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STRUMENTI E PERCORSI DELLA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA PER LO SVILUPPO INDUSTRIALE

LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA E GLI STRUMENTI OPERAT

III. STRUMENTI E PERCORSI DELLA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA PER LO SVILUPPO INDUSTRIALE

Pianificazione e programmazione economica: strumenti, organi e metodi attuativi; Gli anni Cinquanta: l’industrializzazione tra ispirazione meridionalista,

tecnocrazia e politica; Gli anni Sessanta: la politica meridionalista all'interno della programmazione nazionale; L’inquadramento dell’intervento straordinario

nella programmazione economica nazionale dalla legge 26 giugno 1965 n. 717 alla legge 6 ottobre 1971 n. 853

III.1 Pianificazione e programmazione economica: strumenti, organi e metodi attuativi

Il 1950 fu l’anno che segnò l’introduzione del concetto di “piano” nell’ordinamento italiano; la legge 10 agosto 1950 n. 646 aveva infatti affidato alle scelte del Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno l’elaborazione di un «piano generale» per l’esecuzione di opere straordinarie entro un periodo di dieci anni, poi prorogato a dodici e successivamente a quindici anni, al fine di favorire lo sviluppo economico dell’Italia meridionale. Il termine “piano” indicava «una predisposizione ad una previsione di interventi con carattere di regolarità e di organicità, qualificata dalla straordinarietà e dall’aggiuntività degli interventi previsti rispetto a quelli che continuavano ad essere affidati alle Amministrazioni ordinarie»373. Il termine “piano” assunse chiaramente anche un’accezione più politica, soprattutto quando intendeva indicare una linea direttrice di politica economica da seguire allo scopo di ottenere determinati risultati, lo Schema Vanoni ne era un esempio, così come i piani quinquennali studiati ed attuati dalle Regioni a Statuto autonomo, prima fra tutte la Sicilia374, o i piani quadriennali di

373 Cfr. Comma 1°, 2° e 3° dell’articolo 1 della legge citata 374

Cfr. PRESIDENZA DELLA REGIONE SICILIANA (a cura di), Piano quinquennale per lo sviluppo economico e sociale della Sicilia, Palermo, Editrice Renna, 1956.

investimento degli enti a partecipazione statale come ENI ed IRI375. È evidente che la predisposizione preventiva di un piano contenga in sé una posizione che possiamo definire pre-giuridica e che rispecchia le valutazioni congiunturali e politiche; esso infatti finisce per rappresentare anche una modo per valutare l’adeguatezza e la rispondenza dei comportamenti e delle scelte politiche alle promesse e agli impegni assunti in precedenza376. La schematizzazione, a tratti estrema, era la diretta conseguenza di tale prospettiva, insieme a direttive di sviluppo economico «le quali avrebbero dovuto essere sempre formulate con la ponderazione ed il senso del limite che ogni serio impegno politico richiedeva per evitare deformate valutazioni della realtà e facili giudizi circa l’adeguatezza del consuntivo al preventivo»377. Le differenze tra i piani parziali e i piani totali andarono altresì valutate in base ai cambiamenti che si prefiggeva di apportare al mercato e allo sviluppo industriale, cui si aggiunsero le varianti dei piani indicativi, in grado di mostrare ai soggetti privati i siti in cui sarebbe convenuto investire e i piani obbligatori378. Possiamo dunque definire il piano come «lo strumento inteso a dare un sistema ai diversi soggetti economici considerati come unità coordinate di un tutto unico, allo scopo di raggiungere entro un periodo di tempo determinato o per mezzo della massima utilizzazione delle risorse possibili il massimo soddisfacimento dei bisogni della collettività. Nel senso che è implicita l’esigenza del coordinamento delle decisioni economiche ex ante sulla base di scelte politiche preliminari». Il termine “piano” ricorre frequentemente nel nostro ordinamento legislativo, anche se è bene precisare che manca una definizione unitaria della stessa nozione; il 3° comma dell’articolo 41 della Costituzione determina «i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica, pubblica e privata, possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali». La formula non prevede la necessaria elaborazione di un piano, eppure è bene sottolineare che nella sua discussione in Assemblea costituente fu dibattuta l’opportunità o meno di inserire il termine “piano”, ma esso fu giudicato

375 PESCATORE, Gabriele, La «Cassa per il Mezzogiorno»: un'esperienza italiana per lo

sviluppo, Bologna, Il Mulino, 2008, pp. 203-204.

376

Sul concetto di “piano” e sulle sue diverse qualificazioni si veda ad esempio VITO, Francesco, L'economia a servizio dell'uomo: i nuovi orientamenti della politica economica e sociale, Milano, Vita e pensiero stampa, 1961, 6a edizione.

377 A queste schematizzazioni, mosse da valutazioni politiche andrebbero affiancate le

osservazioni e gli studi inerenti la natura e il contenuto dei piani economici collettivi e sui loro riflessi sui principi regolatori dell’economia, sulla loro diversificazione dai piani individuali, sui rapporti tra la pianificazione e la necessaria proprietà collettiva dei mezzi di produzione o la libertà di mercato.

378

PESCATORE, Gabriele, La «Cassa per il Mezzogiorno»: un'esperienza italiana per lo sviluppo, cit., p. 205.

un’inutile ripetizione dell’espressione “controlli”, la quale già in sé comprendeva il senso di un intervento statale379. Il concetto di piano torna nell’articolo 13 dello Statuto sardo, nell’articolo 38 dello Statuto siciliano che obbliga lo Stato al versamento annuale di una somma alla Regione a titolo di solidarietà nazionale da impiegarsi, in base ad un piano economico, nell’esecuzione di lavori pubblici e infrastrutture, infine negli articoli 1 e 7 della legge 26 novembre 1955 n. 1177 che aveva previsto degli interventi straordinari per la Calabria. Nella legislazione compaiono poi di frequente norme facenti riferimento ai cosiddetti «piani territoriali di coordinamento», ai «piani regolatori», ai piani regolatori particolareggiati», ai «piani di ricostruzione» ai «piani di esecuzione», altri esempi ci sono offerti dalla legge 2 giugno 1961 n. 454 che conteneva il piano quinquennale per l’agricoltura, o dai provvedimenti tesi ad incrementare l’occupazione operaia attraverso la costruzione di case per lavoratori e l’ammodernamento della rete ferroviaria, per finire col piano per la scuola o per le autostrade380. Questi sono stati legittimamente definiti come piani finanziari che puntavano a destinare un certo ammontare di risorse verso determinati settori pubblici, ecco perché, secondo molti, si dovrebbe parlare in questi casi piuttosto di piani infrastrutturali da finanziare381. Dal 1948 in poi si sono registrati in Italia diversi esperimenti di pianificazione attuati attraverso la messa in opera di «piani pluriennali» in determinati settori o in determinate aree geografiche. Il piano di interventi per il Mezzogiorno si distinse da tutti gli esempi fatti finora innanzitutto per la sua intersettorialità e la natura circoscrizionale; esso comprese infatti sia una valutazione globale delle possibilità di intervento, e non possedeva tuttavia una qualificazione territoriale e amministrativa specifica tra quelle esistenti, al contrario andò ad agire su realtà territoriali non individuabili semplicemente in base a criteri amministrativi, quanto piuttosto a dati socio-economici quali il livello di sviluppo. Il concetto di piano deve comunque ritenersi valido ogni

379

Atti Assemblea Costituente, pp. 3934-3935. Si veda a riguardo la sentenza della Corte costituzionale 24 giugno 1961 n. 35, «Foro it.», I, 1961, p. 1051 in cui si afferma che «la programmazione economica in quanto limitatrice della libertà dell’iniziativa privata può essere compressa e ridotta a seguito di chiare e precise norme legislative anteriori alla sua concreta attuazione contenenti la specificazione dei fini, la precisazione dei criteri da seguire per il raggiungimento di essi, l’indicazione dei mezzi nonché la determinazione degli organi chiamati ad attuare i programmi o che sono stabiliti per esercitare i controlli. La surriferita decisione ha escluso la rilevanza della circostanza che l’articolo 41 si riferisca ad una semplice programmazione per la produzione in un settore economico ovvero ad una pianificazione più o meno estesa».

380 Leggi 17 agosto1942, n. 1150, 27 ottobre 1951, n. 1402, 25 giugno 1865, n. 2359, 28 febbraio

1949, n. 43, 21 marzo 1958, n. 289 e Decreto legislativo 1° marzo 1945 n. 154.

381

PESCATORE, Gabriele, La «Cassa per il Mezzogiorno»: un'esperienza italiana per lo sviluppo, cit., pp. 206-207.

qualvolta si intenda far riferimento ad uno «strumento che si concreta in una indicazione organica, non occasionale né sporadica di opere, di incentivi, di contributi, ai quali sono connessi atti volontari o dovuti di privati o di pubbliche autorità per il raggiungimento di determinati scopi di carattere generale, sempre economicamente valutabili quando siano diretti anche al perseguimento di finalità sociali: in tal caso gli interventi considerati saranno più o meno giustificabili sotto l’aspetto economico, ma tale circostanza non vale a togliere alla previsione il carattere di piano»382. Uno dei dubbi che potrebbero sorgere riguarda la corrispondenza tra la norma che ha organicamente avviato la politica di intervento straordinario nel Mezzogiorno e il concetto di pianificazione economica così come concepita dalle fonti legislative citate; si tratta di chiarire in che modo il piano degli interventi straordinari predisposto si è inserito nel quadro generale assumendo una caratterizzazione autonoma e specifica. La complessità degli interventi facenti parte del piano sembrerebbe la prima caratteristica che emerge da un esame del complesso delle azioni messe in campo; essi compresero interventi infrastrutturali per gli acquedotti, per il turismo, per l’agricoltura, per la preparazione professionale e la qualificazione della forza lavoro, per l’edilizia scolastica, le opere ferroviarie e aeroportuali, per i contributi all’artigianato e alla pesca fino agli investimenti per lo sviluppo industriale. Ad un esame più dettagliato «appare evidente che questi interventi non furono intesi esclusivamente al finanziamento al sostegno di iniziative private. Siamo piuttosto in presenza di un piano a carattere misto, in cui la valutazione delle opere pubbliche da eseguire era sorretta da criteri di comparazione produttivistica per la scelta di esse, sia in se stesse sia per l’effetto che potevano spiegare nel sollecitare iniziative nel settore dell’agricoltura, nel settore dell’industria e in quello delle attività terziarie. Circa le opere pubbliche ed i settori ad esse afferenti il piano non poteva che essere l’espressione di una scelta politica»383. Nei confronti delle iniziative di tipo privato il piano si caratterizzava invece per la non coattività, le decisioni rimanevano infatti rimesse alle valutazioni dei soggetti interessati, mentre i soggetti pubblici avrebbero esercitato una «potestà di indirizzo» utile a definire la localizzazione e la qualità dei singoli interventi. Dal punto di vista strettamente giuridico possiamo definire il piano – e con esso la programmazione o la pianificazione – come un «procedimento composto», ovvero come un

382

Ivi, pp. 208-209.

«procedimento di procedimenti» che si esplica nella messa in atto di strumenti quali le concessioni, le agevolazioni, le autorizzazioni che si susseguono secondo un procedimento gerarchico basato sulla maggiore o minore urgenza dei singoli atti e della rigidità degli stessi. Come sottolinea Gabriele Pescatore «l’unità del disegno operativo che collega i vari procedimenti giuridicamente costituisce tra essi nulla più che semplici presupposizioni o condizioni di efficacia: in tanto il procedimento implicato si realizza in quanto si perfezioni il procedimento implicante, oppure in tanto il provvedimento acquista o conserva efficacia in quanto un altro procedimento si perfezioni»384. Un esame attento della legge istitutiva della Cassa per il Mezzogiorno evidenzia come «essa predisponga gli obiettivi da perseguire, gli strumenti attraverso i quali raggiungerli, le prescrizioni da osservare, nell’attuazione dell’intervento, e come prescinda, almeno nella parte peculiare dei suoi comandi, dalla considerazione dei riflessi della pianificazione sui soggetti destinatari degli atti individuati come autorizzatori, concessori e ablatori». L’unità del disegno operativo ha rappresentato piuttosto «il presupposto per l’esercizio di un’attività dovuta (la programmazione) che certamente non è condizione di efficacia dell’atto collegato (programma) che, come si vedrà, abbisogna soltanto e per taluni riflessi, di un intervento estraneo alla sua fase costitutiva in quanto rimesso all’organo politico di controllo». L’inquadramento giuridico andrebbe piuttosto riferito al piano in sé, ovvero alle sue caratteristiche fondamentali e alle sue connessioni con l’attività amministrativa dello Stato; quando si definisce l’attività di pianificazione, un’attività di «alta amministrazione» si intende proprio sottolineare la natura intrinseca del piano come strumento di esplicazione di atti amministrativi. Ed è proprio tale natura a determinare un altro elemento caratterizzante del piano; ovvero l’ampio spazio lasciato – volutamente o meno – dal legislatore alla discrezionalità dei poteri pubblici, specie locali, nella messa in atto del piano stesso385.

Un elemento che possiamo considerare intrinseco alla natura stessa del concetto di piano è la “normatività” dell’atto; intendiamo «il governo di situazioni considerate nel momento prescrittivo per la definizione degli interventi da attuare, riguardanti nel loro carattere di strumenti diretti a soddisfare pubbliche esigenze e non ancora valutati, almeno direttamente nelle situazioni applicative». La

384 Cfr. anche PESCATORE, Gabriele, Dieci anni di esperienze della Cassa per il Mezzogiorno,

Roma, Failli, 1961.

385

PESCATORE, Gabriele, La «Cassa per il Mezzogiorno»: un'esperienza italiana per lo sviluppo, cit., pp. 212-213.

prescrittività sta ad indicare allora che il piano predispone ed espone direttive, indirizzi ed orientamenti; ovvero indica la linea di condotta che la pubblica Amministrazione intende seguire, e la conseguenza di tali indicazioni attiene alla sfera dell’amministrazione stessa che pone a se stessa dei limiti e degli obblighi. Il piano fissa determinazioni generali che intende attuare «nella loro idoneità» per contribuire al «progresso sociale ed economico» dell’area in questione386. Le determinazioni, chiaramente hanno come destinatari non solo la stessa amministrazione che è deputata ad attuare il piano, ma anche le altre amministrazioni pubbliche e gli enti locali che vengono interessati, e pur tuttavia è innegabile che da questi piani possono derivare degli effetti specifici attinenti alla sfera privata387. La strumentalità – altra caratteristica fondamentale del piano – è un elemento in stretta connessione con la normatività; essa implica la specificazione del complesso dei mezzi che si intendono utilizzare per raggiungere determinati obiettivi, definiti dal piano stesso, enunciandoli. «Rispetto a quei fini, l’atto si pone proprio come il mezzo che consente il passaggio dalla fase di previsione legislativa alla fase di programmazione e di attuazione». La disciplina legislativa nel caso specifico della pianificazione in Italia a partire dagli anni Cinquanta ha indicato, in maniera piuttosto generica, i settori di intervento, e le finalità che l’intervento stesso si prefiggeva, nell’ambito degli stessi settori poi e dei limiti da essi posti il piano obbligava a determinate scelte che - come ci sottolinea Gabriele Pescatore - «dovevano essere sorrette dalla valutazione dell’optimum quanto al modo di tradurle in atto dalla considerazione della graduazione dei fini perseguiti e dell’esigenza d’un armonico coordinamento sia d’essi fini tra loro, sia dei rapporti tra l’iniziativa pubblica e l’iniziativa privata, per cui andava delimitata la sfera e la proporzione di questi due tipi di interventi ed i mezzi idonei, affinché in tale proporzione potessero realizzarsi». La strumentalità andrebbe quindi intesa come «specificazione dei fini della legge con la predeterminazione dei conseguenti obiettivi senza che per altro siano posti in essere atti applicativi esterni intesi a raggiungere direttamente quei fini». Da questo punto di vista la strumentalità del piano può anche essere vista come una qualificazione della normatività, soprattutto per la sua funzione di specificazione e di individuazione degli obiettivi in relazione al fine definito dalla legge; rispetto a questa il piano può infatti essere considerato come lo strumento

386

Ibidem.

normativo di attuazione, e allo stesso tempo si configura come l’atto amministrativo che meglio precisa e affida tale compito ai soggetti attuatori del piano stesso. L’organicità è invece l’elemento che favorisce, per gli interventi previsti dal piano, un’attuazione coordinata e connessa ai fini da perseguire; in tale prospettiva gli obiettivi proposti dal piano «avrebbero dovuto essere coordinati tra loro e obbedire all’esigenza di non riferirsi a visioni frammentarie, ma di affrontare una data realtà, unitariamente e globalmente considerata388, da ciò ne derivava l’esigenza che la materia oggetto di pianificazione fosse inquadrata nell’ambito di un attività unitaria diretta a regolare situazioni complesse nelle quali, accanto all’attività coordinatrice interna, inerente all’organizzazione delle direttive del piano, si ponesse l’imperativo del coordinamento di questa attività con le attività connesse e interferenti, svolte da soggetti operanti al di fuori del piano e necessariamente con questo integrabili». L’integrazione risultava in questa prospettiva come dimensione necessaria ma non sufficiente, proprio sotto l’aspetto normativo, affinché venissero definite in modo chiaro le linee generali degli interventi, da cui il piano si sarebbe caratterizzato come atto coordinato in sé e coordinabile al di fuori di sé, elemento questo esplicitamente richiamato e rivendicato sempre all’articolo 1 della legge n. 646 del 1950389. Inevitabilmente il piano si contraddistingue anche per la sua “territorialità”, da intendere come luogo specifico in cui e per il quale previsioni, orientamenti e le stesse finalità sono concepiti e messi in atto; in questa prospettiva il piano contiene in sé il concetto di territorialità, imposto dalle previsioni di legge che costantemente delimitano una precisa zona di intervento. Piani regolatori, piani di bonifica, piani legislativi specifici, come quelli per la Sardegna e la Calabria, fino agli stessi piani di sviluppo industriale sono tutti esempi di delimitazione di una zona territoriale, diretta conseguenza del fatto che i suddetti piani sono sempre tesi al raggiungimento di determinati obiettivi, riferiti sempre e principalmente a particolari e specifiche aree del territorio che necessitano di miglioramenti sotto il profilo ambientale, e dei sistemi infrastrutturali e di produzione390. In qualche modo possiamo allora definire il Piano per il Mezzogiorno come un piano regionale, o «macroregionale» se vogliamo, intendendo il termine regionale in contrapposizione a nazionale. Se

388 Cfr. Articolo 1, 2° comma della legge 10 agosto1950, n. 646.

389 PESCATORE, Gabriele, La «Cassa per il Mezzogiorno»: un'esperienza italiana per lo

sviluppo, cit., pp. 216-217.

invece si desidera dare al termine una precisa connotazione giuridico- amministrativa allora il piano potrebbe e dovrebbe definirsi come «superegionale», non solo per l’estensione territoriale interessata ma anche per la globalità degli orientamenti, delle visioni generali e per le previsioni che investono e interessano una zona unitaria comprendente al proprio interno diverse realtà regionali391. Il piano rende poi implicite e obbligatorie una serie di procedure amministrative che «imponendo comportamenti che per esplicarsi presuppongono la sua esistenza in forza della quale vengono ad assumere il carattere di atti dovuti». La temporaneità, che si configura come caratteristica non costante del piano, contraddistinse il piano straordinario per il Mezzogiorno, temporaneo risultava anche il piano di bonifica, destinato a cessare automaticamente con la fine della bonifica stessa, così come il piano di predisposizione infrastrutturale delle aree sottosviluppate, tutti oggetti di appositi atti amministrativi.

Il Piano per il Mezzogiorno nello specifico poi assunse caratteri del tutto peculiari, esso ha assunto quella che potremmo definire come una «fisionomia mista, risultante da un complesso organico di opere pubbliche, in parte da stimoli ed incentivi offerti alla pubblica e privata iniziativa nei settori agricolo, industriale e dei servizi». Sui settori di intervento il piano si presentò rigido per quanto riguardava la definizione degli ambiti da far rientrare negli stessi, allo stesso tempo non fu permesso alle istituzioni politiche né tantomeno alle amministrazioni pubbliche di incidere sugli obiettivi finali, si mostrò tuttavia elastico nella selezione dei settori considerati e nei rapporti tra gli stessi. A dispetto della rigidità nella classificazione e definizione dei settori il piano non concerne invece obiettivi vincolanti «poiché è rimesso alla discrezionalità dell’organo che è preposto alla formulazione di selezionare quelli tra essi da realizzare, le quantità della realizzazione nonché l’equilibrio tra i diversi obiettivi». Dunque il legislatore definisce delle indicazioni che il piano traduce in entità realizzabili: il piano in questo senso specifica il precetto legislativo, qua risiede una delle caratteristiche fondamentali, la sua strumentalità. Sul versante della redazione del piano la potestà di «deliberazione», come definita dall’articolo 3 della legge 22 marzo 1952, n. 166, e dunque di formulazione del piano, spetta agli organi politici, il Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno innanzitutto392,

391

Ibidem.

che è espressione del Gabinetto composto dai Ministri interessati alle materie facenti parte dei progetti di intervento o devolute in via straordinaria alla Cassa per il Mezzogiorno o comunque connesse a quelle di sua competenza. Il Comitato, presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri o da un Ministro da lui designato, ha in sé tutti i connotati politici per venire identificato come emanazione della politica economica del Governo stesso nelle persone dei Ministri che occupano i dicasteri interessati dal piano. Il concepimento, la gestione e la conduzione del piano nel suo complesso stavano in capo ad un organo che era espressione di una maggioranza politica, e la finalità politica si desumeva anche dal già citato 1° comma dell’articolo 1 della legge n. 646/1950 quando si sottolineava la necessità di perseguire «il progresso economico e sociale dell’Italia meridionale»393. Esempio emblematico del lavoro di programmazione è

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