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Lo Stato multilivello e l‟ultima riforma del lavoro pubblico Dai criteri ed

La bipartizione organizzazione/rapporto di lavoro non è stata subito recepita dal legislatore se si considera che la legge n. 145 del

2002 (c.d. legge Frattini)123, con la quale sono state introdotte, anche se

limitatamente al lavoro dirigenziale, le prime modifiche al d.lgs n. 165 del 2001, ambito nel quale raggiunge maggiore intensità l‟intreccio tra organizzazione e rapporto di lavoro, pur emanata a distanza ravvicinata dall‟intervenuto mutamento del quadro costituzionale, non pare

costituzionalità dei vincoli dettati dallo Stato alle Regioni con finalità di coordinamento della finanza pubblica, anche il loro preventivo coinvolgimento in una procedura a carattere partecipativo (sentenza n. 390 del 2004). Su questi aspetti Mastinu E.M., Il lavoro alle dipendenze delle

amministrazioni regionali nel Titolo V della Costituzione, in RGL,2007, pag. 371 e ss.

123 La legge n.145 del 15 luglio 2002 conteneva disposizioni per il ripristino della dirigenza statale e

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prenderne atto. Lasciando, di conseguenza, all‟incertezza dell‟interprete la soluzione circa l‟afferenza delle novità così introdotte alla sfera del mero contratto di lavoro o a quella ordinamentale e, in quest‟ultima

ipotesi, non produttive di effetti vincolanti nei confronti delle regioni124.

Appaiono, in tale prospettiva, significative, invece, le previsioni contenute nella legge delega n.15 del 2009 “finalizzata all‟ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e all‟efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”, successivamente, attuate con il d.lgs. n.150 del 2009 (sul versante mediatico, meglio noto quale riforma “Brunetta” dal nome del Ministro per la Pubblica Amministrazione e l‟Innovazione che l‟ha sostenuta), con la quale, si è aperta una nuova stagione della privatizzazione del lavoro pubblico,

considerata la natura “organica” della riforma125, secondo la definizione

124 Sul punto, si veda Zoppoli L., La (piccola)”controriforma”della dirigenza nelle amministrazioni

pubbliche non statali: prime riflessioni critiche, in LPA, 2002,6,pag. 911e ss., il quale effettua una

ricognizione degli aspetti della legge n. 145 del 2002 che, secondo un criterio di “prevalenza”, andavano ricondotti alla dimensione organizzativa. Per limitarci solo ad alcuni esempi: le modifiche introdotte nel testo dell‟art. 19 del T.U.P.I. circa le modalità e la forma del conferimento dell‟incarico dirigenziale e l‟ individuazione di limiti per il conferimento di incarichi a dirigenti esterni; l‟inserimento nell‟art. 17 del T.U.P.I. del comma 1bis in merito alla delegazione di poteri dirigenziali o le modifiche, inserite nell‟art. 21del T.U.P.I. in tema di responsabilità dirigenziale .

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Il processo di privatizzazione del pubblico impiego si è concretizzato in un susseguirsi di interventi normativi che, sino ad oggi, non può neppure definirsi concluso,considerato che anche il decreto Brunetta ha già subito un intervento correttivo con il d.lgs. n. 141 dell‟1.8 2011 ed avendo le manovre finanziarie di luglio ed agosto del 2011 dettato nuove norme in materia di lavoro pubblico, accreditando l‟idea che la materia si configuri come un “cantiere aperto”. In tal senso, Bellavista A., in Il decreto correttivo della riforma Brunetta e il “cantiere aperto”del lavoro pubblico, in Il lavoro nella giurisprudenza , 2011, 12, pag. 1185 e ss. Per grandi linee, all‟interno di tale processo, si individuano, una prima fase, risalente al periodo 1992-1993, culminata nella redazione del d.lgs. n. 29 del 1993 alla quale va attribuito il merito di aver traghettato il lavoro pubblico nell‟ambito della disciplina del codice civile e di una regolamentazione fondata su contratti individuali e collettivi; una successiva fase, c.d. “seconda privatizzazione”, che trae origine dal processo di decentramento attivato dalla prima delle leggi Bassanini (la n. 59 del 1997) e che si è espressa attraverso i decreti legislativi n. 396 del 1997 e nn. 80 e 387 del 1998, le cui modifiche ed integrazioni più rilevanti apportate al d.lgs. n. 29 del 1993, appaiono la privatizzazione della “micro-organizzazione” e la estensione della contrattualizzazione alla dirigenza generale. Il d.l.gs. n. 29 del 1993 con le successive modifiche è, poi, confluito nell‟attuale d.lgs. n. 165 del 2001, considerato una sorta di testo unico del lavoro pubblico, esposto anch‟esso, a successivi interventi, tra i quali, il più rilevante è rappresentato dalla legge n. 145 del 2002 in tema di rapporto dirigenziale. Con la legge delega n. 15 del 2009 ed il d.lgs. n. 15 del 2009, può ritenersi aperta una nuova fase di riforme del d.lgs. n. 165 del 2001, concepita all‟interno di un progetto di riforma complessivo della pubblica amministrazione, particolarmente sostenuto dal Ministro della Funzione Pubblica, la cui natura di “organicità”, come esplicitato nel testo, è espressamente dichiarata dal legislatore.

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contenuta nell‟art.1 del medesimo decreto che ne delinea l‟oggetto e le finalità.

Consapevole della dinamica relazionale Stato-Regioni scaturita dalla modifica del Titolo V della Costituzione, il legislatore prende atto che un intervento riformatore di largo respiro, ispirato ad una ideologia meritocratica in funzione di una migliore utilizzazione delle risorse umane, non possa non incidere su ambiti di potestà multilivello, riguardando non solo il rapporto di lavoro ma anche il funzionamento delle pubbliche amministrazioni.

Una prospettiva regionalistica non appariva più eludibile, considerato, anche, che il riformatore, intervenendo sull‟assetto delle fonti regolative, mediante una disposizione della legge delega, dagli effetti immediati e non rinviati al successivo decreto attuativo, “rilegifica” il lavoro pubblico, invertendo il rapporto di forza legge/contratto stabilito dall‟ art. 2 del d.lgs.n.165 del 2001. La contrattazione collettiva viene, infatti, espropriata della capacità di disapplicare le norme di legge in materia qualora non sia dalle medesime autorizzata (“solo qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge” prescrive il rinnovato art. 2, 2 comma, secondo periodo), passandosi dalla regola della derogabilità generale da parte della fonte contrattuale, salvo esplicito divieto, alla regola della inderogabilità della fonte

unilaterale, salvo esplicito consenso126.

126 Si riporta, per un miglior raffronto, il testo del previgente art. 2, 2 comma, secondo periodo, del

d.lgs. n. 165 del 2001: “Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata non sono ulteriormente applicabili, salvo che la legge disponga espressamente in senso contrario”ed il testo modificato dal decreto “Brunetta”: “Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro …..possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, solo qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge”. A sancire la compressione della fonte contrattuale a fronte di un rafforzamento della fonte unilaterale, interviene anche la dichiarata natura di norme imperative del d.lgs. n. 165 del 2001 (art. 2, 2 comma, primo periodo) e la prevista

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Una “ricentralizzazione” normativa del rapporto di lavoro rischiava, invero, di incidere“ex se” sulla potestà residuale regionale ex art. 117, 4 comma Cost. qualora la rilegificazione avesse assunto il significato di “ripubblicizzazione”, con conseguente riconduzione della

disciplina del lavoro nella dimensione organizzativa127.

Opzione che appariva, in fondo, smentita dalla “mission” che si era posto il delegante, cioè “la convergenza degli assetti regolativi del lavoro pubblico con quello del lavoro privato” (art.2, 1 comma) o dai principi e criteri dal medesimo espressi in merito alla contrattazione collettiva che preludevano ad una sua riforma “in coerenza con il settore privato” (art. 3, 2 comma lettera h). E, nel contempo, non si palesava compatibile con la previsione contenuta nell‟art. 3,1comma della medesima delega, che rimetteva gli ambiti di disciplina non “contrattualizzati” alla legge ma anche ad atti organizzativi ed all‟autonoma determinazione dei dirigenti che esercitano i poteri del datore di lavoro pubblico (in tal senso si esprime l‟ art. 6, 2 comma) il quale, secondo le prescrizioni contenute nel previgente art. 5, 2 comma

sostituzione automatica delle clausole contrattuali contrarie a norme imperative secondo il disposto dell‟art. 1339 e 1419 c.c.( art. 2, comma 3-bis).

127 La riappropriazione da parte della fonte legislativa del lavoro pubblico è stata intesa, in sede

dottrinale, non in funzione di una “re-amministrativizzazione” della disciplina del rapporto bensì di una sua sottrazione alla contrattazione alla quale vanno riservati alcuni ambiti (la delega già attribuisce, quale ambito esclusivo, “la determinazione dei diritti e delle obbligazioni”). La legge, gli atti organizzativi adottati dall‟amministrazione in sua attuazione, le determinazioni dirigenziali, alle quali si riferisce il legislatore delegante, all‟atto di individuare una nuova ripartizione tra fonte unilaterale e fonte contrattuale (art.3,1comma), non perdono, pertanto, la loro natura di norme e di atti di natura privatistica. In tal senso, Caruso B., Gli esiti regolativi della “riforma Brunetta”(come

cambia il diritto del lavoro nelle pubbliche amministrazioni), LPA, 2/2010, pag. 235 e ss. il quale

sostiene che più di una rilegificazione si dovrebbe parlare di una “rifocalizzazione intorno alla legge” che pone fine “alla stagione del pan contrattualismo”(pag. 268), frutto della seconda privatizzazione. Tra gli altri, Zoppoli L., Il ruolo della legge nella disciplina del lavoro pubblico, in Ideologia e Tecnica nella riforma del lavoro pubblico”, 2009, pag. 24, ad avviso del quale ”la vera questione non è quella giuridico-formale (pubblico o privato) bensì quella di rendere quanto più possibile unilaterale il potere di regolare e gestire il lavoro pubblico” ma anche Bellavista A. e Garilli A., Riregolazione

legale e de contrattualizzazione: la neoibridazione normativa del lavoro nelle pubbliche amministrazioni, LPA, 1/2010, pag. 1 e ss. sostengono che il nuovo assetto regolativo sia sintomatico

di “una sorta di fiducia nella legge e di completa sfiducia nella capacità della contrattazione collettiva di garantire gli interessi pubblici coinvolti nella gestione del personale” nonché, TalamoV., Pubblico

e privato nella legge delega per la riforma del lavoro pubblico, in WP C.S.D.L.E. “Massimo

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del d.lgs. n. 165 del 2001 (e confermate dalle modifiche successivamente intervenute), opera bensì “con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro” e non mediante atti amministrativi.

Una prospettiva federalistica è percepibile nelle prime direttive contenute nella delega,e, specificatamente, nell‟ art. 2, 4 comma che onera il legislatore delegato ad individuare le disposizioni che dovrebbero assumere immediata efficacia vincolante nei confronti delle Regioni in quanto “rientranti nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell‟art. 117, secondo comma, della Costituzione”. Norma nella quale sono comprese materie connesse con il tema della riforma, quali l‟ordinamento civile ed i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, considerata, in quest‟ultima ipotesi, la rilevanza che assume, tra le finalità perseguite dalla riforma, la istituzione di un sistema di valutazione delle strutture e del personale diretto a garantire all‟utenza servizi conformi a determinati standards qualitativi (si rinvia, a tal fine, ai criteri espressi in seno alla delega dall‟art. 4, 1 e 2 comma lett.a).

Al decreto attuativo, l‟art. 2, 4 comma della legge delega pone, altresì, quale criterio direttivo, la individuazione delle disposizioni contenenti i “principi generali dell‟ordinamento giuridico” ai quali devono adeguarsi le regioni (e gli enti locali) nell‟esercizio della propria autonomia normativa: formula che, stando al riparto di competenze costituzionalmente sancito, rinvierebbe ad aree di competenza concorrente, tra le quali, in primis, “il coordinamento della finanza pubblica”, suscettibile, come sottolineato, di invasione nei profili pubblicistici del lavoro, cioè quelli interconnessi ancora con l‟assetto organizzativo.

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Il rispetto del riparto di competenze tra Stato e Regioni, non ha, nel quadro complessivo della riforma, acquisito, però, la medesima valenza di altri suoi aspetti significativi, considerato che alla Conferenza Unificata (cioè, Stato/Regioni e Stato/ città/autonomie locali), alla cui previa intesa è stata condizionata l‟adozione delle disposizioni che costituiscono l‟ossatura del futuro decreto (quali il nuovo assetto regolativo legge/contratto; i sistemi di valutazione; la valorizzazione del merito e la dirigenza) è stato, al riguardo, richiesto solo un mero

parere128, privo, in quanto tale, di efficacia vincolante.

La relazione tra le potestà multilivello è stata, quindi, sottratta ad una scelta “concertata” che si sarebbe profilata proficua considerato che la Consulta, proprio in ipotesi di concorrenza di competenze, usa richiamare gli attori istituzionali all‟osservanza del principio di leale collaborazione ed al necessario esperimento, in una logica di regionalismo cooperativo, di un previo procedimento che coinvolga gli enti territoriali interessati.

A parte le criticità procedurali, la prospettiva federalistica non si estende al di là delle direttive indicate nell‟art. 2, 4 comma della legge n. 15 del 2009, avvertendosi, alla luce di un esame complessivo del testo normativo, sul piano del rapporto di lavoro, la volontà di omologare il regime del personale alle dipendenze delle pp.aa., intendimento, peraltro, semplificato dall‟implicito consenso, fornito dal delegante

128 Il legislatore delegante, in ragione dell‟incidenza della riforma sul lavoro pubblico e su aspetti

strutturali ed organizzativi delle pp.aa., aveva richiesto la previa intesa, come esplicitato nell‟art.2, 2 comma della legge n. 15 del 2009, in riferimento all‟attuazione delle disposizioni concernenti: il nuovo assetto regolativo tra legge e contratto sulla disciplina del lavoro pubblico (art. 3, 2 comma lett.a) nonché la valutazione delle strutture e del personale, la valorizzazione del merito e la dirigenza pubblica (artt. 4,5,6). Prescrivendo per le restanti disposizioni, e, quindi, anche per la questione, in sé primaria, dell‟afferenza delle disposizioni alle competenze di Stato e Regioni, il previo parere. Tale incongruenza era stata rilevata, all‟indomani della legge delega, da Carinci F., La privatizzazione del

pubblico impiego alla prova del terzo Governo Berlusconi: dalla l .n.133/2008 alla l.d. n.15/2009 in

W.P. C.S.D.L.E. “Massimo D‟Antona” 88-2009 in www.lex.unict.it (pag.16) e da Salomone R., La

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nell‟art. 3, 1 comma e 2, comma lett.a, alla sottrazione, a favore dello strumento legislativo, di spazi alla contrattazione collettiva, alla quale devono essere solo riservate alcune materie (quali, primariamente, i diritti e le obbligazioni strettamente inerenti al rapporto di lavoro).

Sul versante organizzativo, il riformatore, nell‟intento di introdurre standards qualitativi a garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali, rischia di introdurre elementi di uniformità poco coerenti, non solo con un pluralismo amministrativo nel quale le singole entità sono contrassegnate da

specificità strutturali ed organizzative129(si pensi, ad esempio, alla

previsione delle strutture e dei processi di valutazione della

performance), ma anche di incidere su autonomie costituzionalmente

fondate.

2.1. …alla loro attuazione nel d.lgs.n. 150 del 2009 (c.d. decreto Brunetta ).

La prospettiva regionalistica, pur nei limiti evidenziati, è stata pienamente recepita dal legislatore delegato? Sono state onorate le direttive circa l‟individuazione analitica di disposizioni espressione di potestà esclusive statali ai sensi dell‟ art.117,2 comma, e, come tali, direttamente vincolanti il livello regionale? Sono state predisposte norme “di principio” alle quali le autonomie regionali sono solo tenute ad adeguarsi?

129 Per Garilli e Bellavista, op.ult.cit.,pag. 12 ess, le norme riguardanti la valutazione della

performance (titolo II) come anche quelle contenute nel titolo III (su merito e premi) risentono di una confusione tra disciplina dell‟organizzazione e la disciplina del rapporto di lavoro. Profilano anche dubbi di costituzionalità sull‟obbligo posto dall‟art. 16, 2 e 3 comma del d.lgs. n. 150 del 2009, a carico delle regioni, del SSN e degli enti locali, di adeguare i propri ordinamenti ad alcune disposizioni contenute nel titolo II trattandosi di norme attinenti all‟organizzazione di tali enti (e quindi riferibili alla potestà residuale ex art. 117, 4 comma) ed anche nell‟eventualità in cui venissero interpretate quali norme espressione dei principi ex art. 97 Cost. presentano, comunque, un contenuto di dettaglio e procedurale.

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In tale prospettiva, il decreto legislativo n. 150 del 2009 contiene, oltre a disposizioni dedicate agli enti territoriali ai quali accomuna il Servizio Sanitario Nazionale (in particolare, gli artt.16 e 31), una disposizione, l‟articolo 74, che, pur inserita tra le “norme finali e transitorie”, è destinata ad espletare una funzione cardine, costituendo, sostanzialmente, l‟attuazione dei criteri direttivi contenuti nell‟art. 2, 4

comma della legge delega130.

L‟art. 74 effettua una ricognizione, infatti, degli articoli della riforma espressione delle potestà esclusive statali ai sensi dell‟art. 117, 2 comma lett.l ed m della Costituzione (1 comma) e degli articoli racchiudenti i principi generali dell‟ordinamento ai quali dovranno adeguarsi le regioni e gli enti locali, negli ambiti di rispettiva competenza ( 2 comma), limitando, però, tale complessiva attività di ricognizione solo ad alcune disposizioni.

Quindi, nonostante i criteri della delega ed i suggerimenti

espressi, nel corso dell‟iter procedurale, in sede dottrinale131, il decreto

attuativo, composto da un numero non indifferente di articoli (per un complessivo numero di 74), non ha proceduto ad una ricostruzione puntuale delle disposizioni direttamente applicabili agli enti territoriali in quanto attinenti ai profili privatistici del rapporto di lavoro (ex art. 117, 2 comma lett.l Cost.) e quelle che concernenti, invece, l‟ ”organizzazione”, ambito che, anche se interferente con il rapporto di

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Il confronto tra il testo approvato dal Consiglio dei Ministri l‟8 maggio 2009 e quello emendato dalla Conferenza Unificata, nel corso delle trattative alle quali si è posto fine con l‟intesa raggiunta il 29 luglio 2009 (in Dossier“L’approvazione del decreto legislativo Brunetta di riforma della P.A.” C.S.D.L.E. “Massimo D‟Antona” in www.lex.unict.it) conferma che si deve all‟intervento di quest‟ultima l‟inserimento di disposizioni rivolte specificamente “agli enti territoriali ed al Servizio Sanitario Nazionale”, come anche, in seno alle “norme finali e transitorie”, la specificazione delle disposizioni espressione di competenza esclusiva o di attuazione dell‟art. 97 Cost., nonchè l‟inserimento di un articolo circa l‟applicabilità della riforma nei confronti delle regioni a statuto speciale (art. 74, 5 comma).

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lavoro, afferisce alla potestà regionale residuale (art. 117, 4 comma Cost.).

Non solo, nello scenario complessivo del decreto attuativo, l‟art.74 assurge, nella sua valenza di norma finale, a tentativo di adattare

“in extremis” una disciplina, che, nelle temute prospettive già rilevabili

nella legge delega, è pervasa da un intento “centralistico”132, ad un

assetto regolativo multilivello mediante una ricognizione, peraltro, limitata solo ad alcune disposizioni del decreto, lasciando allo sforzo interpretativo il compito di accertare, nelle residue fattispecie, l‟effettivo “ambito di applicazione” (in tal senso è, poi, rubricata la

norma)133.

132Rilievi critici in tal senso sono stati espressi in dottrina da Caruso B., op.ult.cit., pag. 235 e ss., il

quale sottolinea che l‟intento politico della riforma, connotata da una forte impronta “dirigista e centralizzatrice” e realizzata mediante “strumenti che non si limitano a “regolare” ma a”costringere”, in ragione del sistema delle autonomie costituzionalmente protette “non si è potuto trasferire de

plano: da cui l‟effetto ossimorico di una legge che vuole regolare coercitivamente dal centro ed al

contempo vuole (o deve) rispettare i centri di produzione autonoma delle regole” (pag.242); anche se con formula più sintetica, Caruso accusava la riforma di ispirarsi ad un disegno centralistico anche in,

Le dirigenze pubbliche tra nuovi poteri e responsabilità (Il ridisegno della governance nella p.a.italiana) W.P. C.S.D.L.E. “Massimo D‟Antona” n.104/2010 in www.lex.unict.it;inoltre, Ricci G.,

L’applicazione della riforma Brunetta negli enti territoriali e nelle autonomie funzionali, in LPA,

2010, 507 e ss., a parere del quale il testo definitivo va considerato” un modello di disciplina amorfo” in cui “il legislatore delegato ha..finito per concedere alle autonomie territoriali più di quanto avrebbe voluto concedere” (pag.509); e, anche se in maniera meno esplicita, medesime critiche alla riforma. quale disciplina uniforme che si vuole imporre dall‟alto a tutte le pp.aa., solleva D‟Auria G., Il nuovo

sistema delle fonti: legge e contratto collettivo, Stato e autonomie territoriali, in GDA, 1/2010 pag. 5

e ss.

133 Si rammenta che, benchè il d.lgs. n. 150 del 2001 sia composto da ben 74 articoli, l‟art. 74, 1 e 2

comma effettua una ricognizione, al fine di definirne l‟ambito di applicabilità, limitata a non più di 32 articoli. I rinvii a singole disposizioni del decreto, contenuti in seno all‟art. 74, non sono, poi, privi di aporie, basti considerare, limitandoci ad una mera esemplificazione, che entrambi i commi non contengono riferimenti all‟art. 10 della riforma dedicato a “piano della performance e relazione della

performance” benché il successivo art. 13, al 6 comma lett. c, preveda, fra le competenze della

CIVIT, anche la verifica, a campione, dei relativi documenti predisposti dagli enti territoriali. Così come non viene fatta menzione, nella norma finale, agli artt. 12,13 e 14 del decreto, dedicati ai soggetti fondamentali del processo di misurazione e valutazione suddetto, nel tentativo, probabilmente, di garantire l‟autonomia organizzativa degli enti territoriali, rinviando, però, il primo comma dell‟art.74 (in funzione di determinazione di livelli essenziali delle prestazioni di cui all‟art. 117, 2 comma lett.m) all‟art. 30 che riguarda sia la CIVIT che l‟Organismo indipendente di valutazione (OIV). Entità che vanno, quindi, intese quali espressione di quei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili ex art. 117, 2 comma lett.m. Ciò trova una conferma in quelle disposizioni contenute nel Titolo II del d.lgs. n. 150 del 2009 che esprimono una interrelazione tra misurazione e valutazione della performance e “qualità dei servizi offerti dalle amministrazioni