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Il dibattito maturato all’interno dei tre gruppi ha consentito di mettere a fuoco alcune aree di difficoltà e preoccupazione di natura trasversale, che per certi aspetti richiamano alcuni dei contenuti delle raccomandazioni formulate dal Comitato CRC all’Italia a seguito dell’esame dell’ultimo Rapporto inviato: riduzione delle risorse per le politiche sociali e per l’infanzia; complessità degli organismi istituzionali competenti; adeguatezza della formazione degli operatori in relazione ai diritti dei bambini e all’emergere di nuovi fenomeni sociali; processo di regionalizzazione delle politiche che può produrre nuovi squilibri e aggravare gli esistenti; professionalità e formazione degli operatori..

LE RISORSE PER IL WELFARE

Un elemento di forte criticità evidenziato in modo trasversale nella trattazione di diverse Azioni ha fatto riferimento alla progressiva riduzione delle risorse statali e regionali disponibili per il sistema del welfare: ciò mette in discussione l’intera sostenibilità delle risposte costruite nel corso degli anni; si riverbera sui diversi settori, rendendo difficoltoso assicurare alcune funzioni fondamentali dei servizi socio-sanitari (per esempio la prevenzione o la vigilanza rispetto a specifici fattori di rischio); fa venire meno l’apporto delle équipe integrate multiprofessionali nei servizi (cfr. ad esempio, ma non solo, il caso dei consultori familiari); determina difficoltà nella presa in carico dei minori con disturbi cd. “borderline”; rende necessario, in alcune situazioni, il ricorso a servizi privati, non soltanto per la cura, ma anche nella fase diagnostica. Inoltre, con riferimento agli aspetti organizzativi e gestionali, a fronte di eccessivi carichi di lavoro per molti operatori, si rilevano diffusi rischi di precarietà lavorativa; questi fattori di criticità si accompagnano all’assenza di risorse specializzate e ad una progressiva riduzione del fondo nazionale sociale: in questo quadro rischiano di aggravarsi le fratture tra i contesti sociali, sanitari, socio-educativi, ecc. e aumenta la dispersione del know-how.

Per il prossimo Piano, sarebbe pertanto importante accompagnare l’individuazione e la stesura delle Azioni con l’avvio di un’analisi sistematica a ragionata delle risorse attivabili.

DISPONIBILITÀ DI DATI

Rispetto ad alcune Azioni, si è riscontrata una notevole disponibilità di dati, completi ed aggiornati (cfr., ad esempio, monitoraggio nazionale Piano Straordinario Nidi, statistiche pubblicate dalla Commissione per le adozioni internazionali), mentre in altre aree il primo problema affrontato è stato proprio l’irreperibilità di dati ufficiali ed aggiornati e la non confrontabilità di quelli disponibili.

Dal contributo di molti relatori è emersa chiara e stringente l’esigenza di disporre di dati aggiornati al momento non disponibili a livello ufficiale per molte problematiche di rilievo. Si citano, a titolo esemplificativo:

 dati sui bambini allontanati dalla famiglia di origine riferiti a : tempi dei collocamenti esterni dei bambini; età all’ingresso ed età all’uscita dalla situazione di collocamento; motivazioni/cause degli allontanamenti”;

 bambini e adolescenti vittime di maltrattamenti, violenza sessuale, sfruttamento sessuale, con informazione aggiuntive su sesso, età, autore, relazione con l’autore, ecc. Oggi, i dati statistici ufficiali, prevalentemente afferenti all’area dell’Amministrazione della Giustizia, non sono improntati ad una reale “centralità” dei bambini vittime;

 dati relativa ai minori dichiarati adottabili, nonché ai coniugi aspiranti all’adozione nazionale e internazionale presso il Ministero della Giustizia, come da banca dati prevista dall’articolo 40 della legge 28 marzo 2001, n. 149, ma ancora non creata;

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 dati su aspetti riguardanti le esperienze quotidiane di vita dei bambini e sull’accessibilità e la disponibilità di risorse e opportunità, esempio ludoteche, aree verdi, percorsi protetti casa-scuola ecc.;

 dati riferiti ai bambini stranieri che arrivano in Italia per ricongiungimenti familiari.

La mancanza di un sistema informativo nazionale in grado di mettere in rete le istituzioni e i servizi territoriali per favorire lo scambio e la condivisione di dati reali, aggiornati e comparabili sul monitoraggio dei diversi fenomeni che interessano i minori, diventa un elemento di ostacolo anche alla predisposizione di protocolli di collaborazione fra gli enti e accordi di programma fondati su una conoscenza dei fenomeni supportata da evidenze.

Si rileva positivamente in fatto che il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali abbia promosso e finanziato soluzioni concrete ed un fattivo contributo alla costruzione di un patrimonio condiviso di informazioni attraverso il Progetto nazionale S.In.Ba. (cfr. nel dettaglio Azione A11), che ha tra gli obiettivi strategici quello di disporre di informazioni individuali oltre a quelle relative alle prestazioni erogate ai minori di età e alle loro famiglie in difficoltà. Il sistema permetterà quindi di avere quantomeno una raffigurazione di tendenza dell’utenza minorile in carico ai servizi sociali territoriali e di soddisfare esigenze conoscitive indispensabili ai fini del monitoraggio dei livelli di prestazione e dei loro effetti, ovverosia:

 individuare e qualificare la domanda sociale;

 misurare il sistema di offerta dei servizi/prestazioni/interventi;

 valutare gli esiti e l’efficacia degli interventi; disporre di strumenti utili alla programmazione degli interventi.

ESIGENZA DI COORDINAMENTO DELLE AMMINISTRAZIONI E DEGLI ORGANISMI COMPETENTI

Con riferimento specifico ad alcune azioni è emersa la necessità di stabilire forme di raccordo tra i diversi comitati e osservatori attivati su tematiche che riguardano le condizioni di vita di bambini e adolescenti, anzitutto presso i Ministeri competenti sulla base di normative settoriali. La spending review ha prodotto una revisione degli organismi collegiali esistenti: si può quindi auspicare che la riorganizzazione degli stessi conduca ad accorpamenti e razionalizzazioni nella suddivisione delle competenze, che siano in grado di migliorare i livelli di cooperazione nella programmazione e attuazione di politiche per l’infanzia e l’adolescenza.

TANTI PIANI, DA TENERE TUTTI IN CONSIDERAZIONE

L’approfondimento svolto dai relatori ha reso evidente anche l’esistenza di una pluralità di Piani e programmi di azione, attivati attraverso l’accesso a risorse specifiche (vedasi il cd. Piano Coesione del Ministero dell’istruzione): nella situazione attuale, appare oltremodo evidente la necessità che l’Osservatorio disponga di un panorama completo di questi interventi, anche per favorire una lettura della coerenza rispetto al Piano infanzia e una efficace circolarità delle informazioni tra tutti gli attori interessati.

INTEGRAZIONE: LA PROBLEMATICA TRASVERSALE PER ECCELLENZA

Denso è il quadro delle norme in campo penale, civile e amministrativo che richiedono agli attori che si occupano di promozione del benessere e tutela dell’infanzia di coordinarsi e interagire in un’ottica interistituzionale e multiprofessionale. Nel settore dei servizi, nel corso dell’ultimo decennio, le norme regionali di recepimento della legge 328/2000 hanno avviato, sebbene con modalità e tempi differenziati tra le varie parti del Paese, riorganizzazioni tese a costruire un sistema integrato attraverso leggi regionali di applicazione, provvedimenti di pianificazione che integrano sociale e sanitario e sperimentazioni che sostengono la partecipazione delle comunità

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locali, del terzo settore e della società civile. Multidisciplinarietà e sussidiarietà sono criteri che dovrebbero sostenere assetti integrati multilivello negli ambiti della prevenzione, della diagnosi, dell’assistenza, della protezione e della cura. Non a caso nella cornice del Piano di azione, l’integrazione è così declinata: a livello istituzionale, come collaborazione tra molteplici istituzioni rispetto a obiettivi condivisi e comuni; a livello gestionale, per conseguire finalità organizzative che permettano di usare in modo più efficace le risorse economiche, professionali e strumentali disponibili; a livello professionale, per formulare e adottare interventi basati su una visione “ecologica” e multidisciplinare delle condizioni dei bambini e delle famiglie. Se positivi percorsi di cambiamento sono stati avviati ed esistono esperienze di eccellenza, tuttavia il monitoraggio ha indicato che, al momento, è opinione diffusa che un’efficace integrazione si realizza principalmente grazie ad accordi e alla “buona volontà” di responsabili e operatori dei servizi, più che su una chiara definizione dei ruoli e dei compiti di ognuno. Come ben evidenziato da una delle relatrici del Gruppo 1, il processo di integrazione tra le competenze e le funzioni dei servizi degli enti locali e delle aziende sanitarie non potrà compiersi definitivamente fino a quando i percorsi di presa in carico per l’affidamento (ma anche per l’adozione e soprattutto per gli interventi sui nuclei in difficoltà e a rischio di allontanamento di minori) non saranno riconosciuti a pieno titolo tra le prestazioni sociali e sanitarie obbligatorie. Poiché tale tema attraversa di fatto un gran numero di azioni, si evidenzia in questa sede l’esigenza di dedicare un’attenzione specifica a questi aspetti nel prossimo Piano per non rischiare che ne sia sottovalutata l’importanza.

Sono stati rilevati anche una pluralità di protocolli, intese e linee guida che postulano la necessità di cooperazione e collaborazione multiprofessionale e interagency: si tratta di strumenti di indirizzo importanti di cui sarebbe opportuno un monitoraggio per verificarne la coerenza rispetto alle norme nazionali ed evidenziare alcune soluzioni pratiche significative cui dare diffusione a livello nazionale. In questa prospettiva, l’elaborazione di linee guida nazionali sull’affidamento familiare segna un indubbio salto di qualità.

PROCESSI DI RIORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI

La creazione di sistemi di welfare regionali e mutamenti della realtà hanno prodotto modificazioni delle attività e degli assetti organizzativi dei servizi, ponendo la necessità di attribuire nuovi significati agli interventi realizzati e agli obiettivi che essi intendono conseguire. Si è trasformato lo scenario in cui si muovono gli operatori e le problematiche espresse dalle famiglie (nuove povertà, immigrazione, rarefazione delle reti sociali, processi di aziendalizzazione ecc.). L’impatto sui modelli organizzativi e sulle prestazioni erogate richiede un attento monitoraggio e valutazione, onde evitare che i processi di adeguamento producano un arretramento del rispetto dei diritti dei bambini specialmente in assenza di una definizione dei livelli essenziali delle prestazioni.

OPERATORI, EDUCATORI, ADULTI FORMATI

Un altro tema trasversale riguarda la formazione degli operatori; esigenza fondamentale espressa nell’analisi complessiva del piano è di introdurre come tematica obbligatoria di studio nella formazione superiore quella dei diritti dei bambini e degli adolescenti onde garantire che tutte le professioni destinate ad avere contatto con l’infanzia condividano una cultura comune basata su una rappresentazione nuova della centralità e del soggetto bambino, e siano dotate di una conoscenza di base sui contenuti della CRC e sulle principali norme che disciplinano compiti di promozione, tutela e protezione. A questo proposito, un nodo critico, ad esempio, è quello dell’obbligo di segnalazione delle situazioni di pregiudizio e di presunto reato all’autorità giudiziaria da parte di figure che si inquadrano quali pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio. In talune realtà, infatti, appare necessario diffondere una maggiore consapevolezza dei propri doveri e responsabilità nei confronti dei minori a rischio, anche rispetto all’eventuale segnalazione alle autorità giudiziarie, presso gli operatori dei servizi sia pubblici che privati e convenzionati. È dunque necessario migliorare le competenze degli operatori impiegati nei diversi

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servizi territoriali attraverso una formazione non solo di natura teorica/accademica, bensì improntata all’effettiva implementazione di quei modelli di intervento sociale giudicati utili al benessere dei bambini e degli adolescenti e al rispetto dei loro diritti.

I temi della formazione e dell’aggiornamento professionali sono emersi con riferimento in particolare:

 ai quadri e coordinatori dei servizi per la prima infanzia, nella prospettiva di una promozione della cultura dei servizi, a fini di aggiornamento e di rafforzamento delle capacità programmatorie ed organizzative;

 agli operatori della scuola dell’infanzia ed ai medici pediatri, rispetto all’accompagnamento dei genitori al riconoscimento precoce ed alla certificazione della disabilità dei propri figli,  agli operatori delle comunità, intesa anche come aggiornamento e possibili percorsi di

specializzazione delle tipologie di accoglienza;

 a tutti gli attori dell’adozione (operatori pubblici, privati, enti autorizzati) unico strumento che può permettere l’interazione e l’integrazione fornendo linguaggi comuni e possibilità di costruzione di modelli operativi;

 alle famiglie affidatarie;

 a un programma di formazione che accompagni l’evoluzione delle forme di aiuto e supporto alle famiglie, proiettandosi verso l’affermazione di un nuovo modello di intervento sociale, integrato, multiprofessionale e interistituzionale, attento alla comunità ed alla centralità del rapporto relazionale tra il bambino e la famiglia/famiglie, nonché capace di sostenere processi di inclusione sociale e integrazione;

 agli operatori e funzionari che in ambito educativo, sociale, sanitario e giudiziario vengono in contatto con i minori vittime di abuso, maltrattamento e tratta, con i minori stranieri non accompagnati, con bambini rom, sinti e caminanti;

 ad una forte esigenza di specializzazione di tutte le figure coinvolte nei procedimenti giudiziari;

 alla creazione dei sistemi informativi;

 agli amministratori, per disseminare una maggiore cultura dei diritti dell’infanzia e del soggetto bambino, nonché buone esperienze di programmazione intervento nel campo delle politiche per l’infanzia e l’adolescenza.

Diversi relatori hanno fatto riferimento, quali possibili esperienze “virtuose” di formazione e di costruzione di linguaggi condivisi, ai percorsi formativi realizzati in questi anni dalla Commissione per le adozioni internazionali in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti e agli incontri e scambi svolti nell’ambito del progetto nazionale “Un percorso nell’affido”, sottolineando che ovviamente, la formazione assume rilevanza se e fintantoché è garantita all’interno dei servizi una presenza adeguata, continuativa e stabile degli operatori.

LIVELLI ESSENZIALI DELLE PRESTAZIONI E DIRITTI DEI BAMBINI

La mancata approvazione dei livelli essenziali di assistenza sociale previsto dalla legge 328/2000, al fine di garantire per i servizi un quadro di standard comuni costituisce un’area di vulnerabilità del sistema, che si coglie aggravata dal progressivo intervento in autonomia da parte delle Regioni. Con la riforma del titolo V della Parte seconda della Costituzione è stata introdotta tra le funzioni dello Stato (art. 117, lettera m) la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; la legge 42/2009 attribuisce a tali strumenti la funzione di equilibrare il sistema federale regionale rispetto alle prestazioni erogate. Nell’attuale fase di trasformazione dello Stato sono in corso di adozione provvedimenti che stanno definendo in maggior dettaglio il disegno complessivo. Il monitoraggio segnala pertanto la necessità di presidiare i diritti dei bambini contro il rischio di trasformazioni che possono rendere il sistema delle prestazioni orientato solo alla riparazione e

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all’intervento per i più bisognosi, abbandonando finalità preventive e promozionali e in violazione dei contenuti della CRC.

SEDI DI CONFRONTO STABILI TRA I DIFFERENTI LIVELLI DI GOVERNO

Come segnalato dal Comitato CRC, un’area di attenzione ulteriore per il Paese riguarda lo sviluppo di meccanismi efficaci per garantire un’applicazione coerente della CRC e delle norme nazionali in tutte le regioni, rafforzando il coordinamento tra il livello nazionale e regionale. L’esigenza di ripristinare o creare ex novo sedi stabili di confronto tra i differenti livelli di governo è stata sottolineata più volte nel corso del monitoraggio allo scopo di favorire forme di collaborazione, il confronto e la gestione del conflitto, la formulazione di orientamenti comuni e lo scambio di esperienze sia in senso verticale che orizzontale tra pari. È stato citato come esempio positivo il Tavolo stabile di coordinamento tra il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e le 15 città riservatarie ex lege 285/1997, sede di scambio e di confronto che costituisce anche la cornice per la sperimentazione di nuove pratiche di intervento e approfondimenti tematici.

DARE PIENA ATTUAZIONE AI CONTENUTI DEGLI STRUMENTI GIURIDICI INTERNAZIONALI La ricchezza delle norme contenute in molte delle convenzioni sottoscritte e/o ratificate dall’Italia (e in altre che il nostro Paese non ha ancora ratificato, ad esempio il Protocollo facoltativo della Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, concluso a New York il 18 dicembre 2002) non trova piena attuazione sia nelle procedure giudiziarie sia nelle pratiche amministrative (si pensi, ad esempio, al tema dell’ascolto del bambino). Indirizzi nazionali potrebbero favorirne il rispetto e l’attuazione da parte degli operatori.

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