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Storia di huawe

Nel documento Le applicazioni in Cina (pagine 61-84)

“La Cina darà presto il via alla più grande esplosione economica e all’ opportunità di investimento più grande sul pianeta”

George Russell

Le quattro modernizzazioni

La storia di Huawei ebbe inizio nel 1987 ad opera dell’ex vice direttore del dipartimento di ingegneria del fronte nazionale di liberazione Ren Zhengfei. Ma quali cambiamenti storici, politici ed economici erano in atto all’epoca per permettere a questa azienda di sorgere?

Durante il 1980, il governo cinese cercò di modernizzare le infrastrutture delle telecomunicazioni, che all’epoca erano in condizioni di sottosviluppo; modernizzazione che incominciò dall’apertura della Cina verso il mondo esterno e verso il capitalismo avvenuta dopo il 1978 con la riforma di Deng Xiaoping delle quattro modernizzazioni. Questa riforma di apertura era focalizzata su quattro campi, cioè agricoltura, industria, difesa nazionale, e per ultimo scienza e tecnologia. Per il governo cinese, la crescita della tecnologia nel paese era un punto cardine, ed investì molte risorse nel suo sviluppo. Il problema principale della Cina di quel periodo era una arretratezza assoluta, e l’avanzamento tecnologico richiedeva ingenti somme di denaro. Inoltre, la Cina proveniva da un lungo periodo di dittatura comunista, che aveva modificato profondamente l’economia ed il pensiero comune, rinchiudendo le persone in un sistema controllato dall’alto, senza spazio di manovra. I problemi principali che ostacolavano il piano delle quattro modernizzazioni era il metodo da adottare per uno slittamento di sistema, quali strategie adottare per farlo e da dove partire per attuare il progresso della Cina. Per prima cosa, i capi di Stato analizzarono i vantaggi territoriali di cui il paese era in possesso, e li trovarono nella grande disponibilità di forza lavoro non qualificata e a basso costo ed in una grandissima quantità di risparmi per gli investimenti. Come è stato possibile per

62 la Cina possedere questi quattro pilastri della crescita? L’enorme quantità di forza lavoro senza qualifica e a basso costo proveniva dalle popolose campagne cinesi, mentre la quantità ingente di risparmi dall’economia socialista che aveva caratterizzato il periodo maoista, dove le persone furono costrette a risparmiare, dal momento che i beni primari erano responsabilità dello Stato e non vi era un mercato libero. Lo Stato ovviò al problema di accumulazione di capitale tipico dei paesi in via di sviluppo con l’esportazione, in quanto la produzione non poteva essere assorbita dal paese stesso, ed una serie di brillanti riforme portarono la Cina ad essere orientata verso l’esportazione nei primi anni del boom economico. La sostituzione con l’esportazione della mancanza di potere d’acquisto domestico fu una soluzione ovvia data dal vantaggio della forza lavoro, ed il governo cinese mandò degli esperti in tutto il mondo in cerca delle soluzioni più brillanti ed accreditate sia per quanto riguardasse la politica da seguire sia per il sistema economico ed imprenditoriale, un metodo chiamato institution shopping, oltre che cercare investimenti diretti esteri per potenziare l’industria, raggiungendo in breve tempo una crescita elevatissima chiamata catching-up grow o compensation gap.42 Gruppi di commissioni cinesi furono mandati in giro per il mondo per analizzare come le pubbliche istituzioni nei vari paesi risolvessero i vari problemi economici e politici, ed una volta tornati sul suolo natio cercarono di capire come queste soluzioni fossero applicabili alla Cina stessa. Come avvenne questa acquisizione in pratica? Semplicemente copiando. Copiando tutto. Copiando qualsiasi cosa proveniente dai paesi occidentali, dai modelli di business, prodotti, istituzioni, ed infine la tecnologia.

Dopo aver analizzato i vantaggi posseduti ed il metodo per farli fruttare (cioè l’esportazione) mancava il progetto per attuare questa riforma, cioè di trovare il modo affinché si slittasse da un sistema comunista ad un sistema capitalista, e per attrarre in Cina aziende e capitali stranieri per l’esportazione. Per prima cosa, il governo decise di focalizzarsi sull’avanzamento dell’agricoltura, e di partire con la sperimentazione politica in quel campo, non essendo la principale fonte di introito statale. La Cina è passata attaverso tre fasi di transizione: dall’agricoltura all’industria, dal mercato domestico a quello internazionale, dall’economia pianificata all’economia di mercato. Se all’inizio dell’epoca maioista la priorità era la lotta di classe, nell’epoca di Deng Xiaoping la priorità fu data allo sviluppo economico, trovandosi la Cina ad affrontare la contraddizione tra la capacità del sistema economico cinese ed i bisogni materiali della popolazione. Da questo cambiamento radicale di ideologia del partito è nato lo sviluppo economico incredibilmente veloce caratterizzante la fine degli anni settanta. Queste

42“Catch-up effect definizione”, In www.theeconomist.com, 2013, http://www.economist.com/economics-a-to- z/c#node-21529531, 08/08/2016.

63 riforme furono attuate con il metodo 摸石头过河43 (attraversare il fiume aggrappandosi alle

pietre, cioè cercare la strada mentre si avanza, senza un progetto predeterminato), cioè introducendo man mano nuovi elementi nel sistema mantenendo nel mentre il sistema precedente, un metodo chiamato riforme intra-sistemiche. La Cina con questo sistema ha evitato l’effetto big bang a cui è sottostata la Russia a causa della scelta di attuare un processo di trasformazione radicale, passando direttamente da un economia pianificata ad un economia di mercato senza fasi di transizioni, ed è stato la chiave di successo del boom economico cinese. Il metodo attuato dal governo cinese permise un adattamento istituzionale, permettendo che i valori sociali si adattassero gradualmente alle istituzioni economiche e viceversa. Queste riforme partirono dall’agricoltura, essendo essa un settore economico non di fondamentale importanza, e quindi il rischio di sperimentazione non era elevato. La riforma del “sistema di responsabilità di proprietà privata” ha dato il via all’alta produttività nell’agricoltura cinese. Durante il periodo maoista, l’agricoltura era organizzata nei comuni popolari, i quali riunivano circa tremila villaggi in un sistema autarchico, e non esisteva la proprietà privata. Dopo vari episodi di carestia a causa della Rivoluzione popolare, si decise di distribuire parte della terra comune alle famiglie, permettendole di coltivarla in maniera indipendente e di tenere i frutti del lavoro per sé. Le persone presto iniziarono a focalizzarsi sul loro pezzo di terra e a trattenere le energie per il lavoro giornaliero da svolgere sui campi comuni.

La gente, dopo un ulteriore espansione di questo esperimento sociale, iniziò a produrre un surplus e a commerciarlo, introducendo di logica conseguenza un sistema di prezzi che si andava ad avvallare al vecchio sistema precedente ancora in uso. Nell’anno 1983-1984 l’intero sistema agricolo fu reso capitalistico, lasciando ormai alle spalle il vecchio sistema collettivo. Dopo che il movimento di riforma si rivelò un successo nelle campagne, entrò nelle città nel 1984-1985, portando la riforma nel settore industriale. Altro sistema di riforme che permise il passaggio dal mercato domestico a quello internazionale fu l’istituzione di zone economiche speciali (Shenzhen, Zhuhai, Shantou, Xiamen) dette anche Pilot Zone, cioè aree delimitate dove avvennero i primi esperimenti di capitalismo tramite investimenti diretti provenienti dall’estero. Erano zone delimitate governate da standard politici ed economici differenti, dove avvennero cambiamenti radicali dell’economia, delimitati appunto nell’area e nelle fasi di progresso, monitorate dal governo cinese stesso. Gli investimenti esteri furono un elemento chiave in questo progresso, dal momento che le aziende estere, una volta arrivate in Cina, portarono con sé un vasto bagaglio di conoscenze come modelli di business, organizzazioni aziendali,

64 tecnologie. Le zone pilota sono state necessarie per testare le riforme, lo scopo principale della zona pilota di Shanghai era di aprire il più possibile la Cina al resto del mondo, eliminando tutte le barriere. Furono progettate per essere isolate dal resto del paese per poter contenere i possibili rischi di fallimento della riforma, permettendo così di interrompere in qualsiasi momento il processo in corso, riducendo i costi e massimizzando la velocità del possibile successo. Le zone economiche speciali erano basate sull’industria leggera, ed il modello di

business attuato si basò su tasse ridotte, forza lavoro a basso costo messa a disposizione a

pagamento da FESCO, un ente statale, e disposizione di impianti di energia elettrica. Gli investitori cinesi oltreoceano accorsero ad occupare queste zone, intuendo i numerosi vantaggi economici offerti dalla situazione. Dopo che questo esperimento ottenne successo, fu replicato in una scala minore nelle città costiere. Shanghai divenne una zona economica speciale solo nel 1992, dopo che il governo fu sicuro dei risultati ottenibili.

La terza fase di cambiamento economico si rivolse dal passaggio da un’economia pianificata a livello industriale ad un economia di mercato, partendo dal settore industriale, il più importante nell’economia cinese dell’epoca. Inizialmente lo Stato procurava sia gli input sia i livelli di produzione, nonché cosa produrre. Una volta portata a termine la produzione, un agente governativo la distribuiva. Le imprese si trovavano in una situazione di ignoranza assoluta riguardo sia i clienti sia i fornitori, ed il sistema economico sarebbe collassato se non si fosse trovato un sistema di passaggio graduale. Il governo cinese, per portare il mondo dell’industria sul libero mercato, incominciò a fornire solo l’input necessario per far funzionare il 90% dei macchinari, ed il restante 10% divenne compito delle imprese stesse procurarselo. Le imprese iniziarono così a guadagnare margini di profitto secondo il sistema chiamato sistema di doppio tracciato, permettendo ai managers di aver tempo necessario per imparare le tecniche di

marketing e la pianificazione dei costi. Queste riforme attuarono la politica di riforme senza

perdenti, che significa l’assenza di riforme politiche durante il periodo di riforma economica, permettendo attraverso la liberalizzazione in termini economici un rafforzamento del sistema politico stesso.

Nel 1990 il processo di privatizzazione delle imprese raggiunse una fase di completamento, e le aziende più importanti furono quotate sul mercato e furono gestite secondo un sistema basato sulle quote azionarie in possesso ai vari azionisti.

Quando la Cina si aprì al resto del mondo, l’impatto fu molto forte, e moltissime persone vollero salire sul nuovo carro della Cina. Si aprì per questo paese una fase passiva dove l’input

65 era importato e l’output veniva esportato secondo il modello nominato 两头在外44, ed i

modelli di business erano determinati al di fuori del paese. Ma la cosa fondamentale di questa fase di apertura fu che, benché ogni aspetto della nuova economia era controllata da aziende straniere, la Cina assorbì ed accumulò un grande bagaglio di esperienza e conoscenze provenienti da questo mondo capitalista insediatosi in Cina. Nel 12 dicembre del 2001 la Cina entrò ufficialmente a fare parte del WTO, sigillando l’entrata in scena nel panorama economico globale del libero mercato.

Gli investitori accorsero in Cina mossi dal canto della sirena della forza lavoro a basso costo e dalla competizione oligopolistica, che spinse le aziende a salire sul carro degli investimenti cinesi non perché considerato il più delle volte un investimento interessante, ma perché rimanere indietro rispetto agli avversari significava perdere ingenti margini di profitto, e seguire il comportamento degli avversari significava tenere il mercato bilanciato, e mantenere la propria posizione dominante nel settore. Un altro forte fattore di spinta verso la corsa all’investimento fu la possibilità di attingere ad un bacino di più di un miliardo di consumatori, un’opportunità che non si poteva certo disdegnare. La Cina divenne ben presto la fabbrica del mondo, specializzando e raffinando sempre di più la produzione. Nella catena di valore di mercato globale, la Cina occupava inizialmente, nel mercato degli smartphone, la posizione di assemblaggio dei componenti high-tech provenienti da paesi più ricchi e sviluppati. La Cina per esempio, dal business dell’assemblaggio dell’iPhone guadagna un margine di profitto limitato all’1,8%. Il lavoro di assemblaggio porta profitti limitati, mentre il lavoro di ideazione del brand e di distribuzione offre ampi margini di guadagno, margini da cui la Cina inizialmente fu esclusa. Questo finché non furono introdotti i propri marchi nazionali, come Huawei.

Gli inizi

”la tecnologia di attrezzature per gli interruttori è legata alla sicurezza internazionale, ed una nazione che non ha la propria tecnologia di interruttori è come un paese senza esercito.”

Ren Zhengfei, fondatore di Huawei, in un incontro con il segretario generale del partito Jiang Zemin del 1994.

E ora ritorniamo alla storia di Huawei. L’azienda fu fondata nel pieno periodo delle quattro modernizzazioni, ed il fronte nazionale era già pronto, alla fine degli anni ottanta, a modernizzare anche il settore tecnologico dopo aver portato avanti buoni risultati nel settore

66 industriale grazie alle zone pilota ed al metodo 摸石头过河. Il vice direttore del dipartimento di ingegneria del fronte nazionale di liberazione Ren Zhengfei si trovava anche lui, dopo la riforma, ad attuare un andamento capitalistico in quel settore ormai non più governativo, ritrovandosi a gestire quella che era diventata un’azienda a tutti gli effetti, e a dover imparare un metodo nuovo per gestirla, quello del mercato libero. Infatti, le aziende tecnologiche non erano più ristrette dai dettami comunisti e dovevano svincolarsi dall’ignoranza causata dal sistema precedente per apportare un netto avanzamento tecnologico nel paese, e ciò portava enormi poteri, ma anche enormi responsabilità; per la prima volta, questo settore si poteva liberamente affacciare al mondo esterno ed assorbirne le novità, ma allo stesso tempo l’avanzamento tecnologico avrebbe inciso profondamente nello sviluppo economico del paese, ed attuarlo comportava una notevole sfida. Un componente chiave formante il nucleo delle reti di comunicazione erano gli interruttori di scambio telefonico, e verso la fine del 1980 vari gruppi di ricerca posero tutti i loro sforzi per acquisire e sviluppare tale conoscenza, e per ottenere tale scopo cercarono la cooperazione tramite joint venture con compagnie straniere depositarie del sapere tecnologico necessario, con la controparte cinese formata da aziende statali. Ma inizialmente invece che basarsi sulle joint venture per assicurarsi un trasferimento di tecnologia dalle compagnie straniere, le quali erano spesso riluttanti a trasferire le loro tecnologie più avanzate alle fabbriche cinesi, Ren durante i suoi anni di servizio nel dipartimento di ingegneria del fronte nazionale si focalizzò sulla ricerca e sviluppo tecnologico locale per produrre i necessari interruttori attraverso la tecnica del reverse-engineering delle tecnologie estere, cioè quel processo, legale in molti paesi, di analisi ed apertura di prodotti tecnologici per studiarli e comprenderne il loro funzionamento. Ren Zhengfei è riuscito a servirsi delle abilità acquisite durante la carriera militare per porre solide basi per il successo di questa azienda.45 Al tempo, tutte le tecnologie cinesi riguardanti le telecomunicazioni erano importate dall’estero, mettendo in difficoltà il paese, all’oscuro del funzionamento di una tecnologia fondamentale per lo sviluppo della nazione, essendo costrette di conseguenza a sborsare ingenti somme per sviluppare le infrastrutture, somme difficilmente reperibili data la situazione economica difficile. Il fondatore di Huawei sperò di risolvere questo dannoso problema costruendo una compagnia di telecomunicazioni cinese, la quale avrebbe tenuto testa ai concorrenti esteri.

45AHRENS, Nathaniel, “China’s competitiveness case study:Huawei”, in www.csis- prod.s3.amazonaws.com ,2016, https://csis-prod.s3.amazonaws.com/s3fs-

67 La compagnia, al momento della sua fondazione, segnava in conto cassa solo ventunomila yuan. Durante i suoi primi sette anni di vita, il modello di business aziendale consisteva nel rivendere conduttori per centrali telefoniche private ed allarmi anti-incendio importati, da un azienda chiamata Kangli di Hong Kong. Nel mentre, gli interruttori provenienti dai frutti del lavoro di ricerca della reverse-engineering e i grossi investimenti in ricerca e sviluppo aiutarono l’azienda a produrre in breve tempo la propria tecnologia. Nel 1990 la compagnia aveva ormai cinquecento membri nella squadra R&D, ed incominciò una commercializzazione indipendente degli interruttori per centrali telefoniche private rivolgendosi agli hotel ed alle piccole imprese domestiche. Ma esistevano già altre duecento aziende che rivendevano lo stesso prodotto, e per emergere dal mercato l’azienda doveva iniziare a produrre interruttori più tecnologicamente avanzati, un sistema di interruttori di larga scala. Era una tecnologia che le aziende multinazionali non erano disposte a cedere alla Cina per nessun motivo. Ren Zhengfei pensava che le joint venture internazionali portassero dei grandi vantaggi alle controparti internazionali, e scelse inizialmente di puntare sullo sviluppo e ricerca nazionali mentre le altre aziende cinesi del settore come Shanghai Bell cercavano di assorbire più conoscenza possibile dalle joint

venture internazionali. Il direttore di Huawei era convinto che l’importazione e la cooperazione

con aziende internazionali più grandi ed avanzate non potesse in nessun modo aiutare ad assimilare tecnologie all’avanguardia, in quanto la controparte estera non l’avrebbe mai permesso. Secondo il paradigma di Dunning infatti, per le imprese multinazionali l’unico sistema efficiente per entrare in un mercato era attraverso investimenti esteri diretti (FDI, sigla di foreign direct investment), in quanto questo sistema permetteva di possedere i vantaggi di proprietà, di internazione e di locazione.46 Il paradigma di Dunning chiamato OLI (ownership

specific advantages, location advantages, internalization advantages) è l’approccio standard

usato per decidere in che modo investire all’estero. Questo paradigma cerca di spiegare perché le compagnie usano certe forme per internazionalizzarsi piuttosto che altre, ed è una delle teorie più diffuse e convincenti in circolazione. L’idea principale si basa sul fatto che per aprirsi verso l’estero esistono tre modi, cioè attraverso licenze e joint ventures, attraverso le esportazioni o attraverso gli investimenti diretti. Queste scelte, secondo Dunning, sono basate su tre categorie: vantaggio di proprietà, vantaggio di internazione, vantaggio di localizzazione. Questo nuovo paradigma si basa sui vantaggi posseduti dall’impresa, i quali determinano il modo in cui si approccerà al mercato internazionale. Il vantaggio di proprietà è basato sul possesso di uno specifico know-how (per esempio sulla manifattura di un certo prodotto). L’internazione invece significa cercare di non perdere queste informazioni rivelandole agli altri, mentre i

68 vantaggi specifici della localizzazione sono vantaggi legati al territorio stesso, come per esempio lavoro a basso costo, risorse, riduzione di tasse ecc.

Figura 7:tabella mostrante il paradigma di Dunning sull’esportazione. Fonte: materiale didattico professor Taube, 2015.

La Cina in un primo momento possedeva solo vantaggi territoriali, e le aziende estere multinazionali erano strettamente interessate a non perdere i vantaggi di proprietà e di internazione. Alla Cina, in un primo momento, sarebbe aspettato solo l’esportazione e gli investimenti diretti come contatto economico con l’estero possedendo solo vantaggi territoriali, e per possedere gli altri due vantaggi doveva, secondo Ren, sviluppare dei propri sistemi, strategie per prodotti all’avanguardia, uno scopo per il cui raggiungimento era necessario un grosso investimento in sviluppo e ricerca.

L’idea di business di Ren Zhengfei ed i suoi sforzi verso la ricerca diedero i suoi frutti, e nel 1993 l’azienda lanciò l’interruttore del programma di controllo telefonico C&C08, un interruttore capace di gestire diecimila circuiti, entrando nel mercato come l’interruttore più potente in circolazione in Cina. Inizialmente la compagnia si focalizzò sulle piccole aree urbane e rurali ponendo enfasi sul servizio e sulla personalizzazione, guadagnando così quote di mercato e ritagliandosi un posto dignitoso in un settore di nicchia, dal momento che le grandi aree urbane erano già state occupate da compagnie estere. La strategia iniziale di Huawei di “usare la campagna per circondare la città” non era solo di vendita, ma anche di produzione, dal momento che variabili tipiche delle aree rurali come la fornitura di energia elettrica instabile e topi richiedevano un alto livello di personalizzazione. La compagnia sviluppò anche relazioni

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