2.4. Un maggior interesse della Comunità Internazionale
2.4.5. Strategia globale o accordi tra gli Stati?
Piuttosto che seguire una strategia globale, di intervento, non sarebbe forse il caso di affidarsi ad accordi di tipo bilaterale? Riprendo il caso delle isole dell’arcipelago di Tuvalu, che come detto in precedenza saranno sicuramente sommerse a causa dell’innalzamento dei mari dovuto al riscaldamento globale. Il dileguamento di uno Stato solleverebbe grossi interrogativi, sia politici che giuridici, in quanto metterebbe in pericolo il principio di sovranità degli Stati. Tuttavia, i diritti dei cittadini resterebbero protetti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, secondo la quale:
“Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di
ritornare nel proprio paese”92.
“Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, né
del diritto di mutare cittadinanza”93.
Dunque, nel caso di Tuvalu, nascerebbe giuridicamente il problema di una nuova forma di apatridia oltre che la questione concernente la sopravvivenza di uno Stato il cui territorio è fisicamente scomparso. La soluzione potrebbe essere di offrire a questi primi global warming refugees un’accoglienza disciplinata da un accordo bilaterale ratificato prima che la catastrofe si compia; una sorta di protezione anticipata, esempio di solidarietà di uno Stato verso un altro Stato minacciato di scomparire.
Un tale tipo di accordo porrebbe in essere una politica prestabilita di accoglienza, riguardante, nello specifico, il numero di persone accolte, i diritti
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Art.13,2 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, Parigi, 10 dicembre 1948.
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spettanti, i luoghi di accoglienza, il rispetto della cultura locale, della lingua, delle tradizioni, ecc. Un simile accordo potrebbe rappresentare una soluzione pragmatica (ma non risolutiva) al dramma dei rifugiati ambientali, applicabile in tutte le situazioni a rischio e non solo nel caso della scomparsa di uno Stato. Certo una tale proposta ha un grosso limite: perché far pesare il “fardello” dell’accoglienza solo sul paese vicino? Il peso economico dell’accoglienza potrebbe risultare consistente e portare, in fase di negoziazione, ad un blocco; se la Comunità Internazionale, al contrario, fosse in grado di redistribuire l’onere economico dell’accoglienza tra i suoi membri questo limite potrebbe essere superato.
In conclusione ritengo che, al di là delle varie politiche di protezione possibili e immaginabili, la Comunità Internazionale dovrebbe, a livello giuridico, ricostruire alcune sue normative fondamentali, creando nuove categorie e definizioni adatte ad affrontare tempestivamente la deriva climatica di questi anni. Termini come “assistenza ecologica”, “ingerenza ecologica”, “diritto d’asilo ambientale”, “giustizia climatica” o “diritto di protezione ambientale” potrebbero ampliare il quadro normativo e specificare strategie di breve e di lungo periodo per affrontare il clima che cambia e le conseguenze che ne derivano.
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TERZO CAPITOLO
Case study: il Bangladesh
3. Presentazione storico-politica
Risulta di fondamentale importanza, nel delicato quadro all’interno del quale presenteremo questo caso, esaminare sommariamente il contesto storico e politico del Bangladesh, nonché il suo instabile equilibrio dovuto ai rapporti con i paesi confinanti e di vecchia appartenenza. Al fragile equilibrio sociopolitico del paese contribuisce anche la morfologia tipica di questa terra posta tra i tropici e soggetta continuamente ad alluvioni, siccità e talvolta difficile accesso all’acqua.
La spartizione dell’Impero Anglo-Indiano nell’agosto 1947 portò alla creazione di due entità statali: l’India e uno stato islamico chiamato Pakistan. Il Pakistan era diviso al suo interno in due aree distanti tra loro non solo in termini fisici ma anche linguistici e culturali: il Pakistan di oggi, allora chiamato Pakistan occidentale e l’attuale Bangladesh, o Pakistan orientale.
Nonostante le due zone fossero quasi uguali per estensione geografica, il potere politico era amministrato dal Pakistan occidentale a scapito della zona orientale esclusa oltre che dalle decisioni politiche anche dall' accesso alle cariche più alte nell'esercito. Il sistema elettorale era organizzato in modo tale da considerare il Pakistan orientale una sola provincia, relegandolo così in un luogo secondario nei seggi dell’Assemblea Nazionale.
Per l’ ubicazione geografica e per le forti diversità etniche, culturali e linguistiche, il Pakistan orientale mostrò sin da subito forti tendenze indipendentiste.
La politica autoritaria e accentratrice del Pakistan occidentale, e le sue tormentate vicende interne, esacerbarono questa situazione, terminata in rivolte, scioperi e nella formazione di partiti di opposizione come l'Awami League, che avviò una campagna a favore dell'indipendenza. Il Governo pakistano nel 1971 non ammettendo la vittoria elettorale dell'Awami League, guidato da Mujibur Rahman, nell’allora Pakistan orientale, fomentò l'insorgere di una sanguinosa insurrezione
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nazionale contro il Pakistan Occidentale, appoggiata dall'India. Alla fine di quello stesso anno, il Pakistan orientale dichiarò la sua indipendenza dal Pakistan, prendendo il nome di Bangladesh. Mujibur Rahman fu quindi investito della carica di primo ministro e avviò velocemente un programma di nazionalizzazione delle industrie più importanti del Paese.
L’anno seguente fu emendata la Costituzione ed il Bangladesh si trasformò da Repubblica parlamentare in Repubblica presidenziale, a partito unico, e fu nominato presidente Mujibur Rahman, assassinato subito dopo in seguito a un golpe militare. Successivamente venne eletto presidente il generale Zia Ur-Rahman ed in quello stesso anno il Bangladesh fu trasformato in uno Stato confessionale islamico. Anche ad egli toccò la stessa sorte del suo predecessore, in seguito ad un altro colpo di stato. A seguito di queste spiacevoli vicende, nel 1983 fu nominato presidente il generale Hossain Mohammad Ershad che rimase al potere fino al 1990, quando in seguito a un'insurrezione popolare e perso il sostegno dei militari, fu costretto a dimettersi.
Ripristinato il governo costituzionale, nel febbraio '91 furono indette le elezioni legislative multipartitiche che videro uscire vincente la coalizione di centro- destra. Come primo Ministro fu nominata Khaleda Zia, la vedova del generale Zia Ur-Rahman. Il nuovo governo incontrò però ben presto la ferma opposizione dell'Awami League, capeggiata dalla figlia di Mujibur Rahman. Si determinava, in tal modo, un duro braccio di ferro tra le due donne, con scioperi, manifestazioni cruente, fino al boicottaggio diretto del Parlamento disertato dai deputati dell'opposizione che reclamavano elezioni anticipate.
Le consultazioni elettorali del giugno 1996 assegnavano la maggioranza relativa all'Awami League e Hasina Wajed veniva nominata primo ministro, mentre alla presidenza della Repubblica veniva eletto un esponente dello stesso partito, Shahabuddin Ahmed. Nonostante il continuo boicottaggio del Parlamento da parte dell'opposizione, guidata da Khaleda Zia, il primo ministro Hasina Wajed riuscì comunque a raggiungere, durante il suo governo, due risultati molto importanti:
- un accordo di pacificazione con i ribelli Shanti Bahini che metteva fine alla guerra civile combattuta dal 1973 nella regione sud-orientale del Paese (1997);
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- un accordo con l'India, dopo un ventennio di inutili trattative sulle acque del Gange per risolvere i gravi problemi di siccità in alcune delle zone più povere del Nord del Paese.
Nel 2004 un attentato che aveva come obiettivo Hasina Wajed, provocò la morte di dieci persone e ne ferì circa duecento. Il presidente si vide costretto a rinviare le elezioni, dichiarando lo stato di emergenza e dimettendosi dall'incarico di premier, che venne conferito a Fazlul Haq, per un esecutivo di transizione, sostenuto dai militari. Nel 2008 la politica anti-corruzione voluta dal nuovo governo, portava all'arresto di molti esponenti politici. In dicembre l'Awami League vinceva le elezioni politiche e la sua leader Hasina Wajed formava un nuovo governo.
Nonostante gli sforzi, il Paese è ancora lontano dal raggiungimento di un reale sviluppo delle proprie strutture socio-economiche, costrette entro confini angusti anche a causa della situazione politica che permane contrastata, e dalla presenza di censura e repressione del dissenso.