• Non ci sono risultati.

Storia e metastoria L’In Parmenidem e il Ficino storico della filosofia

Negli scritti maggiori del Ficino, Platone è da subito qualificato come

divino: ad inquadrare, cioè, in una cornice tutta sapienziale i testi del

filosofo greco. L’espressione è indicativa perché rivela, al proprio interno, le due direttrici che, ad avviso di Marsilio, animano dall’interno la dottrina platonica: a dire, cioè, l’aspetto sapienziale-rivelativo della sua parola, mirabilmente congiunta – ed è il secondo punto – alla struttura filosofica- metafisica del suo pensiero. Una voce verbale, utilizzata all’altezza del capo XLVII dell’In Parmenidem, ci lascia tuttvaia supporre che la ‘pienezza’ della verità non sia stata effettivamente colta da Platone, ma solo ‘presagita’. Ficino dice che, a proposito del Bene, Platone lo presagisce (vaticinatur) “tamquam ineffabile penitus et incognitum”96. C’è dunque una misura della verità di cui lo stesso Platone, in qualche modo, sembra porsi come l’annunciatore – ed è una verità, quindi, che lo trascende (coerentemente con l’aspetto sapienziale della sua filosofia: del resto, lo stesso Parmenide ‘apprende’ la verità – in entrambe i casi, dunque, si tratta di una verità trascendente).

In tal senso, quindi, appare possibile distinguere, entro le pagine dell’In

Parmenidem ficiniano, una storia da una metastoria. La prima è quella che

vede coinvolti Platone (ma solo in parte: la sua dottrina difatti è già metastorica) ed i suoi più o meno immediati continuatori ed interpreti; la seconda, invece, trascende la temporalità e coincide perfettamente con la verità – ed è il caso, questo, dello pseudo Dionigi. Ficino ha ben chiara la distinzione, entro la corrente platonica, di una schola vetus da una schola

nova. La prima, composta dai probatissimi Platonici, comprende Plutarco,

Ammonio, Plotino, Amelio, Porfirio, Giamblico, Teodoro ed i loro successori97. Invece, “nova […] a Syriano et Proclo, magnis profecto viris

96

Marsilio Ficino, Commentaries on Plato…, I, cit., p. 224.

97 La Teologia platonica di Proclo costituisce la fonte per la ricostruzione della schola

vetus e dei suoi componenti. Cfr. A. De Pace, Ficino e Plutarco: storia di un equivoco,

40

[…] ducit originem, in qua post illos Hermias et Damascius Olimpiodorusque praecipui numerantur”98

. Tale differenziazione ritorna sovente nel testo. Da un lato troviamo Giamblico, Siriano e Proclo, dall’altro Plotino, Amelio e Porfirio: cui il Ficino, come agli ‘autori più antichi’, espressamente si richiama, dopo aver stabilita così l’esistenza di due correnti entro la dottrina neoplatonica, ed aver indicato in Siriano lo spartiacque tra la schola nova e quella antica (non di rado il Ficino, riferendosi a questa, ne parla come dei Platonici ‘anteriori a Siriano’99

). Come è noto, Ficino, nel dedicarsi al commento del Parmenide platonico, ha come testo di riferimento l’In Parmenidem procliano, conosciuto nella versione latina di Guglielmo da Moerbeke100. Tuttavia, se da una parte il filosofo accoglie lo schema procliano che vede, tra il dialoghi platonici, al primo posto appunto il Parmenide (opera di teologia), al secondo il Timeo ed al terzo la Repubblica, dall’altra mostra di accoglierne le tesi solo fino ad un certo punto: “Qualem utique dispositionem ordinemque libri Proclus eiusque sectatores existimaverint, narravimus in principio; qualem vero ipse putem et quatenus sequar illos, paulatim in sequentibus declarabo”101. Stante perciò la tesi del carattere dogmatico e teologico del dialogo, Ficino non sposa fino in fondo la soluzione procliana, tendente a vedere un contenuto teologico dietro ogni singola parola. Nell’esercizio d’interpretazione del testo, la sua sarà perciò una ‘posizione intermedia’

esegesi teologica del dialogo platonico era per Ficino distinta in due fasi, la prima delle quali era stata caratterizzata da tentativi insoddisfacenti; b), solo Plotino, Amelio, Porfirio, Giamblico e Teodoro dovevano ritenersi i «legittimi e veri interpreti» della epopteia platonica, ed essi tutti avevano spiegato quella epopteia «nel medesimo modo»; c), quanto Proclo scriveva nei libri della sua Teologia ricalcava essenzialmente i moduli espositivi che erano stati propri di quei cinque interpreti” (Ivi, pp. 126-127).

98 Marsilio Ficino, Commentaries on Plato…, I, cit., p. 172. 99

Sulla figura di Siriano si vedano S. Klitenic Wear, The Theachising of Syrianus on

Plato’s «Timaeus» and «Parmenides», Brill, Leiden-Boston 2011, e Syrianus et la métaphisique de l’Antiquité tardive. Actes du colloque international (Université de

Genève, 29 septembre-1 octobre 2006), par A. Longo, avec la collaboration de L. Corti, N. D’Andrès, D. Del Forno, E. Maffi, A. Schmidhauser, Bibliopolis, Napoli 2009.

100

Cfr. «Parmenides» usque ad finem primae hypothesis, nec non PROCLI «Commentarium in Parmenidem» (pars ultima adhuc inedita, interprete Guillelmo de Moerbeka), ediderunt praefatione et adnotationibus instruxerunt R. Klibansky et C.

Labowsky, Londinii, in aedibus Instituti Warburgiani, 1953 («Plato latinus», III).

41

(fra quella di chi legge il Parmenide in una chiave esclusivamente logica e quella di chi, come Proclo, tende a vedere dappertutto della teologia). “Io – scrive il Ficino – che ho scelto una via di mezzo, credo che, nel

Parmenide, ci sia sottointesa almeno tanta teologia quanta ne permette

l’uso e l’artificio dialettico […] e che perciò i pensieri teologici non siano dappertutto assolutamente continui, ma talora si interrompano”102

.

Ora, questa lettura eccessivamente teologizzante, si riflette anche sulla esegesi particolare del testo platonico. Ficino rimprovera a Proclo la complessità della sua operazione, per la quale non solamente ogni conclusione del dialogo corrisponde ad una divinità separata, ma addirittura verrebbe a darsi una vera e propria ‘trinità di sostanze’ all’interno del primo (“Ma io, che ho fatto riferimento agli autori più antichi, sostengo che siffatte differenze vadano situate all’interno dell’Essere primo, ma non al primo grado, dove l’essere è assoluto, bensì ad un livello seguente, dove, grazie alla vita e all’intelligenza, l’Essere procede ad esplicarsi”103

). Di qui lo smarcamento del Ficino rispetto alla sua fonte dichiarata.

Si è visto come Plotino si trovi a capo di quella schola antica cui il filosofo volentieri fa riferimento. Contestualmente alla conclusione dell’ In

Parmenidem, il filosofo ultimava, sebbene intrapreso negli anni Ottanta, il

suo commento alle Enneadi. In quel caso, Plotino era subito caratterizzato come un Platone redivivo: “Principio vos omnes admoneo, qui divinum audituri Plotinum huc acceditis, ut Platonem ipsum sub Plotini persona loquentem vos auditurus existimetis. Sive enim Plato quondam in Plotino revixit: quod facile nobis Pythagorici dabunt: sive Daemonidem Platonem quidem prius afflavit, deinde vero Plotinum, quod Platonici nulli negabunt, omnino aspirator idem os Platonicum afflat atque Platonicum”104

. L’importanza rivestita ai suoi occhi da quel lavoro è testimoniata, ad esempio, dal fatto che nell’In Parmenidem non si curi affatto di discutere

102 M. Ficino, Commento al “Parmenide” di Platone, cit., p. 90. 103 M. Ficino, Commento al “Parmenide” di Platone, cit., p. 153. 104 Opera Omnia, II, p. 1548.

42

un punto centrale per le sorti della dottrina platonica, ma rimandi, accanto alla Teologia platonica, proprio al commento a Plotino: “Rationes equidem confirmantes ideas in Theologia et in Plotino sum latius prosecutus”105

.

A tratti, Plotino sembra addirittura superiore allo stesso Platone. È il caso, ad esempio, relativo alla discussione del Primo. Ficino afferma: “Dicimus itaque cum Plotino simul atque Parmenide primum quidem esse unum super omnia, secundum verum unum omnia, ut perfectissimi genitoris progenies sit omnium perfectissima”106. E prosegue: “Quomodo autem

genitor genitumque sit unum in Christiana Theologia tractamus. Plato, quem nunc interpretamur, duo putavisse videtur”107

. Plotino, cioè, sembra aver compresa la natura del Genitore (con questo termine egli indica il Principio della realtà108) ancora meglio rispetto allo stesso Platone (dal momento che, come per Plotino l’Uno al di là di tutto e l’Uno-tutto sono la stessa cosa, così per la religione cristiana Padre e Figlio sono il medesimo), che invece pensa a due distinte realtà109. È dunque una preferenza d’ordine anzitutto teologico, come si vede, quella accordata a Plotino. In tal senso si spiegano le ragioni della sua prossimità allo ps. Dionigi – e allo stesso tempo, si chiarisce quel nesso tra storia e metastoria di cui si diceva all’inizio. Ficino associa spesso Plotino allo ps. Dionigi, come in questo caso, dove si sta parlando della superiorità dell’Essenza sulla Vita e sull’Intelletto: “Se prestiamo fede a Dionigi Areopagita e a Plotino – come ho dichiarato in entrambe i commentarii – non potremo ammettere una disposizione siffatta […]”110

.

105

Marsilio Ficino, Commentaries on Plato…, I, cit., p. 44.

106 Marsilio Ficino, Commentaries on Plato…, II, cit., p. 34. 107 Ibidem

108 Vedi, ad es, Enn., V, 4, 2.33-44. 109

Interessante che nella Religione cristiana si dica che “il divino Plotino, principe degli interpreti platonici, Numenio, Giamblico e Amelio” si sono sforzati “non di confutare, ma piuttosto di emulare la teologia cristiana” (Marsilio Ficino, La religione cristiana, a cura di R. Zanzarri, Città Nuova, Roma 2005, pp. 74-75).

110

M. Ficino, Commento al “Parmenide” di Platone, cit., p. 164. A dispetto della preferenza ficiniana per i platonici ‘antichi’, e per un curioso paradosso, una parte della critica ha avanzato l’ipotesi che sotto le spoglie del convertito dell’Areopago possa in realtà celarsi il più tardo fra i Platonici: quel Damascio che sul piano filosofico porta

43

Dionigi conferma (confirmat) la natura sostanzialmente teologica del dialogo platonico. Abbiamo detto come, nello stesso torno di anni, il Ficino commenti le Enneadi plotiniane, gli scritti dello ps. Dionigi, mentre ha già avviato il lavoro sul Parmenide. Di quest’opera, pertanto, Dionigi offre l’interpretazione più autentica e più veritiera: “Denique librum hunc esse theologicum non solum caeteri Platonici praecipue probatissimi conventur, sed etiam Dyonisius Areopagita confirmare videtur. Quotiens in ipsius unius incidit mentionem, totiens enim enti praeponit, distinguit unum ens ab ispo simpliciter uno ipsumque unum ait ipsius esse principium entisque unius procreatorem”111

. Se fra i Platonici, i più stimati fra di essi (probatissimi), vi è concordanza a proposito della dimensione teologica del dialogo, Dionigi ‘autentica’ (confirmare) tale interpretazione. È certamente vero, sostiene il Ficino, vi è una tradizione platonica la quale è concorde nel ritenere teologico uno scritto come il Parmenide: tuttavia, chi la invera è proprio Dionigi – e da questo punto di vista non si può non notare come, agli occhi del Ficino, egli si elevi al di sopra della stessa tradizione. Afferma Marta Cristiani: “Dionigi, seguace della pia

philosophia di Platone, non è solo al di sopra degli altri platonici, è al di

sopra dello stesso maestro, perché depositario di una nuova luce di verità, che trascende i più perfetti fra gli intelletti creati […]”112

.

Ecco il passaggio dalla storia alla metastoria. Da un lato, abbiamo una vicenda la quale consiste in un susseguirsi di dottrine le quali sviluppano, proseguendola, una idea che conosce progressi e ricadute; dall’altro, potremmo dire, un originario ‘intuire’ la verità che immediatamente ci mette in contatto con il divino. Si tratta, per utilizzare una celebre metafora

alle estreme conseguenze la dottrina neoplatonica (cfr. Damascius, Traité des premiers

principes, texte établi par L. G. Westernink, traduit et annoté par J. Combés, 3 voll., Les

Belles Lettres, Paris 1986-1991), mentre sul piano storico si trova ad essere l’ultimo scolarca dell’Accademia. Cfr. in tal senso C. M. Mazzucchi, Damascio, autore del Corpus dyonisiacum e il dialogo ‘Perì politikés epistemes’, in «Aevum. Rassegna di scienze storiche, linguistiche e filologiche», 80 (2006), pp. 299-334.

111

Marsilio Ficino, Commentaries on Plato…, I, cit., p. 162.

112 M. Cristiani, Dionigi dionisiaco. Marsilio Ficino e il Corpus Dionysianum, in Il

Neoplatonismo nel Rinascimento, a cura di P. Prini, Istituto della Enciclopedia Italiana,

44

plotiniana, di ‘toccare’ il dio, l’Uno al di là di tutte le cose. Si tratta di un fatto metastorico, cioè, dal momento che l’intuizione non si svolge mediante un procedimento conoscitivo ordinario, bensì ‘si dà’ – nel duplice senso del termine. In un primo senso, essa ‘si dà’ dal momento che, intellettualmente, essa rappresenta alcunché di immediato; in un secondo senso essa si dà nel senso che si offre, si rivela. L’organo, quindi, di tale intuizione, è rappresentato perciò dalla rivelazione stessa. Ecco allora per il Ficino l’unica figura assolutamente ‘metastorica’ nella vicenda neoplatonica è proprio lo ps. Dionigi, il quale si erge al di sopra non solo degli altri platonici ma addirittura dello stesso Platone proprio perché in possesso della rivelazione.

45

C

APITOLO SECONDO