esile di Olga, o negli angoli più nascosti di città come Genova e Livorno, l’enorme peso delle grandi tragedie storiche. Giovanni Raboni riconosceva nella poesia di Caproni tre grandi temi: «il tema della città, il tema della madre, il tema del viaggio» 78 ai quali però
la guerra e la morte fanno da sfondo costante, attraverso l’abilità del poeta di arrivare a toccare l’universale partendo dall’unicità del sentire individuale.
La prosa, per sua stessa natura, permette alla tematica di guerra di essere sviluppata in modo più ampio e consente a Caproni di trattare l’esperienza bellica, vissuta personalmente, nella forma del romanzo, del diario e dei racconti, mantenendo intatti quei tratti tipici del suo stile che è poi quello di un grande poeta.
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Lo stile del Labirinto
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Come già anticipato, Giorni aperti, Il labirinto e Il gelo della mattina, sono le prose scelte da Caproni per comporre l’unica raccolta di racconti pubblicata durante la sua vita e, rappresentando il frutto di un’accurata selezione, ben si prestano a diventare gli esempi principali dello stile narrativo del loro autore. Il poeta unisce nello stesso volume tre storie autobiografiche, ciascuna a testimonianza di un’esperienza fondamentale della sua esistenza: la guerra combattuta sul fronte occidentale, la lotta di Liberazione condivisa con i partigiani della Val Trebbia e la morte di Olga, il grande dramma privato affidato soprattutto alle pagine della poesia. Ad aprire la raccolta è la nota introduttiva che Caproni scrive per fornire al lettore alcune indicazioni bibliografiche insieme alla datazione dei racconti, indispensabile per inquadrare le prose nel periodo esatto della sua opera poetica. L’attenzione che l’autore riserva al proprio pubblico è importante per comprendere il pensiero (e forse la preoccupazione) di un narratore che sa di essere prima di tutto uno scrittore di versi, e che ha ben chiara l’impossibilità di valutare i racconti di un poeta indipendentemente dalle suggestioni liriche che essi emanano. Le storie del Labirinto anticipano e riprendono spesso le immagini caratteristiche della poesia alla quale si affiancano, basti pensare alla presenza dell’alba in tutti e tre i racconti, elemento topico nell’intera produzione lirica caproniana e specialmente ne Il Passaggio d’Enea, ma anche all’insistenza sull'aspetto
! G. Raboni, Quattro scritti sulla poesia di Caproni, in G. Caproni, Tutte le poesie, Milano, Garzanti, 78
paesaggistico e atmosferico che fa da sfondo ai personaggi e alle loro vicende e che ricorda i versi più descrittivi delle raccolte d’esordio, o alla malinconia generata dai pensieri che tormentano i protagonisti ai quali si accordano certe ambientazioni cupe ed angoscianti, preludio all’ultimo Caproni delle osterie, della caccia e della ricerca metafisica:
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[…] appare evidente come il prosatore, nonostante la scelta di un differente utilizzo dello strumento verbale, sia inscindibilmente connesso con il poeta, e come molti temi affrontati nei racconti finiscano per diventare nuclei fondamentali delle poesie. […] non si potrà tuttavia fare a meno di notare la persistenza di temi riproposti in poesia e in prosa e ostinatamente sviscerati da Caproni per tutta la durata della propria scrittura, con anticipazioni e ritorni talvolta addirittura sorprendenti. 79
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L’impronta del poeta è sempre presente anche nella penna del narratore, il quale ricorda come prosa e poesia si influenzino a vicenda, al punto che immagini ed idee nate per allestire un racconto finiscono col diventare un componimento, mentre i versi destinati alla lirica si trasformano in trame perfette per la prosa. Tuttavia i due registri rimangano comunque separati e Caproni stesso ne evidenzia le differenze:
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Certo, una profonda differenza esiste (anche se non esiste una vera “divaricazione”) tra la funzione del linguaggio nella prosa narrativa e la funzione del linguaggio nella poesia in versi. La poesia in versi è in primo luogo musica, e come la musica necessita del supporto di una tecnica (techne) senza la quale l’edificio crolla. Non si può costruire una resistente (oltre che bella) cupola o sinfonia senza conoscere certe regole della statica o dell’acustica. La prosa narrativa è molto più vicina al linguaggio pratico di normale comunicazione (assolutamente privo di ‘armonici’), ma non può (non deve) identificarsi con questo. 80
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Se la poesia è caratterizzata dall’armonia della musica, le cui regole sono amate e conosciute anche dal Caproni violinista, la prosa narrativa si avvicina al linguaggio quotidiano ed è libera dalla rigidità del verso, ma non deve limitarsi ad essere un semplice serbatoio di informazioni. La tendenza dell’autore a conferire una componente lirica ai suoi racconti è riscontrabile in particolare nei testi de Il labirinto, che per il loro autobiografismo toccano da vicino l’animo del poeta e mettono in scena volti, situazioni e ambienti a lui cari e familiari, nella descrizione dei quali si ritrova tutta l’emozione che Caproni aveva già espresso, o esprimerà successivamente, in versi. Le tre prose alternano momenti colloquiali e discorsivi ad altri di più ampio respiro lirico, che trovano precise corrispondenze nella poesia di quel periodo ricca di «interrogative
! M. Baldini, Giorgio Caproni narratore, cit. p.19. 79
! Dall’intervista di G. Gigliozzi a G. Caproni, La nostalgia di narrare, cit. p.34. 80
replicate, in intermittenti, dubbiosi indugi emotivi» 81. Ne sono esempio le lunghe e
continue riflessioni del partigiano Pietra, personaggio principale del racconto Il
labirinto, il cui tono ricorda quello delle liriche Lamenti, o le precise descrizioni
atmosferiche che fanno emergere i sentimenti più profondi del soldato al fronte e che rievocano certe malinconie nascoste affrontate nei componimenti giovanili. Per il Caproni prosatore, così come per il poeta, la natura che si manifesta nei più piccoli eventi ha un’importanza fondamentale e questo spiega le dettagliate e minuziose descrizioni cui è affidata buona parte della narrazione. Le sfumature dell’acqua, il colore del cielo, la luce che cambia tonalità durante le varie fasi del giorno, catturano l’attenzione del narratore di Giorni aperti, che nel racconto dell’itinerario compiuto a fianco del suo reggimento, restituisce le sensazioni visive ed olfattive con la stessa intensità dei versi che caratterizzano le raccolte iniziali. Il memoriale di guerra si mantiene infatti nell’ambito stilistico di Come un’allegoria, Ballo a Fontanigorda e
Finzioni e, secondo il parere di Antonio Barbuto, segna anche la fase conclusiva della
prima ricerca poetica caproniana; al suo esordio l’autore tendeva infatti a narrare in versi, una particolarità che lo estraniava dalla contemporanea corrente ermetica. Il critico definisce la prosa di Giorni aperti «apparentemente disarmata» 82, dietro il cui
disimpegno è mascherata però la ribellione alla retorica del regime fascista, che l’autore esprime soprattutto attraverso il generale antieroismo che caratterizza l’intera narrazione. Il diario di guerra è inserito in una cornice di quotidianità militare che lo porta ad essere soprattutto una testimonianza dell’esperienza vissuta e, a questo proposito, è importante ricordare come Italo Calvino avesse accolto positivamente il Caproni narratore, nel quale vedeva realizzato il bisogno «d’uscire dal castello incantato, di trovare un terreno d’incontro con gli uomini che faticano e soffrono» 83. Il
resoconto della vita militare, con i suoi aspetti più reali e banali, è descritto tramite un elenco di azioni e spostamenti tra i quali il racconto sembra quasi fossilizzarsi, e il lessico si mostra circoscritto a poche parole, spesso utilizzate nel medesimo periodo fino a rendere ripetitive e monotone alcune parti della narrazione, fatta eccezione per i preziosismi («diserbato», «alloppicato», «ardenza», «arsione», «slogolìo») e per le
! A. Dei, Introduzione a G. Caproni, Racconti scritti per forza, cit. p.10. 81
! A. Barbuto, Opinione su «Giorni aperti», in Genova a Giorgio Caproni, a cura di G. Devoto e S. 82
Verdino, Genova, San Marco dei Giustiniani, 1982, p. 51.
! I. Calvino, Saggi, a cura di M. Barenghi, I, Milano, Mondadori, 1999, p.2923, ora in A. Dei, 83
memorie montaliane («pinastri», «strinati», «arrembata») e pascoliane («zirlìo», «limio»), rilevati da Antonio Barbuto al fine di sottolineare i richiami poetici nel Caproni narratore. Al contrario, sono presenti anche molti tecnicismi relativi alla sfera militare, attraverso i quali il realismo del racconto viene accentuato. Va evidenziato come l’autore stesso definisca la sua prosa «improvvisata e volentieri scorretta» 84,
dipesa da quella disattenzione che egli attribuiva al lettore e che gli permetteva un lavoro meno vincolato e più libero. Ma se le pagine del memoriale si manifestano soprattutto sotto la veste del resoconto, è nell’immediatezza delle dettagliate descrizioni paesaggistiche e ambientali che la poesia torna a vivere tra la prosa, mostrando un primo esempio di quegli aspetti tipici dell’alta lirica caproniana:
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Questo racconto-diario conserva una sua importanza per diversi motivi, tra l’altro perché sembra contenere già quasi tutti i temi del Caproni maggiore, anche se ancora unidimensionali, privi di profondità, troppo spesso risolti nella chiave del virtuosismo e della raffinatezza colortistica. 85
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Lo stile del racconto Il labirinto è invece più limpido e scorrevole, poiché deve sostenere la trama avvincente e complessa di una tragedia partigiana, considerata da Luigi Surdich uno «tra gli esiti più compiuti del Caproni narratore» 86. La narrazione si
articola tra il discorso diretto dei personaggi e le lunghe riflessioni del protagonista, grazie alle quali il suo profilo psicologico ha uno spazio più ampio per potersi delineare. Rispetto al soldato di Giorni aperti che ricorda con distacco l’esperienza vissuta, il narratore partigiano è immerso in una vicenda caratterizzata da un grande colpo di scena, che conferisce al racconto un andamento più fluido ed incalzante. Caproni predispone l’intera narrazione ad accogliere l’evento che determina la storia, divisa quindi tra un’attesa e una conclusione in mezzo alle quali si inserisce il momento più alto del racconto resistenziale. L’atmosfera sospesa, seguita da una rapida sequenza di eventi, nulla toglie ad una prosa che riesce a recuperare memorie passate, sogni e ricordi autobiografici mantenendo quel «modo di raccontare veloce ed essenziale, che si apre a
! G. Caproni, Introduzione a Giorni aperti. Itinerario di un reggimento dal fronte occidentale ai confini 84
orientali, cit. Ora in A. Dei, Giorgio Caproni, cit. p.31.
! C. Annoni, L’ora «albina». Saggio su Giorgio Caproni narratore, in Capitoli sul Novecento, Milano, 85
Pubblicazioni dell’I.S.U Università Cattolica, 2000, p.178.
! L. Surdich, I racconti partigiani di Giorgio Caproni, in «La rassegna europea di letteratura italiana», 86
improvvise fioriture liriche». 87 Ritorna infatti anche nel Labirinto la tendenza del
Caproni narratore a posare l’attenzione sui minimi particolari, basti pensare al ritratto di Ada, tratteggiato più volte nel corso della storia, o al paesaggio gelido ed innevato della Val Trebbia, di cui il poeta parla attraverso il biancore della neve che avvolge ogni cosa. Tuttavia, pur nella somiglianza di alcune descrizioni, le pagine del memoriale di guerra non sono paragonabili al pathos del Labirinto, scritto pochi anni dopo ma già emblema di un narrare più maturo e consapevole, che abbandona l’«ozio» 88della scrittura
improvvisata, per rivolgersi con maggior partecipazione ad una tematica esistenziale che mette in scena il dramma privato dell’Io nella cornice più ampia della tragedia bellica. I momenti più lirici sono tutti concentrati nelle pause riflessive del personaggio principale, i cui tormenti interiori si riflettono in un continuo rincorrersi di pensieri che appare come un flusso di coscienza. Anche nel Labirinto il narratore insiste sulle interrogative, creando uno sdoppiamento nel dialogo esclusivo tra il partigiano Pietra e la sua coscienza, vera protagonista del racconto. Se lo stile è molto più scorrevole e leggero rispetto a quello di Giorni aperti, va comunque riscontrata anche in questo racconto la mancanza della piena cura formale, di quella rifinitura tipica del Caproni poeta, evidente soprattutto nelle continue ripetizioni di termini e di concetti, non sempre attribuibile alla ricerca di un ritmo del racconto.
Con Il gelo della mattina, l’autore raggiunge senza alcun dubbio un’eccellenza narrativa: il tema della morte di Olga, sentito e sofferto anche a distanza di anni, permette a Caproni di aprire alla prosa tutte le particolarità della sua personale scrittura, a partire dalla descrizione attenta e minuziosa degli ambienti interni e dei paesaggi, fino a soffermarsi sul dramma psicologico vissuto dal personaggio ed espresso nei monologhi carichi di pathos, che non mancano ragionare anche sulla guerra, filo conduttore di tutti e tre i racconti e vero labirinto di sofferenza e ingiustizia in cui viene abbandonata l’intera umanità. Nell’ultimo capitolo del romanzo incompiuto, il Caproni fisico e quello metafisico convivono con pari equilibrio, regalando al lettore una prosa di immagini reali e sensazioni concrete, alle quali si intrecciano i sentimenti e le emozioni più profonde dei protagonisti.
! G. Leonelli, Giorgio Caproni. Storia d’una poesia tra musica e retorica, Milano, Garzanti, 1997, p.110. 87
Ora in L. Surdich, I racconti partigiani di Giorgio Caproni, cit. p. 56.
! G. Caproni, Introduzione a Giorni aperti. Itinerario di un reggimento dal fronte occidentale ai confini 88
Ad accomunare lo stile delle prose che compongono Il labirinto è anche l’uso «inerte e strascicato della congiunzione senonché» 89, quasi simbolo del passo caracollante del
poeta prosatore, poco incline all’andatura del racconto; è però opportuno ricordare che i testi vengono revisionati e modernizzati dall’autore, il quale qui rimuove le numerose ripetizioni e sostituisce i vari «senonché» presenti in misura maggiore nei manoscritti. Riscontrabile in ciascuna prosa è la tendenza di Caproni a riportare gli aspetti più crudi e macabri della realtà, siano essi gli effetti della malattia di Olga o il colore dei cadaveri dei partigiani uccisi, ai quali si unisce la descrizione dei bisogni primari del soldato al fronte, che non vengono mai mascherati o resi meno esplicitamente. Allo stesso modo il narratore restituisce ogni suo pensiero, anche il più recondito, per rispondere ad un bisogno di verità e di realismo di cui avverte l’urgenza soprattutto trattando episodi autobiografici inseriti nel tragico periodo della guerra:
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Caproni non rifugge mai dall’immagine o dalla percezione magari stridente e sgradevole; anzi il suo sguardo si ferma spesso con meticolosa esattezza proprio su aspetti crudi o ‘sconvenienti’ che non si vogliono in alcun modo espungere o redimere. La stessa introspezione, i ripetuti esami di coscienza dei protagonisti, a cominciare da quello terrible del Gelo della mattina, non si concedono nessuna reticenza, nessuna attenuante o tanto meno un’assoluzione postuma. Un costante bisogno di verità impedisce facili connessioni al gusto o all’abitudine più corriva del lettore, e nega nella stessa maniera ogni fuga consolatoria nell’immaginazione. 90
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! L. Surdich, I racconti di Giorgio Caproni, in «Studi di filologia e letteratura». Scrittori e riviste in 89
Liguria fra ‘800 e ‘900, Genova, Il Melangolo, vol.V, 1980, pp.563-629, ora in A. Dei, Introduzione a G.
Caproni, Racconti scritti per forza, cit. p. 20.
! A. Dei, Introduzione a G. Caproni, Racconti scritti per forza, cit. p.12. 90