• Non ci sono risultati.

STATO E REGIONI NELLA LEGISLAZIONE D’INTERVENTO IN CAMPO ECONOMICO: ASPETTI GIURIDICI E SPAZ

DELL’AUTONOMIA REGIONALE SICILIANA

Collaborazione e coordinamento Stato-Regioni nelle politiche di intervento in economia: la disciplina e gli strumenti legislativi; L’evoluzione della normativa

per gli incentivi finanziari allo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (1947- 1970); L'intervento straordinario nel quadro dell'ordinamento regionale e la sua

conclusione; La legislazione siciliana di promozione dello sviluppo industriale (1947-1967)

II. 1 Collaborazione e coordinamento Stato-Regioni nelle politiche di intervento in economia: la disciplina e gli strumenti legislativi

I temi del coordinamento e della collaborazione fra lo Stato e gli enti locali furono al centro del dibattito che precedette l'emanazione del primo esperimento globale di programmazione154. Il dibattito si era altresì reso indispensabile dati gli attriti che erano già nati sin dai primi interventi legislativi in campo economico- finanziario, specie con le Regioni a Statuto speciale. Premesso che lo scopo primario di qualsiasi tipo di programmazione è anche quello di «attuare un efficace raccordo tra i diversi centri decisionali pubblici e privati onde rendere possibile il conseguimento di obiettivi certamente irraggiungibili attraverso un'azione estemporanea e scoordinata dei medesimi», risulta evidente come su tale aspetto si basasse la buona riuscita di ogni tipo di intervento di promozione dello sviluppo economico e industriale sul territorio155. Da un esame degli

154 Si tratta del “Programma economico 1966-1970” approvato con Legge 27 luglio 1967 n. 685. 155 Cfr. NOVACCO, Nino, «Piani regionali e sviluppo economico», in Quaderni di civiltà degli

scambi, n. 3, Bari, 1959; SPAGNA MUSSO, Enrico, «Limiti costituzionali alla programmazione regionale», in Diritto dell'economia, n. 5, 1965.

interventi e delle azioni messe in campo tra la fine del secondo conflitto mondiale e la fine degli anni Sessanta emerge con estrema chiarezza che la classe dirigente dell'epoca non ebbe un'esatta percezione «della complessità e delicatezza dei problemi di coordinamento in una società che aveva raggiunto un certo grado di sviluppo ed ispirata ad un policentrismo molto accentuato»156, non a caso la maggior parte degli strumenti predisposti per coordinare le politiche di intervento statali e regionali si rivelarono sostanzialmente inadeguati nell'esperienza reale. Un dato fondamentale ci preme sottolineare in questo caso, ovvero la sottovalutazione per tutto il ventennio in esame di quello che Filippo Salvia definisce «il vizio fondamentale della programmazione degli anni Sessanta», esso è consistito nel convincimento che il successo delle politiche di intervento in economia potesse basarsi sulla sola forza del «documento base» e dunque sulla forza vincolante di questo nei confronti degli attori politici e istituzionali, economici e sociali; ecco perché risulta necessaria una netta distinzione tra la stesura e l'approvazione dei piani e l'attuazione degli stessi157. Il tentativo di equiparare o affiancare i programmi economici alle leggi di riforma generali, sembrerebbe rivolto in tal senso proprio alla volontà di imporre al legislatore locale gli interventi legislativi nazionali. Tali tentativi hanno trovato però due ordini di ostacoli: da un lato la genericità dei piani economici (specie quello del 1966-1970) rendeva ardua la dimostrazione di una qualche forma di incompatibilità di una legge regionale con i provvedimenti nazionali, dall'altro lato è bene precisare che un'eventuale ravvisata incostituzionalità di una legge regionale avrebbe potuto soltanto impedire al legislatore regionale di emanare norme nella materia in oggetto, ma non avrebbe salvaguardato la possibilità di mettere in opera tutte le misure necessarie al conseguimento degli obiettivi prefissati, tali limiti risultano aver avuto un peso ancor maggiore per una programmazione - quale quella del 1966/1970 - «basata su un documento programmatico nazionale quasi del tutto privo di valore operativo immediato e su una serie di atti programmatici successivi di carattere sempre più specifico ed impegnativo posti in essere unilateralmente dai diversi soggetti pubblici in relazione alla loro specifica competenza». In tal senso il consenso che le scelte

156

Sulla nozione di “coordinamento” utilizzata si vedano BACHELET, Vittorio, L'attività di coordinamento nell'amministrazione pubblica dell'economia, Milano, Giuffrè, 1957; ORLANDO, Leoluca, Contributo allo studio del coordinamento amministrativo, Milano, Giuffrè, 1974.

157

SALVIA, Filippo, Leggi provvedimento e autonomia regionale, Padova, Cedam, 1977, pp. 63- 64.

tecniche – oltre che l'impostazione dei provvedimenti giuridici – riuscivano a riscuotere ricopre un ruolo di fondamentale importanza per la buona riuscita sul territorio delle azioni di intervento intraprese. La difficile costruzione di un adeguato consenso attorno alle linee di politica per lo sviluppo industriale in una società come quella italiana di allora, estremamente eterogenea e squilibrata, palesò da subito tutti i limiti e delle scelte effettuate e delle azioni intraprese, ma anche degli stessi strumenti adottati158.

L'impianto iniziale della programmazione prevedeva una «pianificazione gerarchica in cui il programma economico doveva costituire l'atto principale capace di vincolare la successiva attività di attuazione, per la quale si impegnarono coerentemente enti esponenziali, forze politiche e sociali nella formazione del programma col dichiarato intento di rafforzarne l'efficacia». Il documento finale steso invece ebbe un carattere “onnicomprensivo” ma privo di reali effetti proprio a causa delle sue indicazioni vaghe e poco circostanziate e dunque poco adatte ad una pronta azione dei soggetti pubblici e privati. È quindi evidente come la programmazione degli anni Sessanta ebbe un ruolo solo marginale sulle dinamiche delle decisioni inerenti lo sviluppo industriale, in tal senso la legislazione d'intervento speciale permette di avere un quadro molto più significativo. In particolare – e questo è un dato fondamentale – i rapporti tra i due enti, statale e regionale, si caratterizzarono per schemi mai uniformi e costanti ma del tutto eterogenei e sempre diversi; alcuni fattori risultano determinanti per definire queste relazioni centro-periferia, e nello specifico: il grado di fiducia delle forze politiche, sociali ed economiche nell'istituto regionale e la forza e la capacità di contrattazione delle Regioni nei confronti degli organi statali. Come vedremo se nella legislazione del primo periodo «unicità e coerenza di certi disegni di politica economica tendono ad essere perseguiti attraverso congegni espropriativi, nella legislazione più recente si affermarono formule più sofisticate, le quali pur non escludendo ingerenze statali nelle predette materie, concedevano, tuttavia un certo spazio alle Regioni sotto forma di partecipazione ai procedimenti amministrativi statali»159. Il complesso normativo entro il quale si è sviluppata la politica di intervento economico nel Mezzogiorno trae origine dalla legge 10 aprile 1950, n. 646160. Questo

158 Ivi, pp. 65-66. 159 Ivi, pp. 67-68. 160

L'intervento straordinario non può farsi datare dalla emanazione del DLCPS 14 dicembre 1947 n. 1598 concernente la concessione di agevolazioni fiscali e finanziarie per favorire la

provvedimento aveva previsto e assicurato preventivamente il finanziamento per 1000 miliardi e la formulazione di un piano decennale «di complessi organici di opere straordinarie dirette in modo specifico al progresso economico e sociale dell'Italia meridionale». Nel dettaglio si trattava di una serie di interventi che si sommavano a quei provvedimenti emanati in via ordinaria dall'amministrazione pubblica e finanziati tramite il bilancio annuale161. Lo stesso provvedimento previde l'istituzione della «Cassa per opere straordinarie di pubblico interesse nell'Italia meridionale (la Cassa per il Mezzogiorno) che assunse la figura di ente statale gestore del piano, avente cioè come suo fine esclusivo e caratterizzante quello di realizzare il piano straordinario e i suoi programmi di attuazione».162 Obiettivo specifico in tal senso era la creazione di un ente che differisse strutturalmente da quelli tradizionali, e dal punto di vista della durata e dal punto di vista della disponibilità dei fondi, ma anche per ciò che atteneva alle modalità di erogazione dei fondi stessi e alle competenze intersettoriali. La realizzazione di importanti infrastrutture nelle zone depresse del Sud Italia costituiva in tal senso il presupposto fondamentale di ogni azione di promozione dello sviluppo industriale, ma a questa avrebbe dovuto aggiungersi «la creazione di un importante mercato di assorbimento di beni di investimento prodotti dalle industrie delle restanti sezioni del Paese»163.

Ciò che emerge analizzando i documenti, come sottolinea anche Massimo Annesi164, è lo scarto esistente tra le dimensioni attribuite al problema che i provvedimenti legislativi intendevano affrontare e la reale portata della questione da risolvere. Servì poco tempo in effetti per rendersi conto di come la semplice creazione delle infrastrutture necessarie non era sufficiente per avviare un adeguato e duraturo processo di sviluppo industriale nel Mezzogiorno;

realizzazione di nuove iniziative industriali nel Mezzogiorno, dato il carattere settoriale e la palese inadeguatezza del provvedimento.

161 ANNESI, Massimo, Aspetti giuridici della disciplina degli interventi nel Mezzogiorno, Roma,

Giuffrè editore, 1966, pp. 8-9.

162 Ivi, p. 10.

163 Il ruolo svolto dalla Svimez è in questo caso sottolineato da Massimo Annesi quando

ribadisce che «alla progressiva acquisizione di consapevolezza della inderogabile necessità di avviare un processo di industrializzazione delle regioni meridionali contribuì in maniera determinante l'attività della Svimez, costituita il 2 dicembre 1946, per iniziativa di Rodolfo Morandi e di Pasquale Saraceno».

164 Massimo Annesi ha contribuito a gran parte della legislazione sul Mezzogiorno dell’ultimo

cinquantennio ed è stato un attento studioso del rapporto tra poteri pubblici e sviluppo economico. Ha guidato la Svimez con «equilibrio e fermezza, con autonomia di giudizio e con attenzione ai cambiamenti, senza concessioni a nuovi miti o a derive demagogiche delle sottoculture prevalenti. Un meridionalismo di oggi, quello di Annesi, radicato nella storia; ma capace di indicarci metodi, temi, obiettivi per continuare in un cammino comune»; Cfr. ZOPPI, Sergio, Massimo Annesi un ricordo, Soveria Mannelli (CA), Rubbettino editore, 2006.

sopraggiunse allora la convinzione che bisognava concepire un intervento straordinario per lo sviluppo industriale165. La legge 22 marzo 1952, n. 166 si inserisce in tale contesto, introducendo importanti modifiche all'ordinamento della Cassa per il Mezzogiorno, come l'istituzione di un Comitato esecutivo, una maggiore elasticità nell'utilizzazione dei prestiti contratti all'estero per il finanziamento di specifici progetti, un maggiore impegno nell'integrazione del territorio meridionale con il rafforzamento delle infrastrutture stradali e ferroviarie166. La legge 25 luglio 1952, n. 949, aumentando la durata del piano e dell'intervento straordinario a dodici anni, incluse tutte le opere infrastrutturali stradali e ferroviarie nell'ambito del piano stesso, in tal modo le risorse provenienti dai prestiti esteri avrebbero potuto essere utilizzate per la promozione industriale167.

La legge 11 aprile 1953, n. 298, che dispose il riordino o la costituzione ex novo di tre istituti speciali per l'esercizio del credito a medio termine a condizioni di favore a medie e piccole imprese industriali: ISVEIMER, IRFIS, CIS, stabilì in particolare la partecipazione della Cassa per il Mezzogiorno ai fondi di dotazione dei tre istituti, nella misura del 40%, autorizzando al contempo l'ente a concorrere agli aumenti dei fondi di dotazione e alla costituzione di fondi speciali per la copertura di eventuali perdite che gli istituti avessero registrato nello svolgimento della loro attività di credito; tale progressiva attenzione alla politica industriale, concepita come naturale completamento e integrazione della politica infrastrutturale vide la formulazione dello Schema Vanoni come fondamentale elemento propulsivo capace di segnare una svolta in tale direzione. Lo Schema Vanoni infatti ebbe in tal senso l'importante ruolo di affermazione della necessità di una organica politica di promozione dello sviluppo industriale come premessa indispensabile per un più generale sviluppo del Mezzogiorno d'Italia168.

165 La Relazione del Consiglio di amministrazione al bilancio del 1947 costituisce tutt'oggi un

documento di grande importanza per la lucidità dell'analisi compiuta sugli aspetti fondamentali del problema meridionale. Lo stesso è a dirsi per il volume Contributi allo studio del problema industriale del Mezzogiorno (Svimez, Roma, 1948) nel quale particolarmente importanti sono i contributi di Pasquale Saraceno. Cfr. anche MOLINARI, Alessandro, Necessità e urgenza di industrializzare il Mezzogiorno, Roma, Giuffrè editore, 1948.

166 ANNESI, Massimo, Aspetti giuridici della disciplina degli interventi nel Mezzogiorno, cit., p.

11.

167 Ivi, p. 12. 168

«Dietro l’elaborazione dello Schema era l’esperienza vissuta nel primo biennio della realizzazione di una politica di intervento straordinario, contrassegnato dalla legge di riforma agraria e dall’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, la necessità di una programmazione di lungo respiro, capace di tradurre in concreta azione di intervento i piani di sviluppo regionale elaborati negli ambienti della Svimez, a partire dal 1947-48. L’esigenza di una svolta nella politica meridionalista e l’idea dello Schema era stata lanciata da Pasquale Saraceno, nel

Una parziale e incompleta trasformazione dello Schema Vanoni in atti e azioni concrete, al di là delle adesioni e delle mere e formali elaborazioni che ne conseguirono, fu uno degli elementi che portarono lo schema stesso a configurarsi e a rimanere come un complesso di dati e sistemi descritti, senza che questi potessero contribuire alla costituzione di un organico piano di sviluppo economico per il Mezzogiorno169. Appare inequivocabile poi che esso nel tempo si sia rivelato inadeguato alla formazione di nuove attività industriali che potessero promuovere un aumento del reddito e un aumento della domanda di lavoro170. Un cambio di rotta è però ravvisabile nella legge 29 luglio 1957, n. 634171, senza dubbio una delle più importanti tra quelle emanate fra il 1950 e il 1965, dopo la legge istitutiva della Cassa per il Mezzogiorno, con essa infatti si delineò una maggiore aderenza alle esigenze dei poteri pubblici tesi allo sviluppo

novembre del 1953, nel convegno di Napoli sui risultati dalla Cassa per il Mezzogiorno nel primo triennio di attività, raccogliendo fin da allora il sostegno da parte della CGIL di Di Vittorio e della CISL di Pastore. Intorno alla elaborazione dello Schema collaborarono, a vario titolo, i principali studiosi che erano entrati nella Svimez, durante i primi anni di attività, costituendo il nucleo del futuro Centro studi di Claudio Napoleoni. Lo Schema, secondo la bozza illustrata da Saraceno a Vanoni, all’inizio del 1954, avrebbe dovuto costituire la cornice di una seria e razionale politica di programmazione economica, capace di legare la crescita all’obbiettivo di superamento del divario tra le diverse aree territoriali. I mesi successivi furono contrassegnati da un’attività febbrile da parte del Ministro del Bilancio. In primo luogo Vanoni ottenne il sostegno dei principali organismi internazionali, tra cui l’OECE e incaricò la Svimez di sviluppare l’idea dello Schema in programma organico, nel frattempo ne diede l’annuncio nel congresso della Democrazia Cristiana di Napoli, e in Senato, e, una volta giunto nella sua versione definitiva, presentò i risultati dello Schema al Presidente del Consiglio, Mario Scelba, nella riunione del 29 dicembre 1954 e, di lì a un mese, anche al Consiglio dei ministri dell’OECE. Lo Schema di sviluppo della occupazione e del reddito in Italia nel decennio 1955- 1964 guardava alla necessità di una più incisiva politica di intervento, nel quadro del rilancio del processo di integrazione europea, capace di saldare il progresso economico che cresceva a ritmi accelerati, ad una politica di giustizia sociale, puntando l’accento sul problema dell’industrializzazione. Nelle intenzioni di Vanoni, l’intervento pubblico, non avrebbe dovuto sostituirsi a quello dei privati, ma, come affermò rivolgendosi agli industriali, avrebbe dovuto limitarsi a porre le condizioni «per un ben equilibrato progresso economico dell’intero Paese». L’apertura del circuito positivo tra aumento dei redditi e dei consumi, si sarebbe dovuto ottenere attraverso la promozione di uno sviluppo autoregolato attraverso una politica di prelievo fiscale e realizzato dall’iniziativa privata nelle regioni meridionali. Su questo punto fu estremamente chiaro. Gli investimenti «devono essere realizzati, nel Mezzogiorno come nel resto d’Italia, principalmente dall’iniziativa privata, in quanto lo Schema non si basa su modificazioni dell’attuale struttura economica del Paese. L’azione dello Stato dovrà perciò essere diretta, per quanto riguarda il Sud d’Italia in particolare, soprattutto a modificarne le condizioni ambientali, le quali rendono talvolta impossibile e spesso non redditizio l’investimento privato, almeno in termini relativi».Vedi SARACENO, Pasquale, Rapporto del Vice Presidente della Commissione Nazionale per la Programmazione Economica, Servizio informazioni della Presidenza del Consiglio, Roma, 1964.

169 ANNESI, Massimo, Aspetti giuridici della disciplina degli interventi nel Mezzogiorno, cit., p.

13.

170 Soprattutto in riferimento alla sue circoscritte finalità attraverso l'esecuzione di opere pubbliche

e di bonifiche ambientali.

delle regioni meridionali172. La legge che dispose l'aumento della dotazione per la Cassa per il Mezzogiorno, conteneva anche alcune disposizioni «volte ad assicurare un maggiore coordinamento tra l'azione ordinaria di competenza delle amministrazioni statali e l'azione straordinaria affidata alla Cassa per il Mezzogiorno», dispose pure – qua uno degli aspetti decisivi - «una più diretta azione dei pubblici poteri nel settore dell'industrializzazione, attraverso l'intervento delle partecipazioni statali nel Mezzogiorno, e la trasformazione ambientale per la localizzazione industriale». Ulteriori norme presenti nel provvedimento erano dirette a incentivare l'impianto e la nascita di nuove iniziative industriali e la crescita e l'ammodernamento di quelle esistenti173. Nel dettaglio, il prolungamento da dodici a quindici anni, e il contestuale aumento della dotazione iniziale della Cassa, previsto dalla legge 10 agosto 1950, n. 646, che arrivò a 2069 miliardi di lire, rappresentò un ulteriore segnale dell'impegno profuso, ma ciò che probabilmente segnò maggiormente un cambiamento rispetto all'azione svolta fino a quel momento fu la definizione di un maggior coordinamento dei programmi di opere di competenza della Cassa con quelli delle amministrazioni ordinarie; i Ministri dell'Agricoltura e delle Foreste, dell'Industria e del Commercio, dei Lavori Pubblici, dei Trasporti, del Lavoro e della Previdenza sociale in tale prospettiva avrebbero dovuto presentare per l'esame al Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno i programmi delle opere previste per le regioni meridionali in ogni esercizio finanziario174. Il Ministro per le Partecipazioni statali era tenuto alla presentazione annuale al Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno dei programmi di investimento degli enti e delle aziende rientranti nell'ambito del controllo del Comitato175. Non solo, i programmi dovevano prevedere una distribuzione territoriale degli investimenti, utile a realizzare «un progressivo migliore equilibrio economico fra le diverse regioni»176. Infine «il Comitato dei Ministri coordinati i programmi ricevuti, doveva comunicare alla Cassa ed ai Ministeri le decisioni adottate in ordine alla loro attuazione». La legge stabilì anche la possibilità di creazione di consorzi «per

172

ANNESI, Massimo, Aspetti giuridici della disciplina degli interventi nel Mezzogiorno, cit., p. 14.

173 Cfr. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Documenti sul programma di sviluppo economico,

Roma, 1957 e SCOTTI, Enzo, Lo sviluppo industriale, in Mezzogiorno e politica di piano, Bari, Laterza, 1964.

174 ANNESI, Massimo, Aspetti giuridici della disciplina degli interventi nel Mezzogiorno, cit., p.

15.

175 Ibidem. 176

Gli investimenti destinati alla creazione di nuovi impianti industriali dovevano essere effettuati per una quota non inferiore al 60% della somma totale nei territori meridionali.

le aree di sviluppo industriale e per i nuclei di industrializzazione» con il compito di eseguire, sviluppare e gestire le opere di attrezzatura di zone industriali in cui fosse prevista la concentrazione di nuove iniziative produttive. Ma ciò che comportava maggiori novità era sicuramente il complesso delle norme volte a favorire le nuove iniziative industriali: nello specifico venne prevista per la prima volta la concessione di un contributo a fondo perduto alle imprese, del 20% per opere murarie e opere connesse e 10% per l'acquisto di macchinari. Di particolare rilievo anche il disposto dell'articolo 4, che prevedeva la possibilità per il Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno, sentito il Ministro della Pubblica istruzione, di prevedere e autorizzare e quindi finanziare programmi di formazione di figure lavorative e professionali specializzate, ma anche ad assumere partecipazioni in enti che svolgevano attività di formazione con finalità di carattere “sociale ed educativo”177.

È pure vero che l'avvio di un massiccio piano di interventi per la promozione dello sviluppo industriale nelle regioni meridionali non significò l'abbandono delle linee di intervento sul piano infrastrutturale e delle opere pubbliche, anzi. Numerose sono infatti le disposizioni relative ad interventi della Cassa per il Mezzogiorno in settori diversi da quelli originari, contraddicendo alla caratteristica della straordinarietà degli interventi stessi178. La legge 26 novembre 1955, n. 1177 concernente i provvedimenti straordinari per la Calabria, dispose l'esecuzione di «un piano aggiuntivo ed organico di opere per un periodo di dodici anni per la sistemazione idraulico-forestale, per la sistemazione dei corsi d'acqua e dei bacini montani, per la stabilità delle pendici e per la bonifica montana e valliva nonché per la difesa degli abitanti dal pericolo di alluvioni e frane».179 L'attuazione del provvedimento, esempio emblematico della tipologia di interventi della Cassa, fu finanziata grazie ad uno stanziamento di 204 miliardi

Documenti correlati