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Lo studio sulle teorie motorie applicate alle scienze cognitive e psicologiche hanno una lunga storia (Scheerer 1984) risalente all'interpretazione motoria di Berkeley sulla perce- zione della profondità (Berkeley 1709), proposta come spiegazione per una vasta gamma di processi mentali.

Il punto di vista di Berkeley è molto interessante, soprattutto nella formulazione di ipotesi nel caso in cui un cieco dalla nascita avesse riacquistato la vista (Yolton 1996: 92).

Secondo Berkley, è l’esperienza a far sì che le conoscenze acquisite attraverso un organo di senso siano utilizzabili anche dagli altri. L’esperienza è l’unica forma di intermodalità possibile.

In questo senso a nulla vale l’obiezione secondo la quale se un uomo si dice “diritto” quando i suoi piedi sono vicini alla terra, e“capovolto” quando è la sua testa a esserlo, ne seguirà che dato che vediamo ciò che vediamo (la testa in alto oppure in basso, né pos- siamo scegliere di vedere quel che vogliamo) dalla semplice percezione visiva dovrebbe discendere anche il nostro giudizio sulle cose che ci sono intorno.

In realtà per Berkeley le nostre idee sull’uomo, la sua testa e la terra su cui poggiano i piedi sono completamente diverse dalle idee visibili corrispondenti.

Egli infatti immagina inizialmente come un cieco possa percepire un uomo dritto, posto a lui frontalmente e in posizione verticale.

Ovviamente, il nostro soggetto farà uso delle mani e, percorrendo le diverse parti di quel corpo che gli sta di fronte, in posizione eretta, si formerà delle idee tattili di ciò che va esplorando: testa, spalle, petto, addome e poi braccia, mani, gambe, piedi. Riconoscerà in una certa conformazione e in una certa predisposizione delle parti la testa, in un’altra le mani, e così via.

Sempre per mezzo del tatto si è altresì formata, nel frattempo, anche l’idea del suolo su cui devono stare poggiati i piedi, e di qui ha dedotto che tutte le volte che un uomo appog- gia i propri piedi al suolo, occupa una posizione eretta ( Berkley,tr. it. 1995: 90-91 ).

In un secondo momento, prova ad immaginare cosa possa succedere se il suddetto cieco acquisisca la vista all’improvviso e possa vedere un altro uomo che gli sta di fronte. Non potrà giudicarlo né dritto né in nessun altra posizione, dato che ha imparato a riconoscere la posizione verticale solo attraverso il tatto.

Più tardi, quando avrà avuto modo tanto di raffrontare e scindere le idee proprie del tatto con quelle della vista quanto di capire che a certi movimenti degli occhi (guardare in alto oppure in basso) è possibile associare certe idee acquistate con il tatto (appunto l’alto e il basso), allora, a quel punto, è probabile che l’associazione tra idee del tatto e idee della vista possa avvenire agevolmente. (Berkley 1995:117-119).

Un’altra teoria motoria interessante appartiene alla prima parte del 20° secolo, ed è stata divulgata da Margaret Floy Washburn, la quale ha proposto una teoria motoria di immagini mentali (Washburn 1914,1916).

Margaret pubblicò 127 articoli, tra il 1905 e il 1938, su parecchie tematiche che includono la percezione spaziale, la memoria, l’estetica sperimentale, le differenze individuali, la psi- cologia animale, le emozioni e la consapevolezza affettiva (Cavadi 2014:16).

Nel 1912, ponendo maggior attenzione sugli organi subvocali del linguaggio (Berlyne 1978), dimostrò che cosa poteva accadere quando viene chiesto al soggetto di rispondere con parole completamente non associate per cui, anche in assenza di istruzioni di questo tipo, è possibile seguire le associazioni che guidano le risposte. In base ai risultati di que- sto studio rilevò che alcuni soggetti ricorrono ad associazioni mediate: ad esempio, se la parola stimolo è “pecora”, essi esprimono la risposta associata lana, ma se ne servono come stimolo per richiamare la risposta cotone (Cavadi 2014: 18).

Washburn considerò la coscienza un epifenomeno della scarica motoria di eccitazione e inibizione. Espose questa sua ipotesi in “motor theory in movement and mental imagery” (1916) e pose il problema dell’interpretazione, dal punto di vista dei fatti di co- scienza, dei dati acquisiti nello studio del comportamento animale. Mise in evidenza alcuni processi motori trascurati perché ritenuti puramente accidentali, come le leggere contra- zioni muscolari che accompagnano ogni processo attentivo (ibid).

Liberman riteneva che non esistesse un invariante corrispondente al fonema e attraverso diversi studi tentò di risolvere il problema dell’assenza di invarianti, spiegando e ipotizzan- do che mentre l’invariabilità fosse riscontrabile a livello dei comandi neuromotori, la varia- bilità del segnale muscolare fosse dovuta a restrizioni meccaniche all'inerzia neuromusco- lare e alla sovrapposizione temporale dei comandi successivi.

In base a questa teoria la percezione dei suoni equivale al percepire gestuale. In tale pro- spettiva, infatti, il parlato non è un sistema per produrre suoni, ma un sistema per produrre gesti articolatori attraverso l’azione di sei organi: le labbra, il vello, la laringe e il dorso, il corpo e la punta della lingua. Da questo punto di vista, i suoni verbali vengono compresi

(almeno in parte) in riferimento a come vengono articolati e non a come vengono percepiti acusticamente (Adornetti 2012: 23).

Un’analisi interessante su tale grado di riduzione può essere visto sullo sfondo della teoria Hyper & Hypo (iper ed ipo) di Lindblom.

Egli (1986; 1990; 1996) cerca di affrontare da un punto di vista fonetico, la variabilità della produzione linguistica, attraverso l’analisi di un continuum che procede dall’hyper-speech (ossia il parlato più accurato e scandito) all’hypo-speech (il parlato informale e trascurato). Secondo tale teoria la produzione fonetica è connessa alla capacità di decodifica percetti- vo-uditiva per cui l'intelligibilità del parlato è data dalla somma dell'informazione fonetica (signal dependent) e dall'informazione recata dal contesto linguistico ed extra-linguistico (signal independent).

La percezione è un processo quindi attivo in cui le informazioni acustiche sono usate dal- l'ascoltatore per formare delle ipotesi sulla struttura della frase.

L’interpretazione finale dell'ascoltatore dipende, quindi, da un numero di variabili che si aggiungono all'informazione strettamente acustica ed interagiscono con essa.

L’idea di base è che il parlante usi il più spesso possibile la modalità ipo per risparmiare energia, finché non si imbatte in fattori contestuali o linguistici che richiedano una pronun- cia più iper.

Come fa notare Lindblom (1992) stesso, la teoria suggerisce che la mancanza di invarian- za, che i segnali del linguaggio articolato esibiscono comunemente (Perkell, Klatt 1986) è una conseguenza diretta di questa organizzazione adattiva (MacNeilage 1970).

Un esempio utile ad illustrare questa teoria è fornito dal “Lombard’s effect”, teoria che prende il nome dal suo scopritore e medico francese Etienne Lombard.

Intorno al 1911 Lombard pubblicò un articolo basato sull’osservazione che egli fece all’O- spedale Lariboisiére a Parigi durante l’esame ad un paziente grazie allo strumento inven- tato dal fisico otorino Robert Barany Lombard.

Lombard presentò il rumore ad un paziente impegnato in una conversazione. Scoprì in tal modo che la persona aumentava il tono vocale ogni volta che veniva esposto al rumore, e quando il rumore si fermò, abbassò di nuovo la sua voce al suo livello precedente. Il pa- ziente era ignaro dei cambiamenti e dello sforzo vocale.

In una successiva serie di esperimenti, Lombard ampliò la scoperta iniziale, e riferì i suoi reperti in una lettera all'Accademia francese delle scienze nel mese di agosto 1909, e poi all'Accademia di Medicina nel mese di aprile 1910.

Innanzitutto le teorie motorie falliscono nel dimostrare predizioni efficienti circa le regolarità dei sistemi fonologici; secondariamente le stesse hanno una certa difficoltà a spiegare un determinato numero di fenomeni nei quali la produzione del discorso porta ad una variabi- lità di principio negli stimoli della produzione articolata del discorso (Fowler 1986).

La PACT propone una sintesi tra il punto di vista motorio e auditorio.

La teoria motoria di percezione del linguaggio ha origine negli anni '50 (Liberman et al. 1952; Liberman 1957) per affrontare il problema di invarianza e di variabilità in relazione con fenomeni di coarticolazione (Perkell & Klatt 1986). In questo contesto, gli oggetti della percezione dell’articolazione linguistica non sono né solamente auditori né tanto meno esclusivamente motori. Essi sono sia percezioni multisensoriali regolarizzate dalla cono- scenza della produzione del discorso, sia gestualità dello stesso raffigurate dai processi percettivi.

Tale teoria motor-sensoriale ha anche dei fondamenti neuroanatomici, basati su quella che comunemente viene chiamata “radice dorsale” della percezione del discorso nella cortec- cia umana che unisce le aree temporali con quelle parietali (Hickok & Poppelv 2007; Skip- per et al. 2007).

Un modello più recente, chiamato DIVA, propone di spiegare la produzione articolata tra- mite una serie di relazioni tra gli obiettivi neurocomputazionali sensoriali, l’attività cerebra- le, la potenza motoria vocale, le conseguenti uditive e le sensazioni somatosensoriali (Guenther 1994,1995; Guenther, Ghosh e Tourville 2006; Guenther, Hampson e Johnson 1998).

DIVA fornisce una base unica per fare test quantitativi di ipotesi circa i meccanismi neurali di controllo motorio del discorso e le loro conseguenze comportamentali (cinematiche ed acustiche).

La maggior parte degli studi più recenti sono stati ispirati direttamente da DIVA. La volontà di determinare se la percezione del discorso coinvolge rappresentazioni e processi uditivi o multisensoriali, indipendentemente da ogni conoscenza procedurale per la produzione di unità di discorso (Diehl, Lotto e Holt 2004), o se invece si basa su una ricodifica degli input sensoriali in termini di gesti articolatori, così come formulato nella “Teoria Motoria della Percezione dell’articolazione linguistica “(Liberman, Cooper, Harris, e MacNeilage 1962; Liberman e Mattingly 1985; Liberman e Whalen 2000) ha infiammato il dibattito sulla natu- ra della comunicazione vocale e ancora oggi costituisce un punto nodale per la validità delle teorie motorie del linguaggio articolato.

A favore di queste ultime, di certo può essere considerata la scoperta dei neuroni specchio (Rizzolatti e Craighero 2004; Rizzolatti, Fogassi e Gallese 2001), che ha fortemente rinno- vato l'interesse per le teorie motorie.

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