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LA PRODUZIONE PETROLIFERA CINESE E LO SFRUTTAMENTO DELLE RISORSE AFRICANE

1. Il petrolio cinese

2.3 Il terzo grande esportatore: la Nigeria

La Nigeria possiede le più ampie riserve africane di petrolio e gas ed è infatti il più grande produttore africano, occupando l'undicesima posizione nella classifica mondiale. Il petrolio ha quindi un ruolo fondamentale nell'economia nigeriana e copre l'80% delle entrate del governo che però non vengono utilizzate al meglio a causa della corruzione politica.

I primi rapporti sino-nigeriani iniziarono nel 1971, ma conobbero un periodo particolarmente favorevole dal 1999 al 2007, sotto il presidente Obasanjo. Egli infatti applicava la politica del “petrolio in cambio di infrastrutture” che prevedeva la messa all'asta di blocchi petroliferi e richiedeva agli offerenti cinesi di impegnarsi nei maggiori progetti infrastrutturali nigeriani, tra i quali ad esempio la riabilitazione della raffineria di Kaduna, la costruzione di una ferrovia e di una centrale idroelettrica. Tale politica fu creata dal governo nigeriano poiché la cooperazione cinquantenaria con l'occidente non portava cambiamenti e da Obasanjo in persona che era rimasto impressionato dalle infrastrutture viste in Cina (Mthembu-Salter 2009, pp. 1-2).

La Repubblica Popolare è quindi diventata il principale finanziatore dello sviluppo infrastrutturale nigeriano, fornendo prestiti per costruire strade, ponti, aeroporti, linee ferroviarie e centrali, mentre allo stesso tempo la Nigeria diventava un cliente molto importante delle società di costruzione siniche (Veglio 2015).

Inoltre, era intenzione di Obassanjo stabilire nuove relazioni, e l'occasione si presentò nel gennaio 2000, quando incontrò il Ministro degli esteri cinese per discutere del coinvolgimento sinico nell'industria petrolifera nigeriana e aumentare la collaborazione nel settore della difesa. L'anno successivo una società affiliata alla Cnpc vinse un appalto per prospezioni geofisiche in due località nigeriane. Nel 2005, la Petro China firmò un accordo da 800 milioni di dollari con la Nigerian

national petroleum corporation che prevedeva l'acquisto di 30 mila barili di petrolio al giorno per cinque anni. Nel 2006, la Cnooc acquistò il 45% del giacimento offshore di Akpo, diretto dalla Total, nel Delta del Niger, mentre qualche mese più tardi la Cnpc si aggiudicò per 2 miliardi di dollari il 51% della partecipazione nella raffineria di Kaduna e la licenza per quattro blocchi petroliferi. (AGE 2009, pp. 41-43).

Con la sostituzione del presidente nigeriano, anche tale politica cessò, costringendo i cinesi a cambiare modalità di investimento. Alle infrastrutture vennero preferiti i soldi e fu così che nel 2009, la Sinopec aprì la strada al modello della futura collaborazione sino-nigeriana acquistando per 7,2 miliardi di dollari la compagnia canadese Addax, il maggior produttore indipendente di greggio (Mthembu-Salter 2009, pp. 1-3). Il possedere tale compagnia ha permesso alla Cina di controllare non solo i maggiori cespiti petroliferi in Nigeria, tra cui due giacimenti offshore e uno onshore, ma anche giacimenti in Gabon, nel Golfo di Guinea, in Camerun e nel nord dell'Iraq. Inoltre, ha dato una maggiore libertà alla Repubblica Popolare nell'intrattenimento di rapporti commerciali con le varie realtà petrolifere del paese (AGE 2009, p. 44).

Per la Repubblica Popolare, la Nigeria è importante per tre ragioni: possiede ricchi giacimenti di petrolio e riserve di materie prime, e infatti, le importazioni cinesi da tale stato riguardano al 90% il petrolio; è lo stato più popoloso quindi è un ottimo mercato dove esportare i propri prodotti; e infine è un alleato politico di altissimo profilo vista la sua importanza all'interno dell'Unione Africana. Quando la Cina è arrivata in Nigeria, vi ha trovato numerose compagnie occidentali operative da lungo tempo. La RPC è dunque entrata nel mercato lentamente, firmando accordi di joint venture con le compagnie petrolifere locali, offrendo in cambio prestiti a basso interesse e un sussidio per i progetti di sviluppo. Tra il 1990 e il 1996 l'entità degli scambi commerciali è cresciuta di circa otto volte, triplicando ulteriormente dal 2000 al 2005 (Gardelli 2010, p. 81). Nel 2005 le aziende siniche hanno presentato le prime offerte per lo sfruttamento dei giacimenti promettendo in cambio la fornitura di aerei da combattimento e numerosi pattugliatori per proteggere le vie marittime del Delta del Niger, da dove proviene il 75% della produzione dello stato africano, che è anche la causa di fondo del conflitto che dagli anni Novanta a oggi colpisce la regione (Klare 2010, p. 220).

L'entrata della Cina nel mercato nigeriano è anche avvenuta in un periodo critico per la Nigeria, la sua industria era infatti poco competitiva e il paese era prossimo alla deindustrializzazione. L'arrivo dei cinesi è stato quindi visto con entusiasmo e ha diffuso la convinzione che instaurare rapporti con Pechino porti grande beneficio (Gardelli 2010, p. 82). Lo schema di penetrazione è quindi molto simile a quello dei due stati precedenti, e appare come un intreccio delle due modalità sopra

descritte. Il metodo di penetrazione nel mercato si rifà al modello Angola, in quanto propone lo scambio di forniture di greggio con la costruzione di nuove infrastrutture, mentre riguardo al contesto storico, esso è simile a quello sudanese, ovvero il momento in cui la Cina entra nel mercato petrolifero è un periodo di forti tensioni locali e di alto rischio. Inoltre, in tutti e due i casi, la Repubblica Popolare aumenta i suoi aiuti militari ai paesi impegnati in guerre civili, opponendosi alla decisione degli Stati Uniti di scoraggiare la vendita di armi in questi stati, in nome della difesa dei diritti umani, violati nel caso della Nigeria, nella zona del Delta del Niger (Basta 2011). In aggiunta, si tratta di stati in cui la RPC rischia continuamente di infrangere il principio di non interferenza a causa delle guerre civili e del terrorismo. Per mantenere buoni rapporti con la Nigeria infatti, nel 2014, Pechino ha promesso soldati e aiuti per contrastare l'organizzazione terroristica Boko Haram e firmando al contempo un accordo da 10 miliardi di dollari per l'esplorazione dei giacimenti nel bacino di Bida (Peduzzi 2014).

CAPITOLO III

L'ESTRAZIONE E LA LAVORAZIONE DEL PETROLIO

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