INTENZIONALITÀ E COSCIENZA FENOMENICA
2. TEORIE RAPPRESENTAZIONALI FORTI
2.2 Teorie rappresentazionali impure: Tim Crane
sul rappresentazionale, ma si propone di identificare contenuto fenomenico e contenuto rappresentazionale di un certo tipo. La teoria “p.a.n.i.c.” specifica il tipo di contenuto rappresentazionale in discussione: funzionalmente idoneo, non-concettuale e astratto. A prescindere dalle difficoltà messe in luce per quanto riguarda l’effettiva applicazione dell’argomento della trasparenza e il ruolo funzionale svolto dal contenuto fenomenico degli stati mentali, è chiaro che all’interno della teoria proposta non c’è posto per proprietà come i qualia, sebbene Tye non neghi l’idea che, per alcuni stati mentali, è sensato parlare di aspetti qualitativi.
2.2 Teorie rappresentazionali impure: Tim Crane.
La discussione della teoria intenzionale proposta da Michael Tye ha messo in luce che la nozione fondamentale per spiegare il carattere fenomenico dell’esperienza è quella di contenuto rappresentazionale. L’esigenza di specificare, in maniera puntuale, le caratteristiche di tale contenuto (non-concettuale, “poised”, astratto) è motivata proprio dal fondamentale ruolo che svolge all’interno della teoria.
Fra le teorie rappresentazionali forti esiste, tuttavia, una spiegazione alternativa a quelle fornite dalle teorie pure come quella di Tye. Si tratta del cosiddetto “rappresentazionalismo impuro” secondo cui il carattere fenomenico di uno stato mentale dipende sia dal contenuto intenzionale che dal modo intenzionale in cui il contenuto è rappresentato. Tim Crane difende questa tesi ritenendola la spiegazione che ricostruisce, in maniera più adeguata, la fenomenologia delle percezioni sensoriali, delle sensazioni corporee e anche di emozioni, sentimenti e stati d’animo. Crane definisce la sua proposta anche come “teoria percettiva”, intendendo applicare il paradigma utilizzato dalle teorie intenzionali per descrivere le percezioni alle sensazioni corporee e ad altri stati mentali.
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Per apprezzare il modo in cui i concetti delle teorie intenzionali sono impiegati per rendere conto dell’effetto che fa percepire qualcosa, Crane propone un esempio:
Il carattere fenomenico dell’esperienza visiva di un aeroplano che vola sopra di noi viene dato mediante il suo contenuto – l’aeroplano, la sua forma e le sue dimensioni ecc. – e mediante il modo intenzionale dell’esperienza: il vedere. La differenza fenomenica tra il vedere un aeroplano sopra di noi e l’udirne uno è in parte questione di contenuto – ciò di cui si ha esperienza – ma anche del modo di apprensione di tale contenuto125.
L’esempio sembra implicare la sopravvenienza degli aspetti qualitativi sugli aspetti intenzionali (contenuto e modo intenzionale) degli stati mentali: una volta fissato il contenuto della rappresentazioni e il modo intenzionale gli aspetti fenomenici non possono più variare. Certamente, alcune proprietà rappresentazionali possono essere rappresentate solamente attraverso certe modalità percettive, per esempio i colori non possono essere annusati. Ma alcune proprietà possono essere conosciute attraverso modalità diverse: la forma di un oggetto può essere percepita attraverso la vista, ma anche attraverso il tatto.
Sembra quindi plausibile sostenere che, distinguendo le proprietà rappresentazionali in primarie e secondarie, sia decisivo specificare il modo intenzionale (vedere, udire, ecc.) per distinguere due percezioni delle stesse proprietà primarie, ma che non sia necessario specificarlo per le proprietà secondarie, dal momento che tali proprietà non possono essere percepite se non attraverso determinate modalità sensoriali. Se questa interpretazione è valida, allora la tesi di Crane, secondo cui contenuto e modo intenzionale hanno lo stesso peso nel determinare gli aspetti qualitativi, vale solo per le proprietà rappresentazionali primarie. Per quelle secondarie il modo è, in un certo senso, implicato dalle proprietà rappresentazionali stesse, per cui sembra superfluo il
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riferimento alla particolare modalità sensoriale attraverso cui ne acquistiamo consapevolezza 126.
Parallelamente all’analisi delle percezioni, Crane intende applicare lo stesso metodo anche alle sensazioni corporee, il paradigma delle quali è la sensazione di dolore. Quando parliamo delle sensazioni di dolore parliamo di stati mentali che riguardano una parte del nostro corpo e quindi, indipendentemente dal fatto che la parte sia localizzata con precisione, essa costituisce l’oggetto intenzionale delle sensazioni di dolore. Una volta specificato l’oggetto intenzionale, tuttavia, è necessario dire qualcosa in più:
Non è solo la caviglia, ma anche le condizioni in cui si trova, che determina il carattere fenomenico. Il contenuto intenzionale di un dolore potrebbe essere qualcosa del genere: la caviglia mi fa male127.
Seguendo l’analogia posta fra percezioni e sensazioni corporee è necessario specificare anche un terzo elemento per spiegare il contenuto fenomenico di alcuni stati mentali: il modo intenzionale. Crane si domanda:
Qual è la natura del modo, nel caso del dolore? Esso deve essere, almeno, che la caviglia è sentita: il contenuto è il contenuto di una sensazione, una persona deve sentire che la sua caviglia fa male. Insistendo con l’analogia con la percezione, possiamo dire che il dolore sia una tipo di sensazione, così come vedere è un tipo di percezione128.
In sintesi, le sensazioni di dolore sono descritte facendo riferimento ad un contenuto intenzionale, cioè che una parte del corpo fa male, e ad un modo intenzionale, il sentire129. La sensazione di dolore, contrariamente a quanto
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Mi pare sensato dire anche che anche le proprietà primarie, quali la dimensione di un oggetto, determinano i modi intenzionali attraverso cui le possiamo rappresentare, escludendone altri. Per questo motivo, se le dimensioni di un oggetto possono essere percepite sia attraverso la vista che il tatto, non è così chiaro come si possa annusare o gustare la dimensione di qualcosa.
127 Crane (2003a), p. 127.
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Crane (2003b), p. 22.
129 Crane sottolinea che le espressioni attraverso cui descriviamo le sensazioni di dolore sono ingannevoli dal punto di vista “semantico”, anche se l’autore precisa che questa osservazione è
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sostenuto da Tye, non è una proprietà che attribuiamo a quella parte del corpo che sentiamo, ma ha piuttosto una natura relazionale. Qualcosa non può far male se non a qualcuno e l’idea che ogni sensazione corporea sia una relazione fra un soggetto e una parte del suo corpo è specificata dal modo intenzionale.
Resta da analizzare che cosa la proposta di Crane dice su emozioni e stati d’animo. Poiché questi stati mentali sono solitamente considerati come controesempi alle teorie intenzionali, è necessario fornire alcuni elementi che, contrariamente alle critiche, ne mettano in luce la natura intenzionale. Se si può accettare che alcune emozioni (paura, desiderio, ecc.) hanno una struttura intenzionale per cui, per lo meno, sono sempre direzionate verso un oggetto, gli stati d’animo come la malinconia non sembrano vertere su un oggetto particolare. Ad una più attenta analisi, tuttavia, è possibile descrivere anche questi ultimi secondo il paradigma intenzionalista:
Per esempio, potresti sentirti genericamente irritato ma non è chiaro per che cosa sei irritato, ma solamente attraverso la riflessione ti rendi conto che è la presenza di un tuo parente anziano ad essere sia la causa che l’oggetto dell’irritazione. Allo stesso modo, per altri quegli stati d’animo i cui oggetti possono essere caratterizzati solo nella maniera più generale. Lo stato d’animo depressivo può avere come suo oggetto “le cose in generale” o “ogni cosa”, e questo è un fatto messo in luce dal luogo comune secondo cui una persona depressa e una non depressa vivono in mondi diversi130.
In questo modo Crane argomenta che anche gli stati mentali che sembrano caratterizzati più fortemente dagli aspetti qualitativi possiedono in realtà oggetti intenzionali. L’intenzionalità è perciò proprio il segno distintivo (mark) del mentale, non possono esistere stati mentali che non esibiscono caratteristiche intenzionali.
utile solo per rendere chiara la sua proposta teorica. Per rispettare l’analogia con la percezione, per cui diciamo “vedo un aeroplano”, dovremmo dire “sento (dolorare) la caviglia” piuttosto che dire “la caviglia mi fa male”. In questo modo la distinzione fra modo intenzionale (vedere, sentire) e oggetti e contenuti intenzionali (la caviglia, l’aeroplano) risulta più evidente.
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L’autore, tuttavia, non analizza in maniera esaustiva il contenuto fenomenico di emozioni e stati d’animo articolando la relazione fra oggetti intenzionali, contenuti intenzionali e modi intenzionali. Egli sostiene che:
Gli oggetti ci sono presentati come significativi in molti modi e parte del significato è il loro significato affettivo: gli oggetti possono sembrare amabili, preziosi, bisognosi di cura, spaventevoli o nauseanti. Questo può essere, a seconda dei casi, un aspetto del loro contenuto o un aspetto del loro modo intenzionale.[…] Fino a che punto ogni stato d’animo riconoscibile è adattabile ad una delle classificazioni discusse è qualcosa che necessita di ulteriori indagini131.
In conclusione, la proposta di Crane cerca di spiegare gli aspetti fenomenici delle percezioni e degli altri stati mentali senza far riferimento a proprietà come i qualia, ma articolando gli elementi che costituiscono la natura intenzionale degli stati mentali. La sua proposta riprende, in parte, le intuizioni di Michael Tye ma non ne condivide tutte le implicazioni. Il riferimento al solo contenuto intenzionale e alla tesi della trasparenza sembra essere, infatti, mitigato dall’importanza assegnata al ruolo del modo intenzionale132. Se l’esternalismo di Michael Tye rispetto alle proprietà fenomeniche, cioè il loro essere determinate solamente da qualcosa di esterno agli stati mentali stessi, può non essere una posizione condivisibile, il tentativo di Crane di integrare questa spiegazione con il riferimento al modo intenzionale sembra non gettare luce sugli aspetti qualitativi ma semplicemente presupporli.