 più
 assistenzialista,
 controlli
 per
 la
 legalità,
 qualche
 iniziativa
 culturale,
 si
 tratta
di
far
emergere
e
incominciare
a
unire,
accoppiando
in
modo
inedito
attori
problemi
 e
iniziative.


L’idea,
 quindi,
 è
 quella
 di
 mettere
 alla
 prova
 politiche
 e
 strumenti
 al
 fine
 di
 esplorare
 ipotesi
di
fattibilità
nei
contesti
selezionati:
 • Utilizzare
le
risorse,
nel
senso
prima
definito,
come
obiettivi
e
strumenti
 • Instillare
‘virus’
benefici
 • Comporre
microprogettualità
 • Sperimentare
microazioni
di
rottura
 • Sperimentare
coalizioni
non
ortodosse
 • Sperimentare
accoppiamenti
progettuali
inediti

 
 
 
 
 
 
 


‘Registri
di
intervento’
funzionali
allo
sviluppo


Finora
è
stato
definito
il
significato,
la
direzione
e
le
modalità
di
un
possibile
progetto
di
 sviluppo
 a
 Gela.
 Se
 le
 narrative
 al
 futuro
 ci
 avevano
 fornito
 indicazioni
 di
 un
 percorso
 possibile,
 le
 narrative
 al
 passato
 ci
 indicano
 il
 terreno
 su
 cui
 lavorare
 per
 realizzare
 lo
 sviluppo.
 Si
 tratta
 di
 ricostruire
 sulle
 rappresentazioni
 problematiche
 nuove
 narrative
 al
 futuro.


Il
prossimo
passo
è,
quindi,
la
definizione
di
ambiti
di
intervento
che,
prendendo
in
prestito
 le
definizioni
di
Ash
Amin,
chiamiamo
‘registri
di
intervento’.
Si
tratta
di
quattro
registri
di
 solidarietà,
 tessuta
 intorno
 alle
 basi
 collettive
 della
 vita
 quotidiana
 urbana,
 ovvero
 una
 famiglia
di
prerequisiti
funzionali
allo
sviluppo.
Potrebbero
essere
definiti
piani
territoriali
 orientati
allo
sviluppo
(che
si
contrappongono
al
piano
di
sviluppo
per
il
territorio),
la
scelta
 di
utilizzare
il
termine
registro
è
simbolico,
in
quanto
allude
alla:



• solidarietà
come
utopia
pratica
della
città


• dimensione
più
diretta
dell’agire
rispetto
al
piano



• infine,
 al
 funzionamento
 delle
 celle
 di
 memoria
 (registri
 della
 CPU),
 dove
 si
 può
 leggere
 e
 scrivere
 contemporaneamente,
 e
 dove
 le
 informazioni
 vengono
 memorizzate
in
modo
parallelo
o
sequenziale64.



I
 registri
 di
 intervento
 per
 Gela
 devono
 quindi
 contenere
 una
 forte
 dimensione
 valoriale
 dello
 sviluppo,
 la
 memoria
 e
 le
 lezioni
 del
 passato,
 tutte
 le
 informazioni,
 modificabili
 e
 riscrivibili
per
rappresentare
il
futuro
e
le
azioni
per
costruirlo.


Il
primo
registro
di
intervento
è
quello
dei
relatedness
(relazionalità)
and
rights
(diritti
di
 cittadinanza).
 Agisce
 sulla
 società
 fragile
 dell’esclusione
 e
 della
 deviazione.
 Prevede
 una
 famiglia
 di
 politiche
 per
 la
 costruzione
 di
 beni
 collettivi
 e
 relazionali
 negli
 ambiti
 di
 un
 welfare
 locale
 (abitazione,
 assistenza
 sanitaria,
 sopravvivenza
 finanziaria,
 lavoro,
 aggregazione,
 servizi
 minimi
 essenziali),
 ripensato
 alla
 luce
 di
 vecchi
 e
 nuovi
 diritti
 di
 cittadinanza.


Il
secondo
registro
di
intervento
è
quello
del
repair
(manutenzione
e
cura
della
città
e
del
 suo
territorio).
Repair
significa
manutenere,
ovvero
mantenere
funzionale
ed
efficiente
la
 macchina
 urbana.
 Tiene
 dentro
 il
 significato
 di
 ‘riparazione’,
 quindi
 prevede
 l’intervento
 sugli
spazi
e
sugli
oggetti
urbani
e
quello
di
‘compensazione
e
organizzazione’,
che
agisce
 sulle
dimensioni
immateriali
della
vita
quotidiana
urbana.
Come
dice
Ash
Amin
(2006),
è
la
 mano
invisibile
che
controlla
e
organizza
la
vita
urbana.
La
città
è
in
continua
manutenzione
 e
 riparazione,
 e
 questa
 operazione
 deve
 essere
 sostenuta
 da
 un
 complesso
 di
 politiche
 economiche
e
di
coordinamento.
Il
repair
agisce
su
un
array
di
oggetti
urbani
mettendoli
in
 relazione.
 Repair
 significa
 riqualificare
 in
 modo
 capillare
 e
 continuo
 lo
 spazio
 urbano,
 intervenire
 sulla
 distribuzione
 di
 luce,
 acqua,
 gas,
 gestire
 i
 rifiuti,
 curare
 il
 verde,
 organizzare
la
mobilità
di
merci
e
persone.


La
nostra
accezione
propone
di
estendere
il
concetto
alla
dimensione
ambientale
e
tenere
 insieme,
in
un
unico
obiettivo,
sia
la
città
costruita
che
il
territorio
non
edificato.
Il
repair
è
 quindi
 anche
 bonifica
 e
 cura
 dell’ambiente,
 in
 un
 più
 ampio
 significato
 di
 repair
 per
 la
 sostenibilità
ambientale.



Le
politiche
di
sviluppo
hanno
finora
escluso
la
dimensione
di
intervento
diretta
sul
‘repair’
 urbano,
data
per
scontata
oppure
non
considerata
rilevante
ai
fini
dello
sviluppo.
O
meglio,
 l’hanno
avvicinata,
negli
interventi
di
riqualificazione
o
di
infrastrutturazione
(dimensione
 sociale
o
infrastrutturale
per
la
crescita),
senza
considerarla
una
dimensione
di
sviluppo
a
 sé
 stante.
 Esemplificativo
 di
 questa
 condizione,
 è
 lo
 sterile
 dibattito
 su
 aggiuntività
 vs
 ordinarietà
delle
politiche
di
sviluppo,
distinzione
così
cara
alla
Commissione
Europea
e
così
 avversata
dalle
amministrazioni
locali.


In
 questi
 contesti,
 invece,
 l’importanza
 di
 intervenire
 sul
 ‘repair’
 è
 dovuta
 a
 tre
 ragioni
 principali:
in
quanto
prerequisito
di
sviluppo
(dimensione
sociale
e
ambientale),
perché
il
 ‘repair’
 costituisce
 l’industria
 urbana
 di
 base,
 quindi
 è
 di
 per
 sé
 motore
 di
 sviluppo65
 (dimensione
 economica)
 e
 perché
 può
 incidere,
 per
 prossimità,
 sul
 cambiamento
 dei
 comportamenti
 nell’uso
 del
 bene
 pubblico
 (dimensione
 culturale).
 La
 scelta
 di
 non
 utilizzare
il
termine
‘manutenzione
urbana’
deriva
dal
fatto
che,
per
tradizione
d’uso,
non
 contiene
le
valenze
sociali,
culturali
ed
economiche.


Cosa
significa
agire
sul
repair
in
termini
di
sviluppo?

 








La
dimensione
dello
sviluppo
sta
sul
come
si
fa
‘repair’,
su
come
si
dà
valore
alle
dimensioni
 economiche,
sociali
e
culturali,
su
come
si
costruisce
il
registro
di
‘repair’.


Figura
1.
Dalle
narrative
ai
registri
di
intervento


Il
 terzo
 registro
 è
 quello
 del
 re‐enchantment
 (re‐incanto)
 e
 si
 lega
 all’immagine
 di
 una
 nuova
 Gela
 moderna
 e
 prova
 a
 recuperarne
 il
 significato
 migliore.
 Dice
 Amin:
 È
 la
 celebrazione
degli
aspetti
della
vita
urbana,
da
cui
nascono
le
speranze
e
le
ricompense
di
 socialità66.
 La
 socialità,
 infatti,
 è
 una
 forma
 particolare
 di
 solidarietà
 urbana.
 È
 la
 prospettiva
di
un
certo
tipo
di
socialità
che
viene
da
particolari
forme
di
raccolta
in
spazi
 pubblici.
I
siti
possibili
sono
le
associazioni,
i
club,
i
ristoranti,
i
bar,
gli
spazi
aperti,
i
fori,
le
 biblioteche
e
le
librerie
e
la
moltitudine
di
circoli
di
amicizia
che
tanto
riempiono
le
città
 (Thrift
2005).
Questi
siti
formano
una
componente
essenziale
della
cultura
pubblica
urbana
 e
sono
un
importante
filtro
attraverso
il
quale
la
vita
urbana
viene
giudicata
come
un
bene
 collettivo
sociale.
 Le
politiche
di
re‐incanto,
quindi,
sono
offerte
di
opportunità
per
rendere
visibile
l’urbano
 come
luogo
di
promesse
civiche.
 






 66
Il
re‐incanto,
nella
storia
urbana
del
pensiero
utopico
tendeva
a
concentrarsi
su
un
paradiso
a
venire,
di


solito
 intorno
 ad
 ambiziosi
 progetti
 volti
 a
 progettare
 la
 vita
 umana
 materialmente,
 moralmente
 ed
 eticamente.
Nei
tempi
in
cui
l'ingegneria
ha
prodotto
immediati
guadagni
attraverso
ambiziosi
progetti
urbani
 e
la
pianificazione
degli
esercizi
per
fornire
alloggi
di
massa,
servizi
igienico‐sanitari,
di
sicurezza,
aria
pulita
e
 acqua,
 e
 altri
 servizi
 di
 base,
 che
 ha
 attenuato
 la
 miseria
 delle
 masse
 intrappolate
 in
 condizioni
 urbane
 spaventosa
(Amin
2006).
Il
significato
di
tali
intervento
come
una
forma
di
reincanto
non
deve
essere
persa
in
 un
 presente
 intrappolato
 tra
 l’assalto
 neo‐liberale
 e
 lo
 scetticismo
 generale
 che
 è
 cresciuto
 sulla
 pianificazione
urbana
modernista
(Gandy
2005).



 


L’idea
è
che
per
nessuno
di
questi
registri
esista
una
matrice
univoca
di
azione.
Si
lavora
su
 criticità
 e
 vincoli
 e,
 contemporaneamente,
 sulle
 opportunità
 generative
 del
 contesto
 in
 esame.
 Il
 progetto
 non
 si
 costruisce
 a
 monte,
 ma
 attraverso
 l’interazione
 diretta
 con
 gli
 attori
 e
 questo
 porta
 alla
 ridefinizione
 del
 problema.
 Gli
 stessi
 esiti
 di
 singole
 azioni
 composite,
 eventualmente
 raggiunti
 a
 partire
 da
 una
 matrice,
 ridefiniscono
 a
 ritroso
 la
 matrice
stessa.
Quella
proposta
è
una
possibile,
aperta
e
suscettibile
di
adattamento.
Ha
 valore
 di
 metodo
 e
 non
 può
 essere
 letta
 senza
 le
 premesse
 contenute
 nei
 paragrafi
 precedenti.
 Figura
2.
Matrice
dei
registri
d’intervento