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Premessa

Il personaggio di Capaneo doveva essere ben noto in ambito occidentale: lo testimonia la documentazione iconografica (v.supra), e lo si deduce facilmente sulla base della diffusione nel mondo romano non solo – com’è ovvio – delle opere di Eschilo, Sofocle ed Euripide da noi esaminate in relazione a Capaneo, ma probabilmente anche di quei drammi e quei poemi epici di argomento tebano, oggi perduti, in cui si faceva menzione dell’eroe316.

Eppure la presenza di Capaneo presso gli autori latini è limitatissima: a parte Properzio317 e Ovidio318, che gli dedicano ciascuno un accenno assolutamente cursorio e superficiale, e pochi prosatori aridamente specialistici (Plinio il Vecchio, Igino e Vegezio, da noi già citati), non abbiamo che Papinio Stazio, il quale assume così un notevole rilievo ai fini della nostra ricerca, non solo perché di fatto rappresenta l’unico poeta latino che abbia dimostrato un vero interesse per Capaneo, ma anche perché il suo poema è in assoluto l’opera in cui gli viene riservato maggior spazio. Possiamo quindi affermare che l’eroe argivo, nella Tebaide staziana, ritrova la sua collocazione ‘naturale’, giacché, privo com’è dei tormenti interiori e dei dubbî morali tipici degli eroi della scena teatrale, egli appartiene alla dimensione epica assai più che a quella tragica, sebbene, per un accidente della tradizione, oggi le principali testimonianze su di lui si trovino paradossalmente proprio nei testi tragici, nei quali egli riveste – come si è già osservato – l’anomala funzione di personaggio esclusivamente diegetico in un genere mimetico.

Resta peraltro da capire il motivo dell’ insistenza di Stazio su un eroe che comunque non era il protagonista della saga. La risposta mi sembra ovvia: Capaneo, data l’enormità del suo gesto, consente al poeta napoletano di dare pienamente sfogo alla sua inclinazone per la ridondanza espressiva, le fosche tinte, la sonorità violenta, l’enfasi retorica – insomma a tutte quelle tendenze artistiche cui spesso si è dato l’anacronistico nome di ‘barocchismo’. Ma proprio tale ‘barocchismo’ è stato per lungo tempo oggetto di una spietata svalutazione estetica (e addirittura

316

Per quel che concerne la cultura letteraria di Stazio, s’impone un discorso specifico, per cui v.infra. 317

Prop. 2.34.40 e (relativamente ad Evadne) 1.15.21, 3.13.24. 318

etica) da parte della critica, che ha visto nella poesia staziana – e in generale flaviana – il paradigma della decadenza di una civiltà esausta e frigida, incapace di rinnovarsi e malata di formalismo e di retorica. Orbene, è facile capire quanto un simile atteggiamento sia poco utile ad una vera intelligenza del fenomeno poetico; e del resto negli ultimi tempi la critica si è aperta ad un approccio più sereno nei confronti della Tebaide319, un’opera che, pur tra innegabili lungaggini e pesantezze, riserva anche alcuni brani godibilissimi – nel loro genere – , come appunto quelli riguardanti Capaneo, che non a caso hanno sollecitato il genio dantesco.

Capaneo nella Tebaide di Stazio: una presenza costante

Il proemio

L’importanza speciale di Capaneo viene dichiarata dallo stesso poeta nella sezione conclusiva del proemio, in cui si chiede di quale eroe dovrà parlare per primo: Theb.1.41-45

Quem prius heroum, Clio, dabis? Immodicum irae Tydea? Laurigeri subitos an vatis320 hiatus?

Urguet et hostilem propellens caedibus amnem Turbidus Hippomedon, plorandaque bella protervi Arcados321 atque alio Capaneus horrore canendus.

L’affermazione relativa a Capaneo non è perfettamente perspicua, ma sembra avere un evidente valore programmatico, esprimendo la necessità di un trattamento poetico particolare nei suoi riguardi. Quanto all’esatto significato, è probabilmente nel giusto Lattanzio Placido quando parafrasa ‘alio horrore’ con ‘maiore impetu dictionis’322, anche se il senso proprio di ‘horror’ in qualche modo andrebbe mantenuto.

Del resto la primazia di Capaneo è sancita esplicitamente anche da Tideo, che, in punto di morte, gli si rivolge in questi lusinghieri termini: Argolicae Capaneu iam maxime turmae (8.744), come a dire che, morto lui (Tideo), egli sarebbe stato il più grande tra i capi della spedizione.

Molti degli episodi della Tebaide che vedono Capaneo come protagonista non trovano paralleli

319

Cfr. Venini 1970, Williams 1972, Traglia-Aricò 1980, Lesueur 1999. 320

Anfiarao. 321

Partenopeo. 322

nella superstite letteratura greco-latina, oppure presentano forti scarti rispetto alla tradizione nota, il che peraltro rappresenta un fenomeno riscontrabile nel corso dell’intero poema, non solo in relazione con Capaneo. Ci si può allora interrogare sui margini di libertà di cui poteva godere un poeta epico, ma – nel caso in questione – è bene sottolineare l’eccezionale grado di erudizione poetica e antiquaria raggiunto da Stazio, anche in virtù dell’attività didattica del padre, cui si fa apertamente riferimento in Silv.5.3.124ss: Te nostra magistro /Thebais urgebat priscorum exordia

vatum323. Bisogna dunque sempre contemplare la possibilità che episodi apparentemente inediti concernenti Capaneo risalgano in realtà ad antiche tradizioni perdute, e che pertanto l’importanza originariamente rivestita dal personaggio nel panorama della poesia e della mitologia greca fosse assai maggiore di quanto oggi non risulti dall’esigua documentazione superstite.

Le armi di Capaneo

In Theb. 4.165-187, nell’ambito della rassegna dei guerrieri argivi, si ha la presentazione di Capaneo e la descrizione della sua armatura, della quale spicca lo scudo istoriato. E proprio quest’ultimo particolare costituisce uno scarto rispetto ad Eschilo ed Euripde: l’emblema descritto da Stazio non rappresenta infatti né un uomo nudo impugnante una fiaccola, come nei

Sette, né un gigante324, come nelle Fenicie (v.supra), bensì l’Idra (vv.168-171 squalet triplici ramosa

corona/ Hydra recens obitu: pars anguibus aspera vivis/ argento caelata micat pars arte reperta/ conditur et fulvo moriens nigrescit in auro325). La raffigurazione non è ovviamente casuale, giacché istituisce un parallelo tra Eracle e Capaneo, che verrà ribadito in 8.749-50326, e anticipa l’episodio del canto successivo in cui l’eroe effettivamente ucciderà un mostro simile all’Idra; ma va considerata anche

323

Cfr. Gostoli 1983, contributo in cui si dimostra come Stazio (Theb.11-580-626) nel rappresentare Edipo piangente sui cadaveri di Eteocle e Polinice – in contrasto con i drammi ‘tebani’ di Eschilo e Sofocle, dai quali si deduce che Edipo non sopravvisse ai figli – riprenda una particolare versione del mito che si trova riflessa anche nelle Fenicie euripidee (vv. 1476ss) e nel rilievo del frontone del tempio etrusco di Talamone. Quanto alle possibili fonti di Stazio – osserva sempre la Gostoli – si può pensare, oltre alla Tebaide ciclica, ai poemi di Stesicoro, Corinna e Antimaco.

324

Peraltro l’immagine del gigante si ritrova anche nella descrizione staziana, quale ornamento dell’elmo: 4.174- 175 galeaeque corusca / prominet arce Gigans.

325

Per compendere la complessa descrizione va tenuto presente che le molteplici teste del mostro ricrescevano ogni volta che venivano tagliate, sicché Ercole riuscì ad avere la meglio solo grazie all’aiuto di Iolao che, per impedire che ricrescessero, bruciava via via i tronconi di collo (a questo espediente alluderebbe arte reperta). Sembra dunque di capire che l’emblema era lavorato in modo tale che i colli ancora forniti di testa risaltavano più di quelli decapitati e cauterizzati, i quali apparivano scuri rispetto allo sfondo dorato (conditur è impiegato nell’accezione tecnica indicante ciò che appare meno rilevato, o meno brillante, rispetto ad uno sfondo). Per l’interpretazione di questo passo e di tutto il brano sulle armi di Capaeo cfr. Harrison 1992

326

qualis ab Arcadio rediit Tirynthius (sc. Ercules) antro/ captivumque suem clamantibus intulit Argis. Capaneo, che trasporta Melanippo morente è paragonato ad Ercole che trasporta il cinghiale erimantio. Tra i due eroi potrebbe esserci un’affinità profonda, se è vero che l’ambigua morte di Capaneo – come abbiamo più volte sottolineato – sembra configurarsi talora anche come una sacralizzazione o addirittura un’ apoteosi (v.supra, interpretazione di Picard). Ma nella Tebaide non vi è traccia né dell’una né dell’altra, sicché i riferimenti ad Ercole paiono alquanto superficiali, se non addirittura ironici: «The Hydra device marks out Capaneus as hybristic Hercules, a Hercules manqué» (Harrison 1992, p.249).

l’affinità profonda che lega Capaneo, il nemico di Zeus, all’Idra stessa in quanto creatura primigenia327 punita perché ribelle all’ordine cosmico, cioè al medesimo Zeus328.

Il brano del resto è nel complesso un esempio di arte dotta e allusiva: in generale ricorda la descrizione delle armi di Turno (Verg. Aen.7.783-792); ma vi sono allusioni più sottili: l’osservazione che la corazza di Capaneo ‘non era opera di madre’329 è il rovesciamento di

Aen.10.818330, in cui si afferma che la tunica di Lauso era stata tessuta in oro da sua madre; ed è chiaro che la diversità di abbigliamento non è che il riflesso di una diversa caratterizzazione etica. Anche la particolare circostanza che la lancia di Capaneo sia costituita da un intero tronco di cipresso331 è significativa: anzitutto è un’iperbole che enfatizza l’enormità fisica del personaggio, e lo avvicina – ancora una volta – a creature mitiche quali Polifemo, che si appoggia ad un pino divelto332, od Orione, che porta con sé un orno – presumibilmente per usarlo come clava333. Osserva poi Harrison (1992, p.251) che, essendo il cipresso una pianta sacra e legata al culto dei morti, l’averlo usato a scopo bellico sarebbe già un atto di empietà, oltre che un cattivo omen.

Capaneo alla testa del contingente messenio

Si considerino poi i versi seguenti 4.178-186

huic parere dati, quos fertilis Amphigenia planaque Messene montosaque nutrit Ithome,

quos Thryon et summis ingestum montibus Aepy, 180

quos Helos et Pteleon, Getico quos flebile uati Dorion; hic fretus doctas anteire canendo Aonidas334 mutos Thamyris damnatus in annos ore simul citharaque (quis obuia numina temnat?)

conticuit praeceps, qui non certamina Phoebi 185

nosset et inlustres Satyro pendente Celaenas.

La circostanza che Capaneo venga preposto al contingente messenio (vv.178-182) non trova riscontro in nessuna testimonianza; né risulta l’esistenza di un legame tra la stirpe dei Pretidi, cui

327

L’Idra appartiene alla stessa categoria di mostri mitici cui appartiene Tifeo,che non a caso compare nei Sette quale emblema dello scudo di Ippomendonte, compagno di Capaneo (v.supra).

328

Cfr.Klinnert 1970, p.27. 329

Theb.4.173-175 at laterum tractus spatiosaque pecora servat/nexilis in numero Chalybum subtemine thorax/

horrendum, non ma tris opus.

330

Et tunicam [scil. transiit ensis] molli mater quam neverat auro. 331

vv. 4.176-177 …atque uni missilis illi/ cuspide praefixa stat frondibus orba cupressus. 332

Verg. Aen.3.659 trunca manu pinus regit et vestigia firmat. 333

Verg.Aen. 10.766 aut summis referens annosam montibus ornum. 334

l’eroe appartiene, e la Messenia: il verso 178 va dunque inteso nel senso che a Capaneo vengono affidate truppe provenienti da quella regione335; e faccio notare che, nel caso di Tideo – un Etolo alla guida di altri Etoli – il poeta si esprime in termini inequivocabili: patriae ciet agmina gentis (4.94). Non può del resto sfuggire che i versi staziani in cui si elencano le località della Messenia sono una ripresa quasi verbatim di Il. 2.591-602336, dove il capo del contingente era Nestore. Ovviamente la testimonianza del Catalogo si riferisce all’epoca della guerra di Troia, avvenuta circa una generazione dopo gli eventi narrati nella Tebaide; ma dall’excursus di Il.11.671-761 (cfr. n.304) si apprende che già quando Nestore era giovane – cioè in un’epoca vicina se non coincidente con quella della spedizione di Polinice – il regno di Neleo si estendeva fino all’Alfeo e dunque doveva comprendere le località messenio-trifilie menzionate nel Catalogo e (in relazione a Capaneo) in Stazio. Oltretutto la città di Thryon (Il. 2.592 e Theb. 4.180) sembra essere identificabile con Triessa, che sappiamo dal medesimo excursus sulle imprese giovanili di Nestore essere sita all’estremità del territorio controllato da Pilo, appena al di qua del confine con l’Elide: cfr. Il.11.711-712 e[sti dev tiı Qruovessa povliı, aijpei§a kolwvnh Éthlou§ ejp j jAlfeiw/§ neavth Puvlou hjmaqoventoı.

Sembra quindi che il poeta abbia operato una trasposizione dei dati da un eroe del ciclo troiano a uno del ciclo tebano, ma a che scopo? Un elemento di giudizio si può ravvisare nei versi conclusivi delle succitate sezioni del Catalogo e del IV canto della Tebaide, dove si accenna all’episodio di Tamiri (il ‘vate getico’) che, avendo osato sfidare le Muse, fu privato della parola e della capacità di suonare la cetra: tale episodio (che nell’Iliade rappresenta solo un’allusione mitica volta ad interrompere la monotonia del catalogo) nel passo della Tebaide, data la presenza di Capaneo, assume invece la specifica funzione di stabilire un nesso tra l’eroe e il motivo, esemplificato dalla vicenda del cantore, della sfida agli dei e della punizione ad essa conseguente

335

Si tengano presenti i versi 125-129 del medesimo libro: …densasque Pylos Neleia turmas;/nondum nota

Pylos iuvenisque aetate seconda / Nestor et ire tamen peritura in castra negavit. Emerge pertanto che i Neleidi

già regnavano su Pilo (e si suppone sul resto della Messenia) e che non parteciparono direttamente alla guerra ma affidarono a Ippomendonte le loro truppe (o meglio una parte di esse). Peraltro i versi presentano una certa ambiguità poiché non è chiaro se Pylos Neleia vada inteso nel senso di ‘città fondata da Neleo’ ovvero ‘città su cui attualmente regna Neleo’, né se secunda aetate indichi propriamente il periodo di tempo tra i trenta e i sessant’anni ovvero genericamente ‘il fior dell’età’ (cfr. Lesueur). Lattanzio Placido sembra comunque non avere dubbi (comm. in vv.126-27): Prima aetas triginta annorum, secunda sexaginta. Nam Nestorem constat

tertia aetate ad bellum venisse Troianum. Ideo adhuc iuvenem aetate secunda dixit, quia postmodum militavit –

come dire che Nestore all’epoca della spedizione dei Sette era ancora inesperto della guerra e che la sua prima esperienza fu la guerra d Troia, il che sembra contraddetto dall’excursus di Iliade 11.671-761, in cui lo stesso Nestore narra delle sue giovanili imprese belliche contro i razziatori Epei.

336

oi} de; Puvlon t j ejnevmonto kai; jArhvnhn ejrateinh;n Ékai; Qruvon, jAlfeioi§o povron, kai; ejuvktinon Aijpuv, Ékai; Kuparisshventa kai; jAmfigevneian e[naion Ékai; Pteleo;n kai; {Eloı kai; Dwvrion, e[nqa te Mou§sai Éajntovmenai Qavmurin to;n Qrhvika pau§san ajoidh§ı ÉOijcalivhqen ijovnta par j jEuruvtou Oijcalih§oı Ésteu§to ga;r eujcovmenoı nikhsevmen, ei[ per a]n aujtai; ÉMou§sai ajeivdoien kou§rai Dio;ı aijgiovcoio:É ai} de; colwsavmenai phro;n qevsan, aujta;r ajoidh;n Éqespesivhn ajfevlonto kai; ejklevlaqon kiqaristuvn.Étw§n au\q j hJgemovneue Gerhvnioı iJppovta Nevstwr. È molto difficile localizzare esattamente le località citate, né esse corrispondono a quelle menzionate nelle tavolette in lineare B ritrovate nella Pilo micenea (cfr. Kirk 1985, pp. 214-216).

(184 quis obvia numina temnat?). Ed è appunto per enfatizzare tale motivo che il poeta latino aggiunge il parallelo con Marsia, il Satiro del v.186 grazie al cui supplizio la città frigia di Celene è divenuta celebre: un altro musico punito per la sua pretesa di sfidare una divinità.

Capaneo eroe vendicatore

Nel canto successivo Capaneo è protagonista di un altro exploit: l’uccisione del serpente che aveva causato la morte di Achemoro, il bambino che Licurgo aveva affidato alle cure di Ipsipile (cure poco attente in verità, giacché proprio la distrazione della donna, impegnata a narrare le sue disavventure agli Argivi, è all’origine del triste caso). L’azione di Capaneo apparentemente sembra meritoria, in quanto vendica la morte di una creatura inerme, ma in realtà ancora una volta l’episodio è funzionale all’enfatizzazione del carattere blasfemo dell’eroe, poiché la bestia era sacra a Giove e la stessa uccisione del piccolo era iscritta nel fato337. Assai eloquenti in questo senso sono le parole che Capaneo rivolge al serpente prima di trafiggerlo: 5.565-570

…‘at non mea vulnera338’ clamat

Et trabe fraxinea Capaneus subit obvius, ‘umquam effugies, seu tu pavidi ferus incola luci,

sive deis, utinamque deis, concessa voluptas, non si consertum super haec mihi membra Giganta subveheres.

L’insolenza di un simile auspicio (v.568 utinamque deis) è tale che Giove è lì lì per folgorarlo (583- 84 ipse etiam e summa iam tela poposcerat aethra / Iuppiter, et dudum nimbique hiemesque coibant), ma si trattiene, sapendo che la folgorazione dovrà avvenire in altro tempo e in altro modo (585-86 ni

minor ira deo gravioraque tela mereri/ servatus Capaneus). Il rispetto di Giove per il Fato, che – nella

fattispecie – ha decretato che la morte di Capaneo avvenga presso le mura durante l’assalto, è tipico della visione del mondo epica; ma qui c’è – a mio parere – anche una sorta di gioco letterario: Giove diventa l’alter ego del poeta e dunque sa di doversi attenere ad un’antica e radicata tradizione, attestata da Eschilo, Sofocle, Euripide (e certamente da autori epici per noi perduti), secondo cui Capaneo morì in quella particolare circostanza e non in un’altra339.

Significativo è poi che nell’Ipsipile euripidea l’uccisore del serpente non sia Capaneo340: ancora una

337

Cfr. Theb.5.534-37. 338

La bestia subito prima aveva schivato un masso scagliatole contro da Ippomedonte. 339

Tale analogia tra Giove e il poeta – entrambi responsabili del destino di Capaneo – è stata di fatto colta già da Lattanzio Placido, che accosta l’espressione alio horrore canendus del proemio al verso 5.585 (cfr. comm. in

Theb.1.45: v.supra).

340

Cfr. fr. 757, 907 Kannicht (= pap. Oxy.852, fr. 60 ii Grenfell-Hunt) ejgw; d j ejtovxeus j(a): in base a tale espressione, attribuibile senz’altro ad Anfiarao, si è pensato che questi fosse l’uccisore del serpente; ma, dato lo stato di grave frammentarietà del passo, il verbo potrebbe avere valore metaforico e riferirsi alla correttezza delle

volta Stazio sceglie una versione del mito (quando addirittura non ne crei egli stesso una nuova) che ponga in primo piano il nostro eroe e amplifichi il motivo della hybris e dell’ostilità agli dei. Ci troviamo dunque in presenza di un autentico Leitmotiv, ripetentesi in modo quasi ossessivo, sia pure con qualche variazione: si consideri 7.668-681, in cui Capaneo uccide il sacerdote di Dioniso Euneo, dopo aver pronunciato parole di sfida verso il suddetto dio341, il che costituisce appunto la

variatio, essendo solitamente Giove l’oggetto della thrasystomia capaneica. Degno di nota è inoltre

che nella versione staziana sia Capaneo a sollevare di peso Melanippo, che giaceva ferito, e a portarlo da Tideo affinché questi possa sfogare i suoi impulsi antropofaghi (Theb.8. 739-756342): è una scena raccapricciante (cui è probabile che Dante si sia ispirato nell’episodio del conte Ugolino), ma nella sollecitudine con cui Capaneo risponde alla folle richiesta di Tideo (caput o

caput, o mihi si quis apportet, Melanippe, tuum) è forse possibile cogliere l’espressione di una perversa

solidarietà343.

Infine nel canto IX, versi 546-565, il nostro, nel vendicare Ippomedonte uccidendo Ipseo, rivela ancora una volta – dopo l’episodio del serpente – un lato virtuoso, come sembra riconoscere lo stesso poeta impiegando l’epiteto di magnanimus: 9.547 agnovit (scil. Ipseum) longe pressitque dolorem

/magnanimus Capaneus. Tale aggettivo, nella stessa Tebaide, presenta un ampio spettro semantico, e

può anche indicare un eccesso di audacia; ma in tale contesto ha chiaramente valore positivo344: la Caiani (1990, p.269) vi coglie addirittura uno sfumato riferimento allo stoicismo, giacché la

magnanimitas di Capaneo consiste qui nel reprimere le proprie emozioni (pressitque dolorem), il che

rappresenta l’imperativo morale di quella scuola filosofica. Ma ancor più significativo è che l’epiteto, nell’Eneide, sia impiegato specialmente per Enea. Tra quest’ultimo e Capaneo la distanza è indubbiamente grandissima, eppure anche l’Argivo nel dare sepoltura provvisoria al compagno caduto compie oggettivamente un atto di pietas: 9.562-64 Accipe – ait – simul hostiles, dux magne,

tuasque/exuvias, veniet cineri decus et suus ordo/manibus; interea iustos dum reddimus ignes,/hoc ultor Capaneus operit tua membra sepulchro. Né va trascurato il fatto che pochi versi prima, quando

Ippomedonte stava per annegare, Giunone aveva espresso il timore che l’eroe, suo devoto, restasse privo di sepoltura; e aveva dunque pregato Giove di salvarlo dai flutti (Theb. 9.514-519): ne consegue che paradossalmente Capaneo di fatto funge da strumento della volontà divina, e

sue profezie. Ad ogni modo, Apollodoro si esprime in termini generici e collettivi che non fanno pensare ad un ruolo specifico di Capaneo: Bibl. 3.6.4. to;n me;n ou\n dravkonta ejpifanevnteı oiJ meta; jAdravstou kteivnousi. 341

Theb.7.677-78 terrificas moriture viros? Utinam ipse veniret /cui furis…Capaneo denuncia l’inutilità della frenesia bacchica di Euneo, che può turbare solo le donne, e si augura che scenda in campo lo stesso dio che di tale frenesia è l’ispiratore e il destinatario (cui furis).

342

Difficile negare che qui vi sia innovazione da parte di Stazio rispetto alle versioni tradizionali del noto episodio, le quali non contemplavano l’intervento di Capaneo, bensì quello di Anfiarao (cfr. Thebais fr.9 Bernabé).

343

Peraltro è anche ipotizzabile che Capaneo sia stato lusingato dall’apostrofe rivoltagli dal compagno (8.744

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