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1. INTRODUZIONE

1.4 Struttura chimica

Ovviamente, anche la struttura del polimero gioca un ruolo importante nei confronti della bioadesione. Confrontiamo quindi le caratteristiche di polimeri più impiegati nelle formazioni di rivestimenti fouling-release: i polimeri siliconici, i polimeri ossietilenici e i fluoro polimeri.

1.4.1 Proprietà dei polimeri siliconici

I siliconi, di ampio utilizzo commerciale a partire dal 2005, incrementano notevolmente le proprietà antiaderenti dei fluoropolimeri. Noti anche come “polisilossani”, questi composti presentano una struttura in cui si ripete il gruppo

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funzionale R2SiO dove R può essere un atomo di idrogeno, un gruppo alchilico o un gruppo arilico; il termine “silossano” deriva infatti dalla combinazione di silicio,

ossigeno e alcano. Strutturalmente presentano una catena principale, lineare o

ramificata, in cui si alternano atomi di silicio e di ossigeno (-Si-O-Si-O-) con le catene laterali R legate agli atomi di silicio. Gli esempi più rappresentativi di questi polimeri sono il [SiO(CH3)2]n (polidimetilsilossano) ed il [SiO(C6H5)2]n (polidifenilsilossano). I coatings a base di polidimetilsilossano (PDMS) sono attualmente i più utilizzati per via dei loro bassi valori di energia superficiale, modulo elastico e microrugosità Queste fondamentali proprietà sono connesse alle specifiche caratteristiche del legame silossanico (Owen, 1988), che è la combinazione di una struttura flessibile e di gruppi laterali a bassa energia superficiale. La catena del silossano (fig. 1.15). ha una flessibilità unica conferita da diversi parametri, quali la distanza di legame Si-O (1.65 Å), il legame silossanico planare (159°), la parziale natura ionica del legame e l’alternanza di gruppi bivalenti nello scheletro; ottenendo una maggiore spaziatura tra i corrispondenti sostituenti del Si (Brady, 1999).

Gli svantaggi maggiori di questo tipo di materiali sono le scarse proprietà meccaniche e la facilità con cui possono lacerarsi; ciò limita il loro campo di utilizzo.

Fig. 1.15 - Struttura chimica del PDMS.

Il PDMS ha natura idrofobica a causa dei gruppi -CH3sulla superficie e presenta valori di angolo di contatto compresi tra 90° e 120°. L’applicazione di una forza deforma la

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struttura gommosa del materiale promuovendo il distacco del bioadesivo secondo un processo che avviene più lentamente rispetto ai fluoropolimeri (che presentano una minore energia libera superficiale) ma che richiede meno energia.

1.4.2 Proprietà dei polimeri ossietilenici

Le superfici di PEG sono conosciute per la loro resistenza all’adsorbimento delle proteine e all’adesione delle cellule; inoltre hanno anche mostrato resistenza all’insediamento e buon rilascio degli organismi marini responsabili del fouling (Krishnan et al., 2006).

Il PEG (fig. 1.16) è il polietere più conosciuto e diffuso commercialmente; è costituito da una catena flessibile formata da gruppi etilenici collegati da legami eterei, che generalmente termina con gruppi ossidrilici.

Fig. 1.16 - Struttura del PEG.

Le proprietà fisiche del PEG (come ad esempio la viscosità, la temperatura di cristallizzazione ecc.) variano a seconda del peso molecolare, e quindi della lunghezza media della catena, mentre le proprietà chimiche sono quasi identiche al variare di questo. Come affermato precedentemente, superfici idrofobe a base di PDMS mostrano buone proprietà di rilascio; allo stesso tempo, tuttavia, presentano anche elevati valori di energia interfacciale con l’acqua (52 mN/m) pertanto le proteine (anch’esse di natura anfifilica) tendono a depositarsi per minimizzare l’energia libera. Invece, superfici idrofile, appunto a base di polietilenglicole (PEG), presentano energie superficiali leggermente superiori (>43 mN/m), ma energie

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interfacciali molto più piccole (5 mN/m) (Krishnan et al., 2008), tali cioè da resistere all’adsorbimento delle proteine (Martinelli et al., 2008).

1.4.3 Proprietà dei polimeri fluorurati

I polimeri fluorurati sono una classe particolare di polimeri con caratteristiche anche molto diverse dalle altre materie plastiche.

La sostituzione di atomi di idrogeno con atomi di fluoro comporta evidenti cambiamenti nelle proprietà chimo-fisiche dei materiali.

Presentano una superficie non porosa con buone caratteristiche antiaderenti che sono ottimizzate tramite l’introduzione di gruppi perfluoroalchilici orientati in modo da esporre i terminali CF3 e fissati permanentemente in questa disposizione per minimizzare la diffusione molecolare in superficie ed il riarrangiamento dopo l’esposizione ad un adesivo marino. Tale orientamento consente di raggiungere bassi valori di energia superficiale.

Inoltre la natura del legame C-F, un legame covalente ad elevata energia ed altamente polarizzato, determina le caratteristiche di elevata stabilità termica e resistenza all’aggressione chimica.

I fluoropolimeri sono ben conosciuti per la loro natura non polare, che conferisce caratteristiche idrofobe alle loro superfici e una tensione superficiale critica molto bassa, attorno a 10-20 mN/m da cui ne deriva un livello basso di bioadesione.

Sono resistenti al calore (anche superiore ai 260°C), all’invecchiamento e alle sollecitazioni dinamiche. Difficilmente degradabili: sono trasparenti ai raggi UV, resistenti all’ossidazione e all’attacco degli aggressivi chimici e dei microrganismi.

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in tutti i solventi classici limitano l’impiego di fluoro polimeri.

Un altro inconveniente dei polimeri fluorurati è rappresentato dalla rigidità delle catene imposta dalle dimensioni degli atomi di fluoro che ostacolano la libera rotazione intorno ai legami C-C; per indebolire il legame adesivo-substrato inoltre, è richiesto uno sforzo maggiore per via di un modulo di compressibilità (definito come la capacità di una sostanza a resistere ad una forza di compressione uniforme) più elevato rispetto a quello degli elastomeri. In queste condizioni, le incrostazioni che si formano su una determinata superficie non possono essere facilmente rilasciate.

Un efficace bilancio tra proprietà e prestazioni si può ottenere in polimeri parzialmente fluorurati in cui unità o segmenti fluorurati siano inseriti all’interno di catene idrocarburiche o come ramificazioni in catene laterali. L’inserimento, anche di sole poche unità di fluorurato, altera notevolmente le proprietà del polimero e in particolare quelle della superficie, rendendo il materiale più processabile e meno costoso.

Sebbene i rivestimenti fouling release a base di fluoropolimeri abbiano esibito una buona efficienza nella prevenzione e nel rilascio di organismi responsabili del

biofouling, come per l’alga Ulva, questi risultano poco efficienti riguardo l’adesione delle diatomee (Krishnan et al., 2006) poiché alcune specie hanno preferenza per le superfici idrofobe mentre altre tendono ad aderire con più forza su substrati idrofili (Finlay, 2002).

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