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La celebre definizione di Aristotele, che abbiamo ricordato anche in precedenza, sottolinea un aspetto importante: non c’è filosofia senza curiosità intellettuale, senza la capacità di meravi- gliarsi, dalla quale nasce l’esigenza di porsi problemi.

Gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della mera- viglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della Luna e quelli del Sole e degli astri, o i problemi riguardanti la generazione dell’intero universo. Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere; ed è per questo che anche colui che ama il mito è, in certo qual modo, filosofo: il mito, infatti, è costituito da un insieme di cose che destano meraviglia.

( Aristotele, Metafisica, I, 2, 982b, pp. 11-12 [vedi Modulo 6, T1, p. 424])

T3

Epicuro: Tutti devono filosofare

Il passo di Epicuro ricorda che la filosofia non è un’attività intellettuale astratta, ma serve per raggiungere la felicità. È utile quindi a ogni età, per dare serenità interiore e per aiutare a vivere in pace con se stessi.

Nessuno, mentre è giovane, indugi a filosofare, né vecchio di filosofare si stanchi: poiché ad acquistarsi la salute dell’animo, non è immaturo o troppo maturo nessuno.

E chi dice che ancor non è venuta, o già passò l’età di filosofare, è come dicesse che d’esser felice non è ancor giunta l’età o già trascorse. Attendano dunque a filosofia, e il giovane ed il vecchio; questi affinché nella vecchiezza si mantenga giovine in felicità, per riconoscente memoria dei beni goduti, quegli affinché sia ad un tempo giovane e maturo di senno, perché intrepido dell’avvenire. Si mediti dunque su quelle cose che ci porgono la felicità; perché, se la possediamo, nulla ci manca, se essa ci manca, tutto facciamo per possederla.

(Epicuro, Lettera a Meneceo, p. 31)

T4

Gaarder: Riscoprire la capacità di meravigliarsi

L’opera di Jostein Gaarder, Il mondo di Sofia. Romanzo sulla storia della filosofia, ha cono- sciuto alcuni anni fa un grande successo editoriale. Presenta, come dice il sottotitolo, la storia della filosofia inserendola in un contesto narrativo: la protagonista, Sofia, riceve misteriosi bi- gliettini da parte di un altrettanto misterioso personaggio e comincia a porsi problemi, a pro- vare quella meraviglia di fronte alle piccole e grandi cose dell’esistenza – e prima ancora verso l’esistenza stessa – che, secondo Aristotele, è la causa prima del filosofare. Di solito, però, la quotidianità fa apparire tutto come abitudinario e scontato. La filosofia può risvegliare ancora questo sentimento, producendo la curiosità intellettuale, l’esigenza di porsi dei «perché».

5

M

1

La fi losofi a e il fi losofare

«Sofia Amundsen» [...] c’era scritto sulla busta. Tutto qui. Nessun mittente. Man- cava anche il francobollo. Subito dopo aver richiuso il cancelletto, aprì la lettera. C’era scritto: «Chi sei tu?» [...] «Chi sei tu?». Non lo sapeva di preciso. Era Sofia Amundsen, naturalmente, ma chi era? Non era ancora riuscita a scoprirlo del tutto. E se si fosse chiamata con un altro nome? Anne Knutsen, per esempio. In quel caso sarebbe stata un’altra persona? [...] Mentre Sofia rifletteva sul fatto di essere viva, cominciò a pen- sare che non sarebbe esistita per sempre. Adesso vive, pensò. Ma un giorno non ci sarà più. C’era qualche forma di vita dopo la morte? [...] Non appena metteva a fuoco il pensare di essere viva, subito spuntava l’altro: la vita ha sempre una fine. [...] Soltanto quando provava una forte emozione all’idea che un giorno sarebbe scomparsa, si ren- deva conto di quanto la vita fosse infinitamente preziosa. Erano come le due facce di una moneta, una moneta che continuava a rigirare tra le dita. [...]

Anche su questa busta c’era scritto il suo nome. La strappò e tirò fuori un foglietto bianco uguale al precedente. «Da dove viene il mondo?» c’era scritto [...]. Per la prima volta in vita sua Sofia pensò che non fosse possibile vivere in un mondo senza chiedersi da dove venisse. [...] «Da dove viene il mondo?». Non lo sapeva. Sofia si rendeva conto del fatto che la Terra era solo un piccolo pianeta nell’immensità del cosmo. E il cosmo da dove veniva? Era lecito pensare che l’universo fosse sempre esistito e in tal caso non era necessario cer- care una risposta sulla sua creazione. Ma poteva qualcosa esistere in eterno? Tutto ciò che esiste deve pur avere un inizio. Di conseguenza anche il cosmo doveva aver avuto origine da qualcos’altro. Ma se l’universo era stato creato di colpo da qualcos’altro, allora anche quest’altro a sua volta doveva essere nato da qualcosa. Sofia capì di avere solo rimandato il problema. Insomma, qualcosa doveva essere stato creato una prima volta dal nulla. Ma era possibile? Non era anche questo un pensiero assurdo come quello di credere che il mondo fosse sempre esistito? A scuola avevano imparato che Dio aveva creato il mondo e adesso Sofia cercava di tranquillizzarsi con l’idea che in fondo questa fosse la soluzione migliore al suo problema. Invece ricominciò a riflettere. Poteva tranquillamente accettare il fatto che Dio avesse creato l’universo... E Dio allora? Aveva creato se stesso dal niente? Di nuovo c’era qualcosa in lei che protestava. Anche se Dio era senza dubbio in grado di creare sia l’uno sia l’altro, non poteva creare se stesso prima di avere un «se stesso» con cui poterlo fare. Rimaneva una sola possibilità: Dio era sempre esistito. Ma quella ipotesi l’aveva già scartata. Tutto quello che esiste deve avere un inizio. [...]

Sentendo la madre rientrare, Sofia si era precipitata verso di lei e l’aveva trascinata in soggiorno, obbligandola infine a sedersi su una sedia.

«Mamma, non credi che sia strano vivere?» esordì.

La mamma era così sbigottita da non sapere che cosa rispondere. Di solito, quando rincasava, Sofia stava facendo i compiti.

«Beh, sì, a volte», rispose.

«A volte? Voglio dire, secondo te non è strano che ci sia un mondo?» «Sofia, su, non devi parlare così».

«Perché no? Magari, secondo te, il mondo è perfettamente normale, non è vero?» «E va bene, lo ammetto. Nella maggior parte dei casi, almeno».

Sofia capì che il filosofo aveva ragione. Gli adulti davano il mondo per scontato: si erano addormentati nel sonno eterno della vita di tutti i giorni.

«Che schifo! Il mondo ti è diventato così familiare che non ti stupisci più, continuò Sofia».

«Ma che cosa stai dicendo?»

«Dico solo che sei troppo abituata al mondo. In altre parole, ti sei completamente rimbecillita».

(J. Gaarder, Il mondo di Sofia, pp. 8-13, 26-27)

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1. Che cos’è la fi losofi a?

ITINERARI DI LETTURA

T5

Nagel: Filosofia e quotidianità

Parole che usiamo ogni giorno, considerandole scontate, nascondono in realtà problemi filosofici complessi, se solo siamo in grado di cogliere le domande nascoste dietro il loro impiego quotidia- no. Fare filosofia, come chiarisce in questo brano il filosofo statunitense Thomas Nagel, significa andare oltre il senso di ovvietà, individuando l’importanza e il carattere problematico dei concet- ti ai quali siamo abituati.

Il principale interesse della filosofia è mettere in questione e comprendere idee as- solutamente comuni che tutti noi impieghiamo ogni giorno senza pensarci sopra. Uno storico può chiedere cosa è accaduto in un certo tempo del passato, ma un filosofo chiederà «Che cos’è il tempo?». Un matematico può studiare le relazioni tra i numeri, ma un filosofo chiederà «Che cos’è un numero?». Un fisico chiederà di cosa sono fatti gli atomi o cosa spiega la gravità, ma un filosofo chiederà come possiamo sapere che vi è qualcosa al di fuori delle nostre menti. Uno psicologo può studiare come i bambini imparano un linguaggio, ma un filosofo chiederà «Cosa fa in modo che una parola si- gnifichi qualcosa?». Chiunque può chiedersi se è sbagliato entrare in un cinema senza pagare, ma un filosofo chiederà «Cosa rende un’azione giusta o sbagliata?».

Non potremmo farcela a tirare avanti nella vita senza prendere per scontate la mag- gior parte del tempo le idee di tempo, numero, conoscenza, linguaggio, giusto e sbagliato; ma in filosofia ci occupiamo proprio di queste cose. Lo scopo è quello di spingere un po’ più a fondo la nostra conoscenza del mondo e di noi stessi. Ovviamente non è facile. Più le idee che stai cercando di indagare sono fondamentali, minori sono gli strumenti che hai a disposizione. Non vi è molto che puoi assumere o dare per scontato. Così la filosofia è un’attività un poco vertiginosa, e pochi dei suoi risultati restano a lungo incontestati.

(T. Nagel, Una brevissima introduzione alla filosofia, pp. 6-7)

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