• Non ci sono risultati.

Parlare di “functional foods”, o alimenti funzionali, è abitudine relativamente recente; questo nuovo concetto, o categoria, di cibi vide la sua origine in Giappone negli anni ’80 del secolo passato, dove si iniziò a parlare di Foods for Specified Health Use (FOSHU), anche se nell’area asiatica vantava già una certa tradizione. Infatti in Cina, Giappone, e Paesi limitrofi, molti cibi sono stati tradizionalmente sempre associati a specifici benefici sulla salute.

Nei Paesi occidentali invece, si fa risalire all’inizio del ventesimo secolo l’apparizione del primo functional food , una bevanda nota a livello globale, chiamata Coca-Cola64.

Il termine “functional food” è però sempre stato difficile da definire, e non mancano critiche volte a considerare questa dizione un pleonasmo intriso di ambiguità, per la semplice ragione che tutti i cibi già sono funzionali. Anche per questo forse gli apparati statali deputati alla regolamentazione del settore alimentare non riconoscono detti alimenti come autonoma categoria nutrizionale.

A fare un po’ di chiarezza è intervenuto, sul finire degli anni ’90, l’International Food Information Council, che ha stilato la seguente definizione: “foods that provide health benefits beyond basic nutrition.” Vale a dire che i functional foods sono quei cibi che forniscono benefici per la salute, in aggiunta, od oltre, al normale apporto nutrizionale.

Tale definizione è stata accettata dall’American Dietetic Association, che in una nota si permette però di includere nel novero tutti i cibi che in senso lato abbiano ripercussioni benefiche sullo stato si salute, come ad esempio gli snacks a basso contenuto di grassi.

Nemmeno questi tentativi sono però stati soddisfacenti, perché non permettono di tracciare una chiara demarcazione tra i cibi funzionali e tutti gli altri ad uso comune, per la succitata ragione che quasi tutti i cibi possono apportare benefici a qualche funzione corporea. Stando a queste definizioni infatti

64 J. A. WESTSTRATE, G. Van POPPEL, P. M. VERSCHUREN, Functional foods, trends and

anche la semplice acqua del rubinetto potrebbe vantare la qualifica di alimento funzionale, per il semplice fatto che una sua spontanea, e regolare, assunzione, permette di prevenire cistiti, calcoli renali e probabilmente alcune forme tumorali alle vie urinarie.

Di fronte a questi equivoci merita di essere citata la più concreta enunciazione che è stata data, nel 1994, al concetto di cibi funzionali da parte dell’Institute of Medicine della US National Academy of Sciences, che fa riferimento a quei cibi “in cui le concentrazioni di uno o più ingredienti sono state manipolate o modificate per migliorare il loro contributo ad una dieta salutare”65.

Però neppure questa definizione è esaustiva, in quanto omette il riferimento ad un aspetto centrale nella discussione sui functional foods, che è la stretta connessione tra questi cibi e quegli altri alimenti che invece, esplicitamente o implicitamente, vantino in etichetta qualità salutistiche, dal momento che sul mercato il termine “functional food” è quasi esclusivamente attribuito a questi ultimi.

Altre definizioni sono state date da molti altri istituti scientifici che si occupano di scienza della nutrizione, così ad esempio, a livello europeo è accolta la definizione contenuta nell’“European Consensus Document”, stilato dall’International Life Sciences Institute:

“a food can be regarded as functional if it is satisfactorily demonstrated to affect beneficially one or more target functions in the body, beyond adequate nutritional effects in a way that is relevant to either an improved state of health and well-being and/or reduction of risk disease… A functional food can be a natural food, a food to which a component has been added, or a food from which a component has been removed by technological or biotechnological means. It can also be a food where the nature of one or more components has been modified, or a food in which the bioavailability of one or more

65 M. B. KATAN, N. M. DE ROOS, Promises and Problems of Functional Foods, in

components has benn modified, or any combination of these possibilities” 66

Questa definizione, che prende atto della constatazione che “functional food” è un concetto piuttosto che una nitida cerchia di prodotti, parte dalle caratteristiche che il comitato di esperti in nutrizione, coordinato dall’International Life Sciences Institute nell’ambito dell’azione concertata promossa dalla Commissione Europea sullo studio degli alimenti funzionali, ha affermato che un alimento debba presentare affinché possa essere considerato funzionale:

1: essere un normale alimento quotidiano 2:consumato nell’ambito di una normale dieta

3:composto da ingredienti che fanno parte della natura del prodotto (e quindi non appositamente sintetizzati), magari anche in concentrazioni aumentate, o da ingredienti che normalmente non fanno parte di quell’alimento, e

4: che abbia un effetto positivo su funzioni mirate, oltre al classico effetto nutritivo

5: che possa migliorare lo stato di salute generale e/o ridurre il rischio di una malattia, o fornire un beneficio alla salute in termini di miglioramento della qualità di vita comprese funzioni fisiche, psicologiche, comportamentali

6: presentare messaggi autorizzati e scientificamente corroborati

Tali capisaldi rappresentano appunto la base del cosiddetto European Consensus on “Scientific Concepts of Functional Foods” 67. E’ comunque opportuno rimarcare che la principale caratteristica del “functional food” consiste nel suo essere un alimento per natura, e non qualcosa presentato sotto forma di pillole, capsule, o altro integratore alimentare, nonostante le loro funzioni spesso siano molto affini, anzi, talvolta identiche, rimanendo cosi la forma di

66 A. T. DIPLOCK, P. J. AGGET, M. ASHWELL, F. BORNET, E. B. FERN & M. B.

ROBERFROID, Scientific concepts of functional foods in Europe: Consensus document, in British

Journal of Nutrition, 81, Suppl. 1, p.6.

67 M.B. ROBERFROID, Global view on functional foods: European perspectives, in British

presentazione l’unico criterio utile per distinguere i due prodotti. Infatti tra integratori alimentari e alimenti funzionali intercorre una stretta correlazione, data dalla possibilità di combinare le proprietà funzionali degli alimenti, e i non meglio definiti effetti nutritivo - fisiologici degli integratori. Da un alimento si può quindi estrarre la sua componente funzionale, e proporla tale e quale al consumo sotto forma di integratore, quindi attraverso una presentazione simil-farmaceutica. È possibile però anche l’effetto inverso, ossia addizionare le proprietà dell’integratore a quelle di un alimento, onde ottenere così un alimento funzionale, dal momento che l’integratore serve appunto ad integrare con vitamine e minerali una normale dieta che però, per le più svariate ragioni, ne risulta carente.

Tuttavia bisogna porre in evidenza i limiti nomativi che sono stati posti a questi tentativi di far nascere alimenti funzionali dalla possibilità di combinare integratori e matrici alimentari; il riferimento corre evidentemente al Regolamento (Ce) n.258/97 sui nuovi prodotti e i nuovi ingredienti alimentari, meglio conosciuto come il regolamento sui novel food. Infatti a livello comunitario, sulla questione appena descritta si è concordato che:

“ l’uso esclusivo di alimenti o ingredienti alimentari nella UE come integratori, o negli integratori, non dovrebbe essere considerato come consumo umano significativo ai sensi del regolamento 258/97/CE. Un altro uso alimentare, pertanto, diverso da quello di integratore, dovrebbe richiedere l’autorizzazione secondo detto regolamento”68.

Tornando alle nozioni che cercano di rispondere all’interrogativo su cosa sia un “functional food”, interessante è pure la definizione, un po’ lata a dire il vero, che ne è stata data dall’Australian National Excellence Centre for Functional Foods (NECFF), includendo nella categoria qualsiasi alimento che abbia riconosciuti componenti bioattivi, in grado di promuovere il generale stato di benessere e di salute, supportati da una comprovata base scientifica.

Infine, per concludere questo breve panorama definitorio, è utile citare cosa a riguardo hanno scritto Heasman e Mellentin nel loro libro, intitolato non a caso “The Functional Foods Revolution”:

68 B. SCARPA, Gli integratori alimentari oggi: effetti nutritivo e fisiologici nel complesso

“Functional foods are about manipulating and constructing foods and diets not just to maintain well-being or a balanced diet, but to actively participate in shaping health status… [The] scientific challenge is all about identifying the individual components of plants and other foods that can prevent disease and illness and also enhance and prolong healthy and active life”69

Come si può notare non ci sono definizioni più accreditate di altre riguardo al tema oggetto di questo paragrafo, sicché la descrizione del concetto deve spostarsi su un altro piano, per essere più pienamente compreso. Si allude al fatto che, dal momento che non esistono validi criteri per distinguere i cibi funzionali dagli altri (i.e. “non-functional foods”) in termini di caratteristiche e qualità intrinseche, la riflessione deve spostarsi sul versante della loro commercializzazione, della loro presentazione al consumatore finale, cercando in tal modo di tracciare una sicura linea distintiva tra i vari tipi di alimenti presenti sul mercato, essendo tutti appunto potenzialmente funzionali nel senso sopra riferito. Si può allora iniziare ad abbandonare la definizione di “functional food”, adottandone un’altra, che in maniera più pregnante descrive i cibi a cui ci si sta riferendo: si parla allora di “functionally marketed foods” 70, concetto che si ritrova anche nella definizione data ai functional foods da Nestle, nel 2002, descrivendoli come “products created just so that they can be marketed using health claims”71.

Infatti è utile notare che i c.d. functional foods possono essere visti semplicemente come la risposta che le industrie alimentari danno alla crescente domanda dei consumatori di cibi che siano allo stesso tempo allettanti e salutari, considerazione questa corroborata anche dai numeri: il mercato degli alimenti funzionali, presentati esplicitamente, mediante appositi “health claims”, come aventi effetti salutari fa registrare dati per circa 7 miliardi di Euro nei paesi europei, in Giappone e negli Usa. Se invece si prescinde da espliciti richiami salutistici in etichetta allora le cifre sono inevitabilmente destinate a lievitare, assestandosi attorno ai 95 miliardi di Euro, sebbene vi sia da dire che questo dato

69 HEASMAN M. & MELLENTIN J., The Functional Foods Revolution: Healthy People,

Healthy Profits? London: Earthscan 2001

70 G. SCRINIS, Functional foods or functionally marketed foods? A critique of, and

alternatives to, the category of “functional foods”, in Public Health Nutrition: 11(5), p. 544.

risalga a poco meno di un lustro fa. Si stima ad ogni modo che per i prossimi cinque anni vi possa essere una crescita attorno al 10% annuo.

Inoltre non si può trascurare, quando si guarda al futuro, l’impatto di una nuova branca della scienza della nutrizione, la nutrigenomica72, e gli effetti che essa avrà sull’alimentazione, potendo costituire una nuova categoria di cibi funzionali, i nutrigenomically marketed foods appunto.

Ma questa deriva pare essere abbastanza lontana dal momento che ad oggi i functional foods che si trovano in commercio sono ancora basati su scoperte, forse casuali, della scienza della nutrizione, e non costituiscono invece il frutto di mirate strategie di ricerca su detti cibi. Infatti ci si limita ancora ad analizzare gli aspetti positivi dei normali alimenti, e successivamente si crea un alimento funzionale, ottimizzando appunto questi benefici. L’innovazione futura consisterà però nel compiere un passo ulteriore, vale a dire individuare ed integrare i bisogni e la domanda dei consumatori con strutturati e mirati processi di ricerca scientifica, attraverso un meccanismo che è stato sintetizzato nelle formule “market pull” – “science push” 73.

In ogni caso, anche per permettere nel migliore dei modi l’avvento della nutrigenomica, è fondamentale captare le istanze dei consumatori, ed ottenere la loro approvazione dal momento che si potrebbe arrivare ad un’alterazione drammatica del modo in cui si intenderà il rapporto tra cibo e salute.

Proprio per circoscrivere l’apporto benefico ad alcune tipiche funzioni fisiologiche, senza sconfinare nel terreno dei trattamenti medici, la già menzionata azione concertata dell’International Life Sciences Institute sulla Functional Food Science in Europe (FUFOSE) ha individuato sei ambiti verso cui dovrebbe rivolgersi la scienza della nutrizione funzionale:

1 – crescita, sviluppo e diversificazione 2 – meccanismi metabolici

3 – difesa contro reagenti ossidanti

72 “La nutrigenomica è una scienza multidisciplinare che riesce a combinare la genetica

con la nutrizione, cercando di svolgere un attivo ruolo preventivo, in difesa dell’organismo. Nell’ultimo decennio si sono moltiplicati gli studi e le ricerche in campo nutrigenomico, attraverso l’elaborazione di test genetici volti a svelare le mutazioni, responsabili di alcune delle più comuni e gravi patologie, quali il diabete, l’ipercolesterolemia, le intolleranze alimentari e il cancro, ma anche attraverso un’attenta indagine sui benefici che alcune categorie di alimenti apportano se introdotti preferenzialmente nella dieta”. Da www.benessere.com

4 – sistema cardiovascolare 5 – sistema gastrointestinale

6 – funzioni psicologiche e comportamentali

Queste “benefit categories” indicano gli ambiti a cui i cibi funzionali dovrebbero essere rivolti per migliorarne le funzioni, o al limite anche ridurne il rischio di patologie, ma sempre facendo riferimento a persone in stato di buona salute, e non invece come pretesto per mascherare sotto la veste di functional food un trattamento per persone malate.

Tuttavia, se è indubbio che le succitate categorie restino rilevanti da un punto di vista medico-scientifico, in quanto afferenti a specifiche funzioni corporali, è però anche ad altro che l’attenzione dei consumatori si rivolge, e che l’industria alimentare tende a sviluppare: il riferimento corre agli alimenti che sono funzionali in quanto apportano un quotidiano contributo in termini di salute. Quindi, benefici come la pelle sana e liscia, il collegamento tra stato mentale, stress, e performance fisiche o scolastiche, ovvero la capacità di perdere peso grazie ad un senso di sazietà introdotto da alcune barrette ipocaloriche, di certo attraggono poco la comunità scientifica, ma esercitano un’attrazione sempre maggiore nella vita di tutti i giorni. Quel che è certo è che il ruolo degli alimenti funzionali rischia di collidere strettamente con quello di altri prodotti, quali gli integratori alimentari e i medicinali, ai quali forse sembrano talvolta più affini dal momento che svolgono una funzione di riduzione del rischio di malattie piuttosto che di prevenzione. Ecco che allora un’altra sfida nel campo della nutrizione è quella rappresentata dall’interrogativo se i “benefit claims” dei functional foods debbano essere assoggettati alle stesse stringenti regole dei claims che fanno riferimento alla riduzione di un fattore di rischio di una malattia, soprattutto dopo aver preso atto che l’industria alimentare sta massicciamente, e con successo, promuovendo alimenti che si collocano nell’area del controllo del peso, delle funzioni cardiache, e del miglioramento delle “prestazioni” mentali, mnemoniche, e latu sensu cerebrali, attraverso i cosiddetti smart foods o energy drink. I fattori che determinano il successo di queste formule alimentari sono sostanzialmente tre, anche se solo i primi due rivestono un’importanza primaria dal punto di vista di un produttore, e sono, rispettivamente, il sapore e la praticità. Per quanto concerne il primo elemento vi è da dire che da esso non si può prescindere, per il

fatto che i consumatori, fatta qualche piccola eccezione, non sono disposti a sacrificare il gusto per la salute; in secondo luogo detti prodotti devono adattarsi ai frenetici stili di vita imposti dalla modernizzazione, per cui un alimento funzionale avrà tanto più successo quanto sarà presentato, ad esempio, sotto forma di accattivanti barrette, direttamente pronte ad essere ingerite. Il terzo fattore di successo, che può essere però non ben visto dall’industria, è una più stringente regolamentazione dei claims, cosicché il produttore possa indirizzare solamente messaggi per i quali vi sia comprovata conoscenza in termini di effetti benefici, al fine di guadagnare quella fiducia nel consumatore che spesso è mancata, rispondendo anche al bisogno del compratore di essere orientato, guidato correttamente tra le miriadi di opzioni che gli si presentano agli occhi, in modo da realizzare un’effettiva comunicazione basata sull’interazione tra scienza e sensibilità verso i bisogni del destinatario.

Tale ultimo profilo si rivela esplicitato anche nel già menzionato European Consensus, dove la sfida che sono chiamate ad affrontare scienza e comunicazione è descritta nel modo seguente:

“As the relationship between nutrition and health gains public acceptance and as the market for functional foods grows, the question of how to communicate the specific advantages of such foods becomes increasingly important. Communication of health benefits to the public, through intermediates such as health professionals, educators, the media and the food industry, is an essential element in improving public health and in the developement of functional foods. Its importance also lies in avoiding problems associated with consumer confusion about health messages. Of all the different forms of communication, those concerning claims – made either directly as a statement on the label or package of food product, or indirectly through secondary supporting informatin – remain an area of extensive discussion”74.

Nello stesso ordine di idee si pone anche un altro studioso, Hudson, che nel 1994 afferma quanto segue: “ the links between nutrition science and food

product developement will flow through to consumers only if the required communication vehicles are put in place”75.

Questo pensiero però pone l’accento maggiormente sulla necessità di un’adeguata comunicazione degli “health benefits”, dal momento che la comunicazione in ambito alimentare proviene spesso da varie fonti, che sono talvolta contraddittorie, contribuendo a creare confusione, e quindi ignoranza o falsa informazione. Perciò ogni messaggio riferito a cibi funzionali dovrebbe essere veritiero, non fuorviante, scientificamente provato e reso in modo chiaro al consumatore.

Documenti correlati