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La terza generazione di leadership: Jiang Zemin e la crisi del 1995-96

La Taiwan policy di Deng si segnalerà come il periodo più morbido della strategia adottata da Pechino per la riunificazione; durerà fino al 1993, un anno dopo il ritiro dalla vita politica di Deng124. Inizialmente, l’ascesa al potere di Jiang Zemin (che divenne segretario generale del PCC nel 1989) non cambierà, infatti, l’approccio pacifista e moderato del suo predecessore125.

Una tappa fondamentale si segnala con quello che verrà ribattezzato 九二共识, jiu er gongshi, “1992 consensus”: gli allora rappresentanti di SEF e ARATS126 si incontrarono ad Hong Kong tra il 26 e 29 ottobre 1992, raggiungendo un accordo verbale in merito all’esistenza di un’unica Cina e all’appartenenza di Taiwan alla stessa. L’elemento di disaccordo era, ovviamente, a chi appartenesse la sovranità della Cina, se alla RPC o alla ROC127.

Nonostante l’apparente riavvicinamento, nel 1995 si verificò una nuova crisi. La causa diretta fu la concessione di un visto da parte degli Stati Uniti al presidente della ROC, Lee Teng-hui, per tenere un discorso sull’esperienza della democratizzazione taiwanese alla Cornell University128. Ma le

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I siti web dei due enti, con relative presentazioni e documentazione sono rintracciabili ai link:

http://www.arats.com.cn/bhjs/200904/t20090417_871060.htm e

http://www.sef.org.tw/ct.asp?xItem=48843&CtNode=3987&mp=300.

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WACHMAN, Allen, Why Taiwan? Geostrategic Rationales for China's Territorial Integrity, Studies in Asian Security, Stanford, Stanford UP, 2007, pp. 3-16

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Per un’analisi approfondita si veda SHAMBAUGH, David, The Dynamics of Elite Politics during the Jiang Era in The China Journal, n. 45, gennaio 2001, pp. 101-111

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Rispettivamente Koo Chen-fu (辜振甫, Gu Zhenfu) e Wang Daohan (汪道涵, Wang Daohan)

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KAN, China/Taiwan: Evolution of the “One China” Policy, 2011, p. 46.

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L’origine della rottura si ricollega agli avvenimenti sviluppatisi a Taiwan intorno alla metà degli anni ottanta, quando Chiang Ching-kuo, attraverso una serie di riforme, permise al dissenso all’interno della società civile taiwanese di avere un canale di sfogo ufficiale: il 28 settembre del 1996 nacque il primo partito d’opposizione a Taiwan, il Partito democratico progressista (PDP), che sosteneva l’indipendenza dalla mainland. Le riforme di Chiang Ching-kuo inaugurarono il processo di “taiwanizzazione” o “indigenizzazione” 本 土 化 , bentuhua, dell’isola. L’economia taiwanese, inoltre, segnò un processo di liberalizzazione, dovuto a pressioni sia interne che esterne – statunitensi, soprattutto. La trasformazione dell’industria portò inoltre alla creazione di una nuova classe media, che ha avuto una funzione determinante nell’accelerare i processi di “taiwanizzazione” e di trasformazione del sistema politico, oltre che nella creazione di una moderna identità e coscienza taiwanesi. SAMARANI, La Cina del Novecento, 2008, pp. 371-

23 prime schermaglie si possono riscontrare già dal 1993, a seguito degli sforzi da parte taiwanese di guadagnare maggior riconoscimento a livello internazionale; l’apice di tali iniziative sarà la richiesta di rappresentanza presentata alle Nazioni Unite129 (6 agosto 1993), che porterà anche alla pubblicazione di due white paper sulle relazioni dello Stretto, uno della RPC (1993) e uno della ROC (1994) – oltre a una revisione della Taiwan policy da parte dell’amministrazione Clinton (7 settembre 1994).

Le autorità della RPC si opposero fermamente alla visita di Lee, accusandolo di appoggiare le istanze indipendentiste taiwanesi130. Sarà questo il primo momento in cui Jiang impose una svolta alla propria Taiwan policy: il 30 gennaio 1995 annunciò “otto punti”, in cui ribadì che la premessa per una riunificazione si fonda sul one China principle, suggerendo inoltre che si sarebbe tentato, per quanto possibile, l’uso di soluzioni pacifiche, sulla base del modello “un Paese, due sistemi”. La novità sta nell’enfasi posta sull’inaccettabilità di una dichiarazione d’indipendenza da parte della ROC, e la volontà di non procrastinare oltremodo la questione131. Come sostiene Zhao Suisheng, “l’offensiva pacifica” della RPC entrò in una nuova fase: quella dell’alternarsi di bastone e carota132. In questo clima di rabbia e frustrazione vanno intese le quattro esercitazioni militari condotte dall’ELP, a cavallo tra luglio 1995 e marzo 1996133, abbinate alla chiusura unilaterale dei rapporti tra ARATS e SEF. La scelta di Pechino fu quella di attuare una “diplomazia coercitiva”, per spingere i taiwanesi a non votare un presidente che appoggiasse l’indipendenza. Ad ogni modo, nonostante la rielezione di Lee Teng-hui, in marzo 1996, le esercitazioni militari vennero sospese. A seguito dell’energica risposta statunitense (la mobilitazione di due portaerei della flotta), l’ELP

373. Per approfondire si veda MAKEHAM, John e HSIAU, A-chin, Cultural, Ethnic and Political Nationalism in Contemporary Taiwan – bentuhua, New York, Palgrave Macmillan, 2005.

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KAN, China/Taiwan: Evolution of the “One China” Policy, 2011, p. 48.

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L’accusa nasce da un’intervista rilasciata, nel marzo del 1994, allo scrittore giapponese Ryotaro Shiba, in cui Lee paragona la situazione di Taiwan a quella di Mosè in Egitto, facendo intendere di voler guidare “il suo popolo” alla liberazione dagli oppressori e fondare un nuovo Stato. Per l’intervista integrale si veda Zili Wanbao (Zili Evening News) del 30 aprile 1994. Inoltre, i “sei punti” di Lee Teng-hui (8 aprile 1995) in risposta agli “otto punti” di Jiang non facevano che confermare la volontà di Lee di veder riconosciuta la ROC come Stato alternativo alla RPC – sarà la base della teoria che elaborerà lo stesso Lee, ossia della Cina come “Stato diviso”, in cui coesistono due entità, ROC e RPC con uguali diritti.

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CHEN Chien-Kai, Comparing Jiang Zemin's Impatience with Hu Jintao's Patience Regarding the Taiwan Issue, 1989– 2012, in Journal of Contemporary China, vol. 21, Routledge, 2012, pp. 956-957.

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ZHAO Suisheng, Military Coercion and Peaceful Offence: Beijing's Strategy of National Reunification with Taiwan, in Pacific Affairs, vol. 72, n. 4, Special Issue: Taiwan Strait, inveno 1999-2000, pp. 495-512.

133 Il primo test risale al 21-26 luglio, e fu un lancio di missili balistici (non armati) “superficie-superficie” (SSM), ad

appena 150 km dalla punta a nord di Taiwan; la seconda serie di test verrà eseguita tra il 15 e 25 agosto. La terza esercitazione si svolse in novembre, simulando lo sbarco di carri armati e altre attrezzature da mezzi anfibi. La quarta serie di test avvenne tra il 18 e il 25 marzo 1996, col lancio di tre missili a 20 miglia da Keelung. ZHAO, Military Coercion and Peaceful Offence, 1999-2000, pp. 497-498.

24 non poté far altro che ammettere la necessità di doversi modernizzare ulteriormente, se voleva avere possibilità di successo in un eventuale conflitto con Taiwan134. La più grande vittoria cinese si riscontra però in un mutato atteggiamento da parte dell’amministrazione americana, che attraverso una serie di dichiarazioni135 mette in luce la volontà di evitare i livelli di tensione raggiunti nel 1995-96136. Da allora i rapporti sino-statunitensi migliorarono notevolmente.

Questa mutata percezione del contesto internazionale convinse Pechino di poter adottare una politica meno rigida verso Taiwan, nonostante le elezioni presidenziali del 18 marzo 2000 avessero segnato la vittoria di Chen Shui-bian, il candidato del PDP. A testimonianza della maggior fiducia della RPC, venne compiuto un significativo passo verso la distensione dei rapporti: la definizione del one China principle venne resa più flessibile137, e gli atteggiamenti belligeranti ridotti al minimo. Ciò nonostante, anche nell’ultimo documento ufficiale in cui Jiang era ancora in carica, ossia il rapporto presentato l’8 novembre 2002 al XVI congresso del PCC, si evince la necessità di programmare una scadenza per determinare la riunificazione. Come anche nel white paper del 2000, Jiang sembrava intenzionato a metter in luce che se le autorità taiwanesi avessero rimandato “a data indefinita” la questione della riunificazione, l’eventualità di un conflitto non si poteva escludere138. Questa rimane la sostanziale differenza tra la politica verso Taiwan di Jiang e quella del suo successore, Hu Jintao: Hu percepisce come meno probabile il rischio di una dichiarazione di indipendenza da parte taiwanese, e in questo sarà agevolato anche dall’atteggiamento meno provocatorio del successore di Chen, Ma Ying-jeou; quindi, sebbene gli elementi chiave delle

Taiwan policy di Jiang e Hu saranno invariati, il secondo non percepirà l’urgenza di fissare date per

la risoluzione della questione139.

134 ZHAO, Military Coercion and Peaceful Offence, 1999-2000, p. 507. 135

KAN, China/Taiwan: Evolution of the “One China” Policy, 2011, pp. 57-58.

136

ZHAO, Military Coercion and Peaceful Offence, 1999-2000, pp. 507-509.

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Poco prima delle elezioni, il 21 febbraio 2000, venne rilasciato il white paper “The One Chine principle and the Taiwan issue” (《一个中国的原则与台湾问题》白皮书, “Yi ge Zhongguo de yuanze yu Taiwan wenti” baipishu), in cui si ribadisce la posizione espressa in gennaio 1995, con gli “otto punti” di Jiang. Tuttavia, a seguito della nomina di Chen, si deciderà di adattare il concetto di “una Cina” in base al contesto: in ambito internazionale, si sottintende che la “Cina” corrisponde alla RPC, mentre in ambito di “relazioni sullo Stretto”, questo non avviene. Sembra riconoscersi alla ROC, quindi, pari dignità a rappresentare la “Cina”, accogliendo implicitamente la definizione di “Stato diviso” precedentemente formulata dal GMD. Inoltre, il 24 gennaio 2002, il vice premier Qian Qichen afferma la possibilità di aprire i 三通, santong, ossia i collegamenti diretti postali, commerciali e dei trasporti tra Taiwan e mainland. Precedentemente, l’apertura dei santong veniva vincolata all’accettazione del one China principle. TUNG, Chen-yuan, An Assessment of China's Taiwan Policy under the Third Generation Leadership, in Asian Survey, vol. 45, n. 3, maggio/giugno 2005, pp. 344-347.

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CHEN, Chien-Kai, Comparing Jiang Zemin's Impatience with Hu Jintao's Patience Regarding the Taiwan Issue, 1989– 2012, in Journal of Contemporary China, vol. 21, Routledge, 2012, pp. 957-959.

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CAPITOLO SECONDO

2. Who is Hu?

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