Tuttavia non posso ritenere casuale la costruzione terminologica e concettuale che sostiene il
carmen di Salmace, per non parlare dell’ambiente fisico in cui essa si trova, ossia un complesso
cultuale indigeno, situato sulla costa di Alicarnasso, nei pressi di un Aphrodision, all’interno della probabile Stanza della Fontana della ninfa locale Salmace. Cercherò quindi di porre l’accento su tutti gli elementi che mi hanno portato a supporre l’interpretazione misterica, riassumendo velocemente i passi già esaminati in precedenza.
L’elegia si apre con l’invocazione ad Afrodite Σχοινῖτις (l. 1), epiteto che, come abbiamo visto, sembra alludere ad alcuni culti samii di prostituzione sacra di derivazione vicino-orientale. Prosegue poi citando il primo mito, che si riferisce alla progenie dei πάρεδροι di Ζεὺς Ἀκραίος (l. 6), i Cureti, tre dei quali sono attestati in Caria come divinità indipendenti, associati alle città di Milasa, Stratonicea e Afrodisia dove istituirono, rispettivamente, i culti di Zeus Labraundos, Panamoros e Spalaxos. Essi allevarono Zeus di nascosto (κρύφιον, l. 8), in una grotta sotterranea (ἀδύτον, l. 9), la cui etimologia rimanda ai luoghi in cui si svolgevano riti sacri, proteggendolo dalla volontà infanticida di Crono. In cambio del loro servizio, Zeus li promosse come sacerdoti ὀργειῶνας (l. 11), ministri delle dimore misteriche (ἀρρήτων πρόσπολοί δόμων, l. 12). Da notare anche il piccolo cammeo del termine ἀνδρ [ῶν] (l. 5) che, pur significando tutt’altro, rimanda al concetto dell’andron sacro e del simposio. Il culto di Zeus Akraios era testimoniato dalla processione che partiva dai sobborghi di Alicarnasso, fino ad arrivare in città, nella quale era sacrificata una capretta, secondo le testimonianze di Aristotele e Apollonio578. Probabilmente questo era un culto misterico, visto che sono menzionati alcuni particolari che riconducono a
577 HIGBIE 2003, pp. 292-3; MASSAR 2006, pp. 241-2; PERÒ 2012, pp. 123-6. 578 Aristot. Aud. 844a-b; Apollon., Hist. Mir., XIII.
174
quest’ambito, come le querce e i corvi, presenti sia nei testi letterari già citati, che nelle testimonianze numismatiche579.
Segue poi il mito chiave di Salmace, la ninfa e omonima fonte locale, che risiede fisicamente nel luogo dell’iscrizione instaurando il rapporto di κουροτροφία con il piccolo Ermafrodito, protettore dei legami sessuali e inventore del matrimonio (ll. 15-22). Mi sento di paragonare questo passo alle matrioske russe, o alle scatole cinesi, poiché i riferimenti sono continui e per quanto ci si possa approcciare, emergono sempre tratti nuovi. A ogni modo, Ermafrodito permette una connessione con più sfere d’interesse: per le sue origini lo possiamo associare a Cibele, Attis e Agdistis, divinità misteriche frigie, e con il mondo efebico580; egli però è anche parte del corteo bacchico, assieme a Dioniso, Arianna e alle ninfe581. Il rapporto di κουροτροφία che lega Salmacide a Ermafrodito, le permette di associarsi ad Afrodite, Iside e Demetra, le cui ultime due rimandano immediatamente ai misteri eleusini582. Inoltre non dobbiamo dimenticare che probabilmente Ermafrodito era protettore del rito indigeno, probabilmente iniziatico, che si svolgeva all’interno dello σκόπελον νύμφης (l. 16), secondo il quale i giovani pueri e puellae di Alicarnasso subivano quest’iniziazione sessuale che li preparava al matrimonio583
. La fonte di Salmace era quindi localizzata in un ἄντρον (l. 21) al fine di civilizzare la mente selvaggia degli uomini, πρηύνει φώτων ἀγριόεντα νόον (l. 22), come momento di passaggio dallo stato di natura a quello civile, quindi come metafora della colonizzazione, che avviene sotto il segno religioso. I fitti riferimenti di cui il passaggio è pieno, mi portano a ipotizzare che fosse uso non solo antico ma contemporaneo, di compiere all’interno della Stanza della Fontana di Salmacide un rito iniziatico misterico sotto il patrocinio di Afrodite.
Segue l’episodio di Atena e Bellerofonte, parente del mitico eroe licio-cario Crisaore, sotto la cui egida i Cari trovarono terreno fertile per la propria rappresentazione identitaria584. Coerentemente al mio discorso, vorrei sottolinare due particolari che riportano al mondo religioso in generale e, più specificatamente all’ambito misterico. Il riferimento è alla cittadina lelega di Pedasa, che era il punto di partenza della processione religiosa menzionata a proposito del culto di Zeus
579 LAUMONIER 1958, p. 629ss.; COOK 1903, pp. 174-86 e 268-78. 580 CLAY 1977, pp. 259-267 (SEG XXVI, 139).
581
RAGONE 2001, p. 112
582 SEGRE 2007, EV n. 18, pp. 176-7.
583 Fest.,. s.v. Salmacis; RAGONE 2001, pp. 93-113.
175
Akraios, di cui ho ampiamente parlato in precedenza e il termine τέρμονας (l. 26) che rimanda ai limiti nel senso religioso del termine585.
Entrano poi nella scena anche Cranao, Endimione e Anteo. Ho già introdotto la figura di Endimione come anello di congiunzione tra il mondo dionisiaco, vista la ricorrenza iconografica secondo il modello bacchico della Menade dormiente, tipologia mutuata dalla tradizione del tiaso, e quello isiaco, grazie al rapporto di sincretismo che investe la sposa di Endimione, Selene. Ho dunque delineato, attraverso la tendenza ellenistica all’assimilazione di diverse divinità, come Iside e Demetra fossero state protagoniste, sin dal principio, di un sincretismo che accostò, a partire dal II secolo a.C., Iside con il mondo dei misteri eleusini per la sua vocazione kourotrophica, che ritorna più volte all’interno del carmen586. Nel momento in cui anche Selene fu accostata a Iside, il legame con misteri può essere ragionevolmente ipotizzato e costituirebbe un forte elemento di comunanza tra il mondo dionisiaco e quello eleusino.
Passiamo poi alla sezione successiva, irrimediabilmente compromessa, in cui emergono personaggi come il probabile Radamanto (l. 33), definito in questo modo poiché frutto della congettura di Lloyd-Jones, e Arianna (l. 37), la quale, secondo Gagné, è legata al testo da antichi culti locali non ampiamente testimoniati. A mio avviso, invece, il sottile filo rosso che congiunge le varie parti del testo e che dunque potrebbe motivare la presenza di Arianna, è quello della sua appartenenza al tiaso bacchico, al fianco di Dioniso ed Ermafrodito. Ella, in età ellenistica e romana è rappresentata con la medesima iconografia di Endimione e fa parte di un corteggio in cui sono compresi i personaggi già citati e le ninfe. Arianna inoltre ha una doppia appartenenza al mondo misterico, anch’essa, come Endimione, ha legami con Dioniso e con Iside, con cui spesso è protagonista di un sincretismo, come abbiamo potuto vedere dalle attestazioni epigrafiche587.
Tutte queste corrispondenze mi portano a pensare che la prospettiva religiosa sia fondamentale per diversi motivi: da una parte essa costituisce uno dei vanti maggiori della cultura indigena caria, caratterizzata da una varietà cultuale vastissima e quindi la maggior espressione della propria originalità come popolo, dall’altra fu il primo e basilare punto di riferimento nel quale rifugiarsi nel momento in cui le certezze venivano a mancare. Così come abbiamo visto con la
Cronaca di Lindo, che fu stilata nel tentativo di ripristinare il prestigio che il santuario di Atena
stava perdendo, così con l’apertura della Caria al nuovo assetto ellenistico, senza più una guida
585 Cfr. CHANTRAINE 1984, s.v. τέρμων, p. 1107.
586 h. Hom. h. Cer., 185-235; Paus. X, 32, 13; Plut. de Isid. II e IV; Apul. Met., XI, 19. 587 KARAGEORGHIS 2008, pp. 135-7 (SEG LVIII, 1671).
176
politica al comando della regione, si sentì il bisogno di costruire un’identità propria sulla base religiosa, punto forte della comunità. E, più specificamente, io ravviso tracce misteriche all’interno di questo sostrato religioso che è struttura portante della comunità e del testo.
Posso così azzardare un’interpretazione basata non solo sullo spirito di orgoglio identitario che sicuramente mosse i committenti del testo, ma anche una lettura misterica che permea non solo la citazione dei personaggi, ma anche le scelte terminologiche utilizzate.
177
CONCLUSIONE
Nel tentativo di tirare le fila del nostro discorso, abbiamo considerato la meravigliosa iscrizione di Salmace, encomio ellenistico di fondazione della città di Alicarnasso in distici elegiaci, ritrovata in situ in quello che era il suo ambiente orginario, all’interno di una probabile Stanza della Fontana, parte di un complesso monumentale affiancato a una Stoa, entrambi oggetto di numerosi restauri e ampliamenti nel corso dei secoli. Il sito era la casa della ninfa e fonte locale Salmace, localizzata appunto nel borgo che porta il suo nome, a dimostrazione del forte carattere indigeno del luogo, situato nei pressi dell’Aphrodision dedicato ad Afrodite, destinataria principale del carmen, che probabilmente condivideva con Ermes, come testimoniato dall’architetto romano Vitruvio.
Come abbiamo visto in precedenza, vi sono pochissimi testi da poter impugnare come paralleli, per fare un confronto e meglio interpretare l’elegia nella sua originalità. Per quanto riguarda la struttura, possiamo annoverarlo all’interno dei cosiddetti poemi di κτίσις, o dal genere dell’ἐγκώμιον τῆς πόλεως, che ebbero grande rifioritura nel periodo ellenistico, soprattutto grazie alla fondazione (e rifondazione) di città per opera di Alessandro Magno e dei suoi diadochi. Una delle novità maggiori è data dal ritrovamento dell’iscrizione all’interno di questo complesso monumentale, il che la rende un’importante testimonianza di quella che è stata un’operazione di creazione di un passato mitico, protratta alla ricerca di un’identità caria da poter ergere come baluardo autocelebrativo all’interno del nuovo assetto ellenistico. È fuorviante considerare il testo poetico a prescindere dall’ambiente archeologico di rinvenimento, che ci permette di scandagliare il retroterra culturale religioso cario, per poter meglio comprendere tutti i significati e i riferimenti che soggiacciono all’iscrizione.
L’iscrizione si compone di un poema in distici elegiaci, per un totale di sessanta versi, dieci dei quali irrimediabilmente perduti a causa dell’erosione della lapide. La lastra di marmo con venature blu è magnifica, l’accuratezza con la quale sono state iscritte le lettere e il loro ornato, rendono il monumento pregnante non solo di significato ma anche di significante. Sicuramente fu opera di un lapicida professionista, che ‘impaginò’ il testo come su di un foglio di papiro, curando le lettere in maniera scrupolosa, com’era uso fare durante l’età ellenistica, con la particolarità che i pentametri non sono in eisthesis, come ci saremmo aspettati.
Il poeta rivolge un’invocazione ad Afrodite, la cui parola divina conferisce autorità ancor maggiore al contenuto, in questo caso non sono le Muse a conferire l’ispirazione, ma la divinità
178
locale. I due vocativi Σχοινῖτι e Κύπρι rimandano all’epigramma di Callimaco scritto per il santuario di Afrodite-Arsinoe a Capo Zefirio, da qui l’ipotesi che il testo di Salmakis sia completamente permeato dalla presenza della dinastia lagide, ma il contesto è differente. Qui Afrodite si trova nei pressi del suo santuario e si rivolge direttamente, tramite la lastra marmorea che riporta impressa l’elegia, ai visitatori, locali o stranieri, del santuario. Molto probabilmente l’iscrizione era rivolta maggiormente alla popolazione locale, come simbolo di autoaffermazione di un’identità che i Cari avevano sempre sottovalutato, nel tentativo di contrastare un momento di crisi della politica nazionale e internazionale. La Caria usciva da secoli di dominazione, prima persiana, poi ecatomnide, poi lagide, caratterizzate dalla tendenza all’ellenizzazione politica e istituzionale, dove però venivano mantenute le varietà religiose locali carie, che costituivano l’originalità della regione.
Da questo rapporto fisicamente stretto di dipendenza tra Alicarnasso e Afrodite, tra la dea e il santuario, nasce l’invocazione del poeta autore dell’elegia. Egli le chiede a gran voce: τῆς Ἁλικαρνασσοῦ τί τὸ τίμιον; qual è l’orgoglio di Alicarnasso? Il poeta si fa portavoce della comunità stessa, la città intera chiede alla dea di cosa debba andare fiera, perché non ne è cosciente (οὐ γὰρ ἔγωγε ἔκλυον).
Afrodite, benevola, dall’alto della sua statua (molto probabilemente accanto all’iscrizione vi era un’agalma della dea, alla quale l’invocazione era appunto rivolta), guarda Alicarnasso e passa in rassegna tutte le glorie di cui essa deve andar fiera, grazie alle quali si guadagna un posto speciale all’interno del mondo greco. Finalmente libera, ella si affaccia in un mondo che sta cambiando radicalmente: la Caria non si era mai dotata di un’identità propria, non si era mai prodigata nella costruzione di un impianto storico-mitologico che potesse sostenerla, ma con l’ellenismo l’autonomia locale si risvegliò e anch’essa si premurò di crearsi una tradizione propria, tramite la quale potersi affermare.
Essa sembra scoprire, in questo modo, di non possedere un passato proprio, degli eroi fondatori, delle personalità colonizzatrici di particolare importanza e di averne bisogno perché solo affidandosi a una tradizione consolidata avrebbe potuto riconoscere universalmente la propria grandezza. Facendo perno sulla propria ricchezza religiosa, sulle proprie divinità locali, frutto della cooperazione lelega e caria e dei vari sinecismi del passato, Alicarnasso fuse insieme le varie tradizioni religiose locali, con i diversi miti di fondazione stranieri. Da una parte abbiamo quindi quel sentimento di attaccamento alla propria terra e riscoperta delle proprie origini che sarà motivo
179
chiave della rinascita ellenistica, dall’altra il bisogno sentirsi parte di una tradizione condivisa, uno sbocco esterno in questo nuovo orizzonte: atteggiamenti ambivalenti propri di un mondo in crisi.
Inizia quella tendenza che culminerà nel II secolo d.C. con il panellenismo di cui si faranno promotori imperatori come Adriano e che trova parallelo letterario nell’opera di Pausania: come il poeta di Alicarnasso invoca la dea chiedendole quale sia l’orgoglio (time) della città, così il periegeta chiedeva agli abitanti dei luoghi in cui si recava quali fossero le cose che reputavano degne (axion) di essere ricordate. Inizia così il catalogo degli orgogli della città che, come abbiamo visto, è il frutto di meixis tra la cultura caria indigena e la mitologia greca della tradizione, simbolo della fusione culturale che ha permesso un tale splendore, risultato della consapevolezza che una tale grandezza non è avvenuta ex novo, ma sulle basi di una tradizione che affonda le sue radici nel passato che non è greco ma indigeno. Come i Lindii, così gli Alicarnassesi, nel momento in cui videro che il prestigio di un tempo stava venendo a mancare e che la crisi politica era un affare troppo spinoso da debellare, si concentrarono all’interno della loro religione: i Lindii nel loro santuario di Atena Lindia, gli Alicarnassesi nel complesso religioso e culturalmente eterogeneo di Salmacide, baluardo greco-cario della città.
Da una parte il testo elegiaco ci pone dinanzi una serie di miti, volti a trasmettere un messaggio immediato, a prescindere dai vari significati sottesi, che è quello di forte orgoglio da parte della città per le proprie origini, per il presente e il futuro. Dall’altro l’elemento religioso, a mio avviso, costituisce la fondamentale linea guida di tutta l’elegia, come vero orgoglio cario.
Tutti i personaggi che sono menzionati, per quanto la costruzione abbia un’altra finalità, appaiono come tasselli di un puzzle molto più ampio. Alicarnasso merita la propria time per aver generato la superba progenie dei Cureti, che strapparono Zeus dalle grinfie del padre Crono, allevandolo sotto la cresta montana. In questo modo si guadagnarono il ruolo di ministri ufficiali di Zeus Akraios, dal quale ottennero privilegi come ricompensa dei loro meriti. Il culto di Zeus Akraios è testimoniato ad Alicarnasso e nei borghi limitrofi, dal santuario di Eraclea sul Latmo, dalle fonti letterarie di Aristotele e Apollodoro e dei ritrovamenti numismatici. I Cureti erano figure venerate in Caria anche singolarmente, fondatori di tre città cardine della Caria, come Milasa, Stratonicea e Afrodisia e dei rispettivi culti di Zeus Labraundos, Panamoros e Spalaxos, punti di riferimento religiosi della regione.
Il passaggio successivo riguarda la ninfa Salmace, che risiede fisicamente all’interno della Stanza della Fontana, dove è stata reperita l’iscrizione. Ella, oltre che ninfa, è anche omonima fonte, che contribuì all’integrazione cario-lelega e alla civilizzazione, coadiuvata dal suo kouros
180
Ermafrodito, che ella allevò instaurando un rapporto di kourotrophia e, tramite il quale, furono legalizzati i rapporti tra gli uomini con l’istituzione del matrimonio. Ermafrodito e Salmace sono così le divinità protagoniste dell’iscrizione, allegoria della colonizzazione greco-caria e della successiva cooperazione tra le due culture. La figura del dio androgino è di discendenza vicino- orientale, grazie agli influssi di Cibele, Agdistis e Attis, trova spazio all’interno del pantheon greco a partire dal IV secolo a.C. e da quel momento lo vedremo ricorrere in moltissimi ambiti, dove è accostato soprattutto alla fertilità e ai rapporti uomo-donna. Forse è la sua natura mista a rappresentare allegoricamente la città di Alicarnasso, anch’essa culturalmente mista. Tuttavia ritengo che questa non sia l’unica interpretazione dell’episodio, esso cela dentro di sé antichi culti iniziatici indigeni che costituivano il passaggio da uno status, la fanciullezza, all’altro, l’età adulta, ma anche riti iniziatici a cui era ammesso solo un gruppo ristretto di personaggi. Ermafrodito era probabilmente il garante di quei riti iniziatici riservati ai giovani che si preparavano per il matrimonio, patrocinato dai genitori olimpi Afrodite ed Ermes e coadiuvato dalla ninfa locale Salmace, entro il cui antro essi si svolgevano.
Si passa poi a considerare i primi fondatori mitici della città, il primo dei quali fu Bellerofonte, l’eroe licio domatore di Pegaso che seguì le tracce di Atena fino al territorio di Pedasa. Ci troviamo dunque di fronte all’acquisizione di un mito licio grazie alla mitica figura di Crisaore, tramite il quale la Caria si riconobbe ampiamente, basti pensare alla lega Crisaorea, sorta nella Caria ellenistica come unione religiosa per la salvaguardia del patrimonio cultuale tradizionale. È menzionata di seguito anche Pedasa, cittadina lelega, sede del già nominato culto di Zeus Akraios e della processione religiosa che la univa alla città di Alicarnasso. Abbiamo così reso comprensibile come la storia caria locale si unisca con la vicina tradizione licia, creando un mito condiviso che affonda le sue radici all’interno di una cornice già consolidata, dove ravvisare i propri elementi caratteristici.
Una costruzione che si basa sulle tradizioni vicine è riconoscibile anche nelle tre coppie di distici successive che proseguono con gli ecisti, menzionando dapprima Cecrope, che funge da collegamento con Atene e che fu fondatore di città carie come Cranais e Antiochia sul Meandro. Segue poi Endimione, eroe della saga etolica che aveva un santuario dedicato a Eraclea sul Latmo e infine Anteo, proveniente dalla madrepatria Trezene, i cui discendenti andarono a costituire la stirpe dei sacerdoti di Posidone Istmio, gli Anteidi, sotto il cui nome si riconoscevano tutti i cittadini di Alicarnasso.
181
La saga della κτίσις termina così con Arianna, il cui legame ho ipotizzato potrebbe derivare dall’iconografia misterica o, come sostiene Gagné, dai culti delle nymphai nei riti prenuziali samii. Tuttavia il passo è compromesso, per cui esso potrebbe menzionare anche il personaggio di Radamanto (l. 32), che costituirebbe il collegamento con la saga cretese, un indefinibile Φοιβήιος ἶνις, di cui non possiamo dire molto altro.
Segue poi un lungo catalogo di nomi, personalità letterarie di Alicarnasso, tra le quali spicca la mancanza del grande Eraclito, amico del poeta Callimaco. La chiusa è abbastanza frettolosa e imprecisa, come se il testo non avesse voluto dilungarsi sulle conquiste e le vittorie in guerra della città, come se lo scopo principale fosse stato quello di costituire un impianto tradizionale di fondazione dal quale ergersi per affermare la propria ritrovata identità. Il testo si chiude con una coppia di distici aspecifica ma perentoria: εὐσεβέων πάντιμον ἔχει γέρας, ἔν τ’ἀγαθοῖσιν / ἔ ρ γοις κυδίστων ἀντέχεται στεφάνων. Le è stato conferito il privilegio di tutti gli onori dei pii e per le
opere buone si tiene strette le corone più gloriose. La chiusa sofoclea e la menzione di εὐσεβέια, a
mio avviso, potrebbero costituire il richiamo all’incipit iniziale dell’invocazione, come nella
Ringkomposition: come l’elegia si era aperta sotto il segno della religiosità, così troverà perfetta
chiusura.
Vorrei tornare ancora una volta sul sentimento identitario che permea l’intera elegia e la coscienza che la città sembra possedere delle proprie origini miste. È importante notare anche con quanta maestria sia stato recuperato il passato tradizionale delle realtà parallele alla storia caria, per dotarsi infine di un patrimonio storico-mitico che si basava sulla propria eterogenia religiosa, ma all’interno di una storia mitica ben radicata e consolidata.
Infine ritengo che l’elegia possa essere interpretata anche come un richiamo continuo ai culti misterici: Ermafrodito, Endimione e Arianna sono iconograficamente riconducibili all’interno di un
topos preciso, che deriva dalla tradizione delle menadi dormienti, che facevano parte del tiaso