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Storia della corruzione del culto del fuoco centrale e della rovina del monoteismo originale

Si de origine Deorum hic prolixiùs disputandum esset, ostendere liceret quod Mercurius primus seu Thoth paulò post obitum patris Osiridis & bellum Deorum cùm Isis adhuc in Ægypto regnaret, &

ætas ænea ad Ægyptiorum res sacras et philosophicas composuit et hieroglyphicis a se excogitatis occultare docuit, quodque eodem tempore nomina majorum & consanguineorum suorum qui tunc in vivis erant, Planetis indidit et ætates in eorum Hieroglyphicis simul expressit. Inde enim fit ut Deorum ætates eIDEM tempori congruentes usque hodie maneant

Isaac Newton, Notes on ancient religions, f. 5r.

Nel manoscritto Yahuda MS 41, The Original of Religion, a partire dal foglio 8r, Newton si propone di esplorare e, seppur brevemente e schematicamente, nel suo svolgimento cronologico, esaminare, la graduale, ma profonda metastasi che finì per sconvolgere il mondo antico e di ripercorrere i momenti principali che segnarono la caduta dell’umanità dalla pura e luminosa fede in un monoteismo originario nella più bieca e degenerata pratica di un politeismo idolatrico:

Now the corruption of this religion I take to have been after this manner. ffirst the frame of the heavens consisting of Sun Moon & Stars being represented in the Prytananea as the real temple of the Deity men were led by degrees to pay a veneration to these sensible objects & began at length to worship them as the visible seats of the divinity. And because the sacred fire was a type of the Sun & all the elements are parts of that universe which is the temple of God they soon began to have these also in veneration. For tis agreed that Idolatry began in ye worship of ye heavenly bodies & elements.154

Secondo la sintetica ricostruzione di Newton, l’idolatria fece la sua prima comparsa con la venerazione dei corpi celesti e degli elementi: gli uomini, infatti, iniziarono gradualmente a prestare un’adorazione idolatrica agli oggetti sensibili e facilmente identificabili dell’universo (il che rendeva questo tipo di adorazione molto attraente), come il sole, la luna e le stelle rappresentati nelle prytanee “as the visibile seats” di una divinità invisibile. I corpi celesti, considerati dapprima come parti inseparabili e connesse di un cosmo progettato “as ye real temple of the Deity”, come figurazioni allegoriche dell’ordine divino, veicoli formali attraverso cui la sapienza e la verità trascendente poteva essere appresa, furono, in seguito, indicati come

154 Isaac Newton, Yahuda MS 41, f. 8r.

sedi tangibili di una divinità concepita come non solo simbolicamente, ma anche sostanzialmente, concretamente e localmente presente nella sua creazione.

I singoli elementi furono dunque isolati e trasformati per una sorta di fissazione o ipostatizzazione in oggetti di venerazione idolatrica, in feticci con cui gli uomini inaugurarono un rapporto concreto, finendo per rifiutare la fede assoluta nel Dio invisibile irrappresentabile ed essenzialmente inconoscibile. A sostegno della sua “ipotesi”, Newton riporta e accumula citazioni dalle opere di Eusebio, testimonianze fenicie, ma anche versetti espunti dai testi biblici, come il deuterocanonico e apocrifo Libro della Sapienza di Salomone155, la condanna di Dio che Mosè registra nel primo (secondo per la tradizione deuteronomica) comandamento156 o il libro del pagano Giobbe il quale, presentando la sua difesa dall’accusa che gli era stata intentata dai tre compagni, Elifaz, Zofar e Bildad su una sua possibile compromissione idolatrica che giustificasse la dura punizione che Dio gli aveva inflitto, si chiede:

[…] se ho guardato il sole quando brilla o la luna che avanzava splendente, e il mio cuore si è lasciato segretamente sedurre e la mia bocca ha baciato la mia mano; anche questa sarebbe una colpa che deve essere punita dai giudici perché avrei rinnegato Dio che sta in alto.157

Newton prosegue la sua riflessione ammettendo che la venerazione di stelle, pianeti e, in generale, della natura inorganica, sia “more plausible then that of dead men & statues”, che sia, anzi, condizione di possibilità del culto degli eroi morti e di altri oggetti inanimati, come ricostruirà in seguito, poiché ritiene l’umanità essere generalmente incline, “more prone to it”. Egli aveva già notato come il pantheon degli etruschi, popolo che praticava una religione antichissima e, di conseguenza, più conforme a quella originaria, comprendesse solo due divinità, la dea Vesta, ovvero il fuoco perpetuo, e il sommo dio Giano, il dio unico e onnipotente venerato, appunto, mediante tale fuoco. Attraverso la lettura dei testi di Strabone, egli rinviene anche tra i popoli albani il culto di un Dio supremo, “Iupiter”, congiunto all’adorazione del Sole e della Luna, mentre le testimonianze di Cesare gli offrono preziose informazioni sulla religione dei popoli germanici, che veneravano solo tre divinità, ovvero “Solem et Vulcanum et Lunam”; così, anche Platone afferma nel Cratilo, che le popolazioni barbare che aveva conosciuto “had received not

155 “Surely saith he vain are all men by nature & could not out of the good things that are seen know him that is, neither by considerying the works did they acknowledge the workmaster: but deemed either fire or wind or the swift air or the circle of the stars or the violent water or the lights of heaven to be the Gods which Govern the world”.

156 “Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai”.

157 Gb, 31:26-27.

other Gods besides those visible ones of the Sun, Moon, Earth, Stars & heavens”; Erodoto parla allo stesso modo dei persiani che adoravano il Sole, la Luna “& circle of the heavens calling them Iupiter, but regarded not dead men nor used statues”; infine, concludendo il suo elenco, Newton cita l’esempio degli irlandesi, i quali riconoscevano poche divinità e veneravano esclusivamente il Sole, la Luna e la Terra, dapprima come simboli dell’unico Dio e in seguito come divinità esse stesse:

The worshipping therefore of these fals Gods & Goddess in the Prytanea was the first & most generall corruption of the primitive religion; but the grossest corruption was by introducing the worship of dead men & statues.158

A questo punto l’autore passa a ricostruire e considerare come sia avvenuta la seconda grave corruzione della vera religione, introdotta nel riferimento precedente. Con l’intenzione di onorare159 i propri antenati, ovvero gli uomini del passato mitico dell’umanità, i re, principi, gli eroi e i generali di eserciti che conquistarono molte terre, e, contemporaneamente di conservare la memoria delle loro fulgide imprese, gli uomini che hanno vissuto nell’epoca successiva al diluvio universale iniziarono ad attribuire a stelle, fiumi, laghi, montagne e ad altri elementi fisico-geografici, e a imporre alle città che furono a mano a mano fondate, i nomi di quei personaggi, rappresentati nei documenti di la storia civile e religiosa di quei popoli “by various hieroglyphical figures with wings like angels to denote the motion of the stars & by this means their names being preserved grew into more & more veneration”160In quei giorni, infatti, la scrittura dei popoli orientali, degli abitanti della Mesopotamia, dei tebani e degli etiopi era codificata sotto forma di geroglifici, ideogrammi e simboli, che furono per la prima volta concepiti e stabiliti dalla classe sacerdotale delle varie nazioni. Come l’antica e originale sapienza teologica e la corretta interpretazione del sistema del mondo, anche la storia della prima umanità fu dunque custodita e depositata in un linguaggio, sì massimamente esplicativo, ma soprattutto facilmente fraintendibile.

L’autore, pur riconoscendone i meriti, addita le gravi responsabilità dei sacerdoti, specialmente dei sacerdoti egiziani, colpevoli della corruzione del messaggio originario e denuncia il contributo

158 Isaac Newton, Yahuda MS 41, f. 9r.

159 La pratica di attribuire i nomi di personaggi illustri, con la finalità di onorarli, a stelle e pianeti non è relegata ai tempi antichi. Senza arrivare ad attribuirgli una venerazione idolatrica o la tentata apoteosi dei suoi patroni e mecenati, nel terzo foglio delle Origenes, Newton cita il caso del cattolico Galileo che ha chiamato innocentemente, ma con grande naturalezza, le lune di Giove con i nomi dei membri della famiglia Medici, da cui aveva ricevuto benefici e lunga protezione.: “Deorum vero nomina ab hominibus desumpta sunt.Vidimus enim nuper quod Galilaeus Sidera Circum-Jovialia in honorem et memoriam benefactorum suorum Medicae nominavit, quodque nomina Clarissimorum hominum ab alijs translata sint in Lunam”.

160 Isaac Newton, Yahuda MS 41, f. 9v.

decisivo di un singolo personaggio161, il mitico pervertitore della religione monoteista e primo idolatra, ovvero Thoth/Mercurio. Figlio di Osiride, suo scriba e suo successore come legislatore dell’Egitto e re degli egiziani, “author of their arts & sacred rites & letters”, Thoth era considerato il leggendario inventore della scrittura geroglifica e del linguaggio figurato utilizzato dai sacerdoti per trattare e comunicare i sacri misteri e gli insegnamenti astronomici, insieme all’antica scienza eliocentrica, nonché il responsabile dell’introduzione dei culti idolatrici in Egitto e l’iniziatore di quella usanza insensata di battezzare pianeti, stelle ed elementi della natura inorganica con nomi di importanti personaggi della storia egiziana, suoi parenti e antenati, determinandone, dunque, la successiva deificazione e venerazione.

Come Newton ricostruisce nel manoscritto Yahuda MS 17.3, dal titolo assegnato Notes on ancient religions, collegato alle Origines e agli Scholia, Thoth, dopo la prematura morte del padre Osiride nelle guerre tra gli dei scatenatesi durante la fine dell’età del bronzo, scrisse un’opera di astronomia sacra mediante la quale insegnò agli egiziani “res sacras et philosophicas”. Con l’obiettivo di comunicare e allo stesso tempo celare le verità astronomiche in cui era profondamente istruito, progettò una grande narrazione poetica nella quale i pianeti del sistema solare erano indicati con i nomi dei suoi antenati e familiari ancora in vita162, di cui fissò l’età, narrò le gesta e la storia “hieroglyphicis a se excogitatis” e li rappresentò a seconda delle qualità più singolari e le caratteristiche a loro peculiari: così disegnò Saturno, il suo progenitore più anziano, come un uomo debole e decrepito, “a man wth a syth” che recava in mano una falce per indicare che fu il conquistatore del basso Egitto, terra ricca di cereali; il figlio di Saturno, Jupiter fu ritratto da Thoth come un uomo potente e vigoroso “wth rams horns” per indicare la sua eccellente autorità regale, il suo valore guerriero e il suo dominio sui territori libici, in cui abbondavano i pascoli di pecore e arieti, eternamente al potere anche se fu successivamente espulso dal suo regno; Hercules/Marte, figlio di Jupiter, fu, invece, raffigurato mentre impugna un’asta con cui aveva combattuto fieramente nella guerra tra gli dei (nonostante successivamente

161 Nonostante Newton rinvenga e indichi precisamente le responsabilità dei singoli pervertitori, i sapienti che hanno sofisticato e nascosto gli insegnamenti divini sotto il velo delle proprie immaginazioni, egli afferma nel foglio 67r delle Origines (Yahuda MS 16.2) che tali fraintendimenti hanno avuto rapida diffusione poiché dipendono dalla natura stessa degli uomini “in superstitiones semper propensae”, pronti a trasformare i loro morti illustri in anime immortali, questi “genia” in spiriti potenti e divinità celesti: “quippe ea est gentium omnium superstitio ut homines in Divos, Divos in Deos & Deos minores in Deos maximos referre et extollare semper conarantur” (Yahuda Ms 16 f.

44r).

162 Isaac Newton, Yahuda MS 17.3, f. 5v: “Saturnus senex erat Iupiter seu Hammon virili adhuc vigebat aetate, Osiris emortuus erat & Isis regnabat Venus aetate juvenili & summa pulchritudine florens filiolum habuit, Mercurius ex ephebis jam emerserat & Apollo seu Orus adhuc imberbis erat”.

usi una spada) e mentre pone pilastri in tutti i paesi conquistati; Venere, sorella di Marte, come una donna nel fiore della sua gioventù e bellezza, e suo figlio, Mercurio, eternamente ragazzo, servitore degli dei, come un uomo ingegnoso e lungimirante che impugna il caduceo, “a rod writhen about wth two serpents for the symbol of an Embassador”, fu rappresentato, come Apollo, eternamente imberbe, mentre la giovane sorella Diana come eternamente nubile e vergine; infine, Osiride, l’unico personaggio a essere già deceduto, fu dipinto come dio dei morti e Thoth gli consacrò il fiume Nilo (che, nella mitologia greca diventerà lo Stige) nel quale era annegato, e che divenne suo simbolo, in quanto “emanazione” del suo corpo o sua “secrezione”.

I nomi di tali divinità furono, quindi, attribuiti ai pianeti del sistema solare secondo un preciso ordine che ne rispecchiava la genealogia e la progressiva anzianità in relazione alla crescente distanza dei sette pianeti dal Sole163. Così, il nome di Saturno, il più anziano fu attribuito al pianeta più remoto, mentre il nome Giove “aetate proximi” a quello immediatamente successivo; “Tertio Planetarum adscribitur Mars Iovis ex Iunone filius”, mentre il nome del quarto pianeta, la Terra, non fu preso dal secondo figlio di Giove, ovvero Osiride, che morì prematuramente, ma da sua moglie, Iside, regina degli egiziani; il nome di Venere, moglie di Vulcano e prediletta nuora di Giove, fu assegnato al quinto pianeta, mentre quello del primo nipote, Mercurio, al sesto. Infine, Newton, conclude con il giovane Horus la carrellata di divinità del pantheon egiziano: “Orus aetate proximus regnabat cum matre & deorum ultimus habetur & ejus nomen inditum est Soli Planetarium omnium illustrissimo et ultimo”164.

Di conseguenza, la tesi che Newton sta implicitamente proponendo in Yahuda MS 17.3 e che intenderebbe documentare, argomentare e chiarire nello sviluppo del II capitolo delle Origines, presentandola nel titolo come una conclusione dimostrata di un’approfondita investigazione empirica e sperimentale dei fenomeni religiosi, non è che la tesi evemerista, cioè che i nomi degli dei derivino da quelli di uomini deificati:

Quod Hominum post Diluvium primorum memoria in astris et Elementis colebatur, quodque homines illa ætatibus tribus primus et quarta jam verò Deorum cælestium nonisina ab hominibus desumpta sunt.165

Così anche Newton, come molti intellettuali della sua generazione, accetta e sostiene le posizioni

163 Isaac Newton, Yahuda MS 17.3, f. 5r.: “Quodque nomina eorum secundum aetatem cujusque imposita sunt Planetis secundum distantias eorum a Sole”.

164 Op. cit., f. 7r.

165 IDEM, Yahuda MS 16.2, f. 7v.

di Evemero, seppur con alcune riserve, accogliendole criticamente e rifiutandone, ovviamente, l’estrema razionalizzazione che vuole tutte le divinità come apoteosi di re ed eroi. La tesi evemeristica fu, infatti, generalmente condivisa e, cristianamente reinterpretata, fu riproposta da molti eruditi e studiosi del suo tempo, compresi i suoi studenti Whiston e Clarke e i suoi colleghi More e Cudworth, ma soprattutto dagli storici evemeristi del XVII secolo come Grozio, Vossius, Bochart, Marsham, Stillingfleet, alle cui opere e compendi Newton aveva attinto abbondantemente per condurre le proprie ricerche. Dunque, la conseguenza immediata dell’usanza inaugurata da Thoth di attribuire i nomi di re, di membri della dinastia egiziana e di eroi a stelle, pianeti ed elementi dell’universo fu che, in seguito alla morte di questi nobili e rispettabili personaggi, i sacerdoti e i loro discendenti iniziarono a insegnare e diffondere la credenza che le loro anime fossero trasmigrate al cielo e avessero impregnato la natura inorganica e inanimata, vivificando i corrispondenti astri e i corpi celesti che, insieme alle anime, ricevettero anche le qualità peculiari, le virtù e il temperamento proprio degli antichi uomini “& according to those qualities governed the world”166. Così, prosegue l’autore, il temperamento malinconico dell’uomo-Saturno riluceva nel pianeta che aveva ricevuto il suo nome, caratterizzandolo così come un corpo freddo e maligno, nocivo, che influenzava e preannunciava castighi e prigionie; lo spirito sereno, mite dell’uomo Giove aveva reso il pianeta a esso assegnato temperato ed equilibrato, mentre il pianeta che aveva ricevuto, insieme al nome, anche la personalità e tempra di Marte “influenced wars & misfortune because the Man was a malevolent warrier”; il quinto pianeta prese il nome di Venere, donna bellissima e amabile, ricordata come una benefattrice del popolo egiziano: di conseguenza fu generalmente sostenuto che l’influsso del pianeta Venere ispirasse negli uomini l’amore e suscitasse sentimenti legati alla sensualità e alla lussuria; al sesto pianeta, “Stellae Mercurij impositum est nomen hominis illius Thoth a quo Aegyptij scientias acceperant”, un uomo dall’intelligenza vivace e multiforme “planetasque omnes adjuvat &

comfortat quibuscum conjungitur”, governava favorevolmente i commerci e glorificava ogni sorta di impresa intellettuale; infine, Thoth assegnò i tre corpi celesti più “visibili” e importanti, ovvero la Terra, il Sole e la Luna ai governanti dell’Egitto, suoi familiari e più intimi amici, per onorarli e magnificarli nonostante fossero in vita: così l’anima e le qualità di Iside, nobile, generosa e saggia regina d’Egitto, vedova di Osiride, furono attribuite alla terra, mentre quella dei giovani figli, Horus – ultimo degli dei dell’Egitto - che governò con lei, e Bubaste fu rispettivamente attribuita al Sole e alla Luna, “pianeta” secondario, ma pur sempre rivale al Sole per la sua magnitudine apparente, “sic Stellae Soli & Lunae indita sunt nomina Ori et Bubastis

166 IDEM, Yahuda MS 41, f. 9v.

seu Apollinis ac Dianae Iuvenum Aegyptiorum”. Infine, i nomi e, di conseguenza, le anime di numerosi altri personaggi della storia egiziana furono assegnate alle stelle fisse, come quella di Osiride alla stella Sirio, quelle di Orione, Arturo e i gemelli Castore e Polluce alle rispettive costellazioni che, poiché essi erano uomini fieri, bestiali e amanti della guerra, furono ritenute responsabili dei più violenti sconvolgimenti meteorologici come le tempeste e gli uragani; quelle delle figlie di Atlante - “Phaesyla, Ambrosia, Coronis, Eudora & Polyxo; deinde Electra, Alcyone, Celeno, Merope, Sterope, Taygeta & Maia” - agli ammassi stellari delle pleiadi e delle ìadi, quest’ultime, le “piovose” considerate portatrici delle prime piogge primaverili, in memoria delle copiose lacrime versate dalle ninfe in seguito alla morte del fratello Iante durante un incidente di caccia.

Tali fraintendimenti, ovvero il racconto favoloso della trasmigrazione delle anime degli antenati dell’umanità a stelle, pianeti e costellazioni, (che si affermò poi come una vera e propria dottrina, una volta codificato attraverso linguaggio e concettualità filosofiche)167, insieme all’insensata credenza in una diretta influenza e di un invincibile controllo da parte di stelle e pianeti sulle faccende umane, furono, dunque, universalmente tramandati e causarono l’irrimediabile sviluppo delle scienze astrologiche e magiche insieme all’incontrollata diffusione di pratiche idolatriche legate al culto di astri ed elementi:

And whilst they feigned the stars & element & statues & some other things to be inhabitated & animated by the souls of their Gods & by them to govern the world they reckoned that these things by their motions & other accidents were significative of things to come & thence invented divers divinatory arts (as Astrology, necromancy, Augury, southsaying) by which & the craftyartifice of oracles & such like tricks the superstition of the people towards these Gods was extremely increased & the whole world deceived.168

In un primo momento si affermò, dunque, attraverso un processo di antropomorfizzazione della materia inanimata, il culto di un cosmo spiritualizzato a cui seguì la venerazione idolatrica di animali, in cui erano presumibilmente trasmigrate le anime delle varie divinità (come quella di Osiride nel corpo di un bue), piante, minerali, rocce meteoritiche, pilastri e, infine, statue e

167 Così i fenici descrivevano la luce come l'attività pura e immacolata della perfetta mente solare, Plutarco in Isis e Zenone in Stobaeus affermavano che le anime di Iside, Orus e Thypho risplendessero nelle stelle, i filosofi stoici consideravano tutte le stelle come esseri viventi in possesso di anime razionali, manifestazioni del sommo dio Jupiter e quindi indiscutibilmente, delle divinità esse stesse, mentre i seguaci delle dottrine platoniche, tra cui Plotino (En. 5, bk. 1, ch.2), descrivevano le stelle come corpi animati, incorruttibili, immortali, pure menti; infine, Aristotele come già anticipato, insegnava lucidamente e dimostrativamente la dottrina delle intelligenze che governavano il movimento dei corpi celesti.

168 Isaac Newton, Yahuda MS 41, f. 26r.

immagini scolpite dagli uomini. Queste rappresentazioni materiali furono, così, collocate e incise nei templi e nei luoghi di culto e ritenute sedi e dimore privilegiate di spiriti e demoni, che potevano, secondo misteriosi procedimenti, attraverso l’osservanza di segreti rituali o l’esecuzione

immagini scolpite dagli uomini. Queste rappresentazioni materiali furono, così, collocate e incise nei templi e nei luoghi di culto e ritenute sedi e dimore privilegiate di spiriti e demoni, che potevano, secondo misteriosi procedimenti, attraverso l’osservanza di segreti rituali o l’esecuzione