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Stati d’ansia, stress, disturbi del sonno, aumento delle difese

personali e depressione 17

N.P. 16

0 50 100

NO SI

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CONCLUSIONI

La reazione violenta degli utenti nei confronti degli operatori dei sevizi sociali è plurideterminata e nell’analizzarla non si è ritenuto corretto estrapolarla dal contesto di riferimento. L’intenzione di fondo della ricerca, è di mettere a fuoco le problematiche negli uffici di servizio sociale municipali di Roma Capitale, e elaborare una sintesi di aspetti e di complessità interagenti. Emerge con chiarezza, l’importanza di identificare quei fattori o quelle condizioni correlabili con l’insorgenza di una reazione violenta per cercare di prevenire il fenomeno e ampliare la conoscenza dei professionisti del sociale e delle Autorità competenti. Questo documento presenta infatti, la sua natura provvisoria e i dati possono essere interpretati in maniera diversa e possono essere aggiornati con ricerche future.

Dall’elaborazione dei dati, sono state individuate alcune circostanze e possibili fattori che favoriscono la comparsa acting out3 all’interno del servizio sociale territoriale. Di seguito, verranno presentate delle semplificazioni e delle riflessioni su ciò, non con la pretesa di stilare una rappresentazione esaustiva e conclusiva, ma con l’obiettivo di comprendere il fenomeno ed essere punto di partenza per altri studi e per una progettazione volta a migliorare la qualità dei servizi e l’ambiente di lavoro degli operatori dei servizi sociali. Si è cercato innanzitutto di indagare sulla possibile diversa percezione del fenomeno da parte delle Posizioni Organizzative e degli Assistenti Sociali, sul fatto che occupare posizioni diverse e svolgere ruoli differenti può indurre ad una visione discordante degli episodi di violenza. Per rispondere a questo interrogativo e raggiungere lo scopo, si sono confrontate le risposte date dalle due rilevazioni, tenendo ovviamente in considerazione il fatto che lo strumento di indagine utilizzato e il numero dei soggetti intervistati è diverso, per questo la nostra considerazione è di carattere generale e si propone di verificare se persone che ricoprono ruoli diversi negli stessi uffici di servizio sociale possano avere percezioni analoghe o completamente diverse sulla stessa problematica.

Riassumendo, le aggressioni più ingestibili e fuori dal controllo dell’operatore, sono state messe in atto da utenti che presentano “caratteristiche problematiche”: tossicodipendenza e disturbi psichiatrici.

Per una migliore trattazione del caso e per offrire una accoglienza adeguata, si ritiene più opportuno uscire dal contesto amministrativo comunale e accogliere l’utenza in un setting neutrale, adatto alle caratteristiche problematiche dell’utenza di natura sociosanitaria, maggiormente idoneo a gestire possibili reazioni e, con molta probabilità a evitare/prevenire il verificarsi di episodi di questo tipo.

Le altre circostanze in cui si sono verificati con più frequenza questi episodi, riguardano i casi in cui l’utente che accede ai servizi sociali percepisce un attacco ai propri affetti e alla capacità genitoriale. Si tratta dei casi multiproblematici in cui sono presenti i minori, dei casi di affidamento ai servizi sociali da parte del Tribunale per i Minorenni con o senza limitazioni della potestà genitoriale, dei casi in cui invece interviene la sospensione della potestà genitoriale e l’allontanamento del minore dal nucleo familiare con

3 L’acting-out aggressivo è da intendersi come l’estrinsecarsi concreto di un’aggressione fisica, di un comportamento minaccioso o di un abuso verbale. Definizione di Renata Fenoglio, Laura Nardi, Adriana Sumini, Aurelia Tassinari (2012), L’aggressività nei servizi sociali: analisi del fenomeno e strategie di fronteggiamento. Cfr. p. 19

38 conseguente collocazione in una famiglia affidataria o in struttura. Quindi, “non sempre, i diretti

interessati sono in grado o desiderano attivare il servizio sociale con richieste di aiuto spontanee”4, non sempre richiedono in maniera esplicita aiuto e molto spesso non accettano le decisioni del Tribunale; si mostrano diffidenti nei confronti dell’assistente sociale perché percepita erroneamente come figura di controllo e una minaccia per l’integrità familiare. Tutto ciò, condiziona fin dall’inizio la creazione di una relazione di aiuto basata sulla fiducia, e provoca distorsioni nella comprensione delle comunicazioni;

spesso infatti i genitori e i familiari del minore intralciano il lavoro dell’assistente sociale e sono in disaccordo con le valutazioni frutto di indagini psicosociali, vissute più come ispezioni.

Un’altra circostanza correlata alle aggressioni nei confronti degli operatori è la percezione da parte degli utenti di lesione dei propri diritti, o di subire ingiustizie da parte della Pubblica Amministrazione, come nel caso di tutti coloro che si rivolgono ai servizi sociali per chiedere contributo economico in varie forme o alloggi popolari. Il problema della carenza delle risorse o dei tempi della burocrazia, viene vissuto dai cittadini come lesione di diritto.

Le risposte che possono tamponare alcune emergenze, ma non essere risolutive delle gravi e strutturali situazioni di disagio riportate dai cittadini, non appaiono come “mitigatori” della rabbia che si riversa sul personale tecnico, e anche su quello amministrativo, spesso vissuto come regolatore dell’erogazione di risposte.

La terza condizione, che è stata segnalata in questa sede, riguarda la coincidenza di impedimenti a conseguire degli obiettivi con l’eccesso di attesa nelle liste, e/o le aspettative deluse dovute ad errate o incomplete informazioni in possesso del cittadino. Le persone che per la prima volta si rivolgono ai servizi, arrivano cariche di emotività, di speranze ma spesso anche di informazioni non corrette e grandi aspettative. Sempre più spesso entrano in contatto con operatori con elevato carico di lavoro, costretti a fissare l’appuntamento per il primo colloquio dopo due settimane o oltre, tempo che a volte è percepito come troppo lungo.

Dai dati emersi dalla ricerca nei municipi romani e rappresentati nelle ultime tabelle, si può facilmente notare come coloro che denunciano nelle loro strutture “moltissimi e molti” episodi violenti descrivono anche contesti in cui sono insufficienti le risorse economiche, strutturali e di personale, dove i servizi non sono in linea con la domanda, in cui mancano spazi che garantiscono la privacy e idonei setting di accoglienza, e in cui vi è un eccesivo carico di lavoro. Viene segnalata, inoltre, l’assenza di programmi di prevenzione, di formazione per gestire acting out, del personale di sicurezza, e di entrate controllate o sicure.

Una riflessione specifica dei ricercatori ha avuto come oggetto il riscontro quantitativo delle risposte alla rilevazione sugli assistenti sociali.

Il questionario rivolto agli assistenti sociali dipendenti che lavorano presso il Comune di Roma Capitale, definito universo statistico o collettivo statistico, ha ottenuto solamente 92 risposte, contro circa 180 assistenti sociali che non hanno partecipato.

Ciò può far supporre che : a) il periodo estivo non ha favorito la partecipazione a causa delle ferie e quindi del restringimento del tempo a disposizione; b) i carichi di lavoro non hanno permesso di fruire

4 S.Ardesi e S.Filippini (2008), Il servizio sociale e le famiglie con minori. Ed. Carocci.

39 dell’opportunità di dedicare un po’ di tempo alla rilevazione; c) la sfiducia nella ricerca e nella possibilità

reale di sollecitare dei cambiamenti significativi, ha ridimensionato le adesioni; d) l’assimilazione degli episodi violenti a “incidenti professionali” insiti nell’esercizio della professione, non aiuta a decodificare in maniera diversa quanto accade; e) chi non è mai stato protagonista di tali eventi, non ha ritenuto dover rispondere al questionario; f) non avere assegnata una postazione informatica non ha permesso di partecipare alla rilevazione. Queste, naturalmente rimarranno supposizioni che potranno essere confermate o meno, solo con un confronto ex post in sede di plenaria di Coordinamento Assistenti Sociali.

Un aspetto collegato al precedente punto d) e che ci da una qualche conferma, è che nel questionario era stato richiesto di indicare il numero di episodi di violenza subita, ma con fatica e da poche persone è stata fatta tale quantificazione, in quanto sugli episodi di violenza, in particolare quella verbale, spesso il ricordo sfuma, vivendoli sempre più spesso come un aspetto della quotidianità dei servizi sociali.

Sulla quantificazione di episodi di violenza di cui si era a conoscenza, poi, emerge il dato discordante con le Posizioni Organizzative che hanno invece una visione complessiva del servizio, e sono più in grado di individuarne l’esatta misura.

Sulla identità professionale delle vittime, il riscontro è invece concordante: gli assistenti sociali sono le vittime più colpite, seguono gli amministrativi, quindi gli psicologi.

Per quanto riguarda le tipologie di violenza più frequenti, sia i questionari che le interviste, riportano in primo luogo le violenze verbali, seguite dalle minacce e dalle violenze verbali e fisiche, con una indicazione minima di violenze fisiche e stalking. Spesso è stata data come risposta anche “altro” senza specifica, mentre nelle interviste l’“altro” è stato identificato con episodi in cui l’utente ha danneggiato mobili e suppellettili dell’ente.

Il luogo degli episodi individuato è preminentemente quello degli uffici, anche se un numero consistente viene riferito in Tribunale, il che lascia pensare che quel luogo non appare come “deterrente”

idoneo a frenare l’aggressività.

Dai dati emersi dalla ricerca, è nei colloqui di approfondimento che si verificano più frequentemente le violenze, ma altrettanto frequenti sono anche quelli accaduti nei colloqui di restituzione, nel primo colloquio e per telefono/mail. A differenza delle P.O. , gli Assistenti sociali segnalano episodi avvenuti anche nelle visite domiciliari e in altri contesti che purtroppo, non sono stati descritti dettagliatamente.

L’autore tratteggiato da entrambe le categorie di intervistati, appartiene prevalentemente al genere maschile ed è adulto e spesso genitore; sono stati indicati anche casi in cui l’autore delle aggressioni è stata una donna.

Un dato che sicuramente necessita di riflessione è la dichiarazione da parte degli operatori dei servizi sociali di percepire alto e medio il rischio di aggressione. Questo infatti potrebbe condizionare il comportamento degli assistenti sociali e influenzare la loro performance professionale, e sollecitare un intervento di sicurezza nell’ambiente di lavoro. Le Posizioni Organizzative si erano fatte portavoce del malessere degli operatori, indicando che gli operatori percepiscono alto il rischio di aggressione da parte dell’utenza. Tuttavia, diversamente dalle risposte date nelle interviste, gli assistenti sociali nei questionari dichiarano di essere poco o per nulla informati sui rischi e sulle metodologie di supporto.

40 È stato chiesto, poi ad entrambe le figure di intervistati se venisse dato adeguato supporto, gli

assistenti sociali, avendo un questionario chiuso hanno indicato quasi tutti un categorico no, mentre le Posizioni Organizzative nelle interviste hanno parlato di un supporto informale tra colleghi. Tutti gli operatori, assistenti sociali e Posizioni Organizzative, hanno dichiarato di aver un eccessivo carico di lavoro.

Nell’ultima sezione, presente solo nel questionario, il problema della violenza contro gli operatori nei servizi sociali è consistente, perché 66 intervistati hanno dichiarato di aver subito violenza sul lavoro e con conseguenze sulle loro prestazioni professionali, sulla loro personalità e nella vita privata.

Per concludere riteniamo di dover specificare di aver scelto la ricerca di servizio sociale, in quanto possiede una sua prospettiva specifica data dalla conoscenza per operare .

Si inserisce quindi in ciò che in letteratura è chiamata Practice Research, ricerca per orientare la pratica, che intende contribuire allo sviluppo della professione in quanto generativa della specifica conoscenza ed expertise di servizio sociale. L’indagine è stata dinamica, connessa al contesto operativo e partecipata, si è sviluppata infatti con il confronto aperto tra mondo accademico e servizi sociali di Roma Capitale, e ha visto il coinvolgimento di ricercatori, docenti, assistenti sociali e personale amministrativo.

Questo approfondimento, inoltre, vuole offrire una base di conoscenze utili a sollecitare positivi cambiamenti volti a migliorare un ambito di lavoro particolare e delicato.

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