Gli aspetti della disciplina sportiva professionistica che non sono ancora stati esaminati a fondo sono quelli finanziari e gestionali. Solo verso la fine degli anni Cinquanta, qualche studioso di economia anglosassone43 ha iniziato a dare il suo contributo in tale
42
Crozier M., Friedberg E., L’acteur et le système, Parigi, Editions du Seuil, 1977.
43 Si veda Rottenberg S., “The Baseball Players Labour Market”, Journal of Political Economy, LXIV, 1956;
Neale W.C., “The Peculiar Economics of Professional Sports, A Contribution to the Theory of the Firm in Sporting Competition and in Market Competition”, The Quarterly Journal of Economics, vol. LXXVIII, n. 1, 1964; Jones J.C.H., “The Economics of the National Hockey League”, The Canadian Journal of Economics,
32 settore secondo una prospettiva finanziaria e motivando le esenzioni alla normativa anti- trust statunitense, sia nella vendita di diritti televisivi sia nell’ingaggio dei giocatori più abili in quanto elementi della produttività.
Nel 1960, in conseguenza alla contrattazione da parte dell’AFL (lega delle squadre del Football americano) dei diritti televisivi, si sono innescate nelle leghe sportive una serie di problematiche sempre più comuni che hanno portato al riconoscimento di un particolare meccanismo (vendita centralizzata dei diritti di trasmissione)44, necessario per l’equilibrio competitivo delle società sportive professionistiche.
Questi principi, che appoggiano la particolarità dell’ambito delle discipline sportive rispetto ad altri settori dell’economia, si possono ritrovare in letteratura sia nel filone economico-industriale sia in quello di marketing.45 È la particolare organizzazione dell’attività infatti, cioè il tipo di articolo/prestazione che viene fornito, la peculiarità della lavorazione e la derivazione delle competenze ricercate, che porterebbe a stabilirne l’originalità e la specificità.46
In Europa solo agli inizi degli anni Settanta si trovano i primi studi su tale ambito; tuttavia risalgono a un decennio dopo una considerevole parte di contributi e collaborazioni, un periodo in cui si profilarono le prime disfunzioni nel quadro istituzionale delle discipline sportive professionistiche e i primi squilibri economici nelle federazioni sportive.
Questi studi si possono ricondurre a tre movimenti principali: il primo tratta in modo specifico l’andamento del mercato47; il secondo si occupa degli atteggiamenti delle società sportive e dei giocatori e vede una preponderanza di contributi di origine
1969; Noll R.C., “Government and the Sports Business”, Washington, Brookings Institution, 1974 e Scully G.W., “Pay and Performance in Major League Baseball”, American Economic Review, 1974.
44Per la normativa antitrust era vietata perché era considerato una specie di cartello tra società. In
questo caso si parla della suddivisione dei diritti televisivi. Il tema del revenue sharing e suddivisione dei diritti televisivi verrà trattato specificatamente nel secondo capitolo.
45 Adams, “The Structure of American Industry”, New York, Macmillan,1982.
46 Enis B.M. e Roering K.J., “Services Marketing: Different Products, Similar Strategy”, in J.H. Donnelly e
W.R. George, Marketing of Services, Chicago, American Marketing Association, 1-4, 1981.
47Tra gli studiosi che ci sembrano più significativi segnaliamo Sloane (1969) sui tentativi di
regolamentare il mercato, in particolare per quanto attiene alle relazioni di lavoro tra sportivi e società sportive (limitazioni dei salari, mobilità ridotta, controllo delle uscite totali delle società sportive per remunerazione di prestiti di atleti, natura dei contratti sul mercato del lavoro sportivo).
33 giuridica48 e il terzo raggruppa una serie di studi multidisciplinari sociologici, storici ed economico-industriali.
Dopo un breve accenno ai diversi aspetti che caratterizzano l’economia dello sport in termini generali, il punto di partenza per lo sviluppo successivo di questa tesi è la consapevolezza che lo sport può essere considerato sotto diverse forme; ossia può presentare caratteristiche sia di un bene di mercato sia relazionali. È necessario precisare che non è possibile distinguere le due forme in maniera netta, ma esse dovranno sempre coesistere nella “creazione” di prodotto sportivo a tutti i livelli. Il filone sul quale verterà la trattazione del secondo capitolo, parte da un vecchio studio in materia economica sul competitive balance, approfondendo la disciplina sportiva, in particolare quella di squadra, come bene di mercato.
Nel 1964, sul Quarterly Journal Of Economics, viene pubblicato un articolo di Walter Neale, il quale mette a confronto le particolarità delle società che intervengono nel campo dello sport. Neale evidenzia una prima caratteristica della disciplina sportiva, ovvero la creazione da parte delle società attive di un bene indissolubile congiunto.
"Le imprese sportive producono un prodotto indivisibile formato da processi separati di due o più imprese [...]. Ma il prodotto stesso è una miscela particolare: è divisibile in parti, ciascuna delle quali può essere venduta separatamente, ma è anche un prodotto
invisibile nel complesso e molteplice"49.
Per creare una competizione si deve fare in modo che ci siano almeno due concorrenti, in caso contrario non sarebbe possibile gareggiare. Qualsiasi studio o ricerca sportiva, quindi, non può trascurare di tener conto dell’interazione reciproca tra i diversi team. La lega sportiva che guida l’organizzazione degli incontri e non la singola squadra, diviene pertanto l’elemento di studio dell’economia in ambito sportivo. Secondo Neale, è la lega che può essere ricondotta alla classica società industriale determinando il risultato sportivo, ovvero provvedendo a stabilire i tornei. Al contrario di altri settori, in quello sportivo i singoli team sono impegnati a collaborare tra loro e ogni lega ha il completo controllo e svolge un ruolo di monopolio nell’offerta del singolo prodotto
48 Le principali tematiche affrontate in questo ambito sono le seguenti: società sportive e responsabilità
dei dirigenti, aspetti fiscali, statuto sociale dell’atleta, diritto all’immagine e monopolio delle federazioni, sponsorizzazioni, comportamento economico dello spettatore.
49 “The sporting firms produce an indivisible product form the separate processes of two or more firms
[…]. But the product itself is a peculiar mixture: it comes divisible in parts, each of which can be and is sold separately, but it also a joint and multiple yet indivisible product”. (Neale 1964, pag.2).
34 sportivo. È più probabile che ci possa essere una rivalità non tanto tra diverse società appartenenti alla stessa disciplina sportiva, bensì tra federazioni che realizzano attività diverse.
Secondo questa impostazione, una delle maggiori preoccupazioni di coloro che studiano l’economia in ambito sportivo risulta essere il principio di “competitive balance”, ovvero di equilibrio competitivo tra i diversi interpreti del prodotto sportivo.
Il concetto di equilibrio competitivo è strettamente correlato a quello dell’incertezza del risultato della competizione e rappresenta per il pubblico uno dei motivi di maggiore interesse nel mondo dello sport. Secondo questa teoria, quanto più un evento sportivo e le forze in campo sono equilibrate, tanto più sarà l’interesse che susciterà ai “clienti” di tale evento. La domanda da parte del pubblico perciò, è perciò proporzionale alla crescita dell’incertezza.
Uno dei primi a concepire tale idea fu Rottemberg50, prendendo in esame il campionato professionistico di baseball americano; ancora oggi il suo contributo, per qualsiasi confronto riguardo la pianificazione e l’organizzazione dei campionati o su come vengono distribuite le risorse economiche, rimane un punto di partenza per altri studi. Dalla teoria di Rottemberg derivano tre conseguenze ammesse nella letteratura nordamericana: una distribuzione diseguale di risorse tra le squadre causa uno sbilancio a favore dei team più ricchi nella competizione. Il secondo effetto riguarda una diminuzione dell’interesse da parte dei sostenitori (quindi una diminuzione della domanda), causato dalla disparità nella dotazione di risorse. Infine il livello di equilibrio competitivo può migliorare o peggiorare in base ai diversi stati di incertezza nel successo competitivo, che possono essere prodotti da molteplici meccanismi di distribuzione delle risorse.
Le soluzioni principali possono essere la ripartizione delle entrate tra i vari team e/o un “tetto stipendi” dei giocatori. Alle squadre, essendo responsabili dell’interesse della stessa lega, conviene collaborare tra loro per assicurare il maggior stato di incertezza. Risulta perciò indispensabile una collaborazione tra i team della medesima lega sportiva, favorendo così una maggiore domanda e, pertanto, maggiori profitti.
35 Questo modello trova applicazione, come si vedrà in seguito, soprattutto negli Stati Uniti ed un esempio di ciò, è la pianificazione del campionato professionistico americano di basket.
L’enfasi dell’economista sportivo Neale sulla relazione tra i team, viene subito criticata da Sloane51, il quale, nonostante sia in accordo sulla collaborazione tra le squadre, trova esagerato dare supporto all’idea che una grande cooperazione possa portare ad un’organizzazione così stabile da doverla considerare monopolio.
Il punto di osservazione delle ricerche economiche in ambito sportivo secondo Sloane, e più specificatamente nel calcio, è perciò la singola squadra.
Egli non ritiene universalmente adattabile il concetto massimizzazione dei profitti di una società sportiva. Altre finalità di una società sono la sopravvivenza, l’elogio da parte dei sostenitori, il buon esito durante le gare e la salvaguardia della propria lega sportiva.
Ciascuna finalità può avere una differente importanza rispetto alle altre. Sempre secondo Sloane, le aspettative di Neale e Rottemberg, sono spesso lontane dagli atteggiamenti e dalle alternative strategiche delle singole squadre: infatti molte di queste potrebbero realizzare i propri investimenti tenendo conto non del guadagno, ma della popolarità e del prestigio che deriva dal successo.
“È abbastanza evidente che gli amministratori e gli azionisti investono denaro in società di calcio non a causa delle aspettative di reddito monetario, ma per motivi psicologici, come il bisogno di potere, il desiderio di prestigio, la propensione a
identificare il gruppo e il suo senso di appartenenza52”.
Da questo punto di vista lo studio ha notevoli conseguenze in merito al competitive balance. Secondo Neale e Rottemberg, i team finanziariamente più ricchi non avrebbero l’incentivo ad acquistare il maggior numero di giocatori migliori del momento, per non ridurre la domanda da parte dei tifosi. Al contrario la pensa Sloane, secondo il quale l’idea di sistemare spontaneamente tramite la compravendita gli atleti migliori in modo da formare delle squadre abbastanza equilibrate, non è possibile.
51P.J.Sloane , The Economics Of professional football: The Football club as a utility maximize”, Journ. Of
Pol. Econ. vol 18, n.2, 1971, pag. 121-146.
52
“It is quite apparent that directors and shareholders invest money in football clubs not beacuse of
expectations of pecuniary income but for psychological reasons as the urge for power, the desire for prestige, the propensity to group identification and the related feeling of group loyalty”. (Sloane, 1971, pag.134).
36 Questa osservazione ha diviso la letteratura economica delle discipline sportive di squadra in due diversi filoni di studio: quello che ritiene che si cerchi di massimizzare i profitti e quello che punta l’attenzione sulla massimizzazione delle vittorie. L’equilibrio competitivo delle gare viene alterato inoltre, quando non tutte le società sportive cercano di massimizzare i profitti e pertanto anche i più generali studi effettuati su altre società sportive possono risultare ingannevoli. Nello specifico può esistere, oltre a differenti budget di risorse da investire in talenti, una causa di squilibrio dovuta ad obiettivi sportivi diversi tra i vari team.
Questo ragionamento si può benissimo attribuire alla situazione calcistica europea, contraddistinta dalle promozioni e retrocessioni di categoria. L’equilibrio competitivo dei diversi campionati viene modificato anche in base al differente sistema di regole; il calcio europeo è diverso, per esempio, dai principali sport americani, dove non sono previste diverse categorie di gioco. Uno dei principali elementi di studio è infatti la differenza tra le discipline sportive di squadra nordamericane e quelle europee.
Una domanda che si pone è in che modo si deve interpretare il motivo per cui una società non punta ad incrementare i profitti. Secondo gli studi tradizionali citati precedentemente infatti, le squadre sono anonime, appartenenti ad un campionato come bene strumentale per creare lo spettacolo o l’evento. In realtà, come si può notare dall’estrema importanza che ha assunto il “marchio” delle squadre ai giorni nostri, le società ricercano nella storia o nel legame che hanno con una determinata città, una specie di valore aggiunto, e quindi di particolare importanza nella pianificazione della propria strategia rispetto all’esclusiva ricerca di profitto. La rilevanza che può assumere una propria identità, inoltre, non è separabile dai consumatori e essa dai tifosi della squadra.53 Non a caso in letteratura sportiva vengono distinte due figure di consumatore: il tifoso committed, ovvero il vero tifoso di una particolare squadra; e il tifoso
uncommitted, cioè il tifoso occasionale, colui che segue lo sport senza un vero
coinvolgimento emotivo.54 Il vero sostenitore amante della propria squadra, predilige seguire una serie di competizioni equilibrate ma non troppo, e il suo interesse sarà rivolto verso il successo del suo team. Per tale motivo se vi è una prevalenza di questo
53 Montanari F., Baglioni S., “Il calcio tra contesto locale ed opportunità globali. Il caso del Barcellona FC,
Mes que un club”, Riv. Dir. Econ Sport, vol.3, n.2, 2007, 27-44.
54
Szymanski S., Income Inequality, “Competitive Balance and the Attractiveness of Team Sports: Some evidence and a Natural Experiment from English Soccer”, The econ. Journal., vol.111, n.469, 2001.
37 tipo di supporter, l’ipotesi dell’incertezza del risultato tende a non essere provata. In caso contrario, invece, con una prevalenza di tifosi uncommitted l’aumento della domanda può essere confermata attraverso l’incertezza del risultato.
Alla fine, dopo aver analizzato in questo primo capitolo i caratteri generali di come si è evoluta e come sta progredendo l’economia dello sport mondiale e avendo approfondito quali sono gli aspetti che condizionano le scelte delle società, se ne desume che per esaminare il mondo dello sport sia necessario tener conto di alcuni fattori, che caratterizzano le scelte di tutti gli altri attori e non soltanto alcuni meccanismi o norme specifiche che possano modificare le decisioni di questi ultimi. Andremo successivamente ad approfondire il concetto di Competitive Balance, le differenze tra i vari campionati e come questo può influenzare il comportamento degli interpreti coinvolti in tale sistema. L’appartenenza e i sentimenti di identità delle squadre, la strategia e l’impegno agonistico dei giocatori e l’atteggiamento dei consumatori, tuttavia, sono elementi che non possono prescindere da tale analisi e dovranno comunque essere presi in considerazione se si vorrà ottenere un quadro completo dell’equilibrio della competizione.
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CAPITOLO 2:
IL COMPETITIVE BALANCE
Introduzione
Il concetto di ‘equilibrio competitivo’ sarà al centro dei prossimi paragrafi. Questo capitolo dunque si propone di definire cosa si intende per competitive balance, analizzandone i principali meccanismi e metodi e/o misure di valutazione.
L’importanza di questo termine è legata all’ipotesi di incertezza del risultato proposta da
Rottemberg55, cioè che una maggiore incertezza dell’esito aumenta l’interesse per il
gioco e la lega. Se aumenta l’incertezza la teoria afferma che di riflesso anche la partecipazione all’evento aumenta con effetti positivi sulla domanda da parte del pubblico e degli sponsor: il rapporto ipotizzato implica quindi che un livello minimo di equilibrio competitivo è necessario in un campionato affinché questo possa essere finanziariamente sostenibile nel tempo.
Ancora oggi, dopo più di cinquant’anni dai primi studi di Rottemberg, il significato di equilibrio competitivo è confuso e incerto, anche se la domanda di che cosa si intenda davvero con questo concetto è stata un tema ricorrente nella letteratura economica. Questa nozione è complessa e multidimensionale (economico-finanziaria, sociologica) e ciò non è sorprendente, dal momento che è legata alla concorrenza e alla competitività; entrambi concetti difficili da definire con precisione e completamente al di là di descrizioni vaghe e generali. Tuttavia, non è soddisfacente, in questo ambito di ricerca, non dare una definizione comune accettabile di tale concetto.
Il primo paragrafo si concentrerà sulla definizione di un quadro concettuale (definizioni, letteratura, dimensione temporale e relazioni di concetto) dell’equilibrio competitivo e dell’incertezza dell’esito.
Nel secondo paragrafo verranno prese in considerazione le diverse metodologie di regolazione attuate nei campionati (con riferimento alle leghe chiuse tipiche americane) precisando l’applicazione di alcuni meccanismi e la loro introduzione, specialmente nei
39 quattro sport americani più importanti (NBA, MLB, NFL, NHL). Infine, nel terzo paragrafo, verranno esaminati in modo teorico i principali indicatori di equilibrio utilizzati nelle analisi empiriche ai fini di poter studiare il livello di competitività nel corso di un campionato o in più anni di gioco.