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La teoria degli obblighi di protezione nella dottrina italiana

Agli inizi degli anni ’50 del secolo scorso, la categoria degli obblighi di protezione è stata introdotta nel nostro ordinamento giuridico da Emilio Betti e Luigi Mengoni15.

13 Nel senso che la distinzione obbligazioni «di mezzi» - obbligazioni «di risultato» sia accettabile solo nei termini di

una maggiore o minore corrispondenza del risultato dovuto rispetto al termine iniziale, ossia l’interesse da cui l’obbligazione trae origine si esprime L. MENGONI, Obbligazioni di «risultato» e obbligazioni di «mezzi». Studio critico, cit., p. 188.

14 Così, A. DI MAJO, Delle obbligazioni in generale, artt. 1173-1176, cit., p. 111.

15 Cfr. E. BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, I, Milano, 1953, p. 96; L. MENGONI, Obbligazioni di «risultato»

e obbligazioni di «mezzi». (Studio critico), in Riv. dir. comm., 1954, I, p. 371 ss., ora in Obbligazioni e negozio. Scritti, vol. II, a cura di C. Castronovo, A. Albanese, A. Nicolussi, Milano, 2011, p. 141 ss.

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Il fondamento normativo di tale categoria sarebbe ravvisabile nell’art. 1175 c.c. (con riguardo all’obbligazione in generale) e negli artt. 1337, 1366 e 1375 c.c. (con riferimento alle obbligazioni derivanti da contratto)16.

All’interno di tale categoria si distinguono gli obblighi integrativi-strumentali e gli obblighi di protezione (o funzionali)17.

I primi, ossia gli obblighi accessori o integrativi-strumentali all’obbligo primario di prestazione sono obblighi non autonomi (cioè non azionabili in giudizio con azione autonoma), in quanto solo tendenti all’approntamento di quanto necessario o opportuno per assicurare l’esatto adempimento della prestazione principale.

Il codice civile, ad esempio, prende in considerazione l’obbligo di custodia all’art. 1177 c.c., ricomprendendolo nell’obbligazione di consegnare una cosa determinata.

Con riferimento a tali obblighi, si è osservato come non risulti necessario giustificare il loro assoggettamento, nell’ipotesi di violazione, alle regole della responsabilità contrattuale, in quanto l’eventuale lesione di tali obblighi è legata da un nesso di causalità immediata all’inadempimento dell’obbligo primario di prestazione18.

I secondi, ossia gli obblighi di protezione-funzionali, invece, accedono al rapporto obbligatorio in vista dell’interesse di ciascuna parte a preservare la propria persona e le proprie cose dalla specifica possibilità di danno, derivante dalla particolare relazione costituitasi tra i due soggetti del rapporto19.

Oltre ai sopracitati Autori, tra i primi in Italia a occuparsi degli obblighi di protezione anche R. SCOGNAMIGLIO, voce: Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, in Noviss. dig. it., vol. XV, Torino, 1968, p. 670 ss.; F. BENATTI, Osservazioni in tema di doveri di protezione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1960, p. 1342 ss.; ID., Doveri di protezione, in Dig. disc. priv., Sez. civ., VII, Torino, 1991, p. 221 ss.; U. MAJELLO, Custodia e deposito, Napoli, 1958, p. 55 ss.; C. CASTRONOVO, Voce: Obblighi di protezione, in Enc. Giur., XXI, Roma, 1990, p. 4 ss.

16 Così L. MENGONI, Obbligazioni di «risultato» e obbligazioni di «mezzi». (Studio critico), cit., p. 368 ss.; C.

CASTRONOVO, Voce: Obblighi di protezione, in Enc. Giur., XXI, Roma, 1990, p. 4 ss.

17 Secondo la denominazione data da C. CASTRONOVO, La relazione come categoria essenziale dell’obbligazione e

della responsabilità contrattuale, cit., p. 68.

18 Cfr. L. MENGONI, Obbligazioni di «risultato» e obbligazioni di «mezzi». (Studio critico), cit., p. 371, riporta

l’esempio del medico, la cui prestazione principale (obbligo di cura del malato) «involge per sua natura l’osservanza di certe regole scientifiche e tecniche, e conseguentemente uno sforzo costante di attenzione, di prudenza, di diligenza, senza di che verrebbe meno lo stesso concetto di cura che vuol essere essenzialmente una buona cura, cioè una cura conveniente al fine della guarigione del malato».

19 Cfr. L. MENGONI, Obbligazioni di «risultato» e obbligazioni di «mezzi». (Studio critico), cit., p. 371, sempre con

riferimento al medico, sottolinea l’esistenza anche di un autonomo obbligo di protezione, riportando l’esempio del «chirurgo che, terminata felicemente un’operazione addominale, nel riporre i ferri, si lascia sfuggire di mano un bisturi che colpisce l’occhio del paziente».

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In contrapposizione agli obblighi di prestazione tipici della posizione giuridica debitoria, si tratta di obblighi essenzialmente reciproci cui sono tenuti entrambi i soggetti del rapporto.

Infatti, chi si mette in relazione con un altro soggetto, allo scopo di attuare un dato regolamento di interessi, espone la propria sfera giuridica a rischi che altrimenti non la toccherebbero, entra in una specifica zona di pericolo determinata dalla possibilità che l’attività dell’altra parte, connessa allo svolgimento del rapporto, sia di tale natura da arrecargli danno. Esempi, in tal senso, vengono individuati nell’art. 2087 c.c. in materia di contratto di lavoro, nell’art. 1681 c.c. in materia di trasporto di persone e negli artt. 1575, 1576 e 1580 c.c. in materia di locazione.

Sotto il profilo applicativo, l’aspetto più rilevante che deriva dalla configurazione di una tale categoria riguarda l’assoggettamento della violazione di tali obblighi alle regole della responsabilità contrattuale (a prescindere dalla soddisfazione dell’interesse alla prestazione) e la permanenza della tutela anche nell’eventuale ipotesi di caducazione del contratto, attesa la derivazione legale e l’autonomia degli obblighi in questione.

Tuttavia, la configurazione dell’obbligazione come rapporto complesso, comprensivo degli obblighi di protezione non ha ricevuto in Italia unanime consenso.

Infatti, tradizionalmente, in dottrina20, la lesione di interessi altri rispetto a quelli dedotti

in obbligazione avvenuta nel corso e a causa dell’attuazione del rapporto contrattuale è ricondotta all’illecito aquiliano (art. 2043 c.c.).

Si sostiene, in particolare, che l’elaborazione degli obblighi di protezione allo scopo di estendere la tutela contrattuale ad interessi che non hanno formato oggetto della prestazione principale e che perciò sarebbero protetti in via aquiliana non avrebbe senso nel nostro ordinamento, attesa l’esistenza di una clausola generale come l’art. 2043 c.c.,

L’Autore sostiene che di questo danno il chirurgo risponde contrattualmente, ma il titolo di responsabilità va individuato non nell’obbligo primario di prestazione (adempiuta esattamente), bensì nell’obbligo ausiliario, ma autonomo, di protezione.

20 Così S. RODOTÀ, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1969, p. 159 ss.; F. GIARDINA, Responsabilità

per inadempimento: spunti ricostruttivi, in Violazioni del contratto, a cura di E. Del Prato, Milano, 2003, p.15; V. ROPPO, Il contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 2011, secondo il quale «l’obbligazione e la responsabilità contrattuale proteggono quello specifico interesse del creditore che è l’interesse alla prestazione (art. 1174). Diversi sono gli interessi della vita di relazione messi a rischio nel contatto sociale: dalla sicurezza della circolazione automobilistica alla lealtà della competizione economica alla correttezza e serietà delle trattative contrattuali. A protezione di essi si impongono agli operatori doveri di condotta che possono essere non generici, bensì calibrati sulle specificità degli interessi, delle attività, dei rischi in gioco, ma non per questo diventano obbligazioni. E la loro violazione genera responsabilità extracontrattuale».

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cosicché l’art. 1175 c.c., se inteso come fonte di un dovere generale di protezione, sarebbe ridotto a una inutile duplicazione di quella norma.

Si evidenzia, altresì, che rispetto a siffatte lesioni le parti del rapporto obbligatorio si troverebbero in posizione di reciproca estraneità, sicché l’unica disciplina applicabile sarebbe quella della responsabilità aquiliana.

In altri termini, secondo quest’impostazione, tutto ciò che fuoriesce dall’ambito della prestazione dovuta è appannaggio della responsabilità extracontrattuale.

Contraria all’opportunità di attribuire un ruolo autonomo nel nostro ordinamento agli obblighi di protezione si mostra anche altra dottrina21, che risolve il problema all’interno

dello stesso rapporto obbligatorio, di cui rifiuta una ricostruzione in termini complessi, allargando la nozione di prestazione al di là del bene o dell’utilità oggetto dell’obbligazione.

Secondo tale impostazione, a ben vedere, al debitore non si richiede semplicemente un comportamento improntato a correttezza, ma un comportamento diligente, cioè diretto ad evitare il danno al creditore.

Un siffatto comportamento, però, «fa parte integrante della prestazione dovuta senza che si debbano costruire artificiosamente altri obblighi del debitore».

Un’analoga impostazione22, sempre facente leva sul dovere di diligenza ex art. 1176 c.c.,

ritiene che la prestazione dedotta in obbligazione assorba e comprenda i doveri di protezione della complessiva sfera giuridica della controparte, i quali perderebbero ogni autonomia nel rapporto obbligatorio.

La critica più articolata agli obblighi di protezione si deve, comunque, a Ugo Natoli23.

L’Autore sostiene che tali obblighi, così come quelli accessori, «non sono altro che momenti nei quali si specifica la prestazione principale».

Più nello specifico, si sottolinea come ogni qual volta l’attuazione del rapporto coinvolge la persona di una parte, appartiene all’essenza della prestazione che «essa si svolga in modo da salvaguardare l’integrità della persona del creditore».

In altri termini, secondo questa dottrina, con riferimento alle ipotesi in cui un interesse di protezione appare necessariamente coinvolto nello stesso interesse primario alla

21 Cfr. M. C. BIANCA, Diritto civile. La responsabilità, V, Milano, 2012. 22 Cfr. U. MAJELLO, Custodia e deposito, Napoli, 1958, p. 151 ss.

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prestazione (pensiamo ai casi del trasporto, della locazione e del lavoro subordinato), non avrebbe senso concepire la prestazione come spezzata in due parti.

E infatti, prendendo come esempio l’obbligazione del vettore di trasportare a destinazione una persona, non la si potrebbe concepire senza, in pari tempo, pensare all’esigenza che detto trasporto debba aver luogo senza danno per la stessa persona o le cose di essa. Quanto, invece, all’art. 2087, si dice che esso è stato dettato in virtù della particolare natura del rapporto di lavoro e non può dunque valere sul piano generale.

Relativamente agli altri doveri di protezione, in particolare a quelli di avviso, si è infine constatato che essi sono già diffusamente statuiti in sede di disciplina di singoli contratti, sicché l’esigenza di protezione dei contraenti sarebbe già soddisfatta dalla legge e perciò non avrebbe senso costruire un dovere generico di informazione, che, tra l’altro, avrebbe carattere marginale.

La conseguenza di tali impostazioni, sotto il profilo applicativo, è che la tutela risarcitoria in via contrattuale risulta circoscritta dall’individuazione della portata della prestazione, oltre la quale non è possibile attribuire rilievo ad obblighi ulteriori.

Questa critica (come le altre) non appare convincente.

E invero, aderendo a tale impostazione, come rileva attenta dottrina24, si finisce col porre

i soggetti del rapporto obbligatorio in una situazione sostanzialmente deteriore rispetto agli altri soggetti, giacché ai rischi maggiori cui essi vanno incontro per il contatto che l’obbligazione ha stabilito non corrisponde una tutela adeguata25.

Resta, comunque, il fatto che gli indici normativi richiamati depongono a favore dell’esistenza di tali obblighi.

L’art. 1681 c.c., infatti, sancisce un obbligo autonomo di preservare l’integrità del viaggiatore, come si desume dal secondo comma dello stesso articolo, che dispone la nullità delle clausole di esonero di responsabilità per i sinistri che colpiscono i viaggiatori.

24 Cfr. L. MENGONI, Obbligazioni di «risultato» e obbligazioni di «mezzi». (Studio critico), in Riv. dir. comm., 1954,

I, p. 369, ora in Obbligazioni e negozio. Scritti, vol. II, a cura di C. Castronovo, A. Albanese, A. Nicolussi, Milano, 2011, p. 141 ss.

25 Questa stessa dottrina, L. MENGONI, Obbligazioni di «risultato» e obbligazioni di «mezzi». (Studio critico), cit., p.

369, nota 15, per evitare l’eccessiva dilatazione degli obblighi in parola e la consequenziale eccessiva “contrattualizzazione” della responsabilità aquiliana, sottolinea come la responsabilità da inadempimento di precedente obbligazione dovrebbe applicarsi in caso di violazione degli obblighi in esame «solo allorché si accerti una relazione di causalità necessaria e non di mera occasionalità tra il danno ai beni o all’integrità del contraente e l’esecuzione del contratto».

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Ove si negasse l’esistenza di un dovere di protezione, tale statuizione non avrebbe alcun significato: e ciò perché una clausola come quella può riguardare solo un obbligo nella sua interezza, non un aspetto dello stesso26.

Identici rilievi si possono svolgere in relazione all’art. 2087 c.c.

In merito agli obblighi di avviso, inoltre, si sostiene che proprio dalla constatazione che il legislatore ha specificato singoli doveri di correttezza si deve desumere che l’art. 1175 c.c. è da considerare, non come la sintesi normativa di doveri già riconosciuti da altre norme, bensì come una direttiva che investe ogni rapporto obbligatorio, avente portata generale27.

In sostanza, la tesi dell’inutilità degli obblighi di protezione non risulta persuasiva, anche tenuto conto del fatto che la tesi contraria lascerebbe prive di tutela ipotesi in cui dalla natura della prestazione non è lecito dedurre l’esposizione a rischio o pericolo della persona o delle cose del creditore, ragion per cui, tale rischio potrebbe nascere da particolari circostanze e non essere dunque implicito nell’esecuzione della prestazione dovuta.

Partendo dall’assunto per cui risulta prevalente la tesi che ammette la configurabilità degli obblighi di protezione e al fine di comprendere come la nostra dottrina ha compiuto l’ulteriore passo di configurare obbligazioni prive dell’obbligo primario di prestazione, bisogna soffermarsi sull’uso che di tali obblighi è stato fatto per risolvere ipotesi di danni o pregiudizi verificatisi in occasione di «contatti» non ancora formalizzati in un valido rapporto obbligatorio.

È il noto caso della culpa in contrahendo.

Categoria elaborata da Rudolf v. Jhering per fornire spiegazione dogmatica all’utilizzo di azioni ex contractu in presenza di obblighi non ancora formatisi, invalidamente formatisi o retroattivamente venuti meno. Lo studioso tedesco, partendo dal presupposto per cui la

diligentia fosse richiesta allo stesso modo, tanto nei rapporti contrattuali ancora in fase di

formazione, quanto in quelli già perfezionatisi, considerava inadeguata l’applicazione della disciplina della responsabilità aquiliana per i danni subiti dal contraente che confidava nella serietà della trattativa e individuava, già in tale fase, obblighi di

26 C. CASTRONOVO, Obblighi di protezione e tutela del terzo, in Jus, 1976, p. 143 ss.,

27 F. BENATTI, Osservazioni in tema di doveri di protezione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1960, p. 1359 ss.; L.

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salvaguardia in capo a ciascuna delle parti, cioè obblighi di protezione posti a tutela dell’affidamento dei soggetti partecipanti alla trattativa, dalla cui violazione faceva scaturire l’applicabilità della disciplina della responsabilità contrattuale.

Questo suggestivo apparato concettuale, nel nostro ordinamento, è stato oggetto di rimeditazione da parte di autorevole dottrina.

In particolare, tema già esaminato nella precedente sezione, ha ricostruito in termini di responsabilità contrattuale la culpa in contrahendo Luigi Mengoni28 e, successivamente,

sulla stessa scia, si è posto altro Autore, chiedendosi se il modello normativo di cui all’art. 1337 c.c., potesse essere utilizzato «per dar veste giuridica» a rapporti altri, diversi da quello precontrattuale, che presentino le stesse caratteristiche e vadano perciò assoggettati alla stessa disciplina29.