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Lo studio e la ricostruzione delle architetture ostiensi: il ruolo

“…Per apprezzare l’opera svolta dal Gismondi in Ostia, basterà ricordare che lo stato delle rovine ostiensi è tale che occorre sempre non solo una quantità di cognizioni di ingegneria e di architettura onde risolvere i numerosi e complessi problemi tecnici che esso anche inaspettatamente presenta, ma richiede altresì una sagace e difficile opera di restituzione degli edifici scoperti onde rimettere in pristino e quindi in valore gli elementi architettonici frammentari e dispersi. E infatti l’opera di disegnatore svolta dal Gismondi, la sola che a lui spettasse di compiere, è stata invece integrata da un’opera di architetto altrettanto illuminata, e indispensabile al buon andamento degli scavi e dei restauri”1.

Questo breve passaggio, tratto da una lettera inviata da Calza al Ministero per chiedere l’avanzamento di carriera di Gismondi ad Architetto, esprime nel modo migliore il suo apporto decisivo nello studio analitico e nella ricostruzione delle architetture ostiensi. L’attività di riprogettazione fu eseguita graficamente e quando possibile fisicamente, ricomponendo e completando le porzioni di crollo dopo avere rilevato e studiato le tracce superstiti e le caratteristiche architettoniche dell’edificio a cui appartenevano. Bisogna tuttavia prevedere la possibilità che non tutte le ricostruzioni eseguite furono sempre il risultato delle interpretazioni critiche di Gismondi e che almeno in alcuni casi, si trattò di deduzioni o di scelte (forse non sempre condivise) operate da Calza e prima di lui da Finelli. Il restauro del ballatoio di Casa di Diana, lungo il prospetto meridionale, offre un esempio di come i risultati dei suoi studi non fossero sempre rispettati2. E d’altra parte il riferimento in negativo ai lavori di ricostruzione del teatro del ‘27, responsabili almeno in parte della cancellazione di strutture residuali pertinenti alla struttura del bacino d’acqua di età tarda, sembrano suggerire una sopita polemica con scelte operate in passato, evidentemente prese da altri3.

I disegni di Gismondi

La produzione grafica elaborata da Gismondi ad Ostia è vastissima e copre tutti i passaggi essenziali nel percorso di avvicinamento alla comprensione del rudere: lo schizzo preliminare, il rilievo di dettaglio, la comprensione strutturale, l’ipotesi ricostruttiva4. Un patrimonio ricchissimo di cui non si è ancora in grado di definire con esattezza l’entità e i contorni reali, ma che s’impone come un impianto documentario di grande efficacia e precisione. I tratti peculiari delle sue elaborazioni grafiche sono la cura per il dettaglio, l’attenzione al dato materiale, l’interesse per la sintesi qualitativa e la concretezza dei dati interpretativi; doti che si ritrovano anche nei suoi pochissimi contributi scritti5. Nessuno come lui ebbe modo di conoscere così da vicino i monumenti ostiensi misurandoli, toccandoli, osservandoli all’interno oltre che all’esterno, capendoli, associandoli, svelando la loro identità. Il suo saggio sulle tecniche e i sistemi costruttivi di Ostia, ad oggi insuperato, venne elaborato dopo circa quarant’anni di osservazioni e di esperienze dirette6.

Con il progredire degli scavi e delle conoscenze relative alle architetture ostiensi, cambiarono ovviamente le interpretazioni relative ai monumenti e i modi di rappresentarli, come mostrano le differenze tra alcuni

1 Lettera di G. Calza, 29.12.1923. La lettera è stata pubblicata da L. Attilia, Note sulla carriera di Italo Gismondi (1910- 1954), in Ricostruire l’Antico prima del virtuale. Italo Gismondi. Un architetto per l’archeologia (1887-1974), Roma

2007, pp. 32-35.

2 Per il restauro del ballatoio dell’insula di Diana cfr. supra, par. 2.4 “Un decennio di transizione: la direzione di R.

Paribeni e gli esordi di Calza”.

3 I. Gismondi, La Colimbetra del teatro di Ostia, in “Anthemon. Scritti in onore di C. Anti”, Venezia 1954, p. 302. 4 Il valore e “la lezione di metodo e di umiltà” riscontrabili nell’attività di Gismondi sono magistralmente espressi da C.

F. Giuliani, Il rilievo dei monumenti, l’immaginario collettivo e il dato di fatto, in Ricostruire l’Antico prima del

virtuale. Italo Gismondi. Un architetto per l’archeologia (1887-1974), Roma 2007, pp. 63-73.

5 I. Gismondi, Appendice a G. Calza, Le origine latine dell’abitazione moderna, in “Architettura e arti decorative”, 3,

1923-24; I. Gismondi, La popolazione di Roma antica, in ”Bullettino Comunale”, LXIX, 1941, pp. 158-159; I. Gismondi, Materiali, tecniche e sistemi costruttivi dell’edilizia ostiense, in “Scavi di Ostia”, I, Roma 1953, pp. 181-211; I. Gismondi, op. cit., 1954, pp. 293-308.

Di grande importanza inoltre le relazioni dei saggi di scavo eseguiti nel secondo dopoguerra, custoditi nell’Archivio di Ostia.

disegni pubblicati da Gismondi in anni diversi7. Ne è un esempio il Caseggiato del Thermopolium, la cui ricostruzione del ’23 presenta sostanziali differenze rispetto alla versione precedente, con un incremento dei livelli superiori e con il paramento laterizio in vista, privo di rivestimento. Quest’ultimo cambiamento fu determinato dall’osservazione di numerosi altri edifici riportati alla luce, i cui prospetti esterni non presentavano alcuna traccia d’intonaco, ma solo raramente minimi lacerti isolati di sottilissimi scialbi colorati, probabilmente limitati a singole decorazioni o ad insegne poste in facciata. Analoga differenza si nota nei disegni di Casa di Diana eseguiti negli stessi anni, dove inoltre compare la decorazione cromatica degli archi, delle piattabande e della cornice del ballatoio; resti di rubricazioni erano infatti state notate in corrispondenza di questi elementi architettonici e Gismondi le ripropose anche nel plastico dell’Insula dei Dipinti.

Le scoperte ostiensi relative all’edilizia abitativa di carattere intensivo insieme ai disegni ricostruttivi di Gismondi, furono al centro del dibattito culturale tra gli anni Venti e Trenta del Novecento. L’influenza dell’edilizia abitativa antica (ed in particolare di quella ostiense) sull’architettura contemporanea della prima metà del secolo scorso, è un tema complesso già ampiamente affrontato8. I contributi più recenti, seppur con sfumature diverse, tendono a sottolineare gli apporti progettuali di Calza e di Gismondi nelle ricostruzioni proposte, e li inseriscono nell’ambito della ricerca di uno stile ‘romano’ in chiave moderna al quale riferirsi, dibattuto in quegli anni fra i soci dell’Associazione Artistica fra i Cultori dell’Architettura9. Quanto poi Gismondi, nella ricostruzione grafica dei livelli superiori interamente perduti, sia stato a sua volta influenzato dalle sperimentazioni architettoniche di quegli anni in una sorta di reciproca contaminazione, per quanto plausibile, non è facile da dimostrare10. Gismondi spiega come la ripartizione discontinua dei balconi, la presenza dei loggiati, le aperture nei piani perduti, fossero elementi attestati, in gran parte tratti da osservazioni dirette delle architetture ostiensi o desunte da esempi di architettura romana di altri contesti11. E in modo ancora più verosimile è vero anche il contrario. Non è casuale infatti che la maggior parte delle ricostruzioni di Gismondi furono pubblicate nel ’23 sulla rivista “Architettura e Arti decorative”, fondata da Gustavo Giovannoni e Marcello Piacentini. Ed è certo che attraverso questa pubblicazione, ma probabilmente anche per una conoscenza diretta degli scavi, l’ambiente culturale ed architettonico romano era a conoscenza delle nuove scoperte e dell’attualità dell’architettura antica che esse rivelavano e l’influenza diretta di alcuni elementi architettonici ostiensi sulle realizzazioni di quegli anni appare indubitabile.

7 Questo aspetto è già stato osservato da V. Kockel, “Il palazzo per tutti” La décuverte des immeubles locatifs de l’Antiquité et son influence sur l’architecture de la Rome fasciste, in Ostia port et porte de la Rome antique, Genève

2001, pp. 66-73. L’autore riconduce tuttavia tali trasformazioni non tanto a ripensamenti strutturali quanto piuttosto a cambiamenti stilistici che Gismondi avrebbe assunto per adeguarsi alle nuove interpretazioni di Calza e al linguaggio propagandistico di regime.

8 Per un approfondimento del tema si vedano: V. Fraticelli, Roma 1914-1929. La città e gli architetti tra la guerra e il fascismo, Roma 1982; C. Cocchioni, M. De Grassi, La casa popolare a Roma. Trenta anni di attività dell’ICP, Roma 1984; B. Regni, M. Sennato, Innocenzo Sabbatini architetto, in “Capitolium” 5-6, 1976, pp. 2 ss; M. Sennato, Innocenzo Sabbatini. Architettura tra tradizione e innovamento, Roma 1982; F.R. Stabile, Regionalismo a Roma. Tipi e linguaggi. Il caso Garbatella, Roma 2001.

In particolare sui rapporti tra l’edilizia abitativa ostiense e l’architettura contemporanea: A. Muntoni, Italo Gismondi e

la lezione di Ostia antica, in “Rassegna” 55, 1993, pp. 74-82; V. Kockel, “Il palazzo per tutti”, in “Nuernberger

Blaetter zur Archaeologie” 11, 1994-1995, pp. 23-36; M. Ietto, Gli Scavi di Ostia Antica e l’attività di Guido Calza e

Italo Gismondi nella formazione del dibattito culturale ed architettonico contemporaneo, tesi di laurea, 1996

(http:/www.liberliber.it/biblioteca/tesi/architettura/index.htm); A.Muntoni, Architetti e archeologi a Roma, in “Storia dell’architettura italiana, Il primo Novecento”, a cura di G. Ciucci e G. Muratore, Milano Electa 2004, pp.260- 293; V. Kockel, op. cit., 2007; L. Marcucci, L’antichità come progetto: dagli scavi di Ostia alla città moderna, in Ricostruire

l’Antico prima del virtuale. Italo Gismondi. Un architetto per l’archeologia (1887-1974), Roma 2007, pp. 281-299. 9 In particolare L. Marcucci, op. cit., 2007, p. 292.

10 V. Kockel, op. cit, 2007, p. 69.

Lo studio durante i restauri

Come si può dedurre dalla sua ricostruzione grafica, i cd. Horrea Epagathiana, edificati su almeno tre livelli, presentavano in facciata un ingresso sottolineato da un portale laterizio sormontato da un timpano ed un ballatoio impostato su una teoria di volticine lunettate (fig. 1). Gli elementi caratteristici della facciata furono individuati durante lo scavo: i resti della decorazione del portale e i frammenti del ballatoio, caratterizzato da un gocciolatoio ottenuto con mattoni modanati a gola, erano conservati in porzioni di crollo di difficilissima lettura (figg. 2-3) Dopo aver dedotto l’altezza originaria di questi elementi sulla base delle quote del mezzanino e dell’altezza del secondo piano, nonché dal confronto con i rapporti volumetrici di altri edifici ostiensi

conosciuti, si procedette alla ricostruzione del portale, reintegrando le parti mancanti (un capitello e porzioni del timpano) senza riprodurre i dettagli decorativi (fig. 4). Allo stesso modo, sotto la guida diretta di Gismondi, furono ricollocati i frammenti superstiti del ballatoio d’angolo (fig. 5).

1. I. Gismondi, 1928. Horrea Epagathiana, ricostruzione del prospetto su Via della Foce (Arch. fot. Ostia, n. C518).

2. Horrea Epagathiana, 1921. Rinvenimento dei frammenti del ballatoio (Arch. fot. Ostia, n. B2268).

3. Horrea Epagathiana, 1921. Rinvenimento dei resti della decorazione del timpano (Arch. fot. Ostia, n. B2269).

4. Horrea Epagathiana, 1924. Ricostruzione del portale e

del timpano (Arch. fot. Ostia, n. B2277). 5. Horrea Epagathiana, 1924. I. Gismondi, in basso a destra, dirige i lavori di ricollocazione del ballatoio (Arch.

Un aspetto di grande interesse di questo restauro è che furono individuate e rispettate tracce di alloggiamento di catene lignee nel sistema di copertura del portico interno, costituito da una botte lunettata dove ancora oggi si possono riconoscere gli alloggiamenti delle travi nell’imposta delle volte (fig. 6). Durante le operazioni di restauro si collocarono provvisoriamente, negli alloggiamenti conservati, pali di legno di sezione compatibile, in modo da lasciarne traccia nelle coperture dei pilastri del portico che si andavano ricostruendo (fig. 7). Nel consolidamento strutturale definitivo ci si affidò poi all’inserimento di tiranti metallici, alla cerchiatura di alcuni pilastri e all’utilizzo di armature centinate a sostegno dell’intradosso delle volte.

In realtà tracce dell’utilizzo di tiranti lignei nei portici ostiensi erano già state notate circa dieci anni prima in corrispondenza dei corpi di fabbrica posti sui due lati di Via della Fortuna, il Caseggiato dei Misuratori di grano ed il Caseggiato del Balcone a mensole. Nel disegno ricostruttivo di quest’ultimo fabbricato Gismondi ripropose il sistema di tirantature di legno in corrispondenza dell’imposta delle volte (fig. 8). Questa caratteristica costruttiva fu riproposta fisicamente nel Caseggiato dei Misuratori di Grano, dove a differenza del corpo di fabbrica precedente, rimanevano in piedi i pilastri del portico e parte della copertura, nei quali era possibile osservare tracce analoghe. In occasione dei lavori dei primi anni ‘60, durante i quali fu consolidata e integrata la copertura del portico, le catene furono rimosse e le stesse tracce degli alloggiamenti vennero

definitivamente occultate, probabilmente perché non capite o non riconosciute come antiche.

L’utilizzo ad Ostia di catene lignee in strutture porticate fu prescelto tra il I e il II secolo d. C. come sistema affidabile per garantire stabilità a complessi architettonici esposti al rischio di cedimenti differenziali; l’instabilità dei piedritti, favorita dall’assetto idrogeologico ostiense, veniva ricondotta entro margini di sicurezza con il sistema di tiranti lignei, la cui adozione è conosciuta grazie alle osservazioni e ai lavori di Gismondi.

6. Horrea Epagathiana, angolo NE del portico. Visibili gli

alloggiamenti originali delle catene all’imposta delle volte. 7. Horrea Epagathiana, 1922-23. Visibili i pali provvisori collocati in orizzontale (Arch. fot. Ostia, n. B2271).

8. I. Gismondi, 1921. Disegno ricostruttivo del Casegg. del Balcone a mensole (da “Architettura e Arti decorative”, 1923).

I restauri eseguiti nel 1927 in corrispondenza del Caseggiato del Balcone a mensole sono interessanti per le soluzioni adottate e per capire come ci si comportava con i restauri passati. I lavori ottocenteschi erano riusciti solo in parte a risolvere i problemi strutturali del complesso edilizio, ricorrendo all’uso di contrafforti e tamponature in muratura. Considerati antiestetici e deturpanti da parte di Calza, i precedenti consolidamenti furono in gran parte demoliti (fig. 9). In particolare si vollero risolvere in maniera definitiva le problematiche strutturali dei resti del balcone caratterizzato da volte a botte poggianti su mensole. I consolidamenti eseguiti da Pietro Rosa avevano infatti lasciato irrisolti il fuori piombo della facciata e lo schiacciamento delle mensole, con il ricorso ad opere provvisionali poi divenute permanenti. Per scaricare le mensole Gismondi adottò una soluzione senza precedenti, che non verrà più replicata ad Ostia. Fece eseguire lo smontaggio della struttura, demolendo il nucleo interno e conservando soltanto l’imposta degli archi in cui erano rimaste le cortine (fig. 10).

L’ossatura portante in calcestruzzo fu sostituita da un’armatura centinata in ferro, esternamente rivestita di cortina realizzata in mattoni di recupero (fig. 11). Una soluzione limite, finalizzata a ristabilire le condizioni statiche compromesse, riproponendo l’aspetto architettonico del manufatto.

9. Caseggiato del Balcone a mensole, 1927. Inizio dei lavori di demolizione dei puntelli ottocenteschi (Arch.

fot. Ostia, n. B2367).

10. Caseggiato del Balcone a mensole, 1927. Opere provvisionali approntate prima di smontare la struttura voltata (Arch. fot. Ostia, n. B2365).

11. Caseggiato del Balcone a mensole, 1927. Demolizione dell’ossatura interna e realizzazione dell’armatura in ferro (Arch. fot. Ostia, n. B2360).

Prima di procedere allo smontaggio della struttura, Gismondi ebbe la possibilità di effettuare un’importante osservazione. Notò tracce incontrovertibili sull’estradosso del ballatoio dei resti di una copertura a tetto, con tegole e coppi, al di sotto della quale non vi era alcuna traccia di pavimentazione preesistente (figg. 12-13). Questa osservazione metteva in dubbio in modo radicale l’ipotesi di percorribilità del ballatoio già avanzata a suo tempo da Gismondi, come si vede nel disegno pubblicato su “Architettura ed arti decorative”, e che come gli altri disegni ricostruttivi godeva in quegli anni di grande successo nell’ambiente culturale romano. Mostrando grande onestà intellettuale e capacità di autocritica, Gismondi ripropose la copertura a tetto sull’esterno del ballatoio secondo quanto suggerivano tracce incontrovertibili12: così facendo invalidava l’attendibilità della ricostruzione che egli stesso aveva proposto solo pochi anni prima (fig. 14).

12 I. Gismondi, op. cit., 1941, p. 158.

12. Caseggiato del Balcone a mensole, 1927. Resti superstiti dell’originaria copertura a tetto sull’estradosso delle volte (Arch. fot. Ostia, n. B2362).

13. Casegg. del Balcone a mensole, 1927. Le tegole di copertura da un’altra angolazione (Arch. fot. Ostia, n. C1237).