• Non ci sono risultati.

La villa-usad’ba 122 russa nella dicotomia città-campagna nel periodo a

11) e l’Autoritratto (entrambi all’Ermitage, San Pietroburgo), Nelle lettere che s

1.2. La villa-usad’ba 122 russa nella dicotomia città-campagna nel periodo a

cavallo dei secoli XVIII-XIX.

La distinzione tra città e campagna come luoghi di due tipi differenti di cultura è un tema che è stato in passato ampiamente dibattuto123. Questa dicotomia è molto 120 La poesia di Alessandro Pushkin intitolata A un dignitario (1830, vedi Allegato I) è

dedicata a Nikolaj Jusupov (1751—1831), dal 1810 al 1831 il più famoso proprietario della tenuta Arkhangelskoe. Al tempo di Jusupov il complesso architettonico raggiunse il suo maggior splendore.

121 Dei primi proprietari della villa oggi non è conservato niente a parte la chiesa. Dal

1681 al 1703 la villa appartenne al nobile Mikhail Cerkasskij, dopo il quale divenne proprietà dei principi Golitsyn.

122 L’interpretazione dettagliata del termine (e del fenomeno) russo di usad’ba va

ricondotta in rapporto al concetto europeo di ’villa’ come luogo del mondo privato, protetto, simile ad hortus conclusus e sempre paragonato (nella letteratura) al paradiso terrestre - termine che ha la stessa radice della parola, sad (appunto ’giardino’ in russo). Al proposito si veda l’importante studio di E. Dmitrieva e O. Kuptsova intitolato Zhizn’

usadebnogo mifa. Poterjannij i obretennij raj (La fortuna del mito della residenza –

usad’ba. Il paradiso perduto e ritrovato), Mosca 2008. Nella tesi, parlando del contesto russo, userò entrambi i termini (sia villa che usad’ba) come sinonimi, insieme ai più comuni ’residenza’ e ’tenuta’.

123 In passato la città e la campagna hanno sempre rappresentato due diversi tipi di

economia e di organizzazione dello spazio, quindi due diversi paesaggi e due differenti civiltà. Sul rapporto città-campagna analizzato attraverso tre approcci (cultural-

sentita già nella letteratura dell’antichità latina (in primis in Virgilio) e rappresenta un topos abbastanza frequente nella cultura di varie epoche per poter essere qui descritto seppur brevemente.

Bisogna però sottolineare che, nella moderna civiltа europea, la contrapposizione tra la vita cittadina e quella rurale acquista un vigore particolare all’epoca dei Lumi. Punto focale ne è, ad esempio, il dibattito svoltosi in proposito tra Rousseau e Voltaire: mentre Voltaire (nel poema intitolato Le

Mondain, 1736) glorificava la vita lussuosa e mondana come il modo unico di

vivere (che diventa possibile solo alle condizioni presenti nelle città e funge da motore per lo sviluppo della civiltа), Rousseau criticava strenuamente la città, considerandola come uno spazio contaminato da uno sfarzo illusorio.

L’eco di questo dibattito arrivò in Russia nella seconda metà del Settecento. L’epoca del cosiddetto Sentimentalismo fece nascere una serie di testi che esaltavano la campagna come luogo di valori puri e genuini, in contrasto con l’artificiosità dello spazio e dello stile di vita cittadino. Il pathos di questi testi ebbe una forte risonanza nella mentalità russa anche oltre l’epoca dei Lumi (che si protrasse, in Russia, dal 1760 al 1792), nella cultura del Sentimentalismo, prima, e del Romanticismo, poi. Inizialmente l’elogio della vita rurale assunse forme poetiche sia nelle traduzioni dirette che nelle imitazioni delle odi di Orazio. In questo filone si pone l’ode, ad opera di Mikhail Kheraskov, intitolata Sinceri

auguri dell’amicizia (1762), scritta dall’autore sotto forma di lettera indirizzata

all’amico-rousseauista; nella vita naturale della campagna, infatti, lo scrittore individuava quell’ideale di armonia e di purezza di costumi e sentimenti che nel mondo della città erano ormai perduti.

Assumendo la forma di dialogo tra un eremita campagnolo e un cittadino, con l’elogio dei veri vantaggi della vita in campagna rispetto ai vizi di città, si svolse la conversazione tra il poeta classicista Gavriil Derzavin (1743-1816) e l’architetto e filosofo Nikolaj L’vov (1753-1804). Il discorso letterario ebbe in questo caso un concreto prototipo nella vita reale, visto che in quel momento Derzavin prestava il servizio a corte, mentre L’vov viveva in campagna. Il poema, con la dedica a Nikolaj Aleksandrovich L’vov (1792), inizia con parole di benedizione della vita semplice, lontana dalla tristezza della città con le sue risate, gelosie e superbie di corte. L’vov, che viveva attivamente in campagna (scrisse anche il Manuale dell’architettura di campagna, che lo consacrò come uno dei naturalista, strumentale, urbanistico-pianificatorio) si veda ad es. lo studio di P. Guidicini, Il rapporto città-campagna, Jaca Book, Milano 1998.

in questo panorama è interessante notare che la biografia dell’abitante della campagna viene rappresentata, nella letteratura, come un testo “appositamente e coscientemente creato”, dove la vita sembra semplice ma ha invece un profondo significato124. Questa idea dell’alto significato della quotidianità della vita in

campagna – di chiara derivazione oraziana – attraversa tutta la letteratura russa dell’Ottocento, da Pushkin e Griboedov fino ad arrivare a Leone Tolstoj. Pushkin descrisse il “suo” senso della campagna nel primo capitolo di Eugenio Onegin come un vero e proprio credo, paragonandolo a quello del lussuoso cittadino Onegin (per il quale “… la noia era uguale anche in campagna: senza strade, né

palazzi, giochi, balli e poesie …”): Io son nato per la quiete, Per la vita di campagna: Più è in disparte e più sonora È la voce della lira,

E la fantasia più accesa. In ingenui passatempi Vago sul lago deserto

E far niente è la mia legge…”125

Da un altro lato, quindi, questo fenomeno presenta una doppia faccia (come Eugenio Onegin è la “seconda faccia” dello stesso Pushkin), per la quale l’uomo sentimentale e romantico fugge sì in campagna, ma fugge anche dalla campagna. Per questo il vero significato della bellezza rustica va apprezzato “a distanza”: in ossequio a tali dettami la nobiltà russa trascorreva i mesi invernali in città, mentre

124 Cfr. L.N. Letjaghin, Russkaja usad’ba: mir, mif, sud’ba (La villa russa: il mondo, il

mito, il destino), in “Russkaja usad’ba”, vol. 4, n. 20, vol. 4, Mosca 1998, p. 256.

125 Si usa la recente traduzione di Fiornando Gabbrielli in A. S. Puškin, Eugenio Onegin,

d’estate si recava in campagna, alternando così periodi dai significati e ruoli molto diversi. Per lo stesso Pushkin “San Pietroburgo è l’anticamera, Mosca è il camerino delle donne, invece la campagna è il nostro studio”126. Qui emerge un

ulteriore livello del rapporto con i luoghi rustici: quando il poeta sentiva il suono della lira, fuggiva in campagna in cerca della creatività. Tra l’altro la fuga in campagna (e la storia dei primi proprietari di Arkhangelskoe lo conferma) significava anche la presa di coscienza della scelta a favore dell’isolamento del nobile illustre in opposizione al potere dominante. Nella storia russa questa opposizione, che sembrava una scelta naturale per un letterato o filosofo, assumeva la grave forma dell’esilio politico qualora fosse legata al conflitto con la monarchia. Fu questo il caso di Pushkin che, come accennato, trascorse due anni (1824-1826) senza potersi spostare, confinato nel villaggio di Mikhailovskoe, tra i boschi a nord di San Pietroburgo.

Bisogna però a questo punto fare una precisazione relativa e introdurre il concetto della villa russa (usad’ba) nella relazione tra città e campagna. Nella discussione tra la civiltà cittadina e la libertà contadina, infatti, l’esistenza della villa porta alcune correzioni. In realtà la villa (come il castello o la residenza suburbana) non fu precisamente una casa rustica. Fin dall’inizio il complesso della villa in campagna pretese di essere uno spazio di cultura trasportato in un contesto naturale. Quindi nel dialogo tra città e campagna la villa russa occupa una posizione intermedia, riunendo meriti e vizi della dicotomia finora sommariamente descritta. Ponendosi al di fuori della priorità assegnata, a seconda delle epoche, all’arte o alla natura, la villa infatti sintetizza entrambe. Questo carattere particolare della villa (anche di quella russa) segnò ad esempio l’opera del poeta romantico Afanasij Fet, che scrisse: “Cosa vuol dire la villa nobiliare dal punto di vista spazio-morale?... È la casa col giardino, posizionati nel cuore della natura, quando l’anima dell’uomo si riunisce con quella della natura nella fioritura e nella rinascita organica. Il naturale non si distanzia dall’attività nobile e coltivatrice dell’uomo, quando la poesia della terra natale coltiva l’anima insieme alle meraviglie di belle arti e sotto il tetto del palazzo non svanisce il suono della musica del quotidiano, questo miscuglio del lavoro, delle feste, dell’amore gioioso e di pura contemplazione…”127.

126 Cfr. E. Dmitrieva, O. Kuptsova, Zhizn’ usadebnogo mifa (La fortuna del mito della

residenza – usad’ba) cit., p. 12.

127 Cfr. A. Fet, Sochinenia (Opere), Mosca 1982, p. 477.

rallegrandosi della possibilità di strutturare il paesaggio a proprio piacimento. Quando invece nell’ultimo trentennio del Settecento la natura stessa diventa il campione estetico dell’arte, la villa con la sua architettura s’infila pienamente in questo gioco mimetico. Il giardino imita quindi il bosco selvatico, nelle sale si pongono decorazioni di fiori e alberi artificiali, si costruiscono case di legno in stile imperiale, con le colonne che riportano metaforicamente alle forme di tronchi d’albero128.

Il fenomeno della residenza privata si radicò profondamente in Russia proprio tra il Settecento e l’Ottocento grazie alle influenze italiane e francesi, per poi rifiorire fino alla scossa assestata dalla rivoluzione del 1917 (che segnò il passaggio all’agricoltura collettiva). Per questo, all’inizio del Novecento il degrado del mondo delle ville significò, per letterati e filosofi russi, la morte della cultura, sostituita dal concetto “barbarico” di civiltà.

È da sottolineare anche che, entrando nell’opposizione città-campagna, la villa uniì tra loro non solo due concetti della dicotomia, ma acquisì molti tratti che la avvicinavano alla città che nel pensiero russo settecentesco e ottocentesco significava la città par excellence, cioè a San Pietroburgo. In sostanza, la villa russa, come San Pietroburgo, si poneva inizialmente come uno spazio “straniero”129 ed “estraneo” rispetto alla cultura russa del Settecento. Secondo 128 Cfr. V okrestnostjah Moskvi…Iz istorii russkoj usadebnoj kulturi XVIII-XIX vekov

(Nei pressi di Mosca…Dalla storia della cultura delle residenze suburbane russe dei sec. XVIII-XIX), a cura di M.Anikst, V. Turchin, Mosca 1979, p. 161.

129 Il comportamento ’come straniero’ caratterizza tutta la cultura ’neoeuropea’ affermata

in Russia da Pietro il Grande. Nel paese che, ’da zero’, studiava lingue, modi di fare, stili artistici, si affermava giocoforza un modo di comportarsi innaturale e ludico, che riguardò anche le tendenze teatrali nutrite dai gusti e dai costumi russi quotidiani. Questo incontro tra culture diverse si trasformò nell’Ottocento nella teatralizzazione totale della vita. Al proposito, si veda J. M. Lotman, La poetica del comportamento quotidiano nella

cultura russa del XVIII secolo, in J. M. Lotman, Testo e contesto. Semiotica dell’arte e della cultura, a cura di S. Salvestroni, Bari 1980, pp. 201-205.

l’opinione dello storico Nikolaj Karamzin (Scritti del vecchio abitante di Mosca, 1803) l’idea stessa della natura e della campagna, per il cittadino, si rileva solo nell’epoca di Pietro I130. Quindi la villa russa del Settecento – che non è l’Europa,

ma neanche la Russia, costituendosi simbolicamente come uno spazio a parte, a volte l’Arcadia dei miti131, a volte l’Italia reale, che in Russia (e non solo132)

comunque paragonavano all’Arcadia133 - non è lo spazio russo, e ricorda o San

Pietroburgo o Venezia piuttosto che le realtà nazionali.

Nel corso dell’Ottocento, comunque, il panorama delle ville russe andò assimilandosi al contesto paesaggistico circostante, alla pari di quanto avvenne anche per San Pietroburgo. I viaggiatori russi e stranieri, che in precedenza avevano notato l’estraneità delle forme architettoniche pietroburghesi e delle ville rurali rispetto al contesto russo, col tempo cominciarono a notare sia nelle une che nelle altre le tracce di una immagine condivisa, ovvero l’immagine della patria russa. L’immagine della villa neoclassica, le cui caratteristiche più evidenti si ritrovano nella presenza di porticati e di un parco, considerata come “tipicamente

130 Karamzin scrive: “I bojardi [nobili antichi] di Mosca non andavano in campagna, non

avevano le residenze suburbane e non ebbero nessun richiamo di godere la Natura… Solo con lo zar Pietro il Grande i nobili presero gusto di costruire le case nei pressi di Mosca, invece ancora quarant’anni prima il cortigiano russo considerava fuori del normale lasciare il proprio palazzo in città”. Cfr. N. M. Karamzin, Socinenija (Opere), vol. 8, Mosca 1835, p. 142.

131 La tradizione europea dei Lumi (con Diderot, Helvetius, Voltaire) ha preso in eredità

dalla letteratura antica la leggenda riguardante l’età dell’oro, lo stato semplice e poi perduto dell’uomo, combinandola con dottrina sullo sviluppo progressivo sociale e materiale della civiltà. Si veda ad es. Th. Bulfinch, Golden Age of myth and legend, London 1994; Music & Painting in the Golden Age, eds. Edwin Buijsen and Louis Peter Grijp, The Hague, Zwolle 1994.

132 Sullo sviluppo del concetto virgiliano dell’Arcadia come luogo dell’eterna primavera (locus amoenus) si veda lo studio di Dennis Hardy, Colin Ward, Arcadia for All: The

legacy of a makeshift landscape, London 1984. Ricordiamo al proposito la finta fattoria

di Marie Antoinette a Versailles come lo spazio arcadico riconducibile alla villa e la presenza di imitazioni arcadiche presso la corte francese fino al 1789 e all’arrivo del neoclassicismo. L’eredità di tale tendenza fu presa poi dalla cultura germanica, radicandosi nelle poesie (come Idyllen, 1756-1772) di Salomon Gessner (1730-1788), che trasportavano il lettore in una età d’oro, paragonando la natura allo spazio diabolico della città. I filosofi tedeschi della fine del Settecento (come Herder, Fichte, Novalis) criticarono Gessner, mentre tra i seguaci di Gessner dell’Ottocento vi furono gli autori della cosiddetta prosa campagnola (Dorfgeschichte).

133 L’Arcadia russa nelle ville settecentesche fu costantemente elogiata dai letterati del

Sentimentalismo. Alla sfera della costruzione del mondo arcadico in campagna – su esempio delle residenze private, come quella di Marie Antoinette a Versailles – appartengono le ville suburbane dell’imperatrice Maria Fjodorovna (ad esempio quella di Pavlovsk, che aveva tra gli altri padiglioni una fattoria, una latteria ed un pollaio). Il poeta G. Derzavin dedicò a Pavlovsk il suo poema del 1808, in cui chiamò la villa “regno paradisiaco”, e nel 1816 l’elogio fu ripetuto da Nikolaj Karamzin. Cfr. E. Dmitrieva, O. Kuptsova, Zhizn’ usadebnogo mifa (La fortuna del mito della residenza – usad’ba) cit., p. 152.

queste riconducibili, mentre San Pietroburgo perse il suo prestigio ed il suo ruolo non solo di capitale, ma anche di città par excellence.

Tutti i passaggi storici finora descritti in relazione allo sviluppo ed al declino della villa russa sono pienamente rintracciabili anche nella stessa storia della villa di Arkhangelkoe, diventata col tempo anche una sorta di villa-ricordo,

134 Ad esempio, Ivan Bunin (1870-1953), poeta simbolista russo, appartenne all’ultima

generazione di scrittori la cui infanzia fu trascorsa nelle ville-usad’ba della Russia centrale. Le sue poesie e i racconti del periodo del suo trasferimento in Francia (avvenuto nel 1920) sono infatti dedicati proprio alle ville russe e comunicano l’idea dell’abbandono, del vuoto, dello spegnimento: “Mi turba il silenzio muto, mi turba il vuoto del nido muto. Qui sono cresciuto. Ma dalla finestra mi guarda il giardino compunto… ”, da Il vuoto, 1903). Lo stesso spirito riempie anche i suoi racconti lirici. Lo dimostra ad esempio l’inizio del racconto intitolato Antonovskie jabloki (trad.: Le mele di Antonovo): “Ricordo la prima mattinata, fresca e silenziosa… Ricordo il giardino, tutto dorato, asciutto e diradato, ricordo i viali di aceri, il lieve profumo dei fogli caduti e… l’odore delle mele, del miele e della freschezza autunnale…” Questo odore avrebbe accompagnato Bunin nel corso di tutti i suoi viaggi, così come il ricordo della patria (“quest’odore sano d’autunno mi trasporta in campagna, nelle tenute dei latifondisti…”). Cfr. I. A. Bunin, Stihotvorenia. Rasskasi. Povesti (Poesie. Racconti. Novelle), Mosca 1973. Sulla presenza delle immagini di usad’ba nelle opere di Bunin si veda inoltre: A.B. Razina, Rol’ usad’bi v formirovanii poetici i estetici Ivana Bulina (Il ruolo di usad’ba nella formazione della poetica e dell’estetica di Ivan Bunin), in Russkaia usad’ba,

Sbornik Obsciestva izuchenija russkoj usad’bi (L’Usad’ba russa, Rivista della Società

dello studio del fenomeno della tenuta russa), n. 9 (25), Mosca 2003, p. 426.

135 Oggi le antiche dimore delle delizie presenti nelle campagne situate nei pressi di

Mosca sono oggetto di un recupero architettonico effettuato con discreto successo, dando spunto ad un revival dell’architettura suburbana su esempi neoclassici. I nuovi ricchi russi oggi amano infatti commissionare agli architetti delle ville “in stile classico dell’inizio Ottocento” (ovvero in stile dell’Impero), quindi con padiglioni, teatri e tutti gli altri segni del mito di derivazione arcadica. A proposito di ricostruzione e restauro delle ville russe, si vedano le riviste della Società per lo studio della cultura di ville russe dei sec. XVIII-XIX, organizzazione riformata nel 1992 dopo l’interruzione causata dagli anni di dominio sovietico. Essa organizza convegni, seminari e viaggi specializzati mirati soprattutto ad attirare l’attenzione sul periodo della fioritura delle tenute russe (1790- 1917): Russkaja usad’ba. Sborniki Obscestva izuchenia russkoj usadbi XVIII-XIX vekov (La Villa Russa. Fascicoli della società per lo studio della cultura di ville russe dei sec. XVIII-XIX) aa. 1923 – 2009.

di villa-museo e di villa-viaggio soprattutto per il suo ultimo proprietario, il principe Nikolaj Jusupov.