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Valutazioni sull’opera

Dopo aver terminato l’analisi del contenuto del trattato e averne ricavato una visione globale, è possibile affrontare una questione che fino a questo punto è rimasta sullo sfondo, ossia la collocazione del De planctu bonorum nel mare magnum della letteratura latina medievale. Come si è già accennato nel capitolo precedente, l’opera è stata definita da Alfred Coville un «exposé en partie double»;1 dal canto suo, Noel Valois aveva utilizzato termini più ‘canonici’ ma meno precisi, osservando che il trattato è «une réponse au De fletu, à laquelle il [Le Fèvre] donna la forme d’une discussion entre deux canonistes aisément reconnaissables».2 Sulla stessa linea di Valois si è posto in seguito Robert Norman Swanson, dichiarando che

«Le Fèvre’s work indeed fitted into the dialogue form of the debates in more than one

sense».3 La differenza fra le due definizioni è evidente: per Valois e Swanson, che pure avevano notato la tecnica di confutazione usata da Le Fèvre, il De planctu era una discussione, un dialogo; invece per Coville il trattato non poteva dirsi propriamente un dialogo, perché le repliche sono tutte di una sola parte. Il ‘personaggio’ del «Bononiensis», infatti, deve subire il sarcasmo e le critiche di metodo e di merito del «Parisiensis», ma non può rispondere ad esse. Del resto l’autore non è libero di far dire al «Bononiensis» tutto ciò che vuole, ma deve pur sempre attenersi al testo del De fletu Ecclesie, e si è osservato come egli protesti più volte la sua onestà nel riportare i passi di Giovanni da Legnano. È quindi chiaro che la particolare struttura del trattato può essere compresa e contestualizzata in maniera soddisfacente solo da studiosi esperti della letteratura latina medievale.4

1 C

OVILLE, La vie cit., p. 109.

2 V

ALOIS, La France cit., p. 128 e p. 127, nota 2: «(…) Après des mûres reflections, il se décide à réfuter Jean de Legnano phrase par phrase, en faisant suivre chaque partie du récit et chaque argument du Bononiensis des réflections ou des objections du Parisiensis».

3 S

WANSON, Universities cit., p. 37.

4 Ritengo pacifico usare la definizione di ‘trattato’, ossia «tractatus» italianizzato, se il significato di tale termine

è «opera originale, che sviscera, sulla base di auctoritates e/o di experientia, un determinato argomento, spesso monografico…», cfr. E. D’ANGELO, La letteratura latina medievale. Una storia per generi, Roma, Viella, 2009, p. 79. Nel caso specifico l’originalità del De planctu è data dal fatto che, prima fra i trattati clementisti, affronta il De fletu; le auctoritates sono perlopiù le leggi canoniche e romane e le relative interpretazioni dei giuristi, ma come si è visto non manca l’uso delle Scritture.

Un simile compito è stato recentemente intrapreso da Carmen Cardelle De Hartmann con il suo Lateinische Dialoge 1200-1400. Literaturhistorische Studie und Repertorium: nella prima parte dell’opera la studiosa ispano-tedesca ascrive infatti il trattato al genere di dialogo delle Streitgespräche, ossia dispute, e più precisamente a un tipo di dispute strettamente

«innerhalb des Christentums» che nel suo complesso viene definito «Symmetrische

Streitgespräche und Doppeltraktate».5 Si tratta quindi di una particolare forma di disputa, rappresentata da un gruppo di scritti non molto numeroso, ma pure tale da escludere che il trattato di Le Fèvre ne sia stato il primo o l’unico esponente: quattro opere (incluso il De planctu), tutte contraddistinte dalla rappresentazione parallela delle due posizioni contrastanti («Die letzte Gruppe zeichnet sich durch die Paralleldarstellung beider kontrastierender Positionen aus.»), o più precisamente dalla citazione letterale dell’opera avversaria, con ogni paragrafo di essa seguito da una minuziosa confutazione («Diese Werke zitieren wörtlich Abschnitte einer gegnerischen Schrift und antworten auf jeden Abschnitt ausführlich.»).6 Pertanto, anche la De Hartmann riconosce che non si tratta propriamente di dialoghi («Die einzige Charakterisierung dieser Schriften als Dialog besteht darin, dass jeder Abschnitt mit einem Namen gekennzeichnet wird»),7 ma appunto di ‘trattati doppi’, nei quali l’autore ha il vantaggio di non dover concepire personalmente eventuali repliche della parte che non rappresenta, ma ha altresì lo svantaggio di doversi attenere, per i brani che caratterizzano quest’ultima, a un’opera già scritta da una persona in carne ed ossa, che potrebbe in seguito replicare a sua volta.

Ad ogni modo, la cronologia dei trattati menzionati dalla studiosa sembra permettere di concludere che si trattava di un genere (o meglio di un sotto-genere) letterario abbastanza nuovo ed originale. La prima di queste opere, l’anonima Responsio ad abbreviaturam communitatis, è infatti databile al tempo del Concilio di Vienne (svoltosi dal 16 ottobre 1311 al 6 maggio 1312), e rappresenta il punto di vista dei francescani ‘conventuali’.8 Le Responsiones ad rationes papales di Riccardo da Conington sono una risposta alla bolla Ad conditorem di Giovanni XXII, e quindi possono essere datate al 1323.9 Il Dialogus inter catholicam veritatem et haereticam pravitatem di Guglielmo da Rimington può essere datato intorno al 1385, poiché è in effetti una ‘controreplica’ a un precedente trattato di

5

C. CARDELLE DE HARTMANN, Lateinische Dialoge 1200-1400. Literaturhistorische Studie und Repertorium, Leiden-Boston, Brill, 2007, p. viii.

6 Ibid., p. 153. 7 Ibidem. 8 Cfr. ibid., pp. 500-501 e 153. 9 Cfr. ibid., pp. 507-509.

Giovanni Wyclif, le Responsiones ad xliv conclusiones (a sua volta una replica alle Quadraginta quinque conclusiones dello stesso Rimington), e anche perché, all’inizio del Dialogus, Rimington riporta la notizia della morte di Wyclif, avvenuta il 29 dicembre 1384.10 Se infine si ripete che Noel Valois ha datato il De planctu bonorum alla primavera-estate del 1379, si può concludere che si tratta di un genere letterario caratteristico del XIV secolo, per quanto giustamente la De Hartmann sottolinei l’esistenza di un lontano ed isolato antesignano: si tratta del Liber de corpore et sanguine Domini di Lanfranco da Pavia, databile al 1063 e dedicato alla difesa della transustanziazione dalle argomentazioni di Berengario da Tours, che in quegli anni aveva ripreso e sviluppato le concezioni di Ratramno da Corbie.11 Le caratteristiche dell’opera sono altamente significative:

Il Liber de corpore et sanguine Domini è strutturato come un dialogo tra Lanfranco e Berengario, in luogo forse del confronto personale che era stato progettato fin dal 1050, ma che non aveva mai avuto luogo. Il contributo di Berengario consiste in estratti del suo trattato perduto del 1060 circa; Lanfranco fornisce le risposte. Naturalmente Lanfranco ha in primo luogo scelto gli estratti: la sua fondamentale abilità consisteva, come sempre, nel presentare il materiale per costruire una questione. Qui non manca nulla.12

Dunque, come si è già anticipato, anche il caso di questo precedente sembra dimostrare che l’argomento dei Doppeltraktate fosse regolarmente religioso, o più esattamente talvolta teologico e talvolta ecclesiologico, con inevitabili significati politici. Peraltro la De Hartmann sottolinea che lo stesso procedimento è stato seguito da Guglielmo da Ockham nel suo Opus nonaginta dierum, pur senza dedicare spazio ad esso nella sezione del suo lavoro adibita a repertorio: l’opera, ad ogni modo, è stata scritta appunto in novanta giorni fra il 1333 e il 1334, e ha per argomento la povertà dei francescani, considerata da un punto di vista polemico contro papa Giovanni XXII.13 La studiosa allega inoltre a questo gruppo altri due trattati di notevole importanza, anch’essi dedicati ad argomenti religiosi, o più precisamente ecclesiologici e con risvolti politici. In verità in merito al primo di essi la De Hartmann ha dei dubbi, ma vale comunque la pena di menzionarlo per la sua attinenza allo Scisma: si tratta del Tractatus de triumpho Romano, scritto dall’abate di Sitria Perfetto Malatesta appunto nell’ambito dello Scisma, e più precisamente per ribattere alle argomentazioni di Pedro De Luna, che egli affrontò in veste di legato urbanista in Aragona,

10 Cfr. ibid., pp. 669-671. 11 Cfr. M. G

IBSON, Lanfranco. Da Pavia al Bec a Canterbury, Milano, Jaca Book, 1989, pp. 65-98.

12 Ibid., p. 86. 13

Cfr. DE HARTMANN, Lateinische cit., p. 153. Cfr. anche A. GHISALBERTI, Guglielmo di Ockham, Milano, Vita e Pensiero (Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore), 1972, p. 30.

anche se la sua missione in quel regno venne ostacolata dai clementisti in ogni modo.14 L’opera venne presentata il 10 giugno 1379 al re e al Consiglio d’Aragona: la De Hartmann osserva che per quanto concerne il contenuto non la si può definire con sicurezza un Doppeltraktat, stante il fatto che non vi è una chiara corrispondenza fra essa e un vero e proprio trattato della parte avversa, mentre si parla solo di allegazioni redatte per il re dal De Luna («Es ist möglich, dass er daraus wörtlich zitiert, doch ist dies angesichts der Erschließungslage nicht sicher.»).15 Tuttavia la tecnica seguita è senza dubbio la stessa degli altri trattati menzionati: brani dell’una e dell’altra parte, attribuiti a due figure allegoriche chiamate rispettivamente Roma e Francia («Es handelt sich allerding gleiche Form: Es wechseln sich Argumente und Gegenargumente unter den Namen Francia und Roma ab. Ähnlich wie bei Richard von Conington werden beide Figuren nur wenig charakterisiert. Roma freut sich über ihren Ehemann, Francia sagt, er sei ein Ehebrecher.»).16 Inoltre è assolutamente degno di nota il fatto che Malatesta abbia compiuto una simile scelta per trattare il problema dello Scisma, e per di più negli stessi mesi in cui Giovanni Le Fèvre componeva il De planctu.

Infine, la De Hartmann include in questo gruppo il già menzionato Somnium viridarii, o Songe du verger di Everardo da Trémaugon, descrivendola con maggior precisione rispetto a Francis Rapp:

Im Vorwort [Trémaugon] schildert er einen Traum, in dem zwei Damen mit Namen Potentia

Spiritualis und Potentia Saecularis dem König den Streit ihrer Anhänger schildern und seine Vermittlung

erbitten. Ihre Vertreter, ein Clericus und ein Miles, sollen zu diesem Zweck die Argumente beider Seiten präsentieren. D a s S o m n i u m v i r i d a r i i hat den Charakter einer Summa: verschiedene Themen kommen in ihm zur Sprache, bei einigen redet nur eine Seite, bei den meisten jedoch bringen sowohl der

Clericus als auch der Miles ihre Argumente vor. Es kommt aber nie zu einer echten Diskussion, die

Figuren reden lediglich aneinander vorbei.17

Infatti, come si è osservato nel terzo paragrafo del II capitolo, l’opera di Trémaugon verteva sulla contrapposizione fra i diritti della Chiesa e i diritti della Corona, e per redigerla il chierico e giurista bretone aveva attinto a molte opere del periodo dello scontro fra Bonifacio VIII e Filippo IV il Bello (in particolare il Dialogus inter clericum et militem),

14 Cfr. V

ALOIS, La France cit., pp. 214-215.

15 Cfr. ibid., p. 224. Cfr. anche

DE HARTMANN, Lateinische cit., pp. 153-154.

16

Cfr. ibidem, e pp. 652-655.

17

tanto che in seguito il Somnium sarebbe diventato un caposaldo del Gallicanesimo.18 Inoltre occorre precisare che l’opera fu scritta in due versioni, la prima in latino, fra il 1374 e il 1376, e la seconda in francese, fra il 1376 e il 1378, entrambe per esplicito ordine di Carlo V e dietro adeguato compenso.19 Del resto, come osserva Françoise Autrand, la scelta di questo genere letterario si conformava ad una precisa abitudine che si era sviluppata alla corte francese, dove il sovrano faceva tenere ai suoi collaboratori delle vere e proprie disputationes sul modello di quelle universitarie:

Ce n’étaient pas des conversations de salon, mais de véritables discussions, argumentées, appuyées sur des citations de textes et sur des précédents reconnus, conduites selon les méthodes universitaires. L’un parle pour, l’autre contre. L’un démontre, l’autre réplique. Parfois on conclut, d’autres fois le débat reste ouvert. Ces échanges élégants et savants appartenaient à la tradition de la vie de cour. La nouveauté avec Charles, ce sont les thèmes choisis. (…) Le sujet mis sur le tapis est la politique, la politique sous toutes ses formes, questions de fond ou questions d’actualité. Et on l’abordera à la lumière des textes de droit, de l’Ecriture, de l’Histoire, de l’Antiquité romaine, et avec le rigueur de la dialectique. Le débat politique, autour de Charles V, est porté sur le terrain intellectuel.20

Risulta quindi evidente che tali dibattiti fossero parte integrante del processo decisionale con cui Carlo V elaborava le sue scelte politiche. Di conseguenza, Everardo da Trémaugon li prese a modello del suo Somnium sia per la forma letteraria che diede all’opera, sia per gli argomenti che vi trattò. Peraltro, non è inutile rilevare i numerosi punti di contatto esistenti fra le vite e le carriere di Trémaugon e dello stesso Giovanni Le Fèvre: entrambi chierici, entrambi giuristi e docenti a Parigi, entrambi fedelissimi consiglieri del re e sostenitori della sua sovranità. Su questo punto anzi essi avevano opinioni letteralmente identiche, come dimostra il fatto che Trémaugon inserì nella versione francese del suo trattato l’esposizione del concetto di sovranità compiuta da Le Fèvre a Bruges nel 1376.21 Ciò risulta ancor più notevole se si considera che secondo la Autrand Trémaugon «avait appris le droit civil et suivi sans doute à Bologne l’enseignement du grand civiliste Jean de Legnano»:22 infatti, se un giurista ex allievo di Giovanni da Legnano ricorse alle considerazioni di Le

18 Cfr. R

APP, L’Eglise et cit., pp. 59-60.

19 Cfr. A

UTRAND, Charles V cit. pp. 669-670.

20 Ibidem. 21

Cfr. ibid., p. 624.

22 Ibid., p. 669. Peraltro Diego Quaglioni sostiene che Trémaugon abbia utilizzato il Somnium dello stesso

Giovanni da Legnano come modello per la sua opera: «Non desterà pertanto meraviglia che il Somnium

Viridarii,a dispetto del suo essere l’espressione più tipica di un orientamento politico del tutto difforme da quello

di Giovanni da Legnano, abbia potuto trovare nel Somnium del giurista bolognese un modello e una fonte alla quale attingere a piene mani». Cfr. QUAGLIONI, «Civilis sapientia» cit., pp. 156-167.

Fèvre sul concetto di sovranità, ciò dimostra che riconosceva all’abate una grande competenza in materia di diritto pubblico. Dunque tale circostanza permette di constatare ulteriormente che Le Fèvre era ed era ritenuto all’altezza di misurarsi con il giurista bolognese. È anzi possibile che l’abate, una volta ricevuto dal sovrano il mandato di redigere il De planctu bonorum, si sia consultato con Trémaugon per comprendere meglio il suo avversario e sviluppare in maniera più efficace la confutazione del De fletu. Questa tuttavia rimane solo un’ipotesi, così come lo è la possibilità che Le Fèvre abbia scelto la formula del Doppeltraktat per avvicinarsi il più possibile al modello delle discussioni che avvenivano alla corte di Carlo, pur nei limiti del mandato che aveva ricevuto, ossia confutare un trattato già esistente senza avere la possibilità di costruire un dialogo fittizio, come invece aveva potuto fare Trémaugon: ad ogni modo, in entrambi i casi si tratta di ipotesi ragionevoli.

In conclusione, lo studio della De Hartmann è fondamentale per comprendere il De planctu bonorum e collocarlo correttamente nel panorama della letteratura erudita del Basso Medioevo; tuttavia non è inopportuno rilevare che la studiosa non ha incluso nella categoria dei Doppeltraktate un’opera che pure, da un punto di vista stilistico e strutturale, vi rientra a pieno titolo: si tratta del Contra maledicum et obiurgatorem, scritto da Coluccio Salutati nel 1403. Il Contra maledicum è infatti la risposta polemica all’Invectiva in Florentinos scritta nel 1397 dal vicentino Antonio Loschi, alla quale Salutati «risponde con un’orazione di tipo giudiziario, in cui cioè egli ribatte punto per punto alle affermazioni del segretario visconteo, citando per intero il suo testo».23 Viceversa, l’unico elemento che differenzia quest’opera dal gruppo delineato dalla De Hartmann è l’argomento trattato, poiché in questo caso non si tratta affatto di questioni religiose, bensì di problemi politici di scottante attualità. Salutati, infatti, difende l’ordinamento istituzionale, la storia politica e la coerenza ideologica di Firenze contro le accuse di Loschi, il quale, dopo essere stato discepolo dello stesso Salutati nel 1386, era in seguito passato al servizio di Gian Galeazzo Visconti, di cui divenne cancelliere un anno dopo aver composto l’Invectiva.24 Secondo Stefano Ugo Baldassarri, curatore dell’edizione critica dell’opera di Salutati, il fatto che l’Invectiva e il Contra maledicum si riferissero «a un periodo storico ben circoscritto» e «a un preciso scenario politico che verrà ben presto soppiantato da nuove esigenze su entrambi i fronti» fu la causa principale della loro limitata fortuna. Tuttavia ciò non impedisce di rilevare che il Contra maledicum appartiene indiscutibilmente alla categoria dei Doppeltraktate: si può anzi ipotizzare che

23 S. U. B

ALDASSARRI, Contra maledicum et obiurgatorem, in Coluccio Salutati e l’invenzione dell’Umanesimo, a cura di T. DE ROBERTIS, G. TANTURLI, S. ZAMPONI, Firenze, Mandragora, 2008, p. 172.

24

Salutati avesse letto una o più di una delle opere menzionate in precedenza e avesse deciso di adattare quella soluzione stilistica ad un ambito polemistico diverso e più ‘laico’.

Fortuna dell’opera

Dopo aver esaminato e chiarito la soluzione stilistica particolare adottata da Giovanni Le Fèvre, conviene osservare la fortuna che ebbe il suo De planctu bonorum. In tal senso, per poter esprimere un giudizio sufficientemente corretto e motivato, occorre senza dubbio considerare diversi fattori, tra i quali il segno che l’opera lasciò nell’ambiente dei letterati, e in particolare dei giuristi. Certamente, se si considera la successione cronologica dei trattati e degli scritti giuridici di parte clementista, l’opera di Le Fèvre non occupa il primo posto, che deve anzi essere attribuito alle Allegationes quorundam magistrorum Parisiensium facte per priorem Carnotensem: infatti l’opera sarebbe stata composta da Giovanni de Bournazel, priore di Chartres, «vers les mois d’octobre, de novembre ou de décembre 1378».25 In effetti costui non fece altro che riunire una serie di considerazioni giuridiche, tanto favorevoli quanto contrarie a Urbano VI, redatte dai maestri della Facoltà di Decretali dell’Università di Parigi: secondo Valois, uno specifico contributo al lavoro degli studiosi moderni da parte di questo breve scritto (di sole nove pagine nell’edizione di Du Boulay) consiste nel dimostrare che «les arguments favorables à la thèse urbaniste étaient devenus vite familiers aux canonistes parisiens».26

Un’altra opera che con ogni probabilità precedette il De planctu bonorum fu il Tractatus de Schismate, scritto e ultimato nella primavera del 1379 dal cardinale Pietro Flandrin, uno dei partecipanti al conclave dell’8 aprile: nel trattato «la narrazione degli eventi si intreccia con la sottile riflessione ecclesiologica e con una robusta erudizione canonistica nell’intento di limitare gli effetti del trattato di Giovanni da Legnano».27

In una simile prospettiva cronologica, occorre analizzare anzitutto la prima opera di parte clementista che fu scritta dopo il De planctu bonorum, e successivamente la risposta che Giovanni da Legnano diede ai trattati dei suoi avversari. Nel primo caso si può infatti ravvisare l’influenza diretta del De planctu su uno scritto nato per gli stessi scopi e con gli stessi obiettivi polemici, mentre nel secondo si può rilevare quanta attenzione il giurista italiano abbia dedicato alle peculiari argomentazioni espresse da Le Fèvre, nell’ambito di una sua più generale reazione all’attacco dei giuristi clementisti.

25 V

ALOIS, La France cit., p. 128, nota 1.

26

Ibid, p. 128.

27

Il trattato di Pietro da Barrière

Pietro da Barrière, vescovo di Autun, condivise con Le Fèvre e la grande maggioranza del clero francese l’immediata e incondizionata adesione alla causa clementista: in nome di tale fedeltà egli rifiutò di ricevere il cappello cardinalizio da Urbano VI, anche se successivamente, il 4 maggio 1379, lo accettò da Clemente VII tramite i suoi legati Giovanni de Cros, Guy de Malesset e Guillaume d’Aigrefeuille.28 Secondo i calcoli di Noel Valois, la redazione del trattato deve essere collocata in un periodo compreso fra l’estate del 1379 e la metà di marzo del 1380: infatti Barrière scrive che Clemente VII ha riportato la Sede Apostolica ad Avignone, e ciò avvenne il 20 giugno; inoltre vengono citati il De planctu e Le Fèvre, e si è già osservato che secondo Valois il De planctu venne terminato non più tardi dell’agosto del 1379; infine, poiché Le Fèvre viene menzionato con il titolo di abate, l’opera fu evidentemente redatta prima della sua nomina a vescovo di Chartres, ossia prima del 15 marzo 1380.29

Il trattato di Pietro da Barrière è dunque immediatamente posteriore a quello di Giovanni Le Fèvre, e da quest’ultimo risulta essere fortemente influenzato nei contenuti,

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