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I tentativi di negoziato (1992 1994)

Capitolo 2: Dalla dissoluzione della Jugoslavia all’Accordo di Dayton.

2.3 I tentativi di negoziato (1992 1994)

Con l’indipendenza fragilmente conquistata, la Bosnia ed Erzegovina auspicava di allontanare lo spettro della guerra fratricida portando Izetbegović e gli altri leader etnici a procedere per vie pacifiche, sotto una supervisione ancora distante e non consapevole della CEE, in modo da risolvere i problemi interni riguardo la divisione del potere e autonomie delle minoranze. L’idea preliminare negoziale prevista dalle tre parti era una “cantonizzazione” del territorio, dove ogni proposta portata avanti favoriva il proprio popolo a discapito dell’altro.

Ciò, tuttavia, non fu possibile, visto che la composizione etnica del paese non era uniforme e non aveva alcuna precisa frontiera storica e culturale che potesse dividere i tre popoli della Bosnia, conseguenza anche della cristallizzazione nel tempo delle millet ottomane. Infatti, tutti e tre i progetti portati avanti dalle forze politiche nazionaliste cercavano di comprendere nei propri confini le municipalità (opčine), laddove risultassero in maggioranza. Ma la soluzione maggioritaria non era così semplice da effettuare. In primo luogo ci sarebbe stato grande divario tra la differenza di percentuale di territorio stabilita e popolazione beneficiaria: per esempio, i serbi avrebbero controllato più territorio rispetto ai bosgnacchi, a cui il censimento del ’91 consegnava la maggioranza relativa del paese. Inoltre, la

50 Ivi, pp. 295 – 302. 51 Ivi., p. 302.

52 CORTI, A., Bosnia – Erzegovina, le carte avvelenate, in “I nuovi muri”, Limes, n. 1, 1996, pp.

divisione maggioritaria lasciava fuori dal proprio ipotetico territorio una consistente minoranza del proprio gruppo: il territorio croato, ad esempio, avrebbe ospitato solo il 40% della propria popolazione. Un ulteriore problema sarebbe derivato dalle qualità, posizione e ricchezza delle opčine, creando una forte discrepanza in termini economici e politici tra le tre entità; in più l’entità musulmana sarebbe stata “schiacciata” tra croati e serbi che avrebbero avuto i propri confini contigui con Zagabria e Belgrado.

(Fig.1)53

(Fig. 2)54

(Fig.3)55

54 Mappa consultata in CORTI, A., Bosnia – Erzegovina, le carte avvelenate, in “I nuovi muri”,

Limes, n. 1, 1996.

55 Mappa consultata in CORTI, A., Bosnia – Erzegovina, le carte avvelenate, in “I nuovi muri”,

(Fig. 4)56

Con le dichiarazioni di indipendenza unilaterali da parte di croati e serbi e con la Bosnia ed Erzegovina di Izetbegović come unica entità legittimamente costituzionale, i maggiori attori internazionali, quali la Comunità Europea e l’ONU, presero la necessità di tripartire la Bosnia come un dogma.

Il primo dei progetti ufficiali fu il “Piano Carrington–Cutileiro”, presentato nel febbraio del 1992 dal Presidente della Conferenza Europea sull’ex-Jugoslavia, l’inglese Lord Carrington e dal diplomatico portoghese Josè Cutileiro. Il progetto non prevedeva la costituzione di una Bosnia multietnica, ma seguendo le pressioni serbe e croate, venne preferita la divisione del territorio secondo il principio etnico. La Bosnia sarebbe stata divisa in cantoni sovrani, sul modello svizzero, dove croati e musulmani possedevano il 56,27% del territorio, il restante 43,73 % spettava ai serbi e un distretto federale speciale a Sarajevo. Il destino delle minoranze all’interno dei cantoni non venne chiarito e, solo in tre municipalità su cento, uno

56 Mappa consultata in CORTI, A., Bosnia – Erzegovina, le carte avvelenate, in “I nuovi muri”, Limes, n. 1, 1996.

dei tre popoli deteneva una maggioranza quasi assoluta. Di conseguenza sarebbero stati programmati dei trasferimenti in massa per creare dei cantoni omogenei che avrebbe portato ad una divisione netta della Bosnia e alla sua fine. Il piano venne accettato dall’HDZ e dal SDS, e inizialmente anche Izetbegović, probabilmente al fine di scongiurare l’imminente guerra, accettò le condizioni fino a quando, ripreso dal suo stesso partito, respinse il progetto.

(Fig.5)57

Scoppiata la guerra, il 3 marzo 1992, e iniziato l’assedio di Sarajevo, la Comunità Europea e l’ONU stabilirono, in una conferenza a Ginevra nel settembre 1992, un nuovo piano per porre fine alla guerra, presentato nel gennaio 1993. A presiedere la conferenza, l’ex ministro degli esteri britannico Lord David Owen e l’ex Segretario di Stato americano Cyrus Vance. L’obiettivo del “Piano Vance-Owen”

mirava ad indicare un possibile scenario in cui la Bosnia rimanesse unita non solo virtualmente. L’idea di base era ancora la suddivisione in cantoni, dieci per l’esattezza, sottoposti al governo centrale di Sarajevo ma fortemente decentrati politicamente e amministrativamente, appagando così il desiderio di autogoverno da parte dei croati e serbi. L’assegnazione dei cantoni venne data in automatico riprendendo i risultati del censimento del ’91, secondo il controllo delle maggioranze. I più colpiti, volutamente, furono i serbi in quanto il cantone comprendente Banja Luka (cantone 2) risultava isolato dalla Serbia e dalle altre regioni (cantoni 4 e 6), a loro volta frammentate in modo da contenere le forze armate di Karadžić. I musulmani stessi videro i propri territori ridimensionati, essendo i cantoni musulmani complessivamente più piccoli rispetto alla percentuale totale della popolazione. Come nel precedente progetto, i musulmani si trovavano a governare municipalità isolate e deboli dal punto di vista geopolitico. I vincenti del piano risultarono i croati, terzi in termini di popolazione, visti come l’ago della bilancia del negoziato. I tre cantoni (3, 8 e 10) avrebbero coperto il 25% del territorio bosniaco a favore del 17% della popolazione croata totale.

(Fig. 6)58

Furono gli stessi croati i primi ad accettare il piano; i musulmani seguirono con molte perplessità ma furono i serbi, dopo quattro mesi di trattative che avevano coinvolto anche Belgrado, a rifiutare. Con il fallimento del Piano Vance-Owen, la guerra si intensificò e non fu più possibile proporre nei successivi negoziati l’unitarietà della Bosnia. Da quel momento in poi i serbi si impegnarono in nuove offensive mirate a rendere inapplicabile un piano simile in futuro. I croati, inizialmente collaborativi con Sarajevo e supportati da Tudjman, entrarono in conflitto con i musulmani, al fine di occupare i cantoni assegnati dal piano. Triste testimonianza fu la distruzione dello Stari Most di Mostar.

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