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CAPITOLO I GLI INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI NELLO SVILUPPO

CAPITOLO 2- INQUADRAMENTO TEORICO

2.3 Le teorie classiche sugli IDE

2.3.3 La teoria dell’internalizzazione

Nel paragrafo che segue verrà presentata brevemente e nelle linee generali la teoria dell’internalizzazione secondo le prime formulazioni realizzate nella sua prima versione nel 1976 da P.J. Buckley e M. Casson.

22Le teorie delle imperfezioni di mercato saranno il punto di partenza per la spiegazione che darà

Il concetto di internalizzazione dei mercati, cui hanno contribuito soprattutto questi due inglesi Buckley e Casson (1976), si ispira all’originario contributo di Coase23, che sul finire degli anni trenta aveva proposto una concezione

dell’impresa come organizzazione efficiente che sotto certe condizioni sostituisce vantaggiosamente il mercato nell’organizzare gli scambi economici. Questa teoria, come presentata per la prima volta da Buckley e Casson, mette in relazione la decisione dell’impresa di effettuare IDE con la sua struttura organizzativa interna, nonché con altri fattori esterni all’impresa. Il core della teoria è che le imprese effettuano IDE perché le imperfezioni presenti nel mercato creano le condizioni che rendono conveniente l’internalizzazione delle transazioni, rispetto alla loro normale effettuazione tramite meccanismi di mercato. Buckley e Casson vedono le Imprese Multinazionali come un “mercato interno”, ovvero un sistema di allocazione delle risorse tra unità decentrate internazionalmente che consente di eliminare imperfezioni ed ostacoli di natura economica e di contesto sociale ed internazionale. Le imprese Multinazionali rivestono un ruolo positivo nella misura in cui esse sono in grado di incrementare l’efficienza globale del sistema produttivo quando i loro costi interni di coordinamento risultano inferiori ai costi di utilizzo del mercato. Tale visione si contrappone a quella più problematica delle teorie oligopolistiche, soprattutto da parte di quegli autori (come Hymer) che analizzano il comportamento dell’imprese Multinazionali eminentemente in termini dell’esercizio di potere di mercato” (Ranieri, 2004).

Come accennato in precedenza, un importante sviluppo di questo filone interpretativo della presenza dell’IMN si deve a Williamson (1979)24, Caves25

23R.H. Coase, The nature of the Firm, Economica 4, 386-405 (1937). Coase osservò che l’utilizzo

del mercato da parte degli operatori presenta dei costi: come dire che la funzione distributiva non è un’attività a costo zero. Di conseguenza, gli operatori devono preventivamente valutare, al margine, se sia meno costoso acquistare una determinata risorsa sul mercato o se non sia, piuttosto, più conveniente produrre la stessa risorsa all’interno dell’impresa. La teoria di Coase offre una giustificazione all’esistenza dell’impresa in quanto organizzazione economica e non più solo come una “scatola nera”, come la vedevano invece gli economisti neoclassici.

24I suoi studi sui costi di transazione lo hanno portato a sostenere che un’azienda ha interesse a

stabilire rapporti duraturi con un singolo fornitore invece di acquistare di volta in volta da fornitori diversi, scegliendo ogni volta il fornitore migliore. Per esempio, se un’azienda elettrica acquista carbone di cui necessita giornalmente per produrre energia può trovare conveniente stabilire un rapporto di lungo periodo con uno o pochi fornitori invece di acquistare giorno per giorno o settimana per settimana dal fornitore che ogni volta offre le migliori condizioni di acquisto. Anche il rapporto acquirente-fornitore sarà differente nei due casi, ha argomentato Williamson.

(1971) e Teece (1986), che hanno ricondotto il concetto di internalizzazione nell’ambito della più generale teoria dei costi transazionali. Tale teoria misura le efficienze relative a diverse strutture di governo delle transazioni (nel nostro caso l’IMN rispetto a rapporti di mercato tra imprese operanti sui singoli mercati nazionali) sulla base dei costi di produzione e dei costi di

transazione (ovvero i costi legati alla ricerca del cliente, alla gestione delle

negoziazioni, alle condizioni contrattuali, alla funzione di monitoraggio, all’esecuzione dei contratti, ecc.). Le imprese vivono in un contesto ove fattori ambientali ed umani ostacolano le relazioni di scambio.

I fattori che contribuiscono alla sostanza dei costi transazionali e che pesano maggiormente se l’azione si svolge in un contesto internazionale (in cui si aggiungono, ad esempio, differenze linguistiche, culturali, tecnologiche, di struttura sociale e socio-politica) sono l’incertezza e la complessità dell’ambiente, le asimmetrie tra le parti nella distribuzione delle conoscenze e delle informazioni, le condizioni di razionalità limitata e di moral hazard in cui si compiono le scelte dei decisori, i comportamenti opportunistici. Questi elementi possono lievitare fino a rendere il mercato una struttura di governo delle transazioni inefficiente rispetto a meccanismi non market che nella situazione estrema portano alla completa internalizzazione gerarchica delle transazioni, con la nascita di un’organizzazione (l’impresa multinazionale divisionale) che risulta efficiente grazie alle sue capacità di coordinamento, controllo, adattamento e monitoraggio delle attività e dei comportamenti relazionali. In definitiva, nell’ottica dell’approccio dei costi transazionali, l’organizzazione degli scambi internazionali, dal mercato agli IDE attraverso le forme intermedie di internazionalizzazione, è il risultato del confronto tra vantaggi e svantaggi associati alle diverse strutture di governo, valutati assumendo la transazione quale unità base dell’analisi.

25 L’ipotesi che gli investimenti diretti dipendano dall’esistenza di vantaggi d’impresa è coerente

con l’evidenza di un’elevata concentrazione delle imprese multinazionali nelle industrie dominate da monopoli e oligopoli internazionali. Inoltre, essa trova conferme nella forte presenza multinazionale delle industrie più orientate alle Il grado di trasferibilità di un vantaggio d’impresa attraverso le esportazioni o gli investimenti diretti dipende tuttavia di frequente dalla particolare natura del vantaggio. La scelta tra investimento diretto ed esportazione ne risulta di conseguenza influenzata.

Applicando le categorie analitiche dell’analisi transazionale allo studio degli scambi internazionali, la scelta tra le diverse modalità di internazionalizzazione dell’impresa sarà il risultato del confronto tra vantaggi e svantaggi associati alle diverse strutture di governo delle transazioni e ai

trade–offs rispetto ai costi di produzione. Caves e Teece propongono tale

ottica nell’esaminare l’Impresa multinazionale nei suoi sentieri di espansione internazionale, in relazione sia al processo di integrazione orizzontale dell’impresa oltre i propri confini nazionali, sia al processo di integrazione

verticale a valle o a monte delle attività dell’impresa.

La teoria dell’internalizzazione venne presentata come quadro interpretativo tendente a superare ed integrare le teorie precedentemente esposte, ma tale tentativo di offrire un paradigma più generale ed omnicomprensivo del processo di internazionalizzazione delle imprese e degli IDE è stato anche un punto di debolezza della teoria. Essa infatti si concentra esclusivamente su un aspetto dell’internazionalizzazione delle imprese, quello che fa derivare le decisioni di effettuare IDE da semplici considerazioni di costi-benefici. La teoria infatti ignora le considerazioni strategiche e di management e la divisione del lavoro a livello globale che le imprese multinazionali hanno sempre più tenuto in considerazione nelle loro strategie di espansione all’estero.

Tuttavia possiamo affermare che questa teoria ha i meriti di essere la prima a stabilire un rapporto diretto tra gli IDE e le loro determinanti e l’organizzazione interna dell’impresa che li effettua, nonché tra questo fattore (e quello del settore produttivo in cui l’impresa opera) firm specific ed i fattori nation specific presentati.