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3.2 Collettore in tecnologia 3D

3.2.2 Stampa 3D

Con Stampa 3D si intende la realizzazione di oggetti tridimensionali mediante produzione additiva, partendo da un modello 3D digitale. Nasce nel 1986 con la pubblicazione del brevetto di Chuck Hull, che inventa la stereolitograa. Col tempo si è evoluta e dierenziata, con l'introduzione di nuove tecniche di stampa e di numerosi materiali dalle caratteristiche meccaniche molto diverse. Le stampanti 3D, a partire da un le con un modello 3D realizzano una serie di porzioni in sezione trasversale che verranno poi stampate una sull'altra per creare l'oggetto in 3D. Proprio per questo motivo il driver delle stampanti 3D è detto slicer.

Figura 3.7: Una vista del workbench "sketcher" per la realizzazione di gure 2D. In particolare questa è la base della camera centrale per il prototipo H3L. Estru- dendo questa gura si ottiene una gura 3D non standard da integrare nel progetto principale.

Esistono diverse famiglie di stampanti 3D che dieriscono per tecnologia di stampa e materiali:

FDM (Fused Deposition Modeling): deriva da una tecnologia storicamente applicata nella saldatura di fogli plastici e nella applicazione automa- tizzata di guarnizioni polimeriche. Alla scadenza del brevetto, questo è stato adattato per lavorare su un piano cartesiano ed è diventato un oggetto commerciale. La stampa viene realizzata attraverso un ugello riscaldato che deposita un polimero fuso, strato dopo strato, per creare la geometria del pezzo. Grazie alla possibilità di variare la temperatura di ugello esistono molti materiali dierenti con cui si può stampare, ma i due materiali più utilizzati sono il PLA (Acido polilattico) e l'ABS (acrilonitrile-butadiene-stirene). L'ABS è più resistente e essibile del PLA ma più complesso da stampare a causa della sua maggiore tempe- ratura di fusione richiesta. L'ABS inoltre emette fumi potenzialmente dannosi per l'uomo mentre il PLA no, o comunque in misura molto mi- nore. Col metodo FDM la stampa avviene dal basso verso l'alto, con un susseguirsi di deposizioni. I modelli di stampanti migliori possiedono anche un piatto riscaldato che permette di rallentare la solidicazione del materiale e di migliorare così il rendimento della stampa, special-

Figura 3.8: Esempi di stampanti commerciali a tecnologia FDM e SLA.

mente nei primi strati. Per stampare l'ABS questa tecnologia è richiesta obbligatoriamente.

Questo tipo di stampanti è in assoluto il più diuso, anche se non hanno una risoluzione molto alta. Modicando la grandezza dell'ugello e degli ingranaggi che ne permettono il movimento lungo le 3 direzioni si può aumentare la risoluzione, ma la deformazione che subisce il materiale durante la solidicazione resta un errore sistematico della tecnologia. Nell'immagine a sinistra di gura 3.8 è mostrata una tipica stampante FDM.

SLA (Stereolitograa): la stampa viene realizzata attraverso la solidica- zione di una resina liquida fotosensibile con un laser. Grazie ad un processo fotochimico, i monomeri presenti nella resina vengono colpiti da un laser e solidicano in polimeri no a comporre uno strato del- l'oggetto. Al contrario delle FDM nelle stampanti SLA c'è un supporto mobile che si sposta verso il basso e si immerge nel liquido anché il primo strato polimerizzato abbia una supercie a cui aderire. Quando il laser ha completato lo strato da polimerizzare, il supporto si alza per far sgocciolare eventuale resina rimasta attaccata, per poi reimmerger- si nel liquido per permettere la realizzazione dello strato successivo. Nell'immagine a destra di gura 3.8 è mostrata una tipica stampante SLA.

SLS (Selective Laser Sintering): la stampa è realizzata attraverso la fusione selettiva di materiale granulare in maniera simile alla SLA, ma senza la necessità di estrarre e reinserire l'oggetto all'interno del materiale di stampa liquido che qui invece è granulare. In questo modo il mezzo non fuso serve anche a sostenere le sporgenze nella parte che viene prodotta

Figura 3.9: A sinistra un dettaglio di stampa con tecnologia FDM, a destra lo stesso componente realizzato in SLA

riducendo il bisogno di supporti ausiliari temporanei, necessari invece nelle altre due tecnologie per realizzare eventuali parti sospese che non poggiano bene sulla base dell'oggetto. La stampa di materiali metallici attualmente si può realizzare solo con questa tecnologia con un processo detto DMLS (Direct Metal Laser Sintering).

In g. 3.9 è mostrato un confronto al microscopio tra FDM e SLA. Con- siderando la relazione che lega un usso alla dimensione del canale in cui scorre: G = Q ∆P = k ρ ρ0 π 128 D4 e µL (3.1)

si nota come il usso dipenda dal diametro equivalente (De) alla quarta

potenza. L'errore dovuto ad un canale non omogeneo comporterebbe un notevole errore nella lettura del usso. Per questo motivo, e per la loro maggiore risoluzione, la nostra scelta è caduta sulle stampanti di tipo SLA. In particolare è stata utilizzata la Form2 della Formlabs, presente presso i laboratori del gruppo "FabLab - Creiamo in 3D" dell'Università di Pisa.

Tra i parametri più interessanti delle stampanti SLA c'è la dimensione del laser e la risoluzione nelle tre coordinate. Per quanto riguarda la risolu- zione lungo z, questa è data dalla minima altezza dello strato che si riesce a realizzare, e per la Form2 va tra i 25 e i 300 µm in funzione del materiale. La nostra stampa è avvenuta con una risoluzione verticale di 50 µm per non gravare eccessivamente sui tempi di realizzazione. Per quanto riguarda la dimensione dello spot del laser, questa è di 140 µm, di conseguenza la più piccola unità stampabile avrà le stesse dimensioni. Nei modelli successivi la FormLab ha già installato laser da 85 µm. La risoluzione XY invece dipen- de direttamente dalla precisione degli specchi galvanometrici che puntano il

Figura 3.10: Per testare la risoluzione xy della Form2 si può disegnare un modello con delle righe la cui dimensione varia da 10 a 200 µm e valutare otticamente dove le righe diventano visibili.

laser nel materiale, e per la Form2 è di circa 50 µm. In realtà questo para- metro è molto dicile da calcolare, si preferisce eseguire un test come quello mostrato in g. 3.10. E' possibile infatti disegnare canali con diversi angoli e diversi spessori per poi valutare praticamente da che punto in poi questi diventano eettivamente visibili sulla stampa di prova.

I laboratori FormLab orono un'ampia varietà di resine liquide con cui operare le loro stampanti che dieriscono per proprietà del materiale e costo. Per la nostra stampa abbiamo optato per una delle più utilizzate, ovvero la Resin Clear versione 04, una resina trasparente, ottima per valutare la qualità di stampa dei piccoli canali interni alla struttura.

Dal punto di vista chimico è una resina fotoreattiva composta da un misto di esteri dell'acido metacrilico e di fotocatalizzatori. In g.3.11 sono riportate le principali caratteristiche meccaniche di oggetti realizzati in questa resina. Ovviamente alcuni di questi parametri varieranno in funzione della geometria di stampa, delle impostazioni della stampante e della temperatura.

Altre resine commerciali presentano proprietà diverse: alcune sono colo- rate, come la Resin White, altre hanno particolari proprietà strutturali come la Resin Tough o la Resin Flexible. Altre ancora presentano compatibilità con diversi materiali come ad esempio la Resin Dental che è compatibile con

Figura 3.11: Proprietà meccaniche del Resin Clear 04, appena stampato e dopo le operazioni di postprocessing.

i tessuti biologici.

Esistono inoltre due tecnologie di post-processing per la stampa SLA, il Form-Wash e il Form-Cure (in g. 3.12). I problemi principali che si vogliono risolvere sono due: una supercie degli oggetti spesso troppo rugosa e la presenza di parti non polimerizzate internamente all'oggetto che ne alterano le proprietà meccaniche.

Il Form-Wash permette di eseguire un bagno di vapori di IPA (alcool isopropilico) per un tempo impostato dall'utente. I vapori vengono fatti cir- colare attorno all'oggetto posizionato al centro. L'alcool ha la proprietà di smussare le imprecisioni di stampa. Ad ogni struttura stampata abbiamo applicato questo post-processing per 20 o 30 minuti, per smussare le impre- cisioni dei canali interni e per pulirli il più possibile da eventuali depositi di resina non polimerizzata. La tabella 3.13 riporta l'aumento di peso percen- tuale di un cubo di 1 cm3 di Resin Clear 04 immerso in diversi solventi. Dai

dati è evidente che solo l'acetone e L'HCl concentrato riescono a rompere o deformare il componente mentre quasi tutti gli altri solventi causano un aumento del peso di meno dell'1%. Terminato il bagno conviene far asciugare per 30 minuti l'oggetto per assicurarsi che i vapori di alcool siano evaporati e l'oggetto bene asciutto.

Figura 3.12: Il Form-Wash e il Form-Cure della FormLab, due apparecchiature commerciali per eseguire i post-processing più comuni per le resine polimerizzate.

rizzanti con lo scopo di polimerizzare anche eventuali piccole aree interne alla stampa che non sono state illuminate perfettamente dal laser in fase di stampa. L'oggetto viene fatto ruotare su di un piano per illuminare la struttura in ogni punto. Dopo questo trattamento il materiale ottiene un incremento in molti dei suoi parametri meccanici. Poiché la nostra strut- tura non ha necessità di sopportare stress meccanici non abbiamo eseguito questo post-processing, anche per evitare il solidicarsi di eventuale resina non polimerizzata all'interno dei piccoli canali millimetrici presenti nei nostri modelli.

Figura 3.13: Aumento di peso percentuale che un cubetto di 1 cm3 di Resin Clear

Figura 3.14: Una vista del collettore dall'alto e una di lato in visualizzazione "reticolo".

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