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La successiva revisione della disciplina sui Fondi strutturali, valida per il periodo 1994-1999 prese avvio in un contesto molto diverso rispetto alla precedente,

in cui pesarono una serie di fattori: la compiuta riunificazione della Germania e

l’ingresso nella Comunità di nuove regioni con forti ritardi nello sviluppo; la

disgregazione del regime sovietico con l’inizio di un lungo processo di transizione

dei Paesi ex satelliti di Mosca verso le economie di mercato e verso l’integrazione

euro-atlantica, nell’ottica di una futura adesione alla Comunità europea

147

; l’ingresso

146 MANZELLA G. P., Tra l’Atto Unico e Maastricht: l’affermazione di una politica regionale «comunitaria», in Rivista giuridica del Mezzogiorno, n. 3, 2008, p. 833. È comunque importante sottolineare ancora una volta come tale riforma sia stata possibile grazie ad una serie di fattori: un periodo di ottimismo economico, un forte dinamismo euro-istituzionale con una Commissione, quella Delors, forte; un momento di pausa nella crisi fiscale degli Stati membri ed un indebolimento della filosofia del libero mercato. Soprattutto, la Commissione riuscì ad ottenere l’approvazione della propria proposta (e quindi il rafforzamento della politica e del suo ruolo in essa) grazie all’esigenza, per gli Stati membri più forti, di procedere ad un avanzamento significativo e rapido verso lo sviluppo del mercato interno e l’adozione della moneta unica, con la conseguente necessità di ottenere l’appoggio degli Stati più deboli a tal fine (BACHE I., The Politics of European Union Regional Policy, cit., p. 76 ss.).

147 Da ricordare che nel 1989, con Regolamento (CEE) n. 3906/85 del Consiglio, del 18 dicembre 1989, relativo all'aiuto economico a favore della Repubblica di Ungheria e della Repubblica popolare di Polonia (G.U.C.E. L 375 del 23 dicembre 1989, pp. 11-12) fu lanciato il programma comunitario PHARE (Poland and Hungary Assistance for Restructuring of the Economy), il cui obiettivo era di fornire assistenza finanziaria ai paesi partner (Polonia e Ungheria) affinché essi raggiungessero un livello di integrazione politica, economica e culturale tale da poter assumere i propri obblighi con la Comunità europea in vista di una futura loro adesione. I finanziamenti erano finalizzati a trasferire assistenza e sostegno tecnico, economico e infrastrutturale ai paesi beneficiari al fine di aiutare detti paesi a costruire un’economia di mercato basata sulla libera impresa e sull’iniziativa privata. Successivamente, il programma PHARE è stato esteso a tutti i dieci Stati candidati all’adesione nel 2004, costituendo il principale strumento finanziario della strategia di preadesione per i paesi dell'Europa centrale e orientale (PECO) e concentrandosi su due obiettivi prioritari: aiutare le amministrazioni dei paesi candidati ad acquisire le capacità necessarie per attuare l'acquis comunitario e a familiarizzare con gli obiettivi e le procedure comunitari; allineare la loro industria e la loro infrastruttura di base alle norme comunitarie mobilitando gli investimenti necessari. Per maggiori

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Università degli Studi di Sassari Stefania Napoli

di Austria, Finlandia e Svezia, paesi relativamente prosperi, nel 1994; la firma a

Maastricht, il 7 febbraio 1992, e l’entrata in vigore, il 1° novembre 1993, del Trattato

sull’Unione europea

148

; gli sforzi di stabilizzazione e risanamento finanziati imposti

agli Stati membri, specie ai più deboli, per la realizzazione dell’unione monetaria

149

;

http://www.europarl.europa.eu/enlargement/briefings/33a1_it.htm; http://eur-lex.europa.eu/legal- content/IT/TXT/HTML/?uri=URISERV:e50004&from=IT.

148 Con il Trattato di Maastricht venne istituita l'Unione Europea, costituita da tre pilastri. Il primo pilastro era costituito dalle Comunità europee (la Comunità europea – CE - non più Comunità economica europea; la Comunità europea del carbone e dell’acciaio; l’Euratom) e riguardava i settori in cui gli Stati membri esercitano congiuntamente la propria sovranità attraverso le istituzioni comunitarie; il secondo pilastro era costituito dalla politica estera e di sicurezza comune (PESC) e prevedeva un processo decisionale intergovernativo; il terzo pilastro riguardava la cooperazione di polizia e la cooperazione giudiziaria in materia penale (JAI), regolata sempre attraverso un processo decisionale intergovernativo (G.U.C.E. C 224 del 31 agosto 1992).

149 L’Unione economica e monetaria (UEM) rappresenta un importante passo avanti del processo d’integrazione delle economie dell’UE. Essa comporta il coordinamento delle politiche economiche e di bilancio, una politica monetaria comune ed una moneta unica, l’euro. L’integrazione economica porta con sé i vantaggi offerti dalle maggiori dimensioni, da una maggiore efficienza e robustezza interna per l’economia dell’UE nel complesso e per quelle dei singoli Stati membri. Ciò offre, a sua volta, opportunità di stabilità economica, maggiore occupazione a diretto beneficio dei cittadini dell’Europa. In termini pratici, l’UEM è sinonimo di: coordinamento delle politiche economiche tra gli SM; coordinamento delle politiche di bilancio, in particolare attraverso la limitazione del debito e del disavanzo pubblico; una politica monetaria autonoma, gestita dalla Banca Centrale europea (BCE); la moneta unica nell’area euro. L’obiettivo del raggiungimento dell’UEM fu confermato dal Consiglio europeo di Hannover del 27-28 giugno 1988, il quale affidò ad un Comitato, guidato da Jacques Delors, il mandato di elaborare un progetto concreto per la sua realizzazione. Il successivo Consiglio europeo di Madrid del 1989, sulla base delle indicazioni contenute nel “Rapporto Delors”, adottò un piano in tre fasi per la costruzione dell’UEM. Tale piano venne poi integrato nel Trattato di Maastricht, adottato nel dicembre del 1991, il quale contenne, tra l’altro, il Protocollo sullo statuto del Sistema europeo di banche centrali e della Banca centrale europea e il Protocollo sullo statuto dell’Istituto monetario europeo. La prima fase ebbe inizio il 1° luglio 1990 e prevedeva: completa libertà di circolazione dei capitali; rafforzamento della cooperazione fra le banche centrali; libero utilizzo dell’ECU (Unità di conto europea, sostituito in seguito dall’euro); miglioramento della convergenza economica. La seconda fase iniziò il 1° gennaio 1994: creazione dell’Istituto monetario europeo (IME); divieto di finanziamento del settore pubblico da parte delle banche centrali; maggiore coordinamento delle politiche monetarie; rafforzamento della convergenza economica; progressiva realizzazione dell’indipendenza delle banche centrali nazionali, da completarsi al più tardi entro la data di istituzione del Sistema europeo di banche centrali; lavori preparatori per la terza fase. La terza fase partì dal 1° gennaio 1999 e prevedeva: fissazione irrevocabile dei tassi di conversione; introduzione della moneta unica, l’euro; conduzione della politica monetaria unica da parte del Sistema europeo di banche centrali; entrata in vigore dei nuovi accordi europei di cambio (AEC II); entrata in vigore del patto di stabilità e crescita, adottato nel 1997 dal Consiglio europeo, che riguardava il controllo delle politiche di bilancio pubbliche dei Paesi adottanti l’euro, al fine di mantenere fermi i requisiti di adesione all’Eurozona e garantire la disciplina di bilancio nell’ambito della UEM). Per il passaggio alla terza fase e l’adozione dell’euro, gli Stati membri avrebbero dovuto soddisfare determinati “criteri d convergenza”, anche conosciuti come “parametri di Maastricht” (introdotti dal Trattato stesso: artt. 104 C e 109 J; “Protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi” e “Protocollo sui criteri di convergenza di cui all’art. 109 J del Trattato che istituisce la Comunità europea”): il debito pubblico non doveva superare il 60% del prodotto interno lordo; il disavanzo nei conti dello Stato non poteva superare il 3% del PIL; l’inflazione doveva essere contenuta entro il limite dell’1,5% della media dei migliori tre Stati membri; i tassi di cambio dovevano rispettare i limiti di fluttuazione per almeno due anni, senza svalutazione nei confronti della moneta di qualsiasi altro Stato membro; i tassi di interesse a lungo termine non potevano superare di

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la necessità di rafforzare la competitività industriale dell’Europa per “resistere” in un