A partire dalle premesse sulle dinamiche e politiche di sviluppo, sia quelle europee sia quelle regionali, dall’approccio della dimensio- ne territoriale e locale e dalle finalità dello sviluppo rurale, possiamo tentare di suggerire, senza pretesa di esaustività e in forma schematica, gli elementi di un progetto sostenibile di sviluppo rurale, all’interno del quale la sostenibilità è data dalle linee proget tuali e dai modi di attuazione, dal processo di costruzione, dagli obiettivi, dalle finalità, dalle metodologie e dagli strumenti messi in gioco.
Con questo paragrafo, quindi, si portano a sintesi i ragionamenti finora condotti, volti a evidenziare gli elementi di una strategia coerente di sviluppo, che possa garantire di indirizzare il processo di azione progettuale a partire da elementi congruenti con l’approccio delineato. Si tracciano alcuni principi fondamentali con i quali orientare la strate- gia di intervento per lo sviluppo locale, e di conseguenza si enucleano linee idealtipiche per una ricerca-azione, soprattutto se finalizzata alla valutazione di processo.
3.1. Elementi generali di contesto
Unità territoriale di riferimento . Identifica l’unità di intervento e di
progetto e si configura come un’area continua-contigua, all’interno dei cui confini un insieme di condizioni che promuovono lo sviluppo si applicano meglio di quanto non avvenga attraverso i confini. È ne- cessario ragionare, quando si parla di sviluppo locale, in termini non esclusivamente aziendali, ma di contesti territoriali. Nei progetti di sviluppo le performance e l’innovazione, così come la creazione di beni comuni, sono dipendenti dai contesti.
Centralità del progetto . Contrariamente a quello che a volte sembra,
i sistemi locali non sono formazioni spontanee, non sono “funghi”. Essi vanno pensati e progettati già come sistemi, soprattutto qualora esistano esperienze e pratiche pregresse. Insomma, lo sviluppo locale è sempre meno un evento “naturale” o spontaneo che il mercato si limita a suscitare e regolare. Richiede un progetto (Bagnasco 1999), è uno “sviluppo costruito” (zanfrini 2001) ed è un processo dotato di una sua continuità. Da qui la centralità delle azioni di policy.
Risorse materiali e conoscenze specifiche. Il progetto di sviluppo so-
dall’esterno, bensì l’individuazione e la valorizzazione delle risorse e delle competenze esistenti legate a un territorio; tenendo conto che esiste una serie di esperienze diffuse che non vanno trascurate, che si sono sviluppate all’interno di un’intensa stagione di progettazione integrata che ha interessato tutte le aree.
3.2. Governance
Integrazione, coordinamento. L’assunzione del territorio come oggetto
e soggetto di sviluppo, come sistema locale, fa emergere la centralità e la specificità delle azioni di progettazione territoriale come integra- zione di risorse e saperi dispersi. Si può fare uso intelligente dei beni ambientali e culturali, valorizzare le produzioni specifiche, come quelle agroalimentari, solo se si migliorano le capacità di coordinamento. Non c’è alcun soggetto, pubblico o privato, che da solo possa valorizzare il territorio in questa chiave. Un’azione singola dei due potrebbe rivelarsi del tutto inutile (Trigilia 2006). L’integrazione progettuale e lo stare in rete costituiscono la condizione e l’obiettivo di uno sviluppo durevoli.
Governance. La capacità di coordinamento va costruita attraverso una
specifica azione concertativa di governance per aree territoriali omoge-
nee: ciò che serve per cominciare è convincere attori diversi, pubblici
e privati, a partecipare a giochi cooperativi incrociati di lungo periodo, facendo incontrare in questa sorta di “appuntamento” le risorse esistenti che servono al fine di rendere conveniente la cooperazione.
Affinché la governance possa avere effetti durevoli di sviluppo, il suo compito essenziale non è solo attivare la dotazione originaria di capitale sociale, ma potenziarla creandone di nuovo. Bisogna realizzare quel tipo di strutture capaci di generare capitale sociale che Coleman chiama “strutture sociali appropriabili”. La governance rimanda quindi in prima istanza all’integrazione progettuale dei contenuti: strategie coerenti, un progetto del territorio. Contemporaneamente, coinvolge attori di diversa natura: amministratori locali, istituzioni sovralocali (enti), attori economici. In questo senso realizza una forma di relazione multiattoriale. La dimensione fondamentale in cui si realizza, soprattutto nei progetti di sviluppo locale, è la costituzione di partenariati di tipo socioeconomico, attraverso un accordo formalizzato tra i veri attori dello sviluppo locale (protocolli di intesa). Ciò rimanda alla costituzione
di un soggetto territoriale della governance (GaL, agenzia di sviluppo,
distretto). In virtù di queste stesse caratteristiche, la governance è capace di condurre a meccanismi e processi di governo. Essa è un meccanismo strutturato e flessibile di pilotaggio, efficace nell’innescare fasi non solo
di progettazione, ma anche di implementazione, gestione e valutazione (cabine di pilotaggio, tavoli).
Ciò implica la necessità di superare i limiti di molte politiche terri- toriali, dimostratesi semplicemente redistributive. Tuttavia è necessario anche verificare i risultati di alcune politiche di progettazione territoriale integrata basate su un approccio olistico alla progettazione. Le espe- rienze condotte sinora hanno avuto prevalentemente un approccio di questa natura, con l’ambizione di definire e realizzare una “strategia di sviluppo” per un’area definita e di dimensioni più o meno grandi. In realtà la maggior parte della progettazione locale non ha manifestato la stessa forza in tutti i tipi di intervento, dimostrando una capacità di agire con successo in alcuni campi piuttosto che in altri, a seconda delle risorse, delle vocazioni e delle expertise esistenti a livello locale. Da qui la necessità di puntare su temi catalizzatori o punti focali con un forte elemento di innovazione per i territori in cui sono maturati (Mantino 2012).
Si tratta essenzialmente di pensare una strategia atta a misurare, conoscere, comprendere, accompagnare e, soprattutto, animare e comunicare quello che sta già avvenendo (Natali 2012), comprese alcune esperienze innovative su temi catalizzatori (filiere agricole e agroalimentari di pregio, energie rinnovabili, patrimonio culturale e insediativo, inclusione sociale…), che sono maturate durante la stagione di progettazione integrata degli anni Duemila.
In altre parole, non vi è la necessità di un grande progetto integrato, ma di un sostegno ai singoli progetti spesso già esistenti e coerenti a un quadro strategico su scala territoriale. Da qui la necessità di avviare, nei singoli territori, processi non onnicomprensivi, ma meccanismi di accompagnamento e reti istituzionali di supporto che guidino gli attori locali, in modo che essi diano vita a percorsi imitativi chiari e perse- guibili, basarsi sulla “concretezza” di persone, fatti, pratiche, azioni esistenti (Mantino 2012).
3.3. Qualificazione degli obiettivi
Creazione di beni collettivi locali. Un buon progetto di sviluppo locale non
si basa solo sulle risorse locali specifiche ereditate, ma si attrezza nella direzione della valorizzazione e della creazione di beni comuni condivisi, i quali sono in grado di accrescere i vantaggi competitivi localizzati di un sistema territoriale (materiali e immateriali). Dal punto di vista qui assunto, un buon sviluppo che voglia contribuire alla realizzazione di un sistema locale deve generare o indurre beni relazionali. Si tratta di
un patrimonio che richiede tempo per essere creato e riprodotto, ma è fondamentale per le economie delle società locali. In altri termini, come già detto, la creazione di fiducia è da attribuirsi soprattutto a intera- zioni di successo ripetute, non è il frutto esclusivo di culture ereditate (Bagnasco 1999). A questo punto le relazioni fiduciarie e cooperative sono attivatrici endogene di sviluppo.
La sfida all’apertura. Il buon sviluppo locale non chiude affatto il si-
stema locale, perché molte risorse necessarie sono esterne, ed è infatti opportuno attrezzare l’accessibilità, raccogliendo la sfida all’apertura. Mentre quindi le politiche economiche di sviluppo locale devono essere pensate e si strutturano a livello localizzato, la scala geografica con cui i territori e gli attori devono confrontare la loro strategia è nazionale, sovranazionale e globale. I sistemi produttivi locali che dispongono di vantaggi competitivi localizzati, se hanno qualcosa da vendere, possono farlo in uno spazio incomparabilmente più vasto rispetto al passato (Pichierri 2006).
3.4. Componente dialogica e concertazione
Alcune conseguenze di queste scelte legate a principi generali – com’è facile intuire – riguardano le metodologie attraverso cui si giunge all’integrazione progettuale, alla costruzione di partenariati, al modo di gestire i meccanismi di governance. La componente dialogica e la concertazione devono essere reali.
La partecipazione è una famiglia numerosa di approcci finalizzati a mettere in grado la popolazione locale di leggere e analizzare la propria condizione di vita e, al contempo, di condividere, partecipare, realiz- zare, controllare e valutare (Chambers 1996). La partecipazione non esclude, anzi richiede e rafforza, quelle competenze e responsabilità che sono necessarie per gestire processi di pianificazione, individuare gli attori sociali da coinvolgere e i livelli di coinvolgimento nei processi e nelle scelte (chi, su cosa, come).
Questa impostazione implica che la partecipazione e l’inclusione progettuale dei soggetti sia pubblici sia privati siano progettate; sem- brerebbe un apparente paradosso dal punto di vista di una logica di sviluppo locale che dovrebbe essere, invece, un movimento dal basso. Tuttavia, nella realtà la partecipazione è spesso “tecnicamente gestita” al punto tale che, dove non esistono gruppi strutturati organizzati per il progetto, è necessario indurre la partecipazione (Bobbio 2004). Biso- gna quindi individuare figure capaci di applicare un sapere specifico al campo dell’integrazione progettuale. All’interno di questa prospettiva è
indispensabile determinare una forma di intervento che stabilisca quali siano gli attori e le istituzioni adatti e compatibili, in assenza dei quali è giustificata la necessità dell’assistenza tecnica rivolta alla partecipa- zione. L’esigenza di un intervento partecipato genera la necessità di un intervento di tipo configurato, metodologicamente attrezzato.
La logica diventa non tanto quella di un richiamo a una semplice democrazia partecipativa, ma quella che porta ad agire in un ambito di consapevolezza il più possibile diffusa, all’interno di una chiara identi- ficazione di chi coinvolgere, come e su cosa. Questo significa dare conto delle procedure che si generano all’interno di un progetto partecipato e renderle trasparenti e fruibili al fine di abbassare il grado di arbitrarietà delle decisioni di una possibile procedura di intervento.
Il cambiamento del modello decisionale è legato al processo di realizza- zione di progetti che richiedono non solo la messa a punto di un progetto integrato, ma continui momenti di rinegoziazione e di coinvolgimento più o meno istituzionalizzato. In un modello di questo tipo si tenta di cam- biare, per esempio, il ruolo dell’esperto; questi da pianificatore diventa integratore e facilitatore di processi decisionali decentrati. Si mira, inoltre, a sperimentare e a introdurre nuovi stili di lavoro, più intuitivi e più flessibili. 3.5. Ruolo delle istituzioni e della leadership
Quali condizioni istituzionali sono richieste perché le esperienze di sviluppo locale con queste caratteristiche e i progetti funzionino? Molte ricerche individuano il punto nodale nella qualità della leader- ship politica in grado di attivare coalizioni per lo sviluppo. Centrale è quindi il ruolo dei soggetti istituzionali e dell’organizzazione affinché queste dichiarazioni di intenti e modalità di in tegrazione, concertazione, inclusione e governance possano trovare riscontro.
In particolare, l’intervento pubblico è un elemento costitutivo di un progetto di sviluppo locale sostenibile; esso rinvia alla capacità dei sog- getti istituzionali di avviare e condurre processi condivisi che mobilitino soggetti e competenze disperse. L’intervento si basa sulla concertazione tra decisori pubblici, operatori privati e soggetti organizzati. Un com- plesso iter che non può essere portato avanti in assenza di una forte leadership politica, la quale dimostri di credere al progetto e sia capace di farsene carico. Le istituzioni pubbliche, tuttavia, pur rappresentando una tessera essenziale nel mosaico dello sviluppo integrato, svolgono un ruolo di accompagnamento e indirizzo. Il livello istituzionale do- vrebbe dunque proporsi come attivatore di risorse e competenze che provengono da più parti, tanto da altri soggetti pubblici – quali gli enti
strumentali per lo sviluppo e la ricerca – quanto soprattutto da opera- tori individuali e associati. Le istituzioni pubbliche dovrebbero prima riconoscere e poi accompagnare i sistemi locali nella definizione dei progetti, operare una selezione sulla base degli obiettivi condivisi – in modo tale da garantire forme di integrazione progettuale – sulla base dei contenuti, delle risorse locali e dei soggetti coinvolti (imprese e comunità locali innanzitutto). Come già detto, le istituzioni pubbliche dovrebbero orientare dall’alto i soggetti locali a mobilitarsi dal basso (Trigilia 1998: 337).
3.6. L’organizzazione
Autonomia programmatica dei sistemi locali . Al fine di coniugare que-
ste azioni di governance istituzionale dall’alto (a livello macro) con quelle dal basso, di comunità interne ai singoli contesti locali (livello meso o micro), specificamente per orientare e integrare queste ultime, le istituzioni regionali dovrebbero governare e contemporaneamente favorire l’autonomia programmatica dei territori . Le istituzioni hanno la funzione di coordinamento, danno le regole appropriate, in grado di garantire l’integrazione dei soggetti economici del territorio verso forme di partenariato durevoli. Non possono sostituire le imprese del territorio
come operatori e gestori di sviluppo. Per esempio, nelle azioni Leader
e nelle dinamiche di tipo distrettuale la nascita di un attore collettivo capace di elaborare strategie può essere orientata dall’alto attraverso regole appropriate, ma deve poi essere frutto di dinamiche localizzate. La misura Leader e quella relativa ai distretti rurali finanziano le azioni
di integrazione progettuale, l’organizzazione, e sono tese a rafforzare le relazioni fra gli attori e l’attivazione di forme di governance locale.
Agenzia e soggetto attuatore. Un punto centrale è l’autonomia gestionale
dei sistemi locali, cioè l’individuazione di un soggetto attuatore. GaL e
distretti sono i soggetti che a livello territoriale non solo accompagnano la nascita di un progetto integrato, ma definiscono anche gli interventi e accompagnano i progetti e la loro cantierabilità.
Centri di servizi e delle struttur e dedicate. La decentralizzazione, in-
tesa come facoltà di disporre a livello locale della capacità di scelta e di attribuzione dei progetti, richiede che essi siano accompagnati da un’assistenza tecnica appropriata. Brusco (2007) parla di sviluppo locale per distretti e aree arretrate in relazione a interventi a un tempo molto difficili e poco costosi, basati sulla formazione e non solo sul trasferimento di risorse, sull’immissione delle competenze, sul nesso tra
formazione e sviluppo, su centri di servizi reali che hanno a che fare con l’informazione e la formazione di saperi. Formazione non solo come semplice risposta ai bisogni formativi, ma spostata sulle capabilities, come capacità di rispondere in modo creativo al contesto.
3.7. Le competenze e le strutture dedicate
Per fare sviluppo locale nei termini sinteticamente fin qui enucleati, dal progetto alla governance, dall’integrazione alla concertazione e all’inclusione progettuale – come ci insegnano gli studiosi più attenti alle declinazioni operative delle azioni di sviluppo, come Sebastiano Brusco – occorre mettere in campo capacità e competenze tecniche e
umane.
– Competenze tecniche. Il progetto di sviluppo sostenibile richiede specifiche funzioni e capacità tecniche di analisi, nonché valutazione e attivazione delle risorse, con indicazioni sulla loro possibile combinazione e sul loro monitoraggio nel tempo, aggiornate e inserite in scenari esterni (vantaggi competitivi).
– Capacità umane. Il progetto di sviluppo sostenibile esige an- cora capacità umane per costruire e gestire reti attrezzate per l’azione cooperativa. Le coalizioni fondate sulla cooperazione sono l’esito di una lunga pedagogia della governance – assunta a costruzione istituzionale – attraverso la diffusione e la presenza duratura nel tempo di queste competenze. Il risultato di tale processo passa attraverso la sedimentazione della governance che dà luogo a una struttura organizzativa appropriata. – Comunicazione. Il progetto di sviluppo sostenibile poggia sulla
comunicazione puntuale tra tutti i livelli coinvolti a vario titolo: la forza delle reti informative. La comprensione di conoscenze e atteggiamenti della popolazione rappresenta un presupposto determinante per ogni intervento, così come stabilire canali di comunicazione a doppio senso , con la diffusione delle compe- tenze alla popolazione, soprattutto di quelle immediatamente riconducibili al piano. Le risorse sono effettivamente un’op- portunità per lo sviluppo solo se sono riconosciute come tali da una comunità locale nel suo insieme e dagli attori che sono in grado di influire sul governo dell’area.
– L’intervento tecnico diretto resta indispensabile e, soprattutto, la presenza continua in loco si rivela una carta vincente perché consente una trasmissione precisa delle informazioni, con una verifica puntuale della loro validità e un feedback costante sui
bisogni e sull’efficacia degli interventi. Si tratta di interventi poco costosi (se si usano in modo integrato risorse umane e competenze), ma difficili e che richiedono tempi lunghi.