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Ecotossicità e performance foul release di coatings polimerici fotopolimerizzati a base di miscele siliconiche con componenti fluorurati ed ossietilenici.

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Biologia

Corso di Laurea Magistrale in Biologia Marina

Tesi di Laurea

“Ecotossicità e performance foul release di coatings polimerici

fotopolimerizzati a base di miscele siliconiche con componenti fluorurati

ed ossietilenici.”

Candidata: Relatore:

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RIASSUNTO

Con il termine “biofouling” si intende l’accumulo ed il deposito di organismi viventi, animali e vegetali, unicellulari o pluricellulari, che provengono dalla colonna d’acqua alla ricerca di superfici dure naturali o artificiali per completare il loro ciclo vitale; tale fenomeno influisce negativamente sulle caratteristiche idrodinamiche di superfici sommerse quali scafi, tubazioni, cavi sottomarini, strutture portuali, impianti di trivellazione ed altri manufatti.

Per prevenire e limitare il fenomeno, nel corso degli anni sono state impiegate tecniche anti-fouling basate su coperture antivegetative la cui efficacia è attribuibile all’effetto biocida delle sostanze in esse contenute; tuttavia, la tendenza al bioaccumulo nella catena alimentare e la tossicità verso organismi non-target impone attualmente lo studio e lo sviluppo di nuove tecniche a basso impatto ambientale.

Una delle più recenti strategie sviluppate dalla ricerca è rappresentata dall’approccio foul-release basato su coatings privi di sostanze ad effetto biocida. Tale approccio prevede che rivestimenti di natura polimerica permettano agli organismi di aderire in modo estremamente labile, in modo da essere facilmente rimossi a seguito dell’applicazione di deboli forze idrodinamiche.

In questo lavoro di tesi sono stati presi in considerazione film polimerici anfifilici a base di polidimetilsilossano senza l’utilizzo di metalli pesanti, quali stagno o bismuto, per la reticolazione del componente silossanico. Secondo questa semplice metodologia, un polidimetilsilossano funzionalizzato con il 2-4% in moli di gruppi metacrilici è stato foto-polimerizzato per mezzo di UV con un polietilenglicol metacrilato e/o un acrilato fluorurato. I polimeri sono stati formulati e caratterizzati dal gruppo del Prof. G. Galli (Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa).

Su questi polimeri è stato svolto il lavoro di caratterizzazione ecotossicologica e di valutazione delle performance foul release.

Le fasi del lavoro possono essere riassunte in:

1) Valutazione della tossicità da rilascio dei polimeri in organismi marini modello: preparazione dei prodotti di lisciviazione dei polimeri in acqua marina

2) Valutazione della tossicità da rilascio dei polimeri in organismi marini modello: esecuzione di saggi biologici, attraverso l'esposizione ai prodotti di lisciviazione dei polimeri, con Vibrio

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fischeri (inibizione bioluminescenza batterica), Dunaliella tertiolecta (inibizione crescita

alghe unicellulari), Artemia salina (test di mortalità acuta e cronica)

3) Prove di efficacia in organismi modello: valutazione dell'adesione sui polimeri di diatomee (Navicula salinicola) e larve competenti di serpulidi (Ficopomatus enigmaticus)

4) Prove di efficacia in organismi modello: valutazione della forza di adesione di diatomee e serpulidi sui polimeri a seguito di applicazione di flusso turbolento.

ABSTRACT

Biofouling is the settlement and growth of any organisms on man-made structures placed in water. In the case of ships, the adverse effects caused by this biological settlement are well known: the presence of organisms on hulls decreases the range, speed and maneuverability of ships, reduces the time between dry-dockings and increases propulsive fuel consumption by as much as 30%.

The need to improve ship performance by limiting the amount of fouling on hulls traces back many centuries. Among all the different solutions proposed throughout the history of navigation, tributyltin self-polishing copolymer paints have been the most successful in combating biofouling on ships. The widespread use of these paints, estimated to cover 70% of the present world fleet, has led to important economic benefits; unfortunately, the TBT-SPC systems affect adversely the environment so legislative restriction for the use of these paints followed shortly after.

Current efforts are directed at improving existing, and developing new, nontoxic antifouling coatings; foul-release strategy is considered environmentally friendly because provide fouling protection by minimizing the initial attachment and the strength of attachment through the properties of the coating surface.

In this work we present the evaluation of ecotoxicity and foul release performance of novel biocide-free materials which combine low surface energy and low elastic modulus, two of the most important physic-chemical properties of the future generation of foul-release coatings. Polymers were designed and synthesized by an easy and versatile method useful to prepare novel amphiphilic networks by the UV photo-copoplymerization of commercially available (metha)acryloxy functionalized polydimethylsiloxane, polyethylene glycol and perfluorinated macromonomers (Prof. G. Galli's group, Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale-Università

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di Pisa); the replacement of sol-gel process with photo-crosslinking process might result in several advantages, including i) to avoid the use of heavy metal-based catalysts (e.g tin-based) possible sources of toxicity issues ii) reduction in solvent consumption and relative prolonged periods of time for evaporation iii) shorter reaction times, since the photo-curing reaction is generally very fast, occurs at room temperature and does not require heating for the finishing step.

In order to assess the ecotoxicity, model organisms (Vibrio fischeri, Dunaliella tertiolecta, Artemia

salina) were exposed to a 14 days leaching water of polymers spray-coated on glass slides and

different ecotoxicological endpoints were evaluated.

Experimental essays were also performed to test the adhesion in static conditions and the adhesion-strenght of target organisms under turbulent flow such as diatom Navicula salinicola and the serpulid Ficopomatus enigmaticus, for which have been set up production techniques of competent larval stages.

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INDICE

1. INTRODUZIONE ...……….………..….1

1.1 Biofouling ………..….…….1

1.2 Strategie anti–fouling e foul-release: cenni storici e applicazioni ………...5

1.3 Caratteristiche dei rivestimenti foul-release ………..23

1.3.1 Tensione superficiale ………..………...24

1.3.2 Relazione fra angolo di contatto ed energia superficiale ……..……25

1.3.3 Modulo elastico ………..28

1.4 Struttura chimica ……….31

1.4.1 Proprietà dei polimeri siliconici .……….31

1.4.2 Proprietà dei polimeri ossietilenici ………33

1.4.3 Proprietà dei polimeri fluorurati ……….34

1.5 Rivestimenti anfifilici micro/nano-strutturati ………35

1.6 Fotopolimerizzazione ………37

2. SCOPO DELLA TESI ………39

3. MATERIALI E METODI………..41

3.1 Film polimerici (coatings foul-release)………..41

3.1.1 Sintesi e composizione dei rivestimenti………..41

3.2 Prove di tossicità: preparazione dei lisciviati………...43

3.2.1 I saggi biologici……….44

3.2.1.1 Saggio biologico con batteri: inibizione della bioluminescenza in Vibrio fischeri………..45

3.2.1.2 Saggio biologico con alghe unicellulari: inibizione della crescita in Dunaliella tertiolecta……….48

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3.2.1.3 Saggio biologico con crostacei: mortalità in Artemia salina..53

3.3 Prove di efficacia: adesione-distacco con Navicula salinicola e Ficopomatus enigmaticus ……….58

3.3.1 Il canale a flusso turbolento: breve descrizione dello strumento ….58 3.3.2 Test di adesione e distacco con la diatomea Navicula salinicola ….62 3.3.2.1 Preparazione delle colture algali .………...63

3.3.2.2 Misurazione delle cellule adese alle superfici ………..63

3.3.3 Test di adesione e distacco con Ficopomatus enigmaticus …………...65

3.3.3.1 Prelievo di adulti , ottenimento di gameti, fecondazione e produzione di larve competenti di F. enigmaticus……….…..66

4. RISULTATI ……….72

4.1 Ecotossicità dei polimeri foul-release ………..72

4.1.1 Lisciviazione dei coatings ………..72

4.1.2 Vibrio fischeri: inibizione della bioluminescenza………72

4.1.3 Dunaliella tertiolecta: inibizione della crescita ………..73

4.1.4 Artemia salina ……….74

4.1.4.1 A. salina: saggio statico di tossicità acuta (mortalità 24 h) …74 4.1.4.2 A. salina: saggio semistatico di tossicità cronica (mortalità 15 giorni)………74

4.2 Prove di efficacia: adesione-distacco ………..75

4.2.1 A) test di adesione delle cellule sulle superfici, B) test di distacco degli organismi adesi: valutazione delle potenzialità FR dei polimeri a seguito di applicazione di flusso turbolento...75

4.2.2 F. enigmaticus: A) test di settlement, B) test di distacco dei tubi adesi: valutazione delle potenzialità FR dei polimeri a seguito di apllicazione di flusso turbolento……….77

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6. CONCLUSIONI ……….82

7. BIBIOGRAFIA ……….84

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1. INTRODUZIONE

1.1 Biofouling

Con il termine inglese “fouling” viene indicato il fenomeno di accumulo e deposito di organismi viventi, animali e vegetali, unicellulari o pluricellulari, che provengono dalla colonna d’acqua alla ricerca di superfici dure naturali o artificiali per completare il loro ciclo vitale (Terlizzi et al., 2001).

A prescindere dalle differenze legate al tipo di ambiente e di substrato, è possibile descrivere in maniera schematica gli eventi che si susseguono dinamicamente dopo l’immersione di un corpo solido in acqua (fig. 1.1): dopo pochi minuti ha inizio la deposizione di un film macromolecolare costituito in prevalenza da polisaccaridi e glicoproteine derivanti dalla decomposizione di organismi animali e vegetali; la formazione di tale rivestimento organico, che si realizza nell’arco di 1-3 giorni ad opera di forze prevalentemente fisiche (moto browniano, interazioni elettrostatiche e forze di Van der Waals), costituisce un evento condizionante in quanto consente la successiva adesione delle forme batteriche. Il biofilm microbico che viene a formarsi in questa seconda fase è caratterizzato dalla produzione, talvolta molto abbondante, di secrezioni collose di natura mucopolisaccaridica che, nel loro complesso, vengono indicate come “Sostanze Polimeriche Extracellulari” (EPS); a seguito della moltiplicazione dei microrganismie la produzione dei relativi essudati, si verifica un’ulteriore assorbimento di macromolecole organiche e di nuovi microrganismi di forma varia (bastoncellare, sferica, filamentosa). Tale disposizione fornisce ai microrganismi una maggiore protezione nei confronti di predatori, tossine e cambiamenti ambientali, favorendo al tempo stesso la cattura dei nutrienti.

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La crescita del biofilm microbico si realizza non solo in termini di aumento di spessore, ma è generalmente caratterizzata dalla formazioni di vere e proprie appendici filamentose che agevolano l’adesione di spore, alghe unicellulari, cianobatteri, funghi e protozoi che, nell’insieme, costituiscono la cosiddetta comunità del “microfouling” o “slime”; la conversione del film microbico in una comunità strutturalmente e biologicamente più complessa definisce la terza fase del processo di formazione del fouling. È a questo stadio che, solitamente dopo circa una settimana dall’immersione, ha inizio la colonizzazione da parte di organismi pluricellulari, sia autotrofi che eterotrofi, che definiscono invece la comunità del “macrofouling”; in funzione del tipo di organismi presenti è possibile effettuare un’ulteriore distinzione e riconoscere un soft-fouling (rappresentato in prevalenza da alghe, anemoni, ascidie e spugne) ed un hard-fouling (mitili, cirripedi, serpulidi). I principali caratteri che contraddistinguono i macrofoulers sono: rapida metamorfosi, elevato tasso di crescita, ridotta selettività nella scelta del substrato ed elevata adattabilità all’ambiente.

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Fig. 1.1 - Il processo della crescita del "fouling": quattro fasi principali. 1. Accumulo di materiale organico e nutrienti sulla superficie. 2. Formazione di microfouling: batteri, protozoi, colonie di microbi

ed organismi pluricellulari. 3. Transizione da micro- a macro- fouling costituito da alghe, larve cipridi di balani, protozoi. 4. Colonizzazione da parte di invertebrati marini ed organismi complessi.

All’interno di questo tipo di comunità, la composizione e la ricchezza specifica dipendono principalmente dal tipo di molecole e di organismi presenti nel biofilm ma altrettanto influenti risultano essere fattori quali le caratteristiche chimico-fisiche dell’ambiente acquatico (pH, temperatura, salinità, concentrazione di ossigeno disciolto), le condizioni climatico-stagionali, il periodo di immersione, la competizione e la predazione.

Ad oggi sono state descritte oltre 4000 specie quali componenti della comunità del biofouling. Lo studio di quest’ultimo come evento biologico è estremamente affascinante ma, secondo una visione puramente antropocentrica, tale fenomeno viene considerato prevalentemente come un danno (fig. 1.2): la presenza di

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incrostazioni riduce il rendimento e la sicurezza dei processi che avvengono nelle raffinerie, nelle piattaforme petrolifere e negli impianti che utilizzano acqua dolce o di mare per il raffreddamento o come acqua di processo (ad esempio per la rigassificazione del gas naturale liquefatto).

Anche il settore dell’acquacoltura è altrettanto coinvolto nel problema biofouling: la presenza di organismi incrostanti sulla superficie di vasche, gabbie e reti destinate all’allevamento di molluschi e specie ittiche può determinare un aumento dei tempi e della manodopera necessari alla pulizia delle stesse, oltre all’occlusione delle feritoie deputate al passaggio di acqua con conseguente riduzione dell’apporto di ossigeno e nutrimento; gli organismi che si attaccano lungo la superficie degli impianti, inoltre, sono spesso dei filtratori e dunque potenziali competitori alimentari delle specie allevate.

Fig. 1.2 - Diversi esempi di strutture ricoperte da biofouling.

Il fenomeno interessa inevitabilmente anche il settore nautico (fig.1.3): la presenza del biofouling sul fondo delle imbarcazioni aumenta la rugosità della superficie esposta e dunque l’attrito con l’acqua riducendo la manovrabilità e la velocità di

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navigazione; il tutto si traduce in un maggior consumo di carburante (fino al 40%) e nel conseguente aumento di emissioni gassose (CO, CO2, NOX, SO2) in atmosfera.

Fig. 1. 3 – Esempio di scafo ricoperto da biofouling.

In aggiunta a questo c’è da considerare:

 l’aumento della frequenza delle operazioni di carenaggio (ed i relativi costi);

 il deterioramento dei rivestimenti in termini di corrosione, decolorazione e alterazione della conducibilità elettrica;

 l’introduzione di specie alloctone potenzialmente nocive.

1.2 Strategie anti-fouling e foul-release: cenni storici e applicazioni

Il problema del fouling marino affonda le sue radici in epoche lontane (Yebra et al., 2004): Fenici e Cartaginesi erano soliti ricoprire la carena delle proprie imbarcazioni

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con guaine protettive di pece mentre altre antiche popolazioni impiegavano cere, catrame ed asfalto così come pelli e grassi animali.

Uno dei primi seri pericoli affrontati dai navigatori fu senza dubbio rappresentato dalle Teredini, bivalvi xilofagi appartenenti all’ordine Myoida, più comunemente conosciuti come “foranavi” o “tarli marini”; per evitare il deterioramento del legno, lo scafo veniva ricoperto con delle lastre di piombo secondo una pratica conosciuta già nel 700 a.C. ed ampiamente adottata nel corso del XVI secolo con lo sviluppo delle grandi flotte inglesi, francesi e spagnole. Tuttavia, il contributo di questo materiale a favorire fenomeni di corrosione delle componenti ferrose (ad esempio il timone) condusse l’Ammiragliato Britannico ad imporre il suo rapido abbandono (1682).

Si tornò dunque ad impiegare rivestimenti in legno impregnati di miscele di zolfo, catrame e grasso e fissati con chiodi di ferro o rame montati strettamente in modo da formare una sorta di guaina metallica continua.

Sebbene il rame venisse impiegato negli elementi di fissaggio delle imbarcazioni già ai tempi degli antichi Greci e Romani, l’utilizzo di vere e proprie guaine di rivestimento in questo materiale sembra improbabile in epoche così remote; una delle prime testimonianze dell’impiego subacqueo di rame risale al 1618 durante il regno di Cristiano IV di Danimarca, ma il primo vero riferimento all’applicazione di questo elemento come prodotto antifouling si ritrova nel brevetto dell’inglese William Beale (1625), il quale realizzò una miscela di cemento, polvere di ferro e rame.

A partire dal 1780, il rivestimento in lamiere di rame per le navi di legno divenne di tale importanza da indurre l’Inghilterra a proibire l’esportazione di questo “materiale da guerra”; alcuni decenni più tardi, il chimico inglese Sir Humphry Davy, studiando i processi di corrosione, riuscì a dimostrare che fosse proprio la

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dissoluzione del rame in acqua di mare ad impedire la formazione delle incrostazioni sugli scafi.

Una prima significativa risposta al problema del biofouling risale dunque al Settecento ma è solo nel secolo successivo, quando iniziò ad essere compreso il meccanismo di alcune reazioni chimico-fisiche come la corrosione galvanica e la protezione catodica, che si assiste all’acquisizione di conoscenze più affinate, grazie soprattutto a risultati di laboratorio sempre più attendibili, verificati con prove pratiche ed ispezioni scrupolose e sistematiche degli scafi.

La vera spinta verso l’innovazione tecnologica venne però da esigenze di tipo costruttivo. Proprio in quegli anni, infatti, fu introdotto l’acciaio come materiale da costruzione nella nautica mercantile e strategica e, dati i problemi di corrosione galvanica indotti dal rame, questo rese necessaria la ricerca di soluzioni antivegetative che superassero il nuovo ostacolo. Vennero proposte diverse alternative, tra cui l’applicazione di guaine di piombo, nichel, arsenico, ferro zincato e leghe di antimonio, zinco e stagno; venne percorsa anche la strada dei rivestimenti non metallici (feltro, tela, gomma, sughero, carta, vetro, smalto e piastrelle) ma gli scarsi successi ottenuti condussero infine all’invenzione dei primi, veri e propri composti antifouling.

Durante il diciannovesimo secolo, al posto delle pesanti lamiere, furono finalmente sviluppate le prime efficaci formulazioni di pitture antivegetative il cui principio di azione consisteva nel rilascio di una sostanza tossica da un veicolo polimerico: resine naturali (colofonie),composti del rame (ossido di rame), arsenico e mercurio, mentre tra i solventi figuravano la trementina, la nafta ed il benzene; i principali prodotti utilizzati come leganti erano l’olio di lino, la gommalacca, il catrame e vari tipi di resine.

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Nel 1847 William John Hay, rifacendosi agli studi di Sir Humphry Davy, ideò una copertura di successo basandosi sul concetto di isolare lo scafo in ferro dal rivestimento di rame tramite uno strato di vernice non conduttiva.

Di ampio utilizzo, alla fine del XIX secolo, erano le cosiddette “hot-plastic paints”: queste venivano applicate su una prima mano di anticorrosivo oppure su uno strato di vernice di composizione analoga ma priva della sostanza tossica; tale soluzione, tuttavia, si rivelò ben presto inadeguata, per via dei costi elevati e della relativa efficacia e durata delle coperture. Queste ultime, inoltre, richiedevano la presenza di impianti di riscaldamento in prossimità dell’imbarcazione, rendendone difficile l’applicazione; di qui lo sviluppo delle “cold-plastic paints”, decisamente più pratiche ed efficaci nel combattere il fouling e prolungare gli intervalli di carenaggio (fino a 18 mesi).

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’industria del prodotti antivegetativi apportò una serie di rilevanti innovazioni quali l'applicazione spray delle vernici e la comparsa di nuove resine sintetiche derivanti dal petrolio, la cui applicazione migliorò notevolmente le caratteristiche meccaniche dei mezzi riducendo al tempo stesso le preoccupazioni in termini di sicurezza e salute (per via dell’abbandono dei composti organomercuriali ed organoarsenicali); allo stesso periodo risale l’introduzione dei primi composti organostannici, la cui indiscussa efficacia apparve come la soluzione definitiva al problema del fouling. Tali composti sono costituiti da un atomo di stagno legato covalentemente a sostituenti organici, in numero da uno a quattro; chimicamente sono rappresentati dalla formula generale RnSnX(4-n), con n compreso tra 1 e 4 e dove R rappresenta un gruppo alchilico o arilico e X una specie anionica, come ad esempio un alogenuro, un ossido o un gruppo idrossido. Il legame C-Sn è stabile in presenza di acqua, ossigeno atmosferico e a temperature fino a 200°C per cui questi composti possono essere considerati termicamente stabili in condizioni ambientali.

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Alcuni fattori, come ad esempio le radiazioni UV e γ, gli acidi forti e gli agenti elettrofili, sono in grado di influenzare la degradazione dei composti organostannici tramite progressiva rimozione dei gruppi organici secondo lo schema:

R4Sn → R3SnX → R2SnX2 → RSnX3 → SnX4

La tossicità degli organostannici varia in funzione del numero e del tipo dei gruppi organici legati allo stagno: risulta massima per i trisostituiti e diminuisce progressivamente nei di- e monosostituiti. Il tributilstagno (TBT) è un organostannico trisostituito, in cui tre gruppi butilici sono legati ad un atomo di stagno; la formula è (C4H9)3Sn+ e, data la carica positiva, lo si trova generalmente associato ad un anione, ad esempio acetato,carbonato, idrossido o cloruro.

Le eccellenti proprietà antivegetative del tributilstagno trovarono applicazione commerciale a partire dai primi anni ’60: inizialmente il composto veniva impiegato come tossico di supporto nelle vernici a base di rame, dove era contenuto in forma libera, quindi non associato ad un ligando (“free-association form”); in seguito vennero messe a punto nuove formulazioni per cui, in base al grado di solubilità in acqua e alle caratteristiche chimiche del ligando, fu possibile introdurre due ulteriori categorie di vernici antifouling: le insoluble matrix paints e le soluble matrix paints. Nelle prime il biocida è legato ad una matrice polimerica (che può essere costituita da cloruro di polivinile, resine epossidiche o gomme acriliche) insolubile in acqua: nel rivestimento secco il pigmento tossico presenta un’elevata concentrazione in volume, in modo che le particelle risultino in contatto le une con le altre; il graduale rilascio di queste ultime provoca la formazione di una superficie porosa in cui l’acqua di mare può penetrare, causando un’ulteriore dissoluzione del biocida. Col passare del tempo, tuttavia, il pigmento disciolto deve diffondere attraverso uno spessore via via maggiore finchè il tasso di rilascio decade al di sotto del valore soglia richiesto per prevenire il fenomeno dell’incrostazione. Per questo motivo, l’azione biocida esercitata dalle vernici ad associazione libera tende a divenire

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inefficace in tempi brevi (12 – 24 mesi), limitandone l’applicazione su alcuni tipi di imbarcazione; d’altra parte, data l’elevata inerzia dei polimeri utilizzati come leganti che garantisce una maggiore resistenza ai fenomeni di ossidazione e foto-ossidazione, le navi protette con vernici a matrice insolubile sono meno frequentemente soggette a operazioni di carenaggio.

La composizione delle vernici a matrice solubile prevede la presenza di un legante (resine e derivati) la cui naturale dissoluzione in acqua di mare permette sia il graduale rilascio dell’agente biocida che lo sfruttamento dell’intero strato di vernice. I principali svantaggi offerti da questi composti sono rappresentati dall’elevata sensibilità dei leganti all’inquinamento da idrocarburi ed all’ossidazione: questo significa che le navi, una volta riverniciate, devono essere rapidamente rimesse a galla per evitare l’ossidazione a contatto con l’atmosfera. Inoltre, la loro relativamente debole attività biocida in condizioni stazionarie rende queste vernici inefficaci su navi a bassa velocità o che rimangono inattive per periodi prolungati (Almeida et al., 2007). Le limitate prestazioni offerte da queste due classi di vernici resero necessario lo sviluppo di strategie alternative finchè, nel 1974, Milne e Hails brevettarono un sistema, definito TBT-SPC (TBT self-polishing copolymer), che rivoluzionò letteralmente il settore dell’industria navale e delle vernici antivegetative. Si sono dimostrati estremamente efficaci in quanto all’azione biocida delle sostanze chimiche in essa contenute affiancava quello fisico della levigature superficiale (fig.1.4).

Tali copolimeri infatti sono moderatamente solubili in presenza di acqua di mare poichè il legame carbossile-TBT è idroliticamente instabile in condizioni leggermente alcaline (come quelle che sussistono nell’acqua marina): ne consegue una lenta reazione di idrolisi che libera la frazione di TBT dal copolimero.

Vengono erosi dalla frizione con l’acqua durante il movimento lasciando sempre liscia la superficie della pittura esposta al fouling mantenendo inalterata la capacità

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antivegetativa per lunghi periodi di tempo. Il rilascio del biocida avviene dunque per idrolisi sulla superficie di contatto: in seguito all’immersione le particelle solubili iniziano a dissolversi, lasciando scoperta una serie di piccoli pori in cui può diffondere l’acqua; l’erosione del film superficiale permette dunque allo strato sottostante di essere idrolizzato a sua volta, in base ad un meccanismo che assicura un rilascio controllato ed uniforme del principio attivo, rendendo possibile al tempo stesso lo sfruttamento dell’intero strato applicato.

Fig. 1.4 - Self Polishing Copoymer System: a contatto con l’acqua di mare la superficie del rivestimento viene lentamente idrolizzata, causando la dissoluzione della matrice polimerica ed il graduale rilascio

del biocida.

In questo caso il composto è costituito da una matrice polimerica acrilica idrofoba (di solito a base di metilmetacrilato) in cui il TBT è incorporato tramite legami estere. Le superfici trattate con le moderne vernici antivegetative copolimeriche a base di TBT sono appositamente studiate per assicurare un tasso di rilascio pari a 1.6 μg [Sn] cm-2/giorno ma può raggiungere i 6 μg [Sn] cm-2/giorno nel periodo immediatamente successivo all’applicazione (Hoch, 2001). Come si può osservare nella tabella 1, il tasso di rilascio è praticamente costante nel tempo ed indipendente dall’attività della nave sebbene, tramite un’opportuna manipolazione

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della composizione del legante, sia possibile adattare le prestazioni del composto alle particolari esigenze dell’imbarcazione, assicurando così la massima efficacia in funzione della velocità di navigazione e del periodo di inattività della stessa; in questo modo navi veloci, che sono particolarmente sensibili agli incrementi del consumo di carburante e che quindi necessitano di una protezione antivegetativa più efficiente, sono generalmente trattate con coperture a lento tasso di rilascio mentre sui natanti più lenti (o che effettuano lunghe soste in porto) vengono applicate vernici a rilascio più rapido. Ulteriori vantaggi offerti da questo tipo di copertura sono rappresentati dal fatto che, a differenza delle vernici a matrice solubile e insolubile, non è necessario rimuovere i residui porosi ed applicare sigillanti durante le operazioni di riverniciatura. L’efficacia del composto inoltre, rimane inalterata per 5 – 7 anni, consentendo una notevole estensione degli intervalli di carenaggio. L’importanza di tali prodotti è tale che, secondo stime accreditate, nel 1999 circa il 70% delle imbarcazioni destinate al trasporto commerciale è stato protetto con sistemi self-polishing a base di tributilstagno, consentendo un risparmio di circa 2.400 milioni di dollari in carburante ed altri costi.

Tab. 1 – Principali tipi di coperture antivegetative impiegate su scafi in acciaio nella seconda metà del XX secolo.

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Nonostante gli ottimi risultati ottenuti nel prevenire il fenomeno del fouling marino, nel corso degli anni i sistemi TBT-SPC sono stati oggetto di un attento scrutinio da parte delle autorità competenti in materia ambientale.

Goldberg (1986) ha definito il TBT come la sostanza più tossica che l’uomo abbia mai deliberatamente introdotto nell’ambiente marino. Gli effetti del composto su organismi non-target divennero evidenti già alla fine degli anni ’70. Uno dei casi meglio documentati è quello della baia di Arcachon (Francia), dove la produzione di un importante allevamento di ostriche venne drasticamente ridotta dalla presenza di elevate concentrazioni di TBT nelle acque, correlate all’intenso traffico marittimo nella zona; gli effetti della contaminazione furono identificati nel fallimento dell’insediamento larvale e in gravi anomalie nella calcificazione della conchiglia degli adulti. Nel 1982 le pesanti perdite economiche ed il forte impatto ecologico spinsero il governo francese ad introdurre una legge che proibisse l'applicazione delle vernici a base di TBT sulle imbarcazioni con scafo di lunghezza inferiore ai 25 m; negli anni a seguire lo stesso provvedimento venne imposto anche nel Regno

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Unito (1987), negli Stati Uniti (1988), in Canada, Australia e Nuova Zelanda (1989) e nell'intera Unione Europea (1991) (Santillo et al., 2002).

Gli effetti più evidenti dell’attività del TBT a livello endocrino sono stati tuttavia riscontrati in alcuni gasteropodi prosobranchi (Nucella lapillus, Nassarius reticulatus,

Ilyanassa obsoleta) ed hanno luogo a concentrazioni dell’ordine di pochi ng/l in

acqua di mare; si tratta del fenomeno dell’imposex (Smith, 1971) o

pseudoermafroditismo (Jenner, 1979), una condizione patologica che consiste

nell’imposizione di caratteri sessuali maschili in femmine di specie gonocoriche (fig. 1.5): l’azione di endocrine disruptor del TBT si esplica infatti a livello del metabolismo ormonale, aumentando il livello di androgeni nell’organismo (Spooner et al., 1991).

Attualmente l'imposex è stato documentato in almeno 195 specie ed è considerato un fenomeno di portata globale (Sternberg et al., 2009).

Esperimenti condotti da Smith nei primi anni '80 misero in luce la maggiore incidenza del fenomeno in corrispondenza di porti e marine; in seguito è stato riscontrato anche in aree sottoposte a regime di protezione ambientale (es. parco marino di Miramare, Terlizzi et al., 2004).

Le conseguenze dell’imposex variano a seconda delle specie: in alcuni casi gli effetti non sono così marcati da pregiudicare la riproduzione (Gibbs et al., 1991), in altri, come dimostrato da studi di laboratorio (Ten Hallers- Tjabbes et al., 1996), il dotto deferente può occludere l’apertura dell’ovidotto ed impedire il rilascio delle uova, inducendo alla totale sterilità delle femmine ed al conseguente declino della popolazione.

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Fig. 1.5 - Imposex: sovrapposizione di caratteri sessuali maschili in un gasteropode femmina.

La quasi totale scomparsa di popolazioni di gasteropodi prosobranchi nelle località portuali (Bryan et al., 1986), nonchè l’insorgenza di malformazioni e disfunzioni del sistema immunitario in pesci, uccelli e mammiferi marini, sono stati i campanelli d’allarme che hanno innescato una serie di provvedimenti legislativi su scala internazionale.

Nel 2001 l’International Maritime Organisation (IMO), adottando l’“International

Convention on the Control of Harmful Anti-fouling Systems on Ships” (AFS

Convention), impone il divieto a livello mondiale dell'applicazione di vernici a base di TBT su carene di ogni dimensione a partire dal 1° gennaio 2003 e stabilisce la data del 1° gennaio 2008 come il termine ultimo per la rimozione completa delle vernici contenenti stagno dagli scafi delle imbarcazioni.

La messa al bando dei prodotti antivegetativi a base di organostannici ha aperto la via allo studio di soluzioni alternative; la necessità di soddisfare i requisiti di efficacia, durabilità, costo ed eco-compatibilità è, ancora oggi, l’obiettivo perseguito da numerosi centri di ricerca in tutto il globo.

Le cosiddette tin-free paints assicurano un’attività antivegetativa verso i principali organismi del macrofouling. Queste vernici sono solitamente a base di rame

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16

(fig.1.6), un elemento essenziale per lo sviluppo di molte specie vegetali e animali e dunque naturalmente presente nell’ambiente acquatico; esso inoltre, presenta una bassa solubilità ed una scarsa tendenza al bioaccumulo, il che spiega il motivo per cui i composti antifouling contenenti rame non sono stati oggetto dei severi provvedimenti legislativi adottati nei confronti degli organostannici.

È stato stimato (Pidgeon, 1993) che il rilascio di rame da parte delle vernici antifouling ammonterebbe a circa 3.000 tonnellate/anno, una quota marginale se confrontata con le 250.000 tonnellate/anno provenienti dalle sorgenti naturali. Nelle sue forme ioniche e ad elevate concentrazioni, il metallo risulta tuttavia più biodisponibile: la maggiore tossicità si riscontra sotto forma di ione idrato [Cu(H2O)6++].

Fig. 1.6 - Applicazione a spruzzo di pittura antivegetativa (TBT free) a base di ossidi di rame.

C’è inoltre da considerare il fatto che, sebbene efficaci nel contrastare l’adesione degli hard-foulers (fig. 1.7), le antivegetative a base di rame sono meno efficaci nei confronti di specie soft-foulers (fig. 1.8) a causa dell’insorgenza di fenomeni di resistenza; questo è il motivo per cui, in molti prodotti, è necessaria la presenza di biocidi organici secondari appositamente formulati per combattere il soft-fouling.

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Fig. 1.7 - Specie rappresentative del hard-fouling.

Fig. 1.8 - Specie rappresentative del soft-fouling.

A fronte dell'efficacia antifouling delle vernici a base di rame, il problema ambientale dovuto al rilascio di biocidi si sta trasformando in una emergenza che deve essere contrastata e minimizzata, specialmente in determinate aree caratterizzate da elevato traffico navale e poco ricircolo (Löfstedt, 2001). Un esempio è rappresentato dal mar Baltico, caratterizzato da livelli bassi di salinità, con aree a salinità bassissima come il Golfo di Bothnia. Il Baltico ha solo due insenature maggiori sul mare del Nord che rendono estremamente difficile il ricircolo di acqua. In virtù anche degli elevati livelli di inquinamento di queste aree, la Svezia ha intrapreso una serie di iniziative volte alla riduzione del rilascio di

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contaminanti nell'ambiente, a partire dalla modifica della regolamentazione riguardante l’utilizzo delle vernici antifouling a base di biocidi, soprattutto di derivazione rameica.

Dal 1992 lo "Swedish Chemical Inspectorate" ha implementato uno dei regimi regolatori più restrittivi nel mondo estendendo la "Pesticide Ordinance" del 1985 anche alle vernici antifouling delle imbarcazioni da diporto, di acque dolci e salmastre del Golfo di Bothnia perchè contenenti biocidi, considerati come pesticidi. Nel 1998 questa ordinanza fu estesa all'intero mar Baltico.

Le pitture a base di rame, per esempio, mostrano vari effetti tossici (inibizione della crescita, interferenza con varie funzioni metaboliche) su fito- e zooplancton; un caso particolare è rappresentato dagli effetti del rame sulla crescita dell'alga bruna Fucus

vesiculosus, specie macroalgale perenne e dominante del mar Baltico di elevata

importanza per molti organismi nella catena alimentare (Andersson & Kautsky, 1996).

Il rilascio di rame può costituire un’emergenza ambientale perché ne possono essere rilasciate grandi quantità in brevi periodi ed essere assorbiti in forma ionica dagli organismi; gli ioni sono rilasciati dalle imbarcazioni nei primi trenta minuti da quando la barca viene calata in acqua in seguito alla pittura (Johnsson, 1998a).

L'Ispettorato Chimico Svedese, a partire dal 1999, ha investito energie in un programma di comunicazione rivolto ai proprietari di barche da diporto in merito al rischio legato all'uso delle pitture antifouling.

Lo scopo principale del programma di comunicazione del rischio è stato quello di garantire un’assimilazione graduale della nuova legislazione riguardante le pitture antifouling e di ricevere massima collaborazione tra i proprietari delle barche interessati (Sjöberg, 1999).

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 distribuzione di informazioni riguardanti la proposta di rimozione delle pitture tossiche;

 incontri tra rappresentanti delle associazioni dei proprietari di barche e rappresentanti dei corpi governativi;

 utilizzo dei media per spiegare il razionale delle normative alla base dei cambiamenti legislativi.

Per verificare se il programma di comunicazione avesse sortito gli effetti desiderati, nel 1999 è stato fatto un sondaggio telefonico a 50 membri (66% maschi e 34% femmine, età media compresa tra 45 e 55 anni), selezionati casualmente in club nautici di Stoccolma e Umea.

Più precisamente lo scopo era quello di verificare se gli intervistati provenienti da Umea (dove la restrizione vige dal 1992) mostrassero un maggior grado di conoscenza sull’argomento rispetto a quelli di Stoccolma (dove la restrizione vige dal 1998).

Di seguito alcuni set di domande poste agli intervistati:

1) Actions to protect the environment.

Do not throw waste in the water 39

Do not use toxic paints 8

Always use sewage tanks 7

Disponse of waste oil and cleaning agents carefully 7

Do not leave fuel in the water 6

Use an environmentally friendly motor 4

Other 2

Take no action 3

In linea con le altre popolazioni della Svezia, gli intervistati dimostrano di prendere misure attive per proteggere l'ambiente, mettendo però al secondo posto il non utilizzo di vernici tossiche (Bennulf, 1999).

2) What are antifouling paints?

Poisonous paint 12

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20

They kill algaes 5

They are non-toxic 5

Other 6

Don't know 3

Have not heard of antifouling paints 15

Da queste risposte si evince che la maggior parte degli intervistati ha alcune conoscenze riguardo a cosa siano realmente le pitture antifouling e probabilmente la ragione per cui questa maggioranza non è più estesa è da individuarsi nel fatto che l'Ispettorato nella fase di sensibilizzazione non abbia usato il termine specifico "biofouling”.

3) How long are you allowed to use antifouling paints in the Baltic Sea area?

Stockholm Umea

Not allowed to any more 1 7

One more year 3 1

Until domestic stock used up 1 2

Until the end of 1999 3 0

Two more years 1 0

Don't know 13 15

Have not heard of antifouling paints 9 6

Nonostante il livello complessivo delle conoscenze tra i proprietari delle barche non sia così alto come si sarebbe potuto immaginare, il sondaggio dimostra che i proprietari di barche di Umea sono a conoscenza del divieto dell'utilizzo di vernici antifouling in numero maggiore di quelli di Stoccolma, in virtù del fatto che il divieto in quel luogo vige da più tempo.

4) The Chemical Inspectorate put forward a decision last winter calling for a ban on all poisonous antifouling products. Was this a wise or a bad decision?

Very wise 8

Wise 31

Neither wise or bad 1

Bad 6

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21

Don't know 4

La maggior parte dei proprietari di barche intervistati sono in favore della decisione dell'Ispettorato Chimico di non rinnovare la licenza per le vernici antifouling nel mar Baltico.

5) How will you keep the boat clean and free from algae and other fouling organisms in the future?

Wash the bottom of boat 29

Use non-toxic paint 13

New alternatives are needed 4

There will be no problems 2

Other 4

Don't know 11

I 50 intervistati mostrano un forte interesse nel trovare una vasta gamma di alternative alle vernici bandite.

In conclusione lo studio mostra che gli sforzi di comunicazione dell'Ispettorato svedese hanno avuto successo poichè la maggior parte degli intervistati sono a favore dell'eliminazione graduale delle vernici antifouling.

Le vernici a base di rame sono pesticidi legalmente registrati (CDPR, 2004) che probabilmente andranno incontro ad ulteriori nuove restrizioni. Ad esempio nello Shelter Island Yacht Basin della Baia di San Diego e nella baia di Newport sono stati completati studi di regolamentazione (CRWQCB, 2003; USEPA, 2002) inerenti il Total Maximum Daily Load (TMDL), definito come l'ammontare massimo di un inquinante che un corpo idrico può ricevere continuando a rispettare i parametri di qualità dell'acqua.

Gli standard federali e statali riguardanti il rame totale disciolto nelle acque marine prevedono 3.1 ppb; l'USEPA sta considerando di abbassare questo valore ad 1.9 ppb (USEPA, 2004). Dai suddetti studi emerge che il livello di rame disciolto è pari a 8 ppb nella Baia di San Diego e 29 ppb nella baia di Newport (CRWQCB, 2003; USEPA,

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22

2002). Un altro studio ha inoltre rilevato che fino al 90% del rame disciolto nei porti e nei piccoli bacini deriva dalle vernici applicate sugli scafi delle imbarcazioni (Schiff et al., 2003).

A questo proposito le vernici a base di rame sono state bandite per le imbarcazioni da diporto anche in Olanda a partire dal 1999 (The Netherlands Ministry of Housing, Spatial Planning and the Environment 2004); le stesse vernici sono state sottoposte a restrizione, invece, lungo le coste della Danimarca a seconda dei tassi di lisciviazione di ossido rameoso e della dimensioni delle imbarcazioni (Ministry of the Environment Danish Environmental Protection Agency, 2003).

Il superamento dei determinati livelli di rame disciolto ha ripercussioni in termini di ecotossicità per diversi organismi marini, come riportato da più autori (Calabrese et al., 1984; Coglianese & Martin, 1981; Gould et al., 1988; Katz C., 1988; Krett Lane, 1980; Krishnakumar et al., 1990; Lee & Xu, 1984; Lussier et al., 1985; MacDonald , 1988; Martin et al., 1981; Redpath, 1985; Redpath & Davenport, 1988; Stromgren & Nielsen, 1991; VanderWeele, 1996).

Tra le strategie proponibili in alternativa alle vernici contenenti biocidi possiamo ricordare le superfici nanostrutturate ispirate a determinate strutture presenti in organismi marini (“bioinspired surface design”, es. pelle di cetacei o elasmobranchi), come evidenziato da Kerr & Couling (2003) e da Scardino & de Nys (2010).

Per questo tipo di superfici è necessario manipolare le proprietà chimico-fisiche e meccaniche della superficie (fig. 1.8), per far sì che l’organismo non riesca ad aderire e percepisca la superficie come “non conveniente” per l’insediamento (Aldred N. et al., 2008).

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23

Fig. 1.8 - Confronto di immagini SEM fra (a) la superficie reale della pelle di squalo (b) una superficie stampata in PDMS con microstruttura d’ispirazione ad essa.

I metodi più comuni impiegati per produrre superfici micro topografiche sono il processo di ablazione laser, la fotolitografia, o per stampo e deposizione, e generalmente vengono applicati a substrati di polidimetilsilossani (PDMS), polivinilcloruri (PVC), o poliammidi (Scardino, 2009). La maggiore difficoltà che ostacola il commercio di questi rivestimenti micro/nano strutturati, è dovuta ai costi ed alle difficoltà di esecuzione su grandi navi.

Attualmente invece, uno degli approcci più soddisfacenti nel settore di ricerca delle pitture antivegetative prive di biocidi è rappresentato dalla tecnologia foul-release: il principio di azione si basa sull’impiego di un rivestimento di natura polimerica che non impedisce completamente l’adesione degli organismi ma, minimizzando la forza di attacco al substratoe di adesione , ne facilita la rimozione tramite l’applicazione di deboli forze idrodinamiche (fig. 1.9); in particolare, il rilascio può essere indotto dalle forze di taglio generate da una imbarcazione in movimento o dal peso stesso degli organismi (Brady, 2005).

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24

Fig. 1.9 - Esempio di rilascio di un generico organismo marino aderito su una superficie fouling release.

1.3 Caratteristiche dei rivestimenti foul-release

Per poter offrire una prestazione di questo tipo, un coating deve possedere alcune importanti caratteristiche:

 un'“impalcatura” chimica lineare e flessibile che impedisca interazioni indesiderate;

 un numero significativo di gruppi tensioattivi liberi di muoversi in superficie (conferendo così bassi valori di energia superficiale );

 una struttura molecolare fisicamente e chimicamente stabile per sopportare lunghi periodi in ambiente marino;

 un basso valore di energia superficiale;

 un basso valore di energia interfacciale;

 un basso modulo elastico;

 una superficie liscia a livello molecolare per impedire l’infiltrazione di adesivi biologici.

Le suddette proprietà si riscontrano in due gruppi di materiali: i fluoropolimeri ed i siliconi .

(32)

25

1.3.1 Tensione superficiale

L’adesione e la crescita di organismi sulla superficie dipendono dalle energie interfacciali. Nel meccanismo di bioadesione intervengono parametri di tipo chimico, fisico e meccanico. Anche la bagnabilità è correlata con la bioadesione (Krishnan et al., 2006).

Dal punto di vista termodinamico la tensione superficiale può essere definita come la quantità di lavoro necessario per aumentare l’estensione della superficie di un’unità mantenendo costante la temperatura del sistema.

La tensione meccanica si sviluppa all’interfaccia tra il fluido in questione e il mezzo esterno gassoso.

Questa proprietà dipende dall’entità delle forze coesive: le molecole presenti all’interno del liquido sono circondate in ogni direzione da molecole simili per cui la risultante media delle forze agenti sulla singola particella è nulla; le forze che agiscono sulle molecole in superficie non sono invece equilibrate verso l’alto per cui queste ultime subiscono una costante attrazione da parte delle particelle vicine (fig. 1.10). Questo aumento di forza dei legami intermolecolari fa sì che la superficie del mezzo possieda un’energia libera maggiore rispetto a quella vigente all’interno.

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26

Fig. 1.10 – Schema delle forze di attrazione tra le molecole di un liquido: le molecole interne sono in equilibrio tra loro mentre le forze che agiscono sulle molecole in superficie restano sbilanciate. Ne

consegue un aumento della forza di coesione verso le particelle adiacenti.

Quando la tensione superficiale è riferita a due o più fasi, prende il nome di tensione

interfacciale; questa tensione, che si sviluppa lungo la superficie di separazione tra

due liquidi tra loro immiscibili o tra un liquido ed un solido, agisce in funzione delle caratteristiche delle fasi che vengono a contatto e quindi delle loro reciproche tensioni superficiali.

Viene definita “tensione superficiale critica (γc)” il valore di tensione superficiale al

quale un liquido si espande liberamente sulla superficie di un solido.

1.3.2 Relazione fra angolo di contatto ed energia superficiale

E’ stato stabilito un modello termodinamico per descrivere l’adesione del microrganismo alla superficie, per cui l’energia libera di adesione (ΔGadh) è legata alle

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energie interfacciali tra il substrato, l’organismo marino ed il liquido circostante: (Li et al., 2010; Ista et al., 2004).

ΔG adh

= γBS – γBL – γSL

Dove γBS è l’energia interfacciale tra l’organismo responsabile del biofouling ed il substrato, γBL è l’energia interfacciale tra l’organismo responsabile del biofouling ed il liquido circostante, e γSL è l’energia interfacciale tra il substrato ed il liquido.

L’adesione dei batteri e delle spore dell’alga verde Ulva linza sono state spiegate tramite questo modello (Callow et al., 2000). Tuttavia le notevoli difficoltà che si incontrano nel determinare tali valori di energia superficiale rendono l’equazione difficilmente praticabile.

Modelli descritti in letteratura affrontano il problema della determinazione delle energie interfacciali e delle energie superficiali mediante misure di bagnabilità di una superficie da parte di un liquido, ottenute tramite misure dell’angolo di contatto.

La teoria di Young descrive la condizione di equilibrio di una goccia di liquido, circondata dal proprio vapore, posta in contatto con una superficie liscia (Young, 1805) (fig. 1.11).

Fig. 1.11 - Rappresentazione di una goccia di liquido depositata su un substrato solido e le relative tensioni superficiali. Teoria di Young.

Nel caso in cui il liquido non bagni completamente la superficie solida, esso stabilisce un angolo di contatto θ, angolo che la tangente alla goccia di liquido forma

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28

con l’interfaccia solido-liquido mentre, dal punto di vista termodinamico, rappresenta la grandezza che minimizza l’energia libera superficiale di un sistema. Esso dipende dal bilancio delle energie superficiali: la tensione superficiale del liquido γL, la tensione superficiale del solido γS e la tensione interfacciale solido/liquido γSL, come segue:

γL cosθ = γ S – γ SL

Se si conviene di correlare la bagnabilità di una superficie con la misura dell’angolo di contatto θ, si possono presentare quattro possibili casi (fig. 1.12):

1) la bagnabilità è massima (e quindi il liquido si espande perfettamente sul solido) quando l’angolo θ è pari a 0 (cosθ=1). Essa è dovuta da una bassa tensione superficiale del liquido, ad una bassa tensione interfacciale e ad una grande tensione superficiale del solido; in altre parole è quello che accade quando i liquidi sono maggiormente attratti dalla superficie del solido piuttosto che dalla forza di coesione molecolare (per esempio l’olio depositato su un vetro).

2) la bagnabilità è parziale quando l’angolo di contatto θ è inferiore a 90°

(0 < cosθ < 1). Questa situazione risulta particolarmente evidente quando la tensione superficiale del liquido è elevata.

3) la bagnabilità della superficie è scarsa quando θ >90° (0 < cosθ > -1).

4) la bagnabilità è nulla quando θ = 180° (cosθ = -1). In questo caso la forza di coesione del liquido è più grande della forza di adesione ed il liquido respinge il solido; si dice pertanto che il solido è idrofobico e la goccia tende ad assumere una forma sferica.

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Fig. 1.12 - Bagnabilità di una superficie in funzione dell’angolo di contatto.

Lo stesso discorso viene fatto quando il liquido impiegato è acqua. L’angolo di contatto dell’acqua (θw) è correlabile al carattere idrofilo/idrofobo della superficie solida; si possono presentare diverse situazioni:

 Massima bagnabilità: il liquido si spande sulla superficie solida, θw= 0.

 Bagnabilità parziale: corrisponde ad una superficie idrofila, θw < 90°

 Bagnabilità scarsa: corrisponde ad una superficie idrofoba, θw > 90°

 Superfici superidrofobe, θw > 150°

In generale, minore è l’angolo di contatto che si forma fra superficie e solvente, maggiorisonole interazioni.

1.3.3. Modulo elastico

Come già accennato, l’efficacia di un rivestimento a rilascio di fouling dipende dalla sua energia superficiale, considerata come la principale proprietà che governa la forza di adesione degli organismi al substrato; tale relazione viene espressa dalla cosiddetta curva di Baier (fig 1.13).

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Fig. 1.13 - Curva di Baier: relazione tra entità dell’adesione (adimensionale) e tensione superficiale critica per un substrato solido (energia libera mN/m).

Il punto chiave di questa curva è rappresentato dal valore minimo di adesione (22 - 24 mN/m) che non si registra in corrispondenza del più basso valore di tensione superficiale critica in quanto interviene l’effetto di altri parametri quali lo spessore della copertura, la composizione chimica ed il modulo elastico (E) del substrato. Quest’ultimo, conosciuto anche come modulo di Young, è una grandezza che esprime il rapporto esistente tra lo sforzo applicato ad un materiale (σ) e la risultante deformazione (ε):

E = σ/ε

Un modulo di Young relativamente piccolo indica che il materiale richiede uno sforzo di modesta entità per ottenere un’unità di deformazione: il materiale è elastico; viceversa, un modulo più elevato indica uno sforzo maggiore per ottenere lo stesso risultato: il materiale è rigido.

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L’adesività risulta linearmente dipendente dalla radice quadrata del prodotto del modulo elastico (E) per la tensione superficiale critica (γc) (fig.1.14). Tali relazioni

sono tuttavia puramente empiriche e non si può escludere che esistano altri parametri che possano influenzare l’adesione in modo sostanziale.

Fig. 1.14 - Adesione relativa come funzione della radice quadrata del prodotto tra la tensione superficiale critica ed il modulo elastico di un materiale.

Come si nota dal grafico, un basso valore di bioadesione coincide con un basso valore di modulo elastico in quanto la mobilità della superficie consente una minore forza di attacco riducendo così la forza necessaria per rompere il legame formatosi e dunque una maggiore facilità di rimozione. La dipendenza dell’adesione dal modulo elastico spiega perchè alcuni materiali caratterizzati da una bassa tensione superficiale (come il politetrafluoroetilene) non presentano spiccate proprietà antifouling; il livello minimo di bioadesione si riscontra con il PDMS, caratterizzato appunto dal più basso valore di modulo elastico (sebbene a questo non corrisponda anche il più basso valore di energia superficiale libera) come si evince dalla tabella 2.

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Tab. 2 - Valori di adesione relativa, tensione superficiale critica (γc) e modulo elastico (E) per alcune comuni matrici polimeriche (Brady & Singer, 2000). Il poli(dimetilsilossano) (PDMS) ha un valore di

modulo elastico fra i più bassi nel campo dei polimeri (0,002 Kn/m) e energie superficiali di 20-26 mN/m, corrispondente al minimo valore di adesione per Baier, che permettono di ottenere un buon

rilascio di fouling.

1.4 Struttura chimica

Ovviamente, anche la struttura del polimero gioca un ruolo importante nei confronti della bioadesione. Confrontiamo quindi le caratteristiche di polimeri più impiegati nelle formazioni di rivestimenti fouling-release: i polimeri siliconici, i polimeri ossietilenici e i fluoro polimeri.

1.4.1 Proprietà dei polimeri siliconici

I siliconi, di ampio utilizzo commerciale a partire dal 2005, incrementano notevolmente le proprietà antiaderenti dei fluoropolimeri. Noti anche come “polisilossani”, questi composti presentano una struttura in cui si ripete il gruppo

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funzionale R2SiO dove R può essere un atomo di idrogeno, un gruppo alchilico o un gruppo arilico; il termine “silossano” deriva infatti dalla combinazione di silicio,

ossigeno e alcano. Strutturalmente presentano una catena principale, lineare o

ramificata, in cui si alternano atomi di silicio e di ossigeno (-Si-O-Si-O-) con le catene laterali R legate agli atomi di silicio. Gli esempi più rappresentativi di questi polimeri sono il [SiO(CH3)2]n (polidimetilsilossano) ed il [SiO(C6H5)2]n (polidifenilsilossano). I coatings a base di polidimetilsilossano (PDMS) sono attualmente i più utilizzati per via dei loro bassi valori di energia superficiale, modulo elastico e microrugosità Queste fondamentali proprietà sono connesse alle specifiche caratteristiche del legame silossanico (Owen, 1988), che è la combinazione di una struttura flessibile e di gruppi laterali a bassa energia superficiale. La catena del silossano (fig. 1.15). ha una flessibilità unica conferita da diversi parametri, quali la distanza di legame Si-O (1.65 Å), il legame silossanico planare (159°), la parziale natura ionica del legame e l’alternanza di gruppi bivalenti nello scheletro; ottenendo una maggiore spaziatura tra i corrispondenti sostituenti del Si (Brady, 1999).

Gli svantaggi maggiori di questo tipo di materiali sono le scarse proprietà meccaniche e la facilità con cui possono lacerarsi; ciò limita il loro campo di utilizzo.

Fig. 1.15 - Struttura chimica del PDMS.

Il PDMS ha natura idrofobica a causa dei gruppi -CH3sulla superficie e presenta valori di angolo di contatto compresi tra 90° e 120°. L’applicazione di una forza deforma la

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struttura gommosa del materiale promuovendo il distacco del bioadesivo secondo un processo che avviene più lentamente rispetto ai fluoropolimeri (che presentano una minore energia libera superficiale) ma che richiede meno energia.

1.4.2 Proprietà dei polimeri ossietilenici

Le superfici di PEG sono conosciute per la loro resistenza all’adsorbimento delle proteine e all’adesione delle cellule; inoltre hanno anche mostrato resistenza all’insediamento e buon rilascio degli organismi marini responsabili del fouling (Krishnan et al., 2006).

Il PEG (fig. 1.16) è il polietere più conosciuto e diffuso commercialmente; è costituito da una catena flessibile formata da gruppi etilenici collegati da legami eterei, che generalmente termina con gruppi ossidrilici.

Fig. 1.16 - Struttura del PEG.

Le proprietà fisiche del PEG (come ad esempio la viscosità, la temperatura di cristallizzazione ecc.) variano a seconda del peso molecolare, e quindi della lunghezza media della catena, mentre le proprietà chimiche sono quasi identiche al variare di questo. Come affermato precedentemente, superfici idrofobe a base di PDMS mostrano buone proprietà di rilascio; allo stesso tempo, tuttavia, presentano anche elevati valori di energia interfacciale con l’acqua (52 mN/m) pertanto le proteine (anch’esse di natura anfifilica) tendono a depositarsi per minimizzare l’energia libera. Invece, superfici idrofile, appunto a base di polietilenglicole (PEG), presentano energie superficiali leggermente superiori (>43 mN/m), ma energie

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interfacciali molto più piccole (5 mN/m) (Krishnan et al., 2008), tali cioè da resistere all’adsorbimento delle proteine (Martinelli et al., 2008).

1.4.3 Proprietà dei polimeri fluorurati

I polimeri fluorurati sono una classe particolare di polimeri con caratteristiche anche molto diverse dalle altre materie plastiche.

La sostituzione di atomi di idrogeno con atomi di fluoro comporta evidenti cambiamenti nelle proprietà chimo-fisiche dei materiali.

Presentano una superficie non porosa con buone caratteristiche antiaderenti che sono ottimizzate tramite l’introduzione di gruppi perfluoroalchilici orientati in modo da esporre i terminali CF3 e fissati permanentemente in questa disposizione per minimizzare la diffusione molecolare in superficie ed il riarrangiamento dopo l’esposizione ad un adesivo marino. Tale orientamento consente di raggiungere bassi valori di energia superficiale.

Inoltre la natura del legame C-F, un legame covalente ad elevata energia ed altamente polarizzato, determina le caratteristiche di elevata stabilità termica e resistenza all’aggressione chimica.

I fluoropolimeri sono ben conosciuti per la loro natura non polare, che conferisce caratteristiche idrofobe alle loro superfici e una tensione superficiale critica molto bassa, attorno a 10-20 mN/m da cui ne deriva un livello basso di bioadesione.

Sono resistenti al calore (anche superiore ai 260°C), all’invecchiamento e alle sollecitazioni dinamiche. Difficilmente degradabili: sono trasparenti ai raggi UV, resistenti all’ossidazione e all’attacco degli aggressivi chimici e dei microrganismi.

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in tutti i solventi classici limitano l’impiego di fluoro polimeri.

Un altro inconveniente dei polimeri fluorurati è rappresentato dalla rigidità delle catene imposta dalle dimensioni degli atomi di fluoro che ostacolano la libera rotazione intorno ai legami C-C; per indebolire il legame adesivo-substrato inoltre, è richiesto uno sforzo maggiore per via di un modulo di compressibilità (definito come la capacità di una sostanza a resistere ad una forza di compressione uniforme) più elevato rispetto a quello degli elastomeri. In queste condizioni, le incrostazioni che si formano su una determinata superficie non possono essere facilmente rilasciate.

Un efficace bilancio tra proprietà e prestazioni si può ottenere in polimeri parzialmente fluorurati in cui unità o segmenti fluorurati siano inseriti all’interno di catene idrocarburiche o come ramificazioni in catene laterali. L’inserimento, anche di sole poche unità di fluorurato, altera notevolmente le proprietà del polimero e in particolare quelle della superficie, rendendo il materiale più processabile e meno costoso.

Sebbene i rivestimenti fouling release a base di fluoropolimeri abbiano esibito una buona efficienza nella prevenzione e nel rilascio di organismi responsabili del

biofouling, come per l’alga Ulva, questi risultano poco efficienti riguardo l’adesione delle diatomee (Krishnan et al., 2006) poiché alcune specie hanno preferenza per le superfici idrofobe mentre altre tendono ad aderire con più forza su substrati idrofili (Finlay, 2002).

1.5 Rivestimenti anfifilici micro/nano-strutturati

Poiché lo scopo principale dello sviluppo di rivestimenti marini a rilascio di fouling è quello di riuscire a creare una superficie resistente a tutti i tipi di organismi

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responsabili del fenomeno, sono state studiati rivestimenti anfifilici o più comunemente dette superfici ambigue, cioè costituite da due componenti con caratteristiche diverse in grado di “confondere” gli organismi e quindi di scoraggiarne l’adesione:

A: una componente non polare, idrofoba e con bassa energia superficiale; B: una componente idrofila con proprietà repellenti verso le proteine.

Per la componente A vengono generalmente impiegati polimeri fluorurati o silossani mentre per B si impiegano catene ossietileniche.

Per produrre questo tipo di rivestimenti esistono varie possibilità; la strada più seguita è quella di preparare copolimeri a blocchi anfifilici, i quali originano una superficie nano strutturata a causa della mutua incompatibilità dei singoli blocchi polimerici con distinte caratteristiche di idrofilia e idrofobia (Martinelli et al., 2009). L’auto-assemblaggio dei diversi blocchi produce una superficie complessa formata da domini di dimensioni micro-nanoscopiche (Martinelli et al., 2008). Inoltre, quando il film polimerico è interfacciato con l’aria, il gruppo fluorurato tende a migrare in superficie, poiché caratterizzato da bassa energia superficiale, portando con sé la componente PEG. Viceversa, quando il rivestimento è immerso in acqua, la superficie tende ad arricchirsi di PEG, avendo questo una bassa energia interfacciale con tale liquido (fig. 1.17). Si ottiene così una superficie dinamica che tende a cambiare al variare delle condizioni ambientali che si presentano all’interfaccia (Krishnan et al., 2008).

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Fig. 1.17 - Meccanismo proposto per il riassestamento superficiale al momento dell’immersione in acqua. Le sfere gialle rappresentano il fluoro, le rosse l’ossigeno, le celesti l’idrogeno e le grigie il

carbonio.

Tali rivestimenti sono generalmente preparati da copolimeri a blocchi in cui il blocco silossanico (Martinelli et al., 2008) (PDMS) viene modificato con gruppi laterali ossietilenici o fluorurati oppure con entrambi ottenendo una struttura triblocco (Ohgaki et al., 1996; Guo et al., 2011).

1.6 Fotopolimerizzazione

In questo studio è stata adottata una strategia semplice ed innovativa rispetto a quella generalmente descritta per la preparazione di film siliconici: la fotopolimerizzazione.

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oligomeri, è uno dei metodi più efficienti per produrre film a base di materiali polimerici (Roffey, 1982). Questi sistemi subiscono una rapida trasformazione del monomero liquido / oligomero nel polimero solido semplicemente mediante esposizione alle radiazioni UV in presenza di opportuni fotoiniziatori.

I fotoiniziatori svolgono un ruolo chiave nei sistemi ad UV generando le specie reattive, radicali liberi o ioni, in grado di iniziare la polimerizzazione dei monomeri multifunzionali e degli oligomeri.

La tecnologia di fotopolimerizzazione da radiazione UV (fig. 1.18) rappresenta una risposta concreta ed efficiente alla continua crescita dell’industria (in particolare per il rivestimento di superfici metalliche, di legno, per la verniciatura della plastica e per la produzione di compositi), in grado di ricercare e sviluppare metodologie produttive che comportino sia ridotti quantitativi di energia sia un minor impatto ambientale (Allen et al., 1991).

Questa tecnologia permette di ottenere entrambi i vantaggi poiché:

 consente la sostituzione di impianti di polimerizzazione, che hanno notevoli consumi energetici,

 consente di evitare l’utilizzo di catalizzatori a base di metalli pesanti (quali composti di stagno e bismuto) e di ridurre le quantità di solvente usate nella preparazione dei film, risultando così valida dal punto di vista ecologico (Rinaldi et al., 2000).

Fig. 1.18 - Spettro elettromagnetico. La radiazione UV è una radiazione elettromagnetica a lunghezze d´onda comprese tra 100 e 400 nm. La radiazione UV confina con la luce visibile, di lunghezza d´onda

Figura

Fig. 1.1 - Il processo della crescita del &#34;fouling&#34;: quattro fasi principali. 1
Fig. 1.2 - Diversi esempi di strutture ricoperte da biofouling .
Fig. 1. 3 – Esempio di scafo ricoperto da biofouling.
Fig. 1.6 - Applicazione a spruzzo di pittura antivegetativa (TBT free) a base di ossidi di rame
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Riferimenti

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