• Non ci sono risultati.

CAPITOLO 3 IL PLURILINGUISMO ITALIANO E L’ACQUISIZIONE DEL VERBO IN L2

3.1 L INGUA E I MMIGRAZIONE

3.1.1 Gli studi sulle lingue degli stranieri

Lo studio dell’apprendimento dell’italiano da parte di immigrati stranieri e il contatto linguistico dei nuovi arrivati con la realtà italiana sono stati oggetto di attenzione di differenti discipline nel ramo della linguistica, quali la sociolinguistica delle migrazioni, la linguistica acquisizionale e gli studi sulla glottodidattica e didattica acquisizionale, sviluppatesi verso la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 del XX secolo. L’aspetto comune a questi approcci consiste nell’attenzione al rapporto della

75

lingua italiana con l’immigrato (o lo straniero1) in Italia, attenzione che in molti casi è

stata accompagnata da un interesse culturale dai risvolti sociali2, ma che ha in ogni

caso una precisa collocazione scientifica, come osservato da Vedovelli (2004):

[…] un secondo fattore ha attirato sulla figura dell’immigrato apprendente l’interesse della linguistica e della sociolinguistica e via via anche di altre scienze del linguaggio. Questo secondo ordine di interesse rimanda al paradigma epistemologico entro il quale una parte notevole delle discipline linguistiche mette in atto le proprie pratiche di indagine: ci riferiamo a quel quadro metodologico che fa preferire lo studio dei casi estremi e devianti, nei quali il normale meccanismo di funzionamento dell’attività appare destrutturato sia perché ancora non evoluto fino al punto di normalità sia perché in fase di dissoluzione. (Vedovelli 2004: 27)

Prima di analizzare più specificamente l’apprendimento di una seconda lingua nella prospettiva didattica e acquisizionale (con esplicito riferimento all’italiano), illustreremo brevemente il lavoro svolto dalla sociolinguistica delle migrazioni, che ha studiato il rapporto delle nuove comunità e lingue immigrate con il contesto sociolinguistico italiano.

Si è evidenziato infatti in questi anni un mutamento sostanziale nel plurilinguismo italiano: oltre ai numerosi dialetti e alle varietà d’uso dell’italiano, alle lingue minoritarie di antica origine (ladino, sardo, ma anche il tedesco) e d’immigrazione (arbëreshë e grecanico in Calabria) presenti nei confini italiani, si è determinato un neo-plurilinguismo estremamente variegato, dovuto alla presenza aggiunta delle numerose lingue immigrate. Vale la pena ricordare la distinzione originaria fatta tra lingue immigrate e lingue dei migranti, per la quale le prime rappresentano “lingue di scarsa fluttuazione e di sicuro radicamento sociale, con la conseguente capacità di condizionare l’assetto sociale”, mentre le seconde si riferiscono “agli idiomi che non si radicano nel territorio locale, ma che comunque circolano nel generale spazio

1 In questo contesto non faremo distinzione tra i termini immigrato, migrante e straniero e li utilizzeremo come sinonimi, non facendo qui distinzione tra i differenti tipi di mobilità (circolazione e migrazione, si veda il capitolo I), ovvero tra le persone che hanno, per differenti motivi, abbandonato il paese di origine e si stanno impiantando nel nuovo contesto sociale, e le persone straniere che si trovano in Italia per brevi soggiorni di studio o di lavoro e che non hanno intenzione di trasferirvisi stabilmente. Ci basti qui sapere che ci riferiremo di preferenza verso il primo tipo di stranieri che rappresenta la maggioranza degli stranieri presenti in Italia.

2 Giacalone Ramat (1986: 16) sottolinea come la nascita di molte indagini sociolinguistiche in Europa negli anni ’70 sia derivata proprio da interessi di ordine morale e per una forte motivazione sociale e politica.

76 sociale” (Bagna, Machetti & Vedovelli 2003: 203)3. Queste “nuove” lingue non corrispondono solo alle semplici lingue nazionali dei cittadini stranieri presenti in Italia, ma sono anche spesso lingue senza cittadinanza, di piccole e grandi comunità che nei loro stati non sono riconosciute come lingue ufficiali ma rientrano tra le minoranze linguistiche (si pensi, ad esempio, alla convivenza dei tanti gruppi etnico- linguistici in molti paesi africani come il Chad, Sudan e altri). Le lingue immigrate sono quotidianamente parlate sul territorio italiano e possono quindi considerarsi delle lingue in evoluzione, non statiche e quindi soggette a fenomeni di cambiamento interno.

I vari studi in questo campo hanno cercato negli anni di osservare l’interazione tra queste nuove minoranze linguistiche e le varietà di italiano soggiacenti, per vedere gli effetti del contatto linguistico che per il momento sembra non creare ancora tensioni, ma solamente casi di differente shift incipiente verso l’italiano o più accentuate radicalizzazioni verso la lingua madre: un esempio è dato dalle comunità arabofone nordafricane che rispetto ad altre comunità (Nordafrica> America latina> Medio Oriente>est Europa) tendono a conservare e usare maggiormente la lingua madre (ad esempio il dialetto marocchino) (Chini 2004: 320-321; esempio riportato anche in

Valentini 2005: 195)4. Inoltre, si sta tentando di elaborare delle mappe della presenza

radicalizzata di queste minoranze linguistiche sul territorio italiano per osservare nel tempo lo sviluppo e gli spostamenti interni di questi gruppi (cfr. Chini (2004) per Pavia e Torino; Vietti (2005) per Torino; Casti & Bernini (2008) per la diaspora cinese a Bergamo). Probabilmente è ancora troppo presto per riuscire a decifrare quanto queste comunità si siano realmente stabilizzate e quali siano gli effetti sulle strutture delle varie lingue di questo particolare contatto linguistico (Vedovelli 2016: 36), ma questi lavori restano tuttavia contribuiti importanti per riuscire a descrivere le migrazioni delle popolazioni in una prospettiva linguistica che, spesso, viene ignorata negli studi generali sulle migrazioni (Vedovelli 2001: 20-21).

3 Se si somma il numero di idiomi parlati in Italia (33) al numero delle lingue immigrate quotidianamente in Italia (circa 120), si arriva a dedurre che all’interno del territorio italiano si parlino attualmente all’incirca 150 lingue (Vedovelli 2016).

4 Nei dati riportati in Chini, sorprende vedere come ci sia differenza tra gli arabi del Nord Africa rispetto a quelli del Medio Oriente, rendendo così difficile una generalizzazione operata in base all’appartenenza alla stessa famiglia linguistica e religione.

77 Questi tipi di studi si prestano inoltre ad essere riutilizzati all’interno degli altri domini della linguistica, e possono essere ad esempio direzionati verso la prospettiva di un’educazione interculturale (Benucci 2001; Turchetta 2004; 2006). Una buona conoscenza da parte degli insegnanti (o altri differenti operatori sociali) delle minoranze culturali e linguistiche presenti nelle loro classi potrebbe essere una chiave per poter comunicare più facilmente con individui che nelle loro relazioni sociali (o precedenti esperienze scolastiche) utilizzano modelli comunicativi e sociali differenti e che potrebbero trovarsi in difficoltà nell’avvicinarsi ad un’istruzione i cui metodi

sono completamente diversi5.

3.2 L’acquisizione dell’italiano