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TEORIA DELLA PREVENZIONE SPECIALE

Nel documento La pena di morte: una pena giuridica? (pagine 124-130)

GIUSTIFICAZIONISMO E ABOLIZIONISMO PENALE

FONDAMENTO E FUNZIONE DELLA PENA

4.2.2.2 TEORIA DELLA PREVENZIONE SPECIALE

Il secondo tipo di prevenzione penale è quello che va sotto il nome di ‹‹prevenzione speciale››. Questa teoria attribuisce alla inflizione della pena uno scopo di intimidazione nei confronti del singolo reo, e quindi una prevenzione di futuri delitti commessi dallo stesso colpevole punito. Quindi possiamo affermare che la teoria della prevenzione speciale o individuale consiste nel complesso di misure neutralizzatrici, terapeutiche, rieducative e risocializzatrici, volte ad impedire che il singolo individuo cada o ricada nel delitto. Occorre però, distinguere tra l’esigenza, indubbia, della prevenzione speciale e la attuale capacità, del tutto limitata, delle scienze criminali di soddisfare tale esigenza.

L’esigenza special-preventiva, è imposta dalla constatazione empirica della insufficienza della prevenzione generale. Costante di tutti i tempi e paesi, quale ne sia il sistema sociale e politico, è l’esistenza di soggetti che commettono e ricommettono reati, rispetto ai quali l’efficacia intimidatrice della pena non ha funzionato ed occorre, perciò, operare in termini di prevenzione individualizzata. Coloro che ricadono nel reato sono soggetti non riconoscentesi nei valori legislativi o costituzionali e, per i quali, la pena non costituisce un deterrente. Il loro comportamento criminoso è, infatti, la manifestazione di una malattia o di una anormalità psichica, oppure di un condizionamento sociale antitetico a quello legislativo, o di una acquisita abitudine incoercibile al delitto, o di una ribellione in funzione rivoluzionaria, o di una strumentalizzazione criminosa da parte di una personalità dominante (es.: plagio). Oppure si tratta di soggetti che, pur riconoscendo la validità dei precetti legislativi e

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temendone la sanzione, delinquono per una incapacità di frenare gli impulsi che spingono alla condotta antisociale: soggetti solo apparentemente antisociali e che sono considerati, verosimilmente, quelli cui può efficacemente dirigersi un programma di rieducazione. Compito fondamentale è individuare questa categorie di soggetti, rispetto ai quali la prevenzione opererà, su taluni, in termini di terapia, su altri in termini di rieducazione sociale, e su altri ancora in termini soprattutto di neutralizzazione, trattandosi di situazioni pressoché irreversibili (es.: i grandi boss mafiosi, certi delinquenti ideologici per cui il martirio è indice di vittoria).

Inoltre, è opportuno distinguere tra: prevenzione speciale post

delictum e prevenzione speciale ante delictum.

La prevenzione speciale post delictum, mira ad evitare che colui che ha già commesso un reato, ne commetta altri: tradizionalmente tale funzione fu affidata alla sola pena che, mentre nella fase della minaccia ha una funzione di prevenzione generale, nella fase di irrogazione ha, innanzitutto, una finalità di dissuasione speciale. Intesa, modernamente, come terapia, rieducazione e risocializzazione, essa fu dapprima propria delle ‹‹misure di sicurezza››, poi si estese anche alla ‹‹pena››, allorché questa assunse anche una finalità rieducativa, fino a confluire nel più ampio concetto di ‹‹trattamento››. Con il c.d. diritto alla risocializzazione, la prevenzione speciale si è venuta incentrando sul trattamento individualizzato, che abbraccia il complesso delle misure utilizzabili ai fini della risocializzazione del delinquente. Oggetto di ampi studi, il problema del trattamento ha dato luogo ad esperimenti penitenziari e para-penitenziari di particolare interesse. Ne sono principi informatori: a) la creazione legislativa di un ampio sistema differenziato di misure in contrapposizione alla sola pena detentiva; b) l’esame scientifico della personalità dell’autore del reato; c) la individualizzazione delle misure applicabili e della loro esecuzione.

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Compiti questi ultimi, sono affidati alla criminologia clinica. Nel suo carattere pratico-operativo, questa utilizza le conoscenze multidisciplinari della criminologia generale al triplice fine della diagnosi della personalità, della individualizzazione del concreto trattamento penale e penitenziario, della prognosi sul comportamento futuro del singolo soggetto. Ma anche in questo caso, la storia è testimone di vicende che nulla hanno a che vedere con il suddetto diritto/dovere alla risocializzazione: negli USA la pena capitale, viene eseguita proprio all’interno di quelle stesse strutture penitenziarie che dovrebbe favorire, attraverso trattamenti psicologici, sociali e risocializzativi, il reinserimento del reo nella società. Che ruolo svolgono, allora, le istituzioni penitenziare nel processo riabilitativo? Che senso diamo agli interventi di carattere socio-terapeutico, delegati principalmente ai servizi sociali penitenziari? Quale ruolo riveste la previsione di istituti come la

diversion, probation e parole, che rappresentano la base del sistema

riabilitativo americano, in un Paese in cui, la pena capitale non offre la benché minima possibilità di redimersi, e se casomai la offrisse, potrebbe essere troppo tardi?227

La prevenzione speciale ante delictum, mira, invece, ad evitare che il soggetto, in ragione della sua concreta pericolosità, cada nel delitto. Essa è affidata, in primo luogo, alle misure medico-psichico- pedagogiche, che ogni società evoluta prevede per un’opera di assistenza preventiva e di sostegno educativo a favore di varie categorie di soggetti in pericolo (minori disadattati e malati di mente) ed, in secondo luogo, alle misure di prevenzione in senso stretto, adottate in molti paesi nei confronti di soggetti ritenuti antisociali, ancorché non fondate sulla sicura commissione di fatti criminosi.

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Dalla lettura della sentenza capitale, al giorno dell’esecuzione, possono passare anche 10, 15 o 20 anni.

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Fatta questa doverosa premessa di diritto positivo, possiamo affermare che, storicamente, la teoria della prevenzione speciale ha trovato in Grolman, uno dei suoi principali assertori.

Secondo Grolman, un delitto commesso contiene in sé la minaccia o la possibilità della commissione di futuri delitti da parte del colpevole: perciò è lecito agire sul colpevole in modo tale da determinarlo a non seguire la sua minaccia. Se si vuole eliminare il senso di soddisfazione che nasce dal delitto, si deve far nascere un contrapposto senso di disgusto da un male connesso al delitto stesso; vale a dire, si deve far sì che l’uomo, il quale brama un oggetto basato sul senso di piacere, sia portato ad aborrirlo, ponendo l’oggetto in questione in rapporto ad un senso di ripugnanza nascente dal male. Per tali motivi si ha un diritto di agire in modo contrario alla inclinazione che spinge al delitto; il che significa, dato che ciò non può avvenire in altro modo, che si ha il diritto di distogliere il delinquente, mediante l’inflizione di un male, dalla spinta verso il delitto. Ma se una simile intimidazione non è possibile, si ha il diritto di annientare le forze fisiche volte alla realizzazione della minaccia e quindi di impedire l’esecuzione di quest’ultima. La pena, quindi, è il male inflitto allo scopo di intimidire il reo o di rendere impossibili i delitti probabili.

L’aspetto negativo di tale teoria è stato messo in rilievo da Feuerbach, nella sua critica a Grolman. Feuerbach, infatti, ha affermato che la teoria della prevenzione speciale, se applicata coerentemente, rende inutile il codice penale. In base ad essa, difatti, per garantire la sicurezza di fronte al singolo delinquente, non sono necessarie leggi precise, poiché i mezzi adattati per la difesa dal delinquente vengono valutati assai meglio in concreto, sulle base delle specifiche circostanze di fatto. Ma un tale sistema rende, secondo Feuerbach, addirittura impossibile le leggi penali: nessun legislatore, infatti, può prevedere tutti i possibili casi da regolare, e, i

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fatti previsti dalla legge assumono, attraverso le circostanze che li accompagnano, un aspetto speciale, diverso dalla caratterizzazione generale e astratta data di loro dalla legge. Non si presenterà perciò mai un solo caso, il quale abbia in sé una misura di pericolo e di probabilità di analoghe lesioni per il futuro, che sia perfettamente proporzionata alla pena stabilita dalla legge. La misura del pericolo e la conseguente ampiezza della misura di sicurezza possono essere determinate soltanto in concreto dal giudice, in base alle circostanze del caso specifico.

La concezione della prevenzione speciale, presenta quindi, se attuata in tutta la sua portata, un pericolo per la certezza del diritto, in quanto conduce necessariamente a dare un’ampiezza eccessiva alla discrezionalità del giudice; tanto è vero che Grolman afferma espressamente la necessità di lasciare largo spazio al cosiddetto arbitrio dei giudici, che egli preferisce chiamare però ‹‹discrezionalità››. La teoria della prevenzione speciale presenta quindi un oggettivo pericolo di arbitrio, come ha messo in evidenza anche il Glaser, con riferimento alla sproporzione fra le pene che fatalmente ne risulta: ‹‹quanto alla intimidazione non bisogna dimenticare che la possibilità di ottenere questo scopo dipende dapprima dalle particolarità individuali delle persone che si vogliono intimidire. Dunque la pena, per raggiungere questo scopo, deve ignorare il delitto commesso, ed in conseguenza anche il grado di colpevolezza del suo autore, ed al contrario essa deve prendere in considerazione appunto queste particolarità individuali; da ciò deriva che talvolta, malgrado la gravità del delitto, una pena mite ci apparirà utile, altra volta al contrario una pena molto severa››.228

D’altra parte, la teoria elaborata dal Grolman, ha avuto il merito storico di attirare l’attenzione sul momento dell’esecuzione della

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S. Glaser, L’idea di giustizia nel diritto penale, in ‹‹Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto››. IV, 1929, p. 780.

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pena, e ha fatto valere l’esigenza di commisurare il male penale al danno provocato dal delitto, e di non allargare la misura della pena rispetto a quanto è necessario per far rientrare il colpevole nell’ambito dal quale era indubbiamente uscito.

La dottrina del giurista tedesco ha messo dunque l’accento sul processo di individualizzazione della pena, che verrà poi ripresa e sviluppata nella seconda metà dell’Ottocento dalle correnti positivistiche e sociologiche. In questo senso Franz von Listz può essere considerato come il continuatore di Grolman. La pena è per von Listz ‹‹mezzo per raggiungere uno scopo››,229

ed è da lui

chiaramente individualizzata: essa è rivolta, nella sua concezione, verso tre mete: a) risocializzazione dei delinquenti che di essere risocializzati abbiano bisogno e siano suscettibili; b) intimidazione di quei delinquenti che non abbiano bisogno di risocializzazione; c) neutralizzazione dei delinquenti che di risocializzazione non siano suscettibili.

Il terzo punto è una ulteriore conferma della perplessità che aleggia intorno alla teoria della prevenzione speciale: l’idea che nei confronti di quei delinquenti verso i quali l’intimidazione (ovvero la determinazione a non commettere altri delitti) non sia in grado di operare efficacemente, è lecito infliggere delle pene che mettano in condizione di non nuocere, che incidono sulla possibilità fisica di delinquere (da qui il concetto di neutralizzazione). Un simile ordine di idee conduce o può condurre a porre la funzione penale sotto l’egida dell’idea di una ‹‹difesa sociale›› alle cui esigenze devono essere subordinati i diritti individuali, e a ritenere necessarie pene come la morte o l’ergastolo, le quali, da un punto di vista etico- politico, risultano non suscettibili di legittimazione e sono fonte di notevoli obiezioni. Non solo, ma una simile ‹‹messa in condizione di

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F. von Listz, La teoria dello scopo del nel diritto penale, Giuffrè. Milano 1962, p. 42.

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non nuocere››, appare anche in contrasto con l’esigenza primaria della prevenzione speciale, ovvero, quel ‹‹recupero del reo›› che è il principale obiettivo che deve assicurare uno Stato che si dichiari portatore di valori umani e morali.

Nel documento La pena di morte: una pena giuridica? (pagine 124-130)