• Non ci sono risultati.

LE SUPPLICI DI EURIPIDE

Premessa

Le Supplici euripidee sono la tragedia in cui la presenza di Capaneo è più sensibile: se i Sette e l'

Antigone gli dedicavano una singola sezione, qui i riferimenti all'eroe sono equamente distribuiti

nel corso di tutto il dramma e - quel che è più notevole - determinano un'evoluzione qualitativa del personaggio. Mentre infatti nei primi episodi ci viene riproposta l'immagine, che ormai doveva essere canonica, del guerriero empio e gonfio di u{bri", in seguito emergerà invece un Capaneo sorprendentemente diverso: il campione di virtù etiche dell'elogio funebre e lo iJerov" al quale Evadne si offrirà in olocausto. Pertanto la funzione di Capaneo, che nelle due tragedie già esaminate era ben definita, risulta adesso alquanto controversa. E si tenga presente che questo è solo uno dei numerosissimi aspetti problematici, o comunque peculiari, che le Supplici offrono al dibattito critico, e che qui potranno essere solo accennati: la mancanza di un effettivo protagonista; la prevalenza dell'elemento patetico e spettacolare; la scarsa perspicuità della messa in scena (specialmente in relazione al suicidio di Evadne); la plausibile presenza di riferimenti all'attualità151 politico-militare della guerra del Peloponneso e nella fattispecie alle vicende a noi note da Thuc.4.89-101 (dove si narra che i Beoti, come rappresaglia per la profanazione del santuario di Delion, impedirono agli Ateniesi di recuperare le salme dei caduti), vicende risalenti al 424 che costituiscono il terminus post quem per la datazione della tragedia; l'effettivo valore dell'orazione pronunciata da Adrasto; la compresenza di intenzioni politiche apparentemente contraddittorie (esaltazione nazionalistica di Atene, antibellicismo). Con questa breve ricognizione si è voluto sottolineare come l'ambiguità di Capaneo si inserisca in un contesto di generale ambiguità e anomalia - non solo dal punto di vista del lettore moderno, al quale sfuggono elementi fondamentali (data, messa in scena), ma probabilmente anche da quello dello spettatore antico, che forse era ormai legato ad un'immagine convenzionale di Capaneo e del conflitto argivo-tebano.

151

A lungo si è discusso su quanto fossero puntuali questi riferimenti: vi sono state anche tesi estreme che pretendevano di vedere in ogni personaggio della tragedia (compreso Capaneo) l'alter ego di personaggi politici ateniesi dell'epoca.

Ma in questa sede mi preme soprattutto richiamare ancora l'attenzione sull'atteggiamento polemico e agonistico nei confronti di Eschilo da parte di Euripide, il quale deliberatamente mette in atto una serie di variazioni, più o meno evidenti, nei confronti del trattamento eschilieo del mito dei Sette. La caratterizzazione positiva di Capaneo ne rappresenta ovviamente una, ma forse anche più significativo doveva risultare lo scarto rispetto agli Eleusini, nei quali Teseo, senza dover ricorrere alle armi, convinceva i Tebani a restituire le spoglie degli Argivi, a differenza di quanto avviene nelle Supplici152, in cui si fornisce una variante 'bellicosa' del mito - forse ideata dallo stesso Euripide - e si descrive con dovizia di particolari lo scontro tra Tebani e Ateniesi (cfr vv. 650-730).

Aggiungo che i versi 846-858 delle Supplici euripidee (dove Teseo afferma che una descrizione precisa della battaglia tra Argivi e Tebani, in cui si indicasse puntualmente chi affronta chi, sarebbe cosa ridicola e inverosimile) costituiscono - a detta di molti commentatori - un'allusione sarcastica alla pedanteria del secondo episodio dei Sette contro Tebe, in cui il messaggero rende conto della posizione di ogni guerriero argivo ed Eteocle schiera il difensore tebano da contrapporre ad ognuno di essi. In tal caso153 Euripide dichiarerebbe scopertamente la sua "polemica a distanza" verso il grande Eleusino, come avviene del resto in Phoen. 751 (quando Eteocle si rifiuta di nominare ad uno ad uno i contendenti), nonché nella scena di riconoscimento dell'Elettra (vv. 520 ss), in cui si parodia l'analoga scena delle Coefore.

Comunque il dato fondamentale, ai fini della nostra indagine, è che il conflitto argivo-tebano è collocato in una prospettiva assai diversa da quella adottata nei Sette, che era poi la prospettiva di Eteocle, al quale gli Argivi, e in primis Capaneo, apparivano semplicemente degli aggressori empi e tracotanti. Nelle Supplici invece il giudizio sugli Argivi è molto sfumato: è vero che hanno sbagliato ad attaccare Tebe a dispetto dei presagi sfavorevoli (vv. 155-159) e a rifiutare le proposte di pace di Eteocle (vv. 739-40), ma è anche vero che buona parte della responsabilità iniziale del dissidio tra i fratelli viene attribuita proprio a Eteocle, che si era appropriato dei beni del fratello esule (vv. 152-153); e comunque tutte le eventuali responsabilità degli Argivi passano ormai in secondo piano rispetto alla colpa dei Tebani i quali, impedendo la sepoltura dei nemici, violano un sacrosanto novmo" della Grecia (vv. 525-26, 561-633).

Peraltro il rapporto con il modello eschileo non si risolve esclusivamente nella sistematica volontà di contestarlo o di derogarne: si è visto, ad esempio, che la caratterizzazione 'sacrale' di Capaneo era probabilmente già riscontrabile negli Argivi o negli Eleusini (v.supra); e osserviamo

152

Cfr Plut. Thes. 29.4-5 153

Qualche riserva, in merito all'effettiva presenza di una simile allusione, deriva dal fatto che non vi è una perfetta corrispondenza tra le due situazioni: mentre infatti Teseo si riferisce a chi faccia un resoconto dopo aver assistito alla battaglia, l'episodio dei Sette ha luogo prima dello scontro. E si aggiunga che la rhesis dei vv. 650- 730, pronunciata dal messaggero, rappresenta proprio quel genere di resoconto militare che poco dopo Teseo stigmatizza.

inoltre che il carattere corale delle Supplici euripidee trova parziale corrispondenza nell'omonima tragedia eschilea, così come l'alleanza tra Atene ed Argo sancita da Atena, con cui si conclude la tragedia, fa pensare al finale delle Eumenidi, con un’ importante differenza: che in quest’ultima tragedia, la quale conclude una trilogia, la dea effettivamente fonda un nuovo ordine stabile e pacifico, mente nelle Supplici di Euripide essa annuncia l’attacco degli Epigoni contro Tebe, cioè una nuova guerra (vv. 1213-1226). Ad ogni modo i più significativi elementi di continuità delle

Supplici euripidee rispetto ad Eschilo sono l’ambientazione eleusina, che era ovviamente quella

degli Eleusini, e i nomi dei sette eroi argivi (Tideo, Capaneo, Polinice, Partenopeo, Ippomedonte, Eteoclo, Anfiarao) che sono gli stessi dei Sette contro Tebe, mentre nelle Fenicie Eteoclo sarà sostituito dallo stesso Adrasto, schierato personalmente ad una delle porte.

Capaneo ancora uJbristhv"

Veniamo ora all'esame del primo blocco di versi dedicati a Capaneo, 494-503 (chi parla è l'araldo tebano il quale, dopo aver intimato a Teseo di non appoggiare la richiesta di Adrasto e addirittura di espellerlo dall'Attica, vuole dimostrare al re ateniese quanto sia inopportuno il suo impegno a favore degli Argivi):

su; d j a[ndra" ejcqrou;" kai; qanovnta" wjfelei§", qavptwn komivzwn q j u{bri" ou}" ajpwvlesen_

ouj ta[r j e[t jojrqw§" Kapanevw" kevraunion

devma" kapnou§tai, klimavkwn ojrqostavta" 497

o}" prosbalw;n puvlh/sin w[mosen povlin pevrsein qeou§ qevlonto" h[n te mh; qevlh/,

oujd j h{rpasen cavrubdi" oijwnoskovpon 500

tevqrippon a{rma peribalou§sa cavsmati, a[lloi te kei§ntai pro;ı puvlaiı locagevtai, pevtroiı kataxanqevnteı ojstevwn rJafavı.154

503

I versi non presentano grandi difficoltà testuali: le lezioni tradite ou}" u{bri" (495), ou[t j a]n e[t j (496) e klimavkwn ojrqostavtwn a}" (497-98), chiaramente corrotte perché metricamente - nel primo caso - o sintatticamente impossibili, hanno ricevuto emendamenti, segnalati da noi col corsivo, estremamente plausibili ed universalmente accettati. Al v. 498 concordo con Collard155

154

Alcuni editori considerano anche il periodo dei versi 496-503 come interrogativo. 155

nel mantenere la lezione trasmessa originariamente dal Laurenziano puvlh/si, alla quale Grégoire ed altri preferiscono la correzione, forse tricliniana, puvlaisi: è noto infatti che i dativi in hsi sono attestati in iscrizioni attiche fino a circa il 420 a.C., cioè fino all'epoca in cui presumibilmente furono rappresentate le Supplici.

Al v. 494 Markland, ritenendo che ejcqrouv" necessitasse di un dativo e postulando un'aplografia di q, propone l'emendamento qeoi§", da leggersi ovviamente con sinizesi. Effettivamente il verso così emendato suonerebbe molto bene, anche perché l'appellativo di odiosi agli dei (ovvero ostili agli

dei) si confà perfettamente agli Argivi, specie a Capaneo di cui si parla immediatamente dopo;

tuttavia la lezione tradita non è affatto così oscura da giustificare un intervento filologico tanto pesante: kaiv potrebbe infatti avere plausibilmente il valore di ' perfino', nel qual caso l'araldo tebano sottolineerebbe la duplice assurdità di aiutare degli 'uomini ostili e per giunta morti' ed esprimerebbe così la propria noncuranza per il succitato novmo", quasi dicesse insomma che i morti sono morti e non è il caso di occuparsene. Oppure si potrebbe pensare ad un'endiadi, la quale darebbe pressappoco lo stesso senso, soltanto un po' più sfumato (si veda la traduzione di Grégoire: A qui réserves-tu tes bienfaits et tes soins? A des ennemis morts?)156.

Dal punto di vista retorico-stilistico sono poi da osservare, al v.495, l'hysteron-proteron (qavptwn komivzwn, mentre logicamente la sepoltura viene dopo il recupero dei cadaveri) e l'anastrofe che mette in risalto u{bri". Ancora più significativo è il gioco paraetimologico, enfatizzato dall'allitterazione di k, che lega il nome di Capaneo - sentito come derivato di kavpno" - al verbo kapnou§tai: con l'avverbio ojrqw§" si vuol significare che, in virtù del principio del nomen omen, è stato giusto, cioè conforme ad un fato ineluttabile, che Capaneo fosse ridotto ad una spoglia carbonizzata e fumante. Del resto simili accostamenti paraetimologici sono frequenti in tragedia: oltre al già citato Soph. OC 1318, si vedano anche Aesch.Sept. 829-31, Eur. Tro 989-90 e Phoen. 636. Quanto al verbo kapnou§tai, molti gli attribuiscono il senso di 'esser stato ridotto in fumo' (cfr Kovacs157: was turned to smoke), come si trattasse di un presente storico158; ma forse - dato il breve lasso di tempo trascorso dalla disfatta argiva e data la possibilità di collegare e[ti a kapnou§tai - l'araldo intende dire semplicemente che il corpo di Capaneo stava effettivamente

ancora fumando159.

C'è poi da dire che il congetturale, ma plausibilissimo, ouj ta[r(a) indica senz'altro un'inferenza

156 Grégoire Parmentier 1959, p.121. 157 Kovacs 1988, p.63. 158

Cfr Eur. Tro 8. 586, dove il verbo kapnou§tai ha la stessa ambiguità. 159

Per l'immagine del corpo di Capaneo 'ancora fumante' cfr. Phil. Im. 2.29.2 bevblhtai uJpo; tou§ Dio;" kai; e[ti tuvfetai.

ironica160 (l'araldo vuol dire che sarebbe ridicolo voler favorire gli Argivi come se gli dei non avessero dimostrato una così palese avversione nei loro riguardi), ma non è chiaro se abbia un effettivo valore interrogativo (nel qual caso forse bisognerebbe scrivere ta\r j), né sembra essenziale stabilirlo, giacché il senso generale della frase resterebbe pressoché immutato; e comunque simili slittamenti sintattici sono tipici della lingua greca.

L'oijwnoskovpo" del v. 500 è chiaramente l'indovino Anfiarao: qui Euripide si rifà all'antica tradizione mitica secondo cui l'indovino fu inghiottito alle porte di Tebe da una voragine provocata dal fulmine di Zeus, e nella fattispecie sembra riecheggiare Pind. Nem. 9.24-25, passo da noi già esaminato. È invece sorprendente il fatto che ora Anfiarao e Capaneo vengano messi sullo stesso piano e che le loro sorti vengano equiparate, a dispetto della tradizionale contrapposizione tra i due personaggi - esempi rispettivamente di pietas e di empietà (v. supra, cap. II, in cui si è insistito su come tale contrapposizione sia caratteristica dei Sette contro Tebe, e su come lo sprofondamento di Anfiarao fosse interpretato tradizionalmente alla stregua di un' apoteosi, o comunque di un atto di charis da parte di Zeus). Inoltre nelle stesse Supplici si parla in seguito dell'indovino in termini elogiativi (vv.925ss.).

L'immagine di Capaneo qui offerta corrisponde perfettamente a quella di Esch. Sept. 421ss.; e, ai vv. 498-99, non può sfuggire la ripresa quasi verbatim dei già discussi versi 427-28 della suddetta tragedia eschilea (qeou§ te ga;r qevlonto" ejkpevrsein povlin kai; mh; qevlontov" fhsi).

Il particolare della scala non è una variante rispetto ad Eschilo, che ne tace161, ma semplicemente un dettaglio aggiuntivo pienamente coerente con una simile rappresentazione dell'eroe, un dettaglio che apparteneva certamente alla tradizione mitica e che trova ampio riscontro nelle testimonianze iconografiche.

Resta dunque il grande problema di accordare questa caratterizzazione negativa di Capaneo con l’elogio dei vv. 860-71. Ovviamente il problema potrebbe essere facilmente risolto con l’interpretare il discorso funebre di Adrasto in chiave esclusivamente parodistica o ironica, nel qual caso le parole dell’araldo tebano andrebbero considerate come semplice espressione dell’autentica immagine dell’eroe, contrapposta all’immagine fallace creata dall’arte retorica. Verificheremo in seguito una simile interpretazione; adesso tentiamo invece di percorrere un’altra via e chiediamoci se da parte del pubblico non potesse esservi una riserva nei confronti dell’araldo e del suo discorso tale da rendere il successivo elogio meno stridente. Bisogna allora considerare il personaggio dell’araldo tebano, il suo modo di porsi e la sua conseguente capacità di orientare il giudizio del pubblico. Grégoire lo definisce un personaggio odioso e sottolinea la

160

Cfr Eur. Hipp. 441, IA 1189. 161

Peraltro, come si è già osservato, l'emblema presente sullo scudo di Eteoclo rappresenta un oplita fornito di scala (Aesch. Sept.466-67).

forte componente antitebana della tragedia. Forse si può essere meno perentori e riconoscere che alcune sue affermazioni potevano riflettere l’opinione di una parte dei concittadini di Euripide: mi riferisco alla critica della demagogia (410-20) e del bellicismo (479-93); tuttavia l’ostinazione con cui si mostra sordo alle ragionevoli parole di Teseo, il quale gli fa presente l’assurdità oltre che l’empietà di impedire una sepoltura che non avrebbe potuto minimamente danneggiare i Tebani, fa sì che il pubblico non possa in alcun modo riconoscersi nel punto di vista dell’araldo – mentre nei Sette contro Tebe era facile riconoscersi in quello di Eteocle, del messaggero e del coro, e quindi prendere senz’altro per buona la loro rappresentazione di Capaneo. Del resto la sorprendente equiparazione tra Anfiarao e Capaneo dimostra come anche il discorso del kh§rux sia più che mai segnato da forzature retoriche. Eppure tutto ciò non è dirimente: che il pubblico verosimilmente provasse sentimenti di sfiducia e antipatia nei confronti dell’araldo non implica infatti un rifiuto aprioristico di tutte le affermazioni di quest’ultimo e – nella fattispecie – di quelle riguardanti Capaneo, sostanzialmente rappresentato secondo un’immagine tradizionale e quindi accettabile in sé e per sé. Pertanto la contraddizione (o per lo meno la discrepanza) tra versi 494-503 e 860-71 rimane un dato di fatto, tanto più che l’immagine hybristica , cioè eschilea, di Capaneo ritorna ai vv. 728-30 anche se in forma anonima:

misei§ (scil. uno stratego come Teseo) q j uJbristh;n lao;n, o}" pravsswn kalw§" ej" a[kra bh§nai klimavkwn ejnhvlata

zhtw§n ajpwvles j o[lbon w|/ crh§sqai parh§n.

Capaneo qui è sostituito da un’entità collettiva (laov"), ma l’azione di arrampicarsi in cima ad una scala è una inequivocabile allusione all’exploit dell’eroe. Del resto i versi – specie l’espressione a[kra klimavkwn ejnhvlata – ricordano balbivdwn ejp j a[krwn di Soph. Ant. 131-132 (v.supra) e gli ajkrovtata gei§sa di Soph. OT 876162, nonché – ovviamente – i versi 494 ss delle stesse Supplici. Si tenga presente che i succitati vv. 728-30 concludono la rJh§si" ajggelikhv iniziata al v. 650: questa – come già accennato – costituisce una dettagliata descrizione dello scontro tra Tebani e Ateniesi, scontro nel quale apprendiamo che Teseo si distinse per il grande valore ma anche – sembrerebbe – per una certa ferocia: si veda l’immagine del re che decapita a colpi di clava gli avversari ai versi 715ss. Ma al messaggero (e probabilmente anche all’autore) preme sottolineare che la guerra combattuta per il recupero delle salme è stata una ‘guerra giusta’ e che Teseo, malgrado l’ardore bellico che si è detto, non è un intemperante: ecco quindi che viene ricordato come egli abbia trattenuto il suo esercito che era intenzionato ad espugnare Tebe: vv.723-25 paro;n de; teicevwn e[sw molei§n

162

Nell’Edipo re non si menziona Capaneo, ma la personificazione dell’ u}bri" che ‘sale agli spalti più alti’ (ajkrovtata gei§s j ajnaba§sa) è una chiara allusione all’eroe.

Qhseu;" ejpevscen: ouj ga;r wJ" pevrswn povlin molei§n e[fasken ajll j ajpaithvswn nekrouv".

Non a caso è qui riecheggiata l’espressione povlin pevrsein dei versi 498-99, il che ovviamente evidenzia l’allusione a Capaneo.

Teseo dunque odia l’ uJbristh;n laovn che, lasciandosi trascinare dalla smania di distruzione, va incontro alla propria rovina: egli – in altri termini – è ben diverso dagli Argivi e specialmente da Capaneo (o comunque dal suo stereotipo).

E’ curioso però che a pronunciare la rhesis e l’elogio di Teseo sia proprio il servo di Capaneo: il messaggero infatti, poco dopo essere entrato in scena afferma (639-40): Kapanevw" ga;r h\ lavtri" o}n Zeu;" keraunw§/ purpovlw/ kataiqaloi§.

L’accenno è cursorio e neutro, richiamando l’episodio della folgorazione senza accennare all’atto che l’aveva provocata. Notiamo il ricercato kataiqaloi§ che ritroviamo in Eur. Ion 215, dove è usato a proposito della folgorazione di Mimante, uno dei Giganti folgorati da Zeus. Quanto al tempo verbale, si può considerare un presente storico, ma Collard preferisce parlare di ‘timeless present’ o di ‘registering use’, rimandando al confronto con divdwsi del v. 6.

La notizia che Capaneo fosse accompagnato da un servo e che questi fosse stato catturato dai Tebani (v.635) e poi liberato dagli Ateniesi è probabilmente inventata da Euripide; e anche se non è drammaticamente indispensabile essa sembra avere comunque una funzione morale e ‘propagandistica’: quella di mostrare come persino il fedelissimo del più agguerrito degli Argivi debba riconoscere la superiorità dell’ordine di valori rappresentato da Teseo e dagli Ateniesi. È comunque evidente che l’autore ha voluto fare di Capaneo una presenza costante nel corso della tragedia, in modo da preparare il pubblico alla grandiosa scena del sacrificio di Evadne.

L’ encomio di Capaneo

1) Un ejpitavfio" lovgo"?

A partire dal verso 778, quando ormai l’azione drammatica si è di fatto esaurita, dal momento

che i Tebani sono stati sconfitti, viene di fatto inscenata una cerimonia funebre: una volta esposti i cadaveri, Teseo chiede che le virtù dei caduti siano celebrate da Adrasto, il quale non si fa pregare e pronuncia una sorta di discorso funebre (vv. 857-917) in lode degli eroi Argivi (eccetto Polinice e Anfiarao), discorso che – per la sua forma e per il suo contenuto – si è prestato alle interpretazioni più divergenti. Il suo aspetto più problematico è la rappresentazione

smaccatamente positiva dei suddetti eroi e in particolare di Capaneo, il cui ritratto è – significativamente – il primo della serie.

Molti commentatori vedono nell’orazione di Adrasto una specifica rappresentazione di quegli ejpitavfioi lovgoi che all’epoca venivano effettivamente pronunciati presso il Ceramico in onore dei caduti: il riferimento più ovvio è il discorso di Pericle per i caduti del primo anno della Guerra del Peloponneso, riportato da Tucidide (2.34-46); ma si conservano anche Epitafi di Lisia, Demostene e Iperide (i primi due forse apocrifi), e anche il Menesseno platonico – come vedremo in seguito – riporta un discorso funebre163

.

Mi sembra tuttavia che una considerazione delle caratteristiche principali delle orazioni funebri del Ceramico sconsigli un simile accostamento con l’episodio tragico: dette orazioni si fondavano sull’esaltazione della collettività e non dei singoli164; presentavano lunghe rievocazioni miti- storiche o, nel caso di Pericle, “costituzionali”; avevano luogo subito dopo la deposizione delle spoglie (Thuc. 2.34.5-6) e venivano pronunciate da un cittadino scelto dalla boulé. È allora evidente che la rhesis di Adrasto non presenta nessuna di queste caratteristiche: si tratta infatti di un elogio ad personas, privo di qualsiasi riferimento alla storia (mitica, s’intende) di Argo e pronunciato addirittura prima della cremazione dei corpi165. Del resto, se è vero che le Supplici sembrano riprendere alcuni concetti politici espressi da Pericle nell’Epitafio, non è però nel discorso di Adrasto che compaiono tali riferimenti166.

La rhesis di Adrasto, pertanto, può essere considerata un ejpitavfio" lovgo" solo in senso molto lato; e forse si può meglio accostare a situazioni ‘arcaiche’ e ‘aristocratiche’ come il compianto di Ettore in Il. 24.219-76 o i qrh§noi di Pindaro167.

Consideriamo ora nel dettaglio i versi 860-71:

163

Il culto dei morti è ovviamente un fatto consustanziale all’idea stessa di civiltà; ma questa particolare forma di celebrazione funebre rappresentata dal discorso prosastico sembra essere stata un’innovazione relativamente recente, sulla cui origine siamo male informati. Secondo Dionigi di Alicarnasso (Ant. Rom. 5.17.4) l’introduzione dell’epitaphios logos in Grecia risalirebbe al massimo alle Guerre Persiane (prima i morti venivano onorati solo con gare ginniche e ippiche), ma i tragici ateniesi, per compiacere il pubblico, avrebbero retrodatato tale prassi oratoria all’epoca di Teseo (kolakeuvonte" th;n povlin ejpi; toi§" uJpo; Qhsevw" qaptomevnoi" kai; tou§to [cioè il fatto che si pronunciassero discorsi funebri] ejmuvqeusan). Tuttavia non si può escludere che anche prima del V a.C. ad Atene (e in Grecia) fossero in uso discorsi funebri estemporanei e dunque non destinati alla scrittura e alla pubblicazione

164

L’encomio di Leostene, nell’ Epitafio di Iperide, può essere considerato l’eccezione che conferma la regola, ma è un’eccezione parziale, giacché accanto allo stratego vengono collettivamente elogiati tutti i combattenti.

Documenti correlati