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ATTI DEL CONGRESSO

60 MODELLI DI RESILIENZA IN PSICOPATOLOGIA

P. Stratta1, A. Collazzoni2, A. Rossi2 1

Dipartimento di Salute Mentale, ASL 1, L’Aquila 2

Dipartimento di Scienze Cliniche Applicate e Biotecnologie (DISCAB), Università de L’Aquila Introduzione

E’ ampiamente riportato nella letteratura e nella pratica clinica quotidiana che le persone mostrano un adattamento psicosociale migliore di quanto circostanze oggettive negative suggeriscano. Ad esempio, il funzionamento scolastico ed accademico può essere elevato nonostante difficoltà psicosociali nella fanciullezza e nell’adolescenza, ed il Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD) è l’eccezione e non la regola dopo l’esposizione ad eventi traumatici (1).

Nell’ultimo decennio queste osservazioni hanno portato ricercatori e clinici a porre il loro interesse sugli esiti positivi dell’adattamento post-traumatico ed in particolare alla resilienza. Benché oggetto di rilevante interesse clinico e di ricerca, non si è ancora raggiunto unanime consenso sulla natura del costrutto. Tra le definizioni proposte, quelle di processo o capacità di esito positivo a seguito dell’esposizione ad eventi traumatici o estremi, capacità di riprendersi e di uscire più forti e pieni di nuove risorse dalle avversità e processo attivo di resistenza, autoriparazione e crescita in risposta alle crisi ed alle difficoltà inevitabili della vita, sono le più utilizzate (2, 3, 4).

La resilienza implica caratteristiche fenomenologiche e processuali che non sono un’acquisizione permanente ma possono variare nello stesso individuo, nella famiglia, nella comunità quando nuove vulnerabilità e risorse emergono con cambiamenti delle circostanze di vita in particolari fasi di transizione nello sviluppo psicofisico (es. pubertà, inizio università, cambio di lavoro, matrimonio, malattie).

L’incremento di capacità di ‘coping’ o modificazione di fattori ambientali (familiari, lavorativi, economici, abitativi) possono ridurre la vulnerabilità e costruire la resilienza, aiutando a promuovere auto-efficacia, autostima ed accettazione di sé: questi rappresentano elementi protettivi contro l’esordio di disturbi mentali e forme di difesa contro la demoralizzazione e il senso di sconfitta (5).

La resilienza costituisce uno dei fattori o dei processi che interrompono la catena causale che va dai fattori di rischio all’esito negativo favorendo l’adattamento positivo. E’ stata inoltre considerata come un meccanismo protettivo che modifica le risposte individuali a circostanze ambientali avverse mantenendo un funzionamento psicologico e fisico positivo (6).

Storicamente ha costituito la cornice all’interno della quale la psicopatologia dello sviluppo ha tentato di comprendere come fanciulli ed adolescenti esposti ad eventi negativi non sviluppassero esiti disadattivi (6, 7, 8). La resilienza è multidimensionale e multi-determinata da una combinazione di caratteristiche fisiologiche e di fattori di personalità. Resilienza e vulnerabilità costituiscono l’effetto dell’interazione di diversi fattori, tra i quali sono compresi quelli genetici, che possono manifestarsi nel temperamento, nell’intelligenza o nella personalità come nella diversa suscettibilità ai possibili eventi ambientali. Se la resilienza si riferisce a caratteristiche dell’individuo che lo aiutano ad affrontare positivamente eventi di vita avversi, vi sono tratti di personalità che sono associati ad esiti positivi in seguito ad eventi avversi di vita. Un argomento oggetto della concettualizzazione del costrutto della resilienza è relativo al suo significato come effetto compensatorio o protettivo (6). Il modello compensatorio prevede una situazione dove la resilienza opera in direzione opposta al fattore di rischio. Essa ha un effetto diretto sull’esito indipendentemente dal fattore di rischio. Un effetto protettivo indica invece che i fattori di resilienza riducono gli effetti del fattore di rischio rispetto all’esito. Può neutralizzare o ridurre, senza completamente eliminarlo, oppure può incrementare gli effetti di fattori protettivi. L’effetto protettivo può essere considerato una sorta di risposta immunitaria che non si manifesta in assenza di infezione ma che si attiva in presenza di eventi stressanti e difficoltà, che coinvolge la risposta individuale in termini di competenze ed abilità sia della persona colpita che della sua rete sociale (9).

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61 Anche se viene riconosciuta alla resilienza una natura dinamica e di processo, alcuni autori descrivono come personalità resilienti assetti psicologici precedenti all’esposizione allo stress che, in parte, possono determinare il successo dell’adattamento.

Le personalità resilienti sono caratterizzate da una percezione del sé matura e differenziata, da tratti che favoriscono relazioni interpersonali forti, stabili e reciproche che favoriscono un elevato funzionamento adattivo. Tali caratteristiche sono l’opposto di quelle descritte nei disturbi di personalità (10, 11).

Per quanto riguarda gli studi relativi all’impatto del genere sulla resilienza, i risultati non sono univoci, variando in rapporto all’età in cui è avvenuto l’evento stressante ed alla sua tipologia. Diversi studi hanno rilevato un’assenza di differenze nel livello di resilienza tra individui di sesso femminile e maschile. Altri studi invece rivelano importanti differenze di genere, con le donne in grado più che gli uomini di esprimere migliori profili di capacità di resilienza anche in presenza di disturbi psichiatrici. Le donne sono maggiormente in grado di far conto su un maggior supporto familiare e sociale, mentre gli uomini hanno una maggiore percezione di competenza personale e di auto-efficacia. Questa influenza di genere può essere più evidente in determinati periodi dello sviluppo psicofisico (12, 13, 14).

La resilienza in persone con disturbi mentali

Fattori protettivi come stili di coping, autostima e resilienza sono stati studiati per il loro possibile ruolo nella formazione di sintomi, funzionalità sociale e prognosi nei disturbi mentali (15, 16, 17).

La vulnerabilità di un soggetto è compensata, almeno in parte, da fattori di resilienza, che comprendono tutte quei meccanismi intrinseci/endogeni ed esogeni, che sostengono e mantengono uno stato di salute, permettendo così alle persone di affrontare situazioni stressanti. Tra queste situazioni si possono anche comprendere tratti della personalità disfunzionali o condizioni psicopatologiche. La resilienza agisce così da permettere la migliore condizione possibile di benessere psicologico anche in presenza e nonostante un disturbo psichico.

L’attenzione nei confronti della resilienza è aumentata negli ultimi anni anche se il campo della salute mentale è sempre particolarmente rivolto alla psicofarmacologia come modalità di trattamento primario. Riconoscendo che fattori biologici influenzano notevolmente il comportamento e che i farmaci sono in grado di migliorare in modo significativo una serie di sintomi di disturbi mentali, gli operatori della salute mentale riconoscono anche, e la ricerca conferma, che interventi sulla resilienza sono è una componente importante per aiutare le persone che hanno sofferto di traumi. La capacità di resilienza in soggetti con disturbi psichici non termina nel momento in cui viene posta una diagnosi di un disturbo mentale, anche quando stanno lottando, spesso con fatica, per potersi riprendere (18). Negli ultimi anni ricercatori e clinici hanno indagato sugli effetti della resilienza su sindromi e sintomi psichiatrici. Diversi studi suggeriscono che persone con disturbi mentali, anche con disturbi psicotici, possono manifestare capacità di resilienza, persino se sottoposti a eventi stressanti gravi. Un esempio di resilienza è quello che si evidenzia in caso di esposizione a calamità o situazioni di emergenza, situazioni in cui talora si osservano persino miglioramenti (19, 20, 21). Tali capacità di resilienza talora sono anche in grado di modulare/moderare la gravità di sintomi depressivi di in individui esposti a diversi tipi di traumi (22).

Resilienza e processi di guarigione sono costrutti correlati che hanno suscitato notevole interesse nel campo della ricerca clinica (18, 23, 24). Sono questi processi complessi che implicano la possibilità di ricostruzione di vita, autostima e speranza per un futuro migliore, che probabilmente rappresentano elementi di un fenomeno dalle molte sfaccettature.

La resilienza quindi, quale capacità di riprendersi dopo evento stressante, sia esso una patologia, un evento catastrofico o persino entrambi insieme, può essere una risorsa importante da tenere in conto in quanto possibile obiettivo di interventi. Se così, la resilienza insieme con il concetto di recupero/guarigione, permette anche nei disturbi mentali un miglioramento anche indipendentemente dal trattamento

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62 farmacologico. Maggior interesse dovrebbe essere focalizzato sulla costruzione ed incremento di fattori di resilienza e facilitare il recupero, non solo sulla gestione dei sintomi (24).

All'interno di un approccio integrato focalizzato sul soggetto, basato su un quadro bio-psico-socioculturale, la valutazione di elementi resilienti possono offrire la possibilità di una corretta e personalizzata prevenzione, diagnosi e cura (25).

Resilienza e psicosi

Le psicosi hanno un impatto negativo sulla qualità di vita e del benessere della persona, ma il loro miglioramento può essere ancora un obiettivo realizzabile. Tali persone possono cioè raggiungere e trovare una condizione di benessere pur all’interno della malattia. Il valore di tratti psicologici positivi quali resilienza ed ottimismo per il miglioramento della salute e del benessere è stato documentato (26), anche se non valutato in maniera sistematica quanto sarebbe opportuno.

A seconda del grado di vulnerabilità, oltre alle risorse sia interne che esterne della persona, il corso della malattia ed il suo esito sarà differente, come evidenziato da studi longitudinali di follow-up, che indicano che circa il 25 al 30% delle persone con schizofrenia può essere considerata pienamente guarita nel corso del periodo considerato, con un altro 25 a 45% che riporta un significativo miglioramento (27, 28).

Queste osservazioni hanno importanti implicazioni cliniche e di ricerca in quanto depongono per la possibilità di guarigione che genera una speranza nei pazienti e negli operatori, dimostrando che le persone con schizofrenia non sono condannati a una vita di disabilità.

Una rilevante prospettiva per il futuro della ricerca clinica è quello di esaminare la fattibilità e l'efficacia di interventi destinati a questi fattori tra persone affette da disturbi psicotici. Una condizione di benessere e, perché no, di felicità non sono incompatibili con una condizione di psicosi cronica, ma fortemente correlati con una serie di tratti o fattori psicosociali positivi (29).

Correlazioni tra benessere e vari costrutti psicosociali positivi sono di rilevanza, in quanto costituiscono una base empirica di psicoterapie volte alla riduzione dello stress (30, 31), migliorando la resilienza (16, 32), e aumentando l'ottimismo (33).

Studi condotti in persone ad elevato rischio per sviluppo di psicosi possono essere di notevole valore euristico per identificare fattori di resilienza per psicosi. Studi di follow-up di gruppi di soggetti ad elevato rischio senza successiva transizione possono darci l’opportunità di comprendere la traiettoria del processo psicopatologico. E’ verosimile si possa imparare da queste persone quali sono gli elementi che in qualche modo proteggono, pur in presenza di elevata vulnerabilità, dal passaggio al disturbo manifesto.

Lo sviluppo di una psicosi può essere considerato come un continuum tra precoci lievi sintomi prodromici e la condizione di franca patologia. Uno stato di elevato rischio per psicosi può essere conseguenza di una predisposizione genetica (34) e/o interazione con fattori epigenetici che intervengono nel neurosviluppo, e/o fattori stressanti (35, 36) che portano all’aumento del rischio clinico. In soggetti in fase prodromica, capacità di controllo interno ed un concetto positivo di sé risultano predittivi di una buona qualità di vita (37). Pur in presenza di disfunzione sociale e sintomi prodromici, in particolare sintomi negativi, gli stili di coping adattivi e la resilienza rappresentavano fattori protettivi in grado di influire sulla qualità di vita e sul funzionamento psicosociale ed interpersonale.

Fattori psicologici, come la bassa autostima, alto nevroticismo e convinzioni negative su di sé, possono conferire la vulnerabilità alla psicosi in soggetti ad alto rischio (38, 39).

In presenza di fattori di vulnerabilità psicosociale, quali sensibilità allo stress interpesonale e tendenza a percepire sentimenti di ostilità, se non compensate da fattori di resilienza, maggiore è la possibilità di andare verso una condizione di franca psicosi e di deterioramento del funzionamento psicosociale. La promozione di un adeguato funzionamento sociale può quindi passare attraverso l’incremento di fattori di resilienza oltre che l’intervento sulla sintomatologia.

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63 Plausibili strategie di intervento volte a rinforzare fattori protettivi possono quindi comprendere tecniche di promozione della resilienza e sulla riduzione del distress correlato ai sintomi. Anche in condizioni di elevato rischio, si potrebbe in tal modo prevenire la transizione in franca condizione psicotica.

Importante obiettivo della ricerca è quello di individuare indicatori che permettano di identificare i soggetti che pur in presenza di fattori di rischio per psicosi, possano selettivamente essere trattati con interventi integrati che comprendano il miglioramento e l’espressione di capacità di resilienza. I risultati evidenziano la possibilità che il rafforzamento strategie di coping nei confronti dello stress, costruzione ed incremento di fattori di resilienza, e la promozione di stili di recupero possono essere bersagli di intervento utili a ridurre la gravità dei sintomi, e migliorando la traiettoria a lungo termine della malattia. Questi obiettivi terapeutici offrono il potenziale di ridurre la gravità dei sintomi anche senza intervenire direttamente sui contenuti, in maniera coerente con la recente attenzione su approcci terapeutici volti a stimolare i punti di forza della persona (40).

Resilienza e disturbi dell’umore/ansia

Disturbi dell'umore e d'ansia hanno una rilevante importanza clinica data la loro alta prevalenza, associate a sostanziale disabilità ed alti tassi di ricadute e recidive ed esito a lungo termine non sempre positivo (41). Circa il 70% delle persone con depressione rispondono sì al trattamento farmacologico, ma molti di questi non giungono comunque ad una completa remissione dei sintomi. Una importante sfida del trattamento è quindi oggi la prevenzione delle ricadute ed il raggiungimento del completo recupero (42). Una elevata resilienza può svolgere un ruolo nel migliorare la risposta al trattamento dei disturbi dell’umore (42) e le basi neurobiologiche condivise tra depressione e resilienza allo stress (43) supportano questa ipotesi. Recentemente notevole è stata l’attenzione focalizzata sui fattori che promuovono la resilienza e il comportamento resiliente, in grado di aiutare a prevenire la depressione.

Resilienza in giovani adulti a rischio per la depressione è associato a fattori di protezione sia individuali che relazionali durante l'adolescenza. Avere una visione positiva della vita durante gli anni formativi dell'adolescenza può contribuire a ridefinire le avversità come sfide ed opportunità di crescita. Gli individui con una prospettiva positiva diventano più soddisfatti della vita e di loro stessi, intraprendono più relazioni gratificanti, e tendono a funzionare meglio. Fattori di protezione sia propri dell’individuo o provenienti da interazioni positive possono rinforzarsi reciprocamente, creando una spirale positiva che conduce ad esiti resilienti.

Fattori con possibilità di contribuire a diversi livelli di resilienza sono: un atteggiamento di ottimismo realistico, il sostegno sociale, modelli resilienti da poter imitare, spiritualità e religiosità, senso di avere uno scopo nella vita, capacità di accettazione, cura della salute e del benessere, un approccio attivo alla soluzione dei problemi con ricerca di eventuali opportunità pur in presenza di avversità (43).

Fattori psicologici positivi, modificabili, quindi potenziali obiettivi di intervento, hanno implicazioni cliniche mediate dalla resilienza in questi pazienti, associati con una prognosi migliore (5). Questi interventi sono tuttavia non semplici nella pratica clinica data la complessità e la difficoltà di identificar la natura dei fattori di resilienza significativi. Dei vari sintomi, una grave ansia di tratto sembra essere il fattore predittivo più affidabile di una scarsa resilienza in pazienti con disturbi depressivi e/o ansia (44).

Disturbi quali depressione e / o ansia possono essere considerate avversità da affrontare, per cui i fattori di resilienza possono essere significativi nei processi di coping e di recupero/guarigione. La resilienza, migliorando l'autostima può fungere da mediatore che permette di aumentare la probabilità di successo di fronte ad esperienze negative con maggiore capacità di adattamento positivo (45, 1). Se così, una scarsa resilienza porta a debole autostima ed inefficienza di fronte ad esperienze negative. Presenza ed interazione di una bassa ansia di tratto con alta resilienza, oltre a fattori demografici e clinici, contribuiscono al migliore esito del trattamento.

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64 Resilienza e disturbo post traumatico da stress

Molte persone sono esposte potenzialmente a perdite o a eventi traumatici durante la loro vita, ma non tutti reagiscono a questi eventi potenzialmente disturbanti nello stesso modo (1). Sulla base dei dati epidemiologici, circa il 60% degli uomini e il 50% delle donne riporta almeno un evento traumatico durante la loro vita.

Il verificarsi durante la vita del PTSD varia invece tra il 6% e il 9%. Tuttavia, non tutti i soggetti con una storia personale di abuso infantile o di altro tipo di esposizione al trauma sperimenta sintomi psicopatologici (46). Come gli psicologi dello sviluppo hanno affermato per molto tempo, non esiste un unico mezzo per mantenere l’equilibrio a seguito di eventi altamente negativi, ma piuttosto molteplici vie di recupero (47). Questi ed altri studi dimostrano che le persone non solo riescono a sopravvivere agli eventi estremamente tragici, ma sono in grado di gestire le conseguenze o addirittura raggiungere cambiamenti psicologici e personali positivi nel periodo successivo ai traumi, fenomeno noto come post-traumatica crescita (48) Sebbene sia le capacità di coping che la resilienza siano rivolte al controllo ed alla formulazione di risposte efficaci ad eventi stressanti, e siano indubbiamente correlate, sono comunque concetti distinti. Mentre per coping si intende l'insieme di strategie cognitive e comportamentali utilizzate da un individuo per gestire le richieste di situazioni stressanti (49), la resilienza fa riferimento a processi volti ad un esito adattivo di fronte alle avversità. Il coping comprende un insieme di competenze, mentre la resilienza indica ed indirizza verso l’esito positivo a seguito dell'esercizio delle competenze più adeguate alla gestione dell’evento stressante (50). Non tutti coloro che utilizzano modalità di coping è resiliente. Alcune di queste modalità sono inadeguate e possono portare ad esiti fallimentari, e se il coping non porta ad un buon risultato, la persona non è resiliente (51, 52, 53). La resilienza interagisce con strategie di coping per proteggere dal disadattamento in condizioni di stress ed interviene quale processo di protezione nell’intento di orientare e condurre le capacità di coping verso un esito positivo.

La letteratura scientifica sull’argomento ha identificato una costellazione di fattori di resilienza in risposta a stress o traumi, di tipo cognitivo, comportamentale ed esistenziale. La conoscenza dei fattori resilienza e di vulnerabilità possono essere di sostanziale beneficio nella valutazione e gestione delle vittime di traumi. Se tali fattori, così come i fattori di rischio, vengono individuati interventi tempestivi possono essere impiegati per ottimizzare gli esiti (54). Questi fattori includono ottimismo, flessibilità cognitiva, capacità di operare coping attivo, una rete sociale di sostegno, spiritualità, cura del benessere fisico. Questi fattori possono essere ‘coltivati’ anche prima dell’esposizione a eventi traumatici, oppure essere concettualizzati ed oggetto di mirati interventi per gli individui reduci da esposizione al trauma (55) La comprensione di questi fattori può contribuire a promuovere la resilienza negli individui prima ancora dell’incontro con il trauma, contribuendo a migliorare strategie di intervento psicosociale per il trattamento di vittime di traumi, ed aiutare lo sviluppo di comunità resilienti.

Resilienza e suicidio

In genere i clinici si concentrano sui fattori di stress e vulnerabilità che possono aumentare il rischio di suicidio. Recenti ricerche indicano invece l’esistenza anche di fattori in grado di ridurre tale rischio, possibili obiettivi di interventi di prevenzione attraverso lo sviluppo di abilità psicologiche che intervengono come moderatori nella relazione tra eventi stressanti e suicidalità. Questi studi suggeriscono che tali fattori possono attenuare l'impatto di una serie di fattori di stress, siano essi esterni, come eventi stressanti di vita, che psicologici, quali sentimenti di disperazione. Questi fattori moderatori appaiono essere estremamente efficaci ed in grado di attenuare l'impatto anche di alcuni tra i più gravi eventi stressanti come l'abuso fisico e sessuale.

Fattori moderatori protettivi sono particolarmente rilevanti per le persone ad alto rischio, come quelle che soffrono di disturbi di salute mentale, o in particolari condizioni di vita, come persone in stato di carcerazione. Anche tali persone ad alto rischio sono infatti in grado di sviluppare questi fattori di resilienza,

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65 la cui capacità protettiva è simile a quella osservabile in persone non a rischio, provenienti dalla popolazione generale (56).

Vi è un recente crescente interesse verso i fattori di resilienza nei comportamenti suicidari. La resilienza al suicidio è intesa quale insieme di credenze o percezioni che proteggono l’individuo dall’evenienza di ideazione o atti suicidari in presenza di fattori di rischio o di eventi stressanti (57, 58).

La capacità di auto-valutazione (self-appraisal), intesa come consapevolezza della capacità di riconoscere i

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