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La tassazione delle plusvalenze è disciplinata dal quarto comma dell’art. 86. In particolare, le plusvalenze realizzate (…) determinate a norma del comma 2 ,

concorrono a formare il reddito, per l’intero ammontare nell’esercizio in cui sono state realizzate. Il principio generale è pertanto quello secondo il quale le stesse

concorrono alla formazione del reddito nell’esercizio in cui vengono realizzate. La norma però conosce delle eccezioni relative tanto alle plusvalenze esenti di cui all’art. 87 quanto a quelle relative alla cessione di beni nella titolarità dell’azienda per un periodo più o meno lungo. L’art. 86, infatti, continua affermando che se i

beni [dal cui trasferimento deriva una plusvalenza] sono stati posseduti per un periodo non inferiore a tre anni, o a un anno per le società sportive

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professionistiche, [concorreranno a formare il reddito] a scelta del contribuente, in quote costanti nell’esercizio stesso e nei successivi, ma non oltre il quarto. Il

legislatore detta cioè delle condizioni al ricorrere delle quali è possibile fruire di una tassazione “agevolata” di tali valori in quanto la loro formazione, spesso, non dipende dalla volontà dell’imprenditore stesso. Si pensi, per esempio, a beni nella titolarità dell’azienda che diventano di interesse storico. L’agevolazione consiste nella rateizzazione che presuppone, però, che ricorrano due condizioni. La prima fa riferimento al possesso del bene: deve essere ininterrotto da almeno tre anni. Fattispecie particolare è quella relativa alle società sportive professioniste: in questo caso il termine è ridotto ad un anno. La seconda condizione è relativa all’esercizio dell’opzione per la rateizzazione. La norma statuisce che tale scelta

deve risultare dalla dichiarazione dei redditi; se questa non è presentata la plusvalenza concorre a formare il reddito per l’intero ammontare nell’esercizio in cui è stata realizzata. La formulazione della norma potrebbe creare delle difficoltà

interpretative. È chiaro che la dichiarazione dovrà essere sempre presentata ed anche qualora non lo fosse, la plusvalenza concorrerà alla formazione del reddito. Ciò che si presume abbia voluto dire il legislatore è che dalla dichiarazione deve emergere l’esercizio dell’opzione per la rateizzazione della plusvalenza. Qualora la stessa non dovesse essere esercitata infatti non si potrà fruire del regime agevolativo previsto. In questo senso quindi la dichiarazione ha efficacia costitutiva.

Infine l’ultimo inciso del quarto comma detta delle norma ad hoc per i beni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie. In particolare per tali beni, diversi da

quelli di cui al successivo articolo 87 [plusvalenze esenti], le disposizioni dei periodi precedenti si applicano per quelli iscritti come tali negli ultimi tre bilanci; si considerano ceduti per primi i beni acquisiti in data più recente. Due aspetti da

sottolineare. Il primo è relativo al presupposto al cui verificarsi è possibile accedere all’agevolazione: si fa riferimento all’iscrizione in bilancio tra le immobilizzazioni da almeno tre esercizi e non al possesso. Il secondo è relativo alla metodologia attraverso la quale viene individuato il dies a quo da cui far decorrere i tre anni. Si utilizza la metodologia del LIFO considerando pertanto ceduti per primi i beni acquistati più recentemente.

Il comma 5 detta una norma che deroga il principio generale sulla tassazione delle plusvalenze in quanto inquadrata in un contesto particolare relativo alla crisi di impresa. Afferma quindi il legislatore che la cessione dei beni ai creditori in sede di

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beni, comprese quelle relative alle rimanenze e al loro valore di avviamento. La ratio è evidentemente evitare di aggravare una situazione già di crisi che potrebbe

ulteriormente compromettere il buon esito della procedura.

Infine l’ultimo comma dell’art. 86 stabilisce che nelle ipotesi dell’art. 47, commi 5

e 7, costituiscono plusvalenze le somme o il valore normale dei beni ricevuti a titolo di ripartizione del capitale e delle riserve di capitale per la parte che eccede il valore fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni. Le fattispecie determinate

dall’art. 47, commi 5 e 7, sono quelle relative alla distribuzione ai soci delle riserve costituite con sovrapprezzi di emissione delle azioni o quote, con interessi di

conguaglio versati dai sottoscrittori di nuove azioni o quote, con versamenti fatti dai soci a fondo perduto o in conto capitale e con saldi di rivalutazione monetaria esenti da imposta, nonché le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci in caso di recesso, di esclusione, di riscatto e di riduzione del capitale esuberante o di liquidazione anche concorsuale delle società ed enti costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l'acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate.

Norme ad hoc vengono poi dettate qualora l’attività di impresa venga esercitata da un imprenditore individuale. L’art. 56 TUIR afferma infatti che il reddito di

impresa è determinato secondo le disposizioni della sezione I capo II del titolo II salvo quanto disposto dal presente capo. In tema di plusvalenze, l’art. 58 dispone

che per quelle derivanti da cessione delle aziende, le disposizioni del comma 4

dell’art. 86 non si applicano quando è richiesta la tassazione separata a norma del secondo comma dell’art. 17. Il disposto dell’art. 17 subordina l’accesso alla

tassazione separata al ricorrere di due requisiti: l’uno, soggettivo, l’altro relativo all’esercizio dell’opzione in sede dichiarativa. Rispetto al primo profilo si fa riferimento al soggetto che realizza la plusvalenza: affinché si possa accedere alla tassazione separata è necessario che la plusvalenza sia realizzata da una persona fisica esercente attività di impresa commerciale.

La cessione di partecipazioni, infine, può essere realizzata anche da una persona fisica non esercente attività di impresa. La plusvalenza che ne potrebbe derivare viene annoverata, a norma dell’art. 67 TUIR, tra i redditi diversi. Le modalità di tassazione varieranno a seconda della tipologia di partecipazione ceduta. Se infatti la partecipazione è qualificata110 si procederà alla somma algebrica delle eventuali

110 È lo stesso art. 67, comma 2, lettera c) a definire le condizioni al cui ricorrere la partecipazione

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minusvalenze derivanti da cessione di partecipazioni dello stesso tipo: solo il 49.72% di tale differenza, se positiva, concorrerà alla formazione dell’imponibile. Se le minusvalenze dovessero essere maggiori rispetto alle plusvalenze, l’eccedenza potrà essere riportata in deduzione fino a concorrenza del 49,72% dell’ammontare

delle plusvalenze dei periodi successivi, ma non oltre il quarto, a condizione che sia indicata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel quale le minusvalenze sono state realizzate.

Al contrario, se la partecipazione non dovesse essere qualificata, i regimi di tassazione applicabili sono tre:

 Regime della dichiarazione;

 Regime del risparmio amministrato;  Regime del risparmio gestito.

Il regime della dichiarazione o del risparmio individuale si caratterizza dal non ricorso agli intermediari finanziari. Ciò ha quale immediata conseguenza il fatto che gli adempimenti fiscali, in termini dichiarativi e di versamento dell’imposta dovuta gravino in capo al contribuente. In questo caso alla plusvalenza derivante da cessioni di partecipazioni non qualificate verrà applicata un’imposta sostitutiva del 20,00%. “L’imposta è pagata con cadenza annuale sull’incremento del capitale maturato ma non ancora realizzato con la dismissione dell’investimento; essa è, quindi, anticipata al fisco e saldata al momento della vendita dell’attività finanziaria, calcolando l’ammontare dovuto sulla frazione dell’anno in corso111”. Due aspetti da sottolineare: da una parte è prevista la possibilità di compensazione tra plusvalenze e minusvalenze maturate nel corso dell’anno purché derivanti da redditi della stessa natura; dall’altra, però, la tassazione avverrà al momento della maturazione del componente positivo di reddito e non al momento della sua

cessione di azioni, diverse dalle azioni di risparmio, e di ogni altra partecipazione al capitale od al patrimonio delle società di cui all'articolo 5, escluse le associazioni di cui al comma 3, lettera c), e dei soggetti di cui all'articolo 73, comma 1, lettere a), b) e d), nonché la cessione di diritti o titoli attraverso cui possono essere acquisite le predette partecipazioni, qualora le partecipazioni, i diritti o titoli ceduti rappresentino, complessivamente, una percentuale di diritti di voto esercitabili nell'assemblea ordinaria superiore al 2 o al 20 per cento ovvero una partecipazione al capitale od al patrimonio superiore al 5 o al 25 per cento, secondo che si tratti di titoli negoziati in mercati regolamentati o di altre partecipazioni. Secondo il disposto normativo sono quindi due i criteri per

verificare se la partecipazione sia più o meno qualificata: il quantum partecipativo al capitale sociale ed il quantum di voti esercitabili in assemblea ordinaria. È chiaro che gli stessi possono essere applicati solo nel caso in cui si faccia riferimento a partecipazioni detenute in società di capitali. Al contrario se la partecipazione è detenuta in società di persone si dovrà guardare alla sola partecipazione al capitale sociale in quanto nelle stesse non vi è l’obbligatorietà dell’organo assembleare.

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realizzazione. Il regime del risparmio amministrato si caratterizza perché il risparmiatore tiene le proprie attività finanziarie in custodia o amministrazione presso gli istituti di credito senza però affidarne agli stessi la gestione. Di solito si fa riferimento ad un contratto di amministrazione e custodia. Si caratterizza pertanto tale regime per un ruolo marginale, quasi assente, dell’intermediario finanziario nella gestione a fronte, invece, di un ruolo attivo rispetto agli adempimenti fiscali derivanti da operazioni effettuate dal cliente: sarà infatti lo stesso intermediario a calcolare l’imposta dovuta ed a versarla. Anche in questo caso si applica un’imposta sostitutiva del 20,00% al momento però della realizzazione del plusvalore. È inoltre prevista la compensazione tra redditi aventi la stessa natura e se il saldo tra plusvalenze e minusvalenze è negativo, questo potrà essere sottratto dalle plusvalenze realizzate nei successivi quattro anni. Infine il regime del risparmio gestito si caratterizza perché è lo stesso risparmiatore che affida ad un intermediario specializzato (banca, società d’intermediazione mobiliare, fondo comune d’investimento aperto o chiuso e SICAV) la gestione del proprio patrimonio finanziario. Il risparmio può essere gestito:

a) individualmente: il risparmiatore è titolare delle singole attività finanziarie nel suo portafoglio;

b) collettivamente: il risparmiatore è titolare di una quota di un patrimonio indiviso (ad esempio in un fondo comune di investimento).

In particolare “i redditi incassati o maturati nel corso dell’anno (interessi, dividendi, plusvalenze) è soggetto a un’imposta [sostitutiva] del 20,00%, con compensazione delle minusvalenze (se il saldo tra plusvalenze e minusvalenze è negativo, questo potrà essere sottratto dalle plusvalenze realizzate nei successivi quattro anni). L’imposta viene pagata dall’intermediario che gestisce i risparmi dell’investitore ed è calcolata sul risultato netto della gestione maturato, confrontando cioè la valorizzazione del portafoglio investimenti alla fine dell’esercizio con quella all’inizio. Pertanto l’investitore è esente da obblighi nei confronti del Fisco, in quanto ad essi adempie il gestore del suo risparmio e gode del vantaggio dell’anonimato.

Caratteristica distintiva di questo metodo è che sono tassate le plusvalenze maturate, ossia stimate sulla base del valore delle attività possedute in portafoglio a una certa data. In questo modo l’intermediario può effettuare una compensazione

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tra guadagni e perdite eventuali nel patrimonio finanziario del risparmiatore, anche tra redditi da capitale e redditi diversi112”.

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