Capitolo 2 Corpora e traduzione
2.2 Studi di traduzione basati su corpora: lo stato d’arte
2.2.2 Descriptive translation studies
2.2.2.1 Studi sulla traduzione come prodotto
Lo studio descrittivo della traduzione product-oriented è destinato alla descrizione o all’analisi di testi originali e testi tradotti e al confronto fra traduzioni dello stesso testo in una lingua o in varie lingue. Lo studio descrittivo della traduzione basato su corpora si è occupato principalmente di descrivere la traduzione come prodotto, confrontando i corpora di testi nativi tradotti e non tradotti nella lingua di arrivo (in particolare l’inglese). In questo modo la ricerca ha individuato determinate norme e caratteristiche specifiche. Secondo questa ipotesi, i testi tradotti presenterebbero dei tratti ricorrenti che li contraddistinguono dai testi originali e spontaneamente prodotti.
Per quanto riguarda la lingua inglese, diversi studi si sono basati sul
Translational English Corpus (TEC), il quale è stato compilato da Mona Baker e dai
suoi colleghi dell’Università di Manchester.14 Il TEC comprende testi originali e testi
tradotti in lingua inglese da una varietà di lingue di partenza, europee e non, organizzati in quattro sottocorpora: fiction, biografie, articoli di giornale e riviste di bordo. Questo corpus, liberamente consultabile online, ha ispirato un’ampia varietà di studi sulle differenze fra testi tradotti e testi originali in lingua inglese, sulle caratteristiche sintattiche e lessicali di testi tradotti e originali e sulle variazioni stilistiche fra singoli traduttori. Baker ha utilizzato il corpus TEC per investigare i tratti specifici della traduzione giungendo a teorizzare quattro universali traduttivi, i quali secondo Baker (1996: 180) sono quei tratti identificati come ricorrenti nei testi tradotti. L’ipotesi di Baker è che tutti i testi tradotti condividano quattro caratteristiche: semplificazione, esplicitazione, normalizzazione e levelling out.15
Baker (ibid., 181) definisce la semplificazione come “the tendency to simplify the language used in translation”, ovvero la tendenza a semplificare la lingua utilizzata nella traduzione. Gli indicatori considerati più frequentemente sono la
14<https://www.alc.manchester.ac.uk/translation-and-intercultural-studies/research/projects/translationa
l-english-corpus-tec/> (ultima consultazione 03/05/2018)
15 A differenza di quanto avviene negli studi che riguardano i tratti principali ricorrenti in modo frequente in un comune processo di traduzione individuati da Baker, Toury (1995: 267-279) preferisce parlare di “norme traduttive”, anziché di “universali traduttivi”, identificando la regolarità nel modo in cui vengono gestiti determinati fatti testuali. Infatti, secondo Toury le norme traduttive sono strettamente legate alla cultura a cui la traduzione è destinata, per cui i testi tradotti tendono a ricalcare
lunghezza media delle frasi (tra testi di partenza e di arrivo, testi nativi e tradotti) e la ricchezza lessicale,16 la quale nelle traduzioni dovrebbe risultare inferiore rispetto a
quella dei testi nativi. Se un testo tradotto attinge ad una gamma di vocaboli ristretta, questo può essere considerato come una strategia di semplificazione da parte del traduttore in modo che si possa facilitare il processo di traduzione.
Sempre secondo Baker (ibid., 180) l’esplicitazione è l’universale traduttivo secondo il quale i traduttori avrebbero la tendenza di “spell things out rather than
leave them implicit”. La studiosa afferma che i traduttori tendono a precisare le cose
piuttosto che a lasciarle implicite e a riprova di questa tendenza cita il fatto che le traduzioni sono più lunghe rispetto ai testi originali. Inoltre, dal punto di vista sintattico e lessicale, i testi tradotti presentano una quantità maggiore di elementi come congiunzioni e connettivi. Analizzando i testi originali in inglese e quelli tradotti, Baker (ibid., 181) ha identificato diverse procedure di esplicitazione adottate dal traduttore, fra cui l’uso della congiunzione non obbligatoria that e dei vocaboli (ad es. therefore, because, due to, consequently) che mirano a fornire informazioni supplementari.
Le analisi dei testi tradotti hanno inoltre rivelato esempi di normalizzazione, termine utilizzato per definire la tendenza del traduttore a ‘exaggerate features of the target language and to conform to its typical patterns’ (Baker 1996:183). La definizione data da Baker sottolinea la tendenza a ‘esagerare’ le caratteristiche della lingua di arrivo e a conformarsi alle sue strutture tipiche. Di conseguenza, il linguaggio adottato nei testi tradotti sarebbe addirittura “più normale” dei testi paragonabili nella lingua di arrivo. Gli esempi tipici di questo fenomeno rispetto ai testi di partenza sono gli usi eccessivi di strutture grammaticali tipiche della lingua di arrivo, gli adattamenti della punteggiatura e i modi di trattare le caratteristiche del parlato volti a conformarsi alle norme della prosa scritta (Laviosa-Braithwaite 1998).
16 Per ricchezza lessicale si intende il numero di forme diverse usate in un testo in rapporto al numero di tutte le occorrenze, ovvero il rapporto type/token. Tale rapporto corrisponde dunque alla ricchezza lessicale di quel testo. I valori alti indicano una maggiore ricchezza del lessico, mentre i valori bassi al contrario suggeriscono una ripetitività nell’uso delle parole (Stubbs 1996). È da notare che le caratteristiche morfosintattiche di lingue tra loro diverse fanno sì che il valore della ricchezza lessicale non sia direttamente paragonabile fra lingue diverse.
Anche Toury (1995) ha proposto la normalizzazione in una legge di comportamento del traduttore, la legge della standardizzazione crescente (“the law of growing standardization”). Come spiega l’autore, i testi tradotti hanno la tendenza ad orientarsi
verso le scelte linguistiche più vicine alla norma e alla convenzione della lingua di arrivo, sostituendo le caratteristiche del testo di partenza con tratti tipici del “repertoire” della lingua di arrivo (Toury 1995: 275).
Un altro universale traduttivo è il cosiddetto levelling out, ovvero “the tendency of translated text to gravitate towards the center of a continuum” (Baker 1996:184). Questo universale traduttivo non è dipendente né dalla lingua di partenza né da quella di arrivo ma riguarda la somiglianza di tutti i testi tradotti fra di loro. In altre parole, i testi di un corpus di traduzioni, presenterebbero minori differenze, ad esempio in termini di densità lessicale, type/token ratio e lunghezza media delle frasi, in confronto a quelli contenuti in un corpus di testi comparabili non tradotti.