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Taverna È conservato piuttosto bene anche il completo delle

scenografie, con un interno rustico o Taverna composto da un fondale, sei quinte (tra cui tre archi) e due soffitti (fig. 97). Le quinte (8 x 1, 5 metri), con immagini delle strutture in mattoni grezzi ruvidi, siepi di paglia e ciuffi di fieno sparsi qua e là, creano l’atmosfera di un’anticamera del granaio (fig. 99). Sui soffitti, con grande libertà, sono raffigurati impalcati di tavole lignee. Non manca poi un tocco di solennità: i colori tendono alla monocromia, mentre i tre archi delle quinte, semplici e regolari, si susseguono concentricamente l’un l’altro, conducendo lo sguardo (come in un cannocchiale) verso la finestra semicircolare al centro, che sembra vera – sicuramente illuminata da una lampada a olio posta dietro. La

219 Il Teatro La Fenice di Venezia fu progettato nel 1790 da Gian Antonio Selva (1751 –

1819) in stile neoclassico. Nell’arco di due anni dalla presentazione del progetto, il teatro venne costruito e poi inaugurato il 16 maggio 1792 con la messa in atto de I Giochi di

Agrigento di Giovanni Paisiello. Gonzaga ha ripreso il motivo della rotonda del teatro La

Fenice nella decorazione eseguita per il sipario del teatro del Palazzo di Pavlovsk, nei pressi di San Pietroburgo. Cfr. in proposito M.T. Muraro, Scenografie di Pietro Gonzaga cit., p. 69.

freschezza dei tocchi di pennello si avvicina qui allo stile dei bozzetti scenici ad inchiostro di Gonzaga – raffiguranti atri rustici – presenti presso nella fondazione Cini220 (figg. 100, 101). Rispetto ai temi elaborati in Italia, qui Gonzaga non

aggiunge delle rovine alle forme gotiche predilette dalla scenografia europea preromantica, che si ispirava dalle immagini dei fondachi in campagna. Ciò perché forse, col tempo, Gonzaga elaborò un linguaggio più sobrio e preciso, ottenendo lo stesso gli effetti desiderati, usando una scala ridotta di toni della terra, con variazioni di grigio, ocra e verde, ma anche con tocchi decisi di bianco e nero. Al museo di Arkhangelskoe esiste inoltre un altro disegno a inchiostro fatto da Gonzaga nel periodo russo (fig. 98 a, paragonabile al bozzetto di Gaspare Galliari del Museo Teatrale della Scala, con simile composizione e l’analisi minuziosa ai dettagli, fig. 98 b), rappresentante un interno rustico sempre molto spazioso, dove propone praticamente un’idea di taverna simile ad un atrio alla romana. Esso presenta un arco d’ingresso e un asse prospettico leggermente angolato verso sinistra, per far risalire dei focolari monumentali nelle nicchie ai lati, e lascia intravedere un loggiato al piano di sopra, con un lampadario curiosamente allungato e fissato al soffitto221.

A proposito dei temi rustici interpretati dagli scenografi locali, è interessante ricordare un bozzetto a olio trovato nella collezione della tenuta-museo di Ostankino (fig. 102). Esso appartiene ad un pittore anonimo di inizio Ottocento (forse un’artista della gleba dei Sheremetjev), e, a mio avviso, è possibile confrontarlo con quello di Gonzaga, come una risonanza del tema in questione all’interno della produzione locale: qui è già meno sentito uno spirito ‘anticheggiante’ e si vede bene come il pittore sfrutti la propria conoscenza dei particolari di interni reali delle case contadine russe222.

220 Si tratta della raccolta di disegni e bozzetti scenici di Gonzaga, ad opera dei fratelli

Donghi, che ora si trova presso la Fondazione Giorgio Cini a Venezia. In proposito cfr.

Le carte riscoperte: i disegni delle collezioni Donghi, Fissore, Pozzi alla Fondazione Giorgio Cini (a cura di G. Pavanello), Venezia, Marsilio 2008. La maggior parte di questi

disegni, nonché quelli della collezioni dell’Ermitage a San Pietroburgo, è stata esposta alle mostre: Scenografie di Pietro Gonzaga a Venezia (catalogo a cura di M.T. Muraro, 1967); Omaggio a Pietro Gonzaga nel 1986 a Longarone (catalogo a cura di C. Mangio);

Pietro Gonzaga. La musica degli occhi a Mosca nel 2002; Dal mito al progetto. La cultura architettonica dei maestri italiani e ticinesi nella Russia neoclassica, nel 2003-

2004 (catalogo a cura di L. Tedeschi, N. Navone).

221 Il catalogo di bozzetti scenici di Gonzaga nelle collezioni russe (dal museo di

Arkhangelskoe, Museo Russo, Biblioteca teatrale e dell’Ermitage di San Pietroburgo ecc.) è pubblicato in F. Syrkina, Pietro di Gottardo Gonzaga cit., pp. 221 -243.

222 Questo schizzo, d’autore anonimo, è stato pubblicato solo nel catalogo grafico interno

del Teatro-museo di Ostankino. Nell’analisi faccio riferimento esclusivamente al mio giudizio personale.

questo punto la tela è bucata e coperta dal vetro sottilissimo di roccia, dietro il quale si metteva una lampadina a olio che illuminava la scena di una luce ammiccante. In più, lo scenografo creava un doppio effetto, reale e mistico, aggiungendo delle ombre marcate – sotto il ponticello sul palo e sotto il palo a destra – come se fossero dipese da questo lume. Si nota, ancora, la dominazione delle orme rotondeggianti; l’armonia dell’insieme si basa qui sulle corrispondenze tra gli archi del diametro diverso. Da segnalare che il ritmo delle arcate dipinte sempre dialoga con le forme dei palchetti della sala teatrale, in modo che l’interno finto e l’interno reale abbiano una simile divisione a due livelli. Indubbiamente, il maggior effetto drammatico alla scena del Carcere gli veniva conferito dalla luce notturna, nonché da una novità espressiva del linguaggio pittorico di cui scrive Roberto Gironi, attento alle trasformazioni del colorito peculiare delle scene di Gonzaga, per la quale “prima risentivano di una grande opacità, perché i pittori non facevano uso del nero e del bianco schietto, ostinati a dar risalto ad ogni tinta, abbassandole di troppo col nero o con altro mezzo in ragione dei fondi o della distanza, e togliendo così tutta la vivacitа al colorito... Osservando dunque che tal colorito aveva bisogno di un chiaro naturale o di uno scuro deciso, imprese a dipingere col bianco schietto, marcando la parte scura con un nero-fumo, che gli antecedenti pittori credevano forte di troppo… Egli inoltre ad oggetto di conservare il più grande chiarore nelle principali tinte, procurò di fare a meno delle mezze tinte, o di usarne il meno che gli fosse possibile; perché queste offuscate dalla polvere volante concorrevano ad annebbiare la massa del colorito senza punto produrre quell’effetto di pittorica degradazione che pur richiedevasi

223 “Uscirono intanto alla luce le stampe del celebre Piranesi. Esse ballenarono quasi di

nuova e bella luce all’occhio del nostro pittore, sicché questi animato quasi da un fuoco vivificatore si diede sulla scorta di esse ad imitare l’antico; nel che riuscì stupendamente…” Cit. in M.T. Muraro (a cura di), Scenografie di Pietro Gonzaga cit., p. 19.

in ragione della lontananza”224. Questa sensibilità agli effetti della luce e la

maestria nell’utilizzo del colorito viene fatta derivare da Gironi dalla formazione veneziana di Gonzaga, in primis dall’arte del Canaletto. Nei suoi scritti teorici Gonzaga sottolinea proprio l’importanza della scienza dell’ottica e delle questioni della luce nello spazio teatrale, seguendo in ciò Francesco Algarotti e le idee newtoniane225. Non a caso il tema delle luci, come notato da tutti gli studiosi di

Gonzaga, rappresenta – nel particolare e sensibilissimo modo di proporle – uno dei suoi contributi più innovativi all’arte scenografica. Si sa, ad esempio, che egli eliminò presto le candele, per sostituirle con una sorta di lanterna; esempi di apparecchi simili sono conservati tutt’oggi nel museo teatrale di Arkhangelskoe (fig. 105).