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Discorsi, pratiche, testi. Per un’analisi del corpus: le riviste

specializzate e i fondi audiovisivi

1. L’orizzonte dei discorsi. Il caso delle riviste specializzate

Nell’ottobre del 1981, all’interno di Video Magazine1, la prima rivista italiana dedicata esclusivamente all’insorgenza del fenomeno video in Italia, compare una delle più efficaci rappresentazioni discorsive della base materiale dell’interdispositivo (fig. 5). Si tratta di un’illustrazione in cui si raffigura la rete tecnica costituita dalle strutture mediali dell’epoca. Al centro del sistema vi è il televisore, descritto come un’apparecchiatura grazie alla quale lo user può governare un vero e proprio micro-labirinto informativo. L’autore dell’articolo a cui tale immagine rimanda2, Carlo Solarino3, rovescia così le convenzioni più diffuse riguardanti uno dei principali componenti delle tecniche video. Più che presentarsi come mera base materiale di un unico medium, ossia la televisione, il televisore costituisce uno degli snodi principali di una rete tecnica estesa, in grado di collegare l’home computer al telefono, le piattaforme videoludiche alla tv via cavo, le apparecchiature utilizzate dai cineamatori a quelle utilizzate dai videoamatori.

Il televisore, insomma, è il fulcro attorno a cui ruotano moduli che ne estendono le funzioni. È il centro di un assemblaggio potenzialmente amplissimo, i cui collegamenti, essendo componibili, possono adattarsi alle esigenze di chi lo utilizza. L’appassionato di tecniche informatiche potrà sviluppare gli elementi di interconnessione con gli hardware di riferimento (la memoria a cassette o a floppy disk dell’HC, i microprocessori o i lettori di cassette per i videogiochi, etc.), colui che è particolarmente preoccupato per la propria sicurezza potrà formare un piccolo apparato di videosorveglianza grazie a una telecamera a circuito chiuso e un videoregistratore, il telefilo potrà creare un proprio archivio di programmi televisivi (e di film) trasmessi nelle televisioni di tutto il

1 Il discorso sulla primogenitura delle riviste appare rilevante solo in senso indicativo. La comparsa della tecnica-video all’interno del mercato italiano, all’inizio degli anni Settanta, provoca una riconfigurazione del panorama discorsivo, soprattutto grazie alle riviste dedicate alla fotografia e al cinema amatoriale, che includono il video tra i propri argomenti. Video Magazine e Video, i cui primi numeri escono a pochissimi mesi di distanza alla fine del 1981, rappresentano le prime pubblicazioni specializzate in cui il video e, soprattutto, la “cultura video” svolgono un ruolo pressoché esclusivo. Ciò differenzia queste riviste da Audiovisione. La prima rivista di hi-fi, videoregistrazione e TV a

colori (che comincia le proprie pubblicazioni all’inizio degli anni Settanta), in cui il tema del video è inglobato

all’interno di un complesso sistema di rimandi discorsivi in cui esso è considerato in funzione delle tecnologie “cugine”, ossia hi-fi e televisione. All’interno del nostro lavoro di scavo, terremo conto solo in minima parte dei contributi di

Audiovisione, concentrandoci, in un primo momento, su riviste che operano all’interno di spettri più ampi (in cui, oltre

all’hi-fi e alla televisione, compaiono anche cinema amatoriale e fotografia: il riferimento è, innanzitutto a Fotografare) e, in seguito, sulle riviste che, dall’inizio degli anni Ottanta, si specializzano per prime nel video, segnando un notevole cambio di passo a livello epistemico.

2 Cfr. C. Solarino, “Il televisore. Questo sconosciuto terminale informativo”, in Video Magazine, n. 2 (ottobre 1981), pp. 33-37.

3 Solarino, nel 1983, pubblicò uno dei più importanti manuali di televisione degli ultimi decenni, la cui ultima edizione risale a poco più di cinque anni fa. Si tratta di Per fare televisione. Manuale completo di apparecchiature,

mondo grazie alle TV via cavo collegate a impianti satellitari: tutto ciò può avvenire senza che tutti i moduli debbano essere attivati sincronicamente. Pur essendo ovvia, una simile problematica deve essere ben evidenziata perché pone il profilo dello user al centro del sistema: anche se il suo campo d’azione appare costretto dai limiti della tecnica, può riservarsi piccoli margini di libertà componendo come più gli aggrada l’assemblaggio.

Sebbene tale libertà appaia ovviamente condizionata da questioni concernenti le competenze in campo tecnico, la nazionalità4 e le possibilità economiche di ogni individuo, essa diviene un termine di riferimento della speculazione soprattutto se si prendono in considerazione le pratiche amatoriali e, più in generale, quelle legate al video consumer e al film substandard, nei cui confronti lo stesso Solarino dimostra un notevole interesse, dedicandovi un’intera sezione (intitolata “Televisore come schermo cinematografico”)5 . Qui l’articolista sostiene che il sistema cinematografico domestico (cinepresa e proiettore Super8), pur rappresentando

una forma evoluta di trattamento di immagini per uso privato, non è certo immune da una certa macchinosità; tra cui soprattutto la proiezione, che richiede la disponibilità di un ambiente adatto e il relativo oscuramento, la corretta collocazione del proiettore, l’installazione dello schermo e dell’eventuale altoparlante. Esistono in commercio però appositi lettori per film Super8, capace di riprodurre immagini sullo schermo televisivo anziché sul tradizionale telone. Anche in questo caso la connessione avviene tramite l’ingresso d’antenna del televisore. Dal punto di vista del funzionamento, questo dispositivo assomiglia a quello che, per i tecnici, è il “telecinema”, ossia l’apparecchiatura impiegata in tutte le stazioni televisive, che provvede a convertire l’informazione ottica della pellicola cinematografica in informazione elettrica riproducibile sul televisore. È chiaro che il lettore pellicola Super8 menzionato è molto più semplice e di caratteristiche tecniche inferiori, dimostrandosi però capace di soddisfare ampiamente, tanto nel video quanto nell’audio, le normali esigenze di visione di un film a carattere familiare6.

Anche se, nel corso degli anni, i tentativi di commercializzare il lettore Super8 sono risultati fallimentari, la sua esistenza segnala comunque l’emersione di una zona della rete tecnica in cui film e video sono interconnessi. Come segnala la figura presente a pagina 36 (fig. 5), tale linea non comprende solo il lettore Super8, ma anche le apparecchiature per il telecinema, il cineproiettore e il diaproiettore, rimandando a un possibile assemblaggio che, a livello di discorso sulla materialità del medium, non prevede tanto l’affermazione di una “struttura di dispositivo” all’interno di un vacuum mediale, quanto quella di un conglomerato di assemblaggi che, a sua volta, forma un interdispositivo. La sua configurazione, già nell’ambito dei discorsi sulle tecniche, non è fissa. Al

4 I consumatori del mondo occidentale, ovviamente, potevano fare riferimento a possibilità sconosciute alle popolazioni del blocco sovietico, anche se queste, come dimostra il lavoro di ricerca svolto dalle equipe polacche dell’Università di Lodz e dall’Università di Scienze Sociali e Umanistiche (in particolare, ci riferiamo a Michal Pabis-Orzeszyna e a Miroslav Filiciak), erano in grado di mettere in atto strategemmi tattici volti al superamento di blocchi doganali e di inefficienze dei comparti industriali nazionali. Aa tal proposito, ci permettiamo di segnalare il panel tenuto durante la conferenza Changing Platforms of Memory Practices (Groninga, settembre 2015) e intitolato Video and Technostalgia.

5 Cfr. C. Solarino, “Il televisore. Questo sconosciuto terminale informativo”, in Video Magazine, n. 2 (ottobre 1981), pp. 33-37.

contrario, come abbiamo ipotizzato riguardo alla questione della negoziazione (al termine della seconda sezione), il dispositivo diviene un campo di permutazioni possibili in cui l’amatore 7 (come mostra la figura 3) può scegliere di concentrarsi sull’asse che lega il televisore alle apparecchiature video oppure di ampliare scalarmente il raggio delle pratiche (e, più specificamente delle pratiche tecniche) inglobando anche il film.

La conformazione presentata nell’articolo di Video Magazine di Carlo Solarino non appare tuttavia come un’isolata e fantasiosa costruzione di un giornalista. All’inizio degli anni Ottanta, la rappresentazione della base materiale dell’audiovisivo analogico della quotidianità all’interno del suo dispositivo sociale si articola come una rete che ha come proprio fulcro il televisore ma come un pattern ricorrente all’interno delle riviste specializzate.

Esattamente due anni dopo, nell’ottobre del 1983, la stessa illustrazione compare all’interno di una delle riviste concorrenti di Video Magazine, ovvero Video, in un articolo intitolato “Se la tua immagine è così, così”8 (fig. 6). In questo caso, il punto di maggiore interesse è costituito dal focus del testo di Secondi: non ci si occupa, infatti, dei problemi legati alla transizione da film a video, ma di un approfondimento sulle principali tecniche da adottare se si desidera migliorare la qualità delle immagini sia in fase di ripresa sia in fase di riproduzione. L’immagine della rete mediale, all’interno di un contesto di questo genere, viene utilizzata come esempio generico delle potenzialità di un sistema espanso, in cui appare più rilevante indicare le trame di interrelazione che ragionare su questioni specifiche riguardanti l’utilizzo di uno standard video, di una particolare marca di cineprese o videocamere, etc.

L’immagine, al contempo metaforica e letterale, di una “rete audiovisiva” al cui interno si sviluppano le transazioni quotidiane tra individui (o gruppi di individui) e tecniche non è, a sua volta, fissa e immodificabile. Può anche essere ingrandita in senso scalare, se si decide di indagare la rappresentazione discorsiva delle tecniche di transizione. Ne è esempio un’altra immagine (fig. 7), presente all’interno del primo numero di Video del novembre 1981. L’illustrazione, collocata all’interno dell’articolo “Stasera in TV le vostre diapositive”9, mostra una sorta di diagramma in cui vengono raffigurati i diversi passaggi necessari al riversamento su video dei film (si fa riferimento alle pellicole 8mm [probabilmente si intende il Super8] e 16mm) e delle diapositive. Oltre a essere un’interessante rappresentazione del workflow a cui, anche in campo non-professionale, è necessario sottoporre le pellicole al fine di trasferirle su video, l’immagine rimanda a un articolo in cui si sostiene che il rapporto tra film e video (e diapositive), pur essendo dibattuto da diversi anni, non è stato ancora risolto, anche se, molto probabilmente, durante il decennio appena iniziato, si

7 Sia nella sua accezione di amatore serio sia nella sua accezione di everyday user.

8 Cfr. P. Secondi, “Se la tua immagine è così, così”, in Video, n. 22 (ottobre 1983), pp. 30-33.

potrà assistere alla definitiva affermazione dell’immagine elettronica.

Questa lunga fase di transizione/coesistenza, che, come possiamo notare, all’inizio degli anni Ottanta non è ancora terminata10, costituisce la base per la determinazione di forme mediali ibride. Come sostiene l’autore dell’articolo, Stefano Belli, «c’è chi inizia a studiare sistemi di videoregistrazione portatili[11], chi vende proiettori per Super8 con schermo incorporato, della grandezza di un televisore portatile (!), chi offre gratuitamente ai propri clienti il trasferimento dei filmini su nastro video»12. Al di là dell’elaborazione di nuove apparecchiature in cui elementi tipici delle tecniche del film e del video si combinano, la nostra attenzione si concentra sull’ammissione della presenza di un argomento ampiamente dibattuto, che, dagli anni Settanta, rappresenta uno dei fulcri discorsivi attorno a cui ruotano gli articoli delle riviste specializzate. Resta da capire come, prima degli anni Ottanta, ossia prima dell’istituzione di riviste specializzate esclusivamente dedicate al video, potesse essere affrontato il cardine dello schema epistemico dell’audiovisivo analogico della quotidianità, ossia la relazione tra film e video in funzione della ricognizione di ciò che circonda l’everyday user.

L’obiezione che si può muovere a questa bozza paradigmatica è la seguente: ci si è concentrati sulla rete tecnica che ha come fulcro il televisore, elevando una delle possibili rappresentazioni della materialità dell’interdispositivo a punto di riferimento. In altri termini, una sua possibile forma, ascrivibile a un preciso periodo del ventennio preso in considerazione, si ergerebbe a emblema di un panorama mediale ben più complesso, in cui temi di maggiore rilevanza epistemica entrano a far parte del cerchio di coscienza possibile dei cine-videoamatori, dei giornalisti, degli autori dei manuali, dei commercianti e dei dirigenti delle grandi aziende in cui si producono gli oggetti tecnici.

Tale obiezione sarebbe assolutamente pertinente se, alla base, non solo non vi fosse una concezione di dispositivo come struttura centrifuga ed elastica, ma soprattutto se, come abbiamo sottolineato, essa non facesse riferimento anche all’interpretazione deleuziana, secondo cui il dispositivo è un agencement stratificato, dinamico e in continua trasformazione. Specularmente, anche il suo schema epistemico (o dispositivo sociale) appare flessibile pur essendo composto da più livelli sovrapposti. Al suo interno linee di persistenza e microfratture si diramano e si susseguono a grande velocità, influenzate, da una parte, dalla competizione che si stabilisce tra le aziende che cercano di

10 L’autore dell’articolo, infatti, afferma di non voler «entrare in polemica su quest’argomento, che da anni fa parlare giornalisti, costruttori, commercialisti». Cfr. Ivi, p. 67.

11 Belli, probabilmente, fa qui riferimento a quelle sperimentazioni che avrebbero portato alla commercializzazione dei camcorder (ossia di quelle videocamere con registratore incorporato), che, a partire dal biennio 1983-1985, sarebbero diventati prodotti di consumo. Tali sperimentazioni vengono citate all’interno di un articolo presente nello stesso numero di Video intitolato “Il video portatile”, più specificamente nel trafiletto “La telecamera che uccise il Super8 (nel 1985)”. Cfr. P. Campioni, “Il video portatile”, cit., p. 47.

imporsi all’interno del mercato13, dall’altra, dalla necessità delle aziende più legate al film substandard, di mantenere il controllo delle proprie porzioni di mercato trovando un compromesso tra i caratteri innovativi del video, le competenze sviluppate dalla propria esperienza sul campo e i costi di riconversione14.

Queste fibrillazioni, pur essendo innanzitutto materiali (le apparecchiature si modificano concretamente) ed economiche (producono e tolgono valore agli oggetti tecnici), influenzano fortemente lo schema epistemico e le forme della soggettività che esso implica, divenendone la base. Essa, come spiegano le teorie di Williams riguardanti la soft determination, anche se costituisce un possibile limite delle pratiche, non le determina: necessita sempre di un orizzonte discorsivo che la elabori, contestualizzandone i caratteri e rendendola, in questo modo, operativa. Per questo motivo, l’analisi del “dispositivo discorsivo” dell’audiovisivo analogico della quotidianità – ossia dello schema epistemico – non può non prendere avvio dall’indagine delle rappresentazioni discorsive della base tecnica e dall’osservazione dei diversi modi in cui gli strumenti di “regolazione epistemica” (dalle riviste specializzate ai lavori più approfonditi) negoziano nuovi significati (tecnici, socio-culturali, ideologici, etc.) nel momento in cui un nuovo oggetto tecnico compare, affiancandosi a quelle già presenti. Come possiamo vedere – e in linea con quanto afferma Foucault ne’ L’archeologia del sapere –, l’apparizione di nuove positività discorsive non è semplicemente «segnalata da una nuova frase [...] che si venga a inserire in un testo, e annunci sia l’inizio di un nuovo capitolo sia l’intervento di un nuovo parlante. Si tratta di un avvenimento del tutto differente»15, in cui si assiste al profondo cambiamento di un orizzonte motivazionale che comprende rapporti di forza, oggetti, concetti, scelte teoriche 16 e (aggiungiamo noi) dinamiche politico-ideologiche17.

Nel nostro caso, tuttavia, la questione sembra essere più complessa perché la comparsa di nuove positività discorsive non prende solo la forma della grande rivoluzione mediale, ma si attua anche nell’apertura di molteplici brecce all’interno dello schema epistemico – brecce che rappresentano nuove possibilità di riconfigurazione dello schema epistemico tramite l’emersione di nessi con altre pratiche discorsive e che devono essere valutate in maniera complementare alle grandi rotture discorsive, pragmatiche e ontologiche, come, per esempio, quella rappresentata dal video analogico

13 Si pensi alla celeberrima “guerra degli standard” che vide opporsi JVC e Sony nel tentativo di difendere rispettivamente il sistema VHS e il sistema Betamax. Cfr. F. Wasser, Veni, Vidi, Video, cit., pp. 70-75.

14 Ne è esempio un altro brevetto “ibrido”, il Polavision, ossia un sistema di cinema a colori a sviluppo immediato, che come il video, consente la visione immediata di quanto ripreso. Cfr. M. Micci, “Questo è il Polavision”, in Fotografare, anno VII, n. 2 (febbraio 1978), pp. 24-26.

15 M. Foucault, L’archeologia del sapere. Una metodologia per la storia della cultura, cit., p. 225.

16 Cfr. ivi, p. 227.

17 Nel nostro caso, si tratta sostanzialmente di scelte di politica industriale che si traducono, da un lato, in campagne di marketing dei prodotti (da qui l’importanza dell’analisi delle pubblicità contenute nelle riviste specializzate), dall’altro al posizionamento delle redazioni in funzione delle loro linee editoriali.

e, più tardi, del video digitale 18. Le grandi rotture, in campo amatoriale, sembrano così convivere con le piccole rotture. A sua volta, inoltre, il macro-insieme delle fratture epistemiche convive con linee di continuità che si stabiliscono sia dal punto di vista discorsivo sia, come vedremo più avanti, dal punto di vista pratico.

L’applicazione delle teorie foucaultiane, pur continuando a essere produttiva per l’indagine dei nostri oggetti di ricerca, richiede, se non un aggiornamento, almeno un ulteriore approfondimento. Dobbiamo, infatti, prendere avvio da una constatazione: per quanto concerne l’audiovisivo analogico della quotidianità, ci si trova davanti a una grande rottura epistemica, ossia la comparsa del video analogico all’inizio degli anni Settanta, a cui segue una lunga fase di instabilità in cui altre micro-fratture, presentandosi successivamente, continuano a riconfigurare il suo dispositivo sociale. Questa rottura, come abbiamo suggerito a più riprese, non avviene all’interno di un vuoto mediale, ma all’interno di un complesso sistema tecnico in cui il vecchio medium, ossia il film, non viene semplicemente rimpiazzato, ma interagisce con il nuovo medium, dando vita a dinamiche discorsive e pratiche di transizione/coesistenza. In altri termini, la rottura non isola due sistemi mediali che non comunicano fra di loro, ma genera linee di continuità che permettono ai cineamatori – soprattutto se sono più legati alla ripresa di ciò che li circonda (affetti, luoghi della quotidianità etc.) che non alle caratteristiche tecniche della pellicola – di poter passare alla nuova tecnica senza sentirsi disorientati.

Sul piano epistemico, ciò si traduce in tre modalità di presentazione dei discorsi: in primo luogo, abbiamo l’affiancamento dei due ambiti problematici all’interno dei medesimi “spazi di discorso”; in secondo luogo, facciamo riferimento all’assioma di McLuhan e Fiore, secondo cui è impossibile comprendere l’emergenza di un medium (e il suo sviluppo all’interno di un panorama comunicativo complesso) se non in funzione dei caratteri tecno-psico-sensoriali dei media che lo hanno preceduto19; in terzo luogo, rimandiamo alla descrizione delle modalità di coesistenza/transizione tecno-pratica di film e video. Tali tipologie ricorrono lungo tutta la produzione discorsiva delle riviste specializzate per circa vent’anni, affiancandosi, come vedremo nella parte di analisi delle riviste, ad altri macro-temi riguardanti le innovazioni portate dalla tecnica video all’interno del campo amatoriale.

18 I cui contorni, come abbiamo visto all’interno della prima sezione, appaiono sfumati perché il cambiamento, anziché presentarsi come una grande rivoluzione che nel giro di pochi anni (o addirittura di pochi mesi) modifica radicalmente la fisionomia delle pratiche, si configura come un processo lungo, che può essere considerato completo solo nel momento in cui tutta la “filiera”, dalla produzione alla fruizione, fa riferimento a piattaforme digitali, le quali consentono, per esempio, la realizzazione di nuove forme di condivisione dei testi – pensiamo, ovviamente, alla comparsa di YouTube nel 2005.

19 McLuhan e Fiore sostengono che tale caratteristica si riferisce ai periodi di transizione tra diverse epoche mediali. Ovviamente la questione si complica notevolmente se, invece di afferire al tema della transizione, rimandiamo a quello della coesistenza. Cfr. M. McLuhan, Q. Fiore, The Medium is the Massage: An Inventory of Effects, Random House, New York 1967, p. 91.

Davanti a simili linee di tendenza, tuttavia, appare necessario registrare i meccanismi dei nostri apparati metodologici. Pur tenendo Foucault (e l’interpretazione delle sue teorie da parte di Albera e Tortajada) come stella polare, notiamo che vi sono dei punti della sua “archeologia del sapere” che, rispetto ad altri, si attagliano con maggiore proficuità alla nostra speculazione. In merito al dispositivo sociale che stiamo cercando di (ri)costruire, infatti, più che la prima parte de’ L’archeologia del sapere, in cui si pone l’accento sulle grandi rotture epistemiche che modificano radicalmente le dinamiche di individuazione delle positività discorsive, degli oggetti, delle modalità enunciative e dei concetti20, è la seconda a poterci fare da guida. Qui, infatti, Foucault, pur riaffermando che l’archeologia «cerca di stabilire quel sistema delle trasformazioni in cui consiste il “cambiamento”»21, sostiene anche che essa non impone necessariamente un’alterazione di tutti gli elementi. Non tutte le strutture epistemico-discorsive scompaiono: la “trasformazione generale dei

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