I compositi ibridi combinano nella stessa matrice più di un tipo di fibre di rinforzo. Le fibre possono differire per natura o per formato. Essi ampliano la gamma di proprietà ottenibili dai compositi; la loro peculiarità è che a un costo anche inferiore ai compositi semplici esibiscono una distribuzione delle loro proprietà più uniforme nei valori. Per esempio di possono utilizzare contemporaneamente fibre di carbonio e fibre di aramide per le loro proprietà complementari; infatti, le prime hanno resistenza e
modulo notevoli ma scarsa resistenza a carichi dinamici, mentre le seconde possiedono un modulo e resistenza a trazione inferiore alle fibre di carbonio ma maggiore resistenza all’impatto e coefficiente di dilatazione termica compatibile con le prime (ambedue negativi). Quest’ultima circostanza riduce, tra l’altro, le tensioni interne al materiale. Nel caso dell’accoppiamento di fibre di carbonio e fibre di aramide con fibre di vetro, l’effetto è di aumentare il modulo elastico del composito rispetto al solo rinforzo di vetro. I tessuti ibridi in commercio hanno due tipi di configurazione: nel primo caso diversi tipi di fibre sono presenti sia nella trama che nell’ordito; nel secondo la trama è costituita da un tipo di fibre, mentre l’ordito ne contiene un tipo differente.
La Tab. 1.12 mostra tipiche proprietà di tessuti ibridi grafite/aramide. La possibilità di poter combinare diverse fibre permette ai progettisti una grande flessibilità progettuale. Tra i motivi del- l’ibridizzazione dei compositi in grafite vi sono (1) aggiungere un altro tipo di fibra in un composito a predominanza di fibra di carbonio in modo da superare gli svantaggi intrinseci del carbonio, (2) aggiungere fibre di grafite in un composito a predominanza di fibra no-carbonio o in altre strutture in modo da assicurarsi i vantaggi delle buone proprietà del carbonio, e (3) produrre strutture a costo minore.
Normalmente, la resistenza ad impatto dei compositi a fibra di carbonio può essere aumenta- ta aggiungendo fibre ad alta tenacità e maggiore allungamento a rottura rispetto al carbonio (fibre più tenaci). Meccanismi che devono severamente assorbire energia sono stati proposti includendo strati di resina interlacciati per assorbire energia e utilizzando riempitivi per fermare il propagarsi delle cricche. La Tab. 1.13 mostra le proprietà all’impatto di tipici tessuti ibridi grafite/aramide e grafite/vetro.
Tabella 1.12: Proprietà di tessuti compositi ibridi carbonio/aramide per laminati 0°/90° di unidirezionali (dati normalizzati al 65% in volume di fibra)
Tabella 1.13: Resistenza all’impatto di compositi ibridi Esistono in commercio anche tessuti ibridi con metalli.
A causa dei diversi coefficienti di dilatazione termica le applicazioni di questi materiali sono limitate a funzioni prevalentemente estetiche o comunque a temperature ambiente.
1.2
Matrici
1.2.1
Introduzione
Genericamente una resina può essere definita come prodotto organico, solido o semisolido, d’origine naturale o sintetica, senza un preciso punto di fusione e, generalmente, d’alto peso molecolare. Molte resine sono polimeri.
Le resine trovano molte applicazioni in numerosi settori industriali, in particolare l’attenzione è qui rivolta alle applicazioni dell’industria tessile e dei materiali compositi.
La principale distinzione che viene fatta è quella tra le resine termoplastiche e quelle termoin- durenti.
Le resine termoplastiche sono polimeri lineari o ramificati che possono essere fusi fornendo loro una appropriata quantità di calore; durante la fase di plastificazione non subiscono alcuna variazione a livello chimico. Possono essere forgiati (e ri-forgiati) in qualsiasi forma usando delle tecniche quali lo stampaggio ad iniezione e l’estrusione. Tramite il calore si ottiene la fusione di questi polimeri che, successivamente, a contatto con le pareti dello stampo, solidificano per raffreddamento.
Il processo di fusione/solidificazione del materiale può essere ripetuto senza apportare variazioni notevoli alle prestazioni della resina.
Generalmente i polimeri termoplastici non cristallizzano facilmente, a seguito di un raffreddamen- to, poiché le catene polimeriche sono molto aggrovigliate. Anche quelli che cristallizzano non for- mano mai dei materiali perfettamente cristallini, bensì semicristallini caratterizzati da zone cristalline e zone amorfe. Le regioni cristalline di questi materiali sono caratterizzate dalla loro temperatura di fusione (Tm, dall’inglese "melting temperature").
Le resine amorfe, e le regioni amorfe delle resine parzialmente cristalline, sono caratterizzate dalla loro temperatura di transizione vetrosa (Tg, dall’inglese "glass transition temperature"), temperatura alla quale si trasformano abbastanza bruscamente dallo stato vetroso (molto rigido) a quello gom- moso (molto più morbido). Questa transizione coincide con l’attivazione di alcuni moti delle macro- molecole che compongono il materiale. Al di sotto della Tg le catene polimeriche hanno difficoltà a muoversi e hanno posizioni molto bloccate.
Sia la temperatura di fusione sia quella di transizione vetrosa aumentano all’aumentare della rigid- ità delle catene che compongono il materiale e all’aumentare delle forze di interazione intermoleco- lari.
Le resine termoindurenti sono materiali molto rigidi costituiti da polimeri reticolati nei quali il moto delle catene polimeriche è fortemente limitato dall’elevato numero di reticolazioni esistenti. Durante la fase di trasformazione subiscono una modificazione chimica irreversibile.
tiche) e, successivamente, sempre per effetto del calore, solidificano. Le resine termoindurenti sono intrattabili una volta che siano state formate e degradano invece di fondere a seguito dell’applicazione di calore. Contrariamente alle resine termoplastiche, quindi, non presentano la possibilità di subire numerosi processi di formatura durante il loro utilizzo.
La matrice in un composito ha essenzialmente il compito di tenere assieme le fibre, di trasmet- tere uniformemente il carico alle fibre e di proteggerle da azioni meccaniche di taglio e da agenti atmosferici e corrosivi, una buona matrice deve avere una buona resistenza meccanica. Una buona resistenza allo scorrimento fibra-matrice ed una buona resistenza agli agenti atmosferici (umidità, ultravioletti) ed alla corrosione. Vari materiali rispondono in modo soddisfacente a tali requisiti e di- versi materiali sono attualmente utilizzati come matrice di compositi strutturali. In base al materiale costituente la matrice i compositi si distinguono in:
1. compositi a matrice polimerica (PMC, polymer-matrix composites); 2. compositi a matrice metallica (MMC, metal matrix composites); 3. compositi a matrice ceramica (CMC,ceramic-matrix composites).
I PMCs, sviluppati a partire dalla seconda guerra mondiale dall’industria aeronautica e facenti uso di fibre di vetro, carbonio ed aramide (multifilaments), negli ultimi decenni hanno subito una notevole diffusione come materiali strutturali nel settore dei trasporti, civile, degli articoli sportivi, ecc. A questa diffusione molto ha contribuito la crescita della massima temperatura di esercizio della matrice che ora può arrivare sin a circa 280° C (poliammide).
I MMC sono stati sviluppati a partire dagli anni ’50 per migliorare la resistenza dei materiali metallici tradizionali (soprattutto alluminio) utilizzando fibre di boro e di carburo di silicio (monofil- aments). Successivamente sono state pure ottenuti MMC con matrice di magnesio, rame, acciaio e titanio rinforzati con fibre discontinue o particelle in materiale ceramico. Si tratta generalmente di ma- teriali isotropi con caratteristiche meccaniche confrontabili con quelle dei migliori PMCs (carbonio- resina epossidica). I costi relativamente elevati ne limitano però l’uso a particolari componenti aero- nautici e motoristici (esempio valvole in titanio rinforzato ecc). I CMC infine, sono stati sviluppati appositamente per ottenere materiali di buone proprietà fisico meccaniche capaci di resistere alle elevate temperature.
Tra tutti, i materiali compositi di gran lunga più utilizzati per usi “strutturali” sono i PMCs. Solita- mente la matrice di questi materiali è costituita da resine termoindurenti o termoplastiche. I materiali termoindurenti sono comunque di gran lunga più utilizzati in quanto realizzano facilmente catene spaziali complesse relativamente resistenti e sopratutto sono caratterizzati da bassa viscosità che per- mette di bagnare facilmente le fibre. Ciò consente di ottenere una buona adesione fibra-matrice ed al tempo stesso di raggiungere rapporti volumetrici fibra-matrice maggiori del 70-80%. Con i ter- moplastici, invece, nonostante i notevoli miglioramenti compiuti negli ultimissimi anni, tale rapporto difficilmente può superare il 60%, ed a causa della viscosità relativamente elevata i costi di produzione sono ancora piuttosto elevati.
Nella tabella 1.14 si riportano alcuni vantaggi e svantaggi dell’uso di matrici termoindurenti e di matrici termoplastiche.
Applicazioni Proprietà Matrice
termoindurente
Matrice termoplastica
Matrice Composizione Complessa Più semplice
Melt viscosity Bassa (all’inizio) Abbastanza alta Impregnazione della
fibra
Buona Molto difficile
Costo Basso, Medio Basso, Alto
Prepreg Fissaggio/Drappabilità Buona Abbastanza Bassa
Conservazione Veramente Bassa Buona
Composito Ciclo di lavorazione Molto lungo Corto, Lungo Pressione e Temperatura di lavorazione Moderate Alte Dimensione dei prodotti Possono essere molto larghi Piccoli, Medi
Resistenza ai solventi Buona Scarsa, Buona
Resistenza al danno Scarsa, Eccellente Ragionevole, Buona
resistenza al creep Buona Non conosciuta
Delaminazione
Tenacità Bassa Alta
Facile da fabbricare Lavorazione intensa Lavorazione meno intensa Tabella 1.14: Vantaggi e svantaggi delle matrici termoindurenti e termoplastiche
Una importante classificazione dei diversi tipi di matrici è anche in relazione al valore delle tem- perature massime di impiego alle quali possono essere adoperate senza dover subire fenomeni di degradazione. Le temperature limite d’impiego di alcuni tipi di matrici oggi usate sono riportate nella sottostante Tabella 1.15.
Tipo di matrice Temperatura limite
Matrici organiche 377°C
Matrici metalliche in alluminio 462°C Matrici metalliche in titanio, leghe di
titanio, alluminio di titanio, titanio-alluminio
962°C
Matrici metalliche in nickel-alluminio 1177°C
Matrici ceramiche 1462°C
Matrici in carburo di silicio e nitruro di silicio
1627°C Matrici ceramiche e carbon-carbon 1627°C
Le matrici polimeriche come i materiali grezzi costituiscono di solito il 40% del costo totale del composito, seguito dal 30% del costo di fabbricazione.
1.2.2
Matrici polimeriche
I materiali polimerici hanno oggi assunto una rilevanza eccezionale in campo tecnologico, ed in par- ticolare nella realizzazione dei compositi, dove vengono utilizzati per costituire sia le fibre che le matrici.
I polimeri sono composti chimici dotati di struttura molecolare di elevato peso, di grandi dimen- sioni ad andamento geometrico curvilineo o anche rettilineo.
Si dividono in inorganici ed organici. I primi sono del tipo dei vetri o dei ceramici. Quelli organici invece vengono costituiti partendo da composti chimici del carbonio, detti monomeri, ed aventi molecole di piccole dimensioni che ripetendosi con continuità nello spazio per centinaia o migliaia di volte, danno luogo alla struttura macromolecolare a catena che caratterizza il polimero considerato.
Le materie plastiche a struttura polimerica organica possono essere classificate in due categorie distinte: materiali termoindurenti e materiali termoplastici.
Le sostanze termoindurenti, quando vengono riscaldate a temperatura opportuna induriscono, per- ché formano catene polimeriche unite tra loro con legami chimici trasversali stabili, dati da forze in- termolecolari consistenti chi bloccano le catene stesse in reticoli tridimensionali più o meno regolari e resistenti.
Una volta che tali sostanze sono state indurite non modificheranno più la loro forma ne si potranno rifondere di nuovo o rimodellare.
Le sostanze termoplastiche invece, quando sono riscaldate rammolliscono e fondono perché le catene polime- riche restano sempre ben distinte non intervenendo reazioni con formazione di legami chimici, pur potendo interagire meccanicamente tra loro.
Se i monomeri costituenti il polimero considerato sono diversi tra loro si ha la formazione di copolimeri. I monomeri presenti in essi possono poi essere disposti casualmente o a blocchi, formanti ciascuno un polimero diverso dotato di peculiarità proprie.
Conseguentemente nel suo insieme il copolimero presenterà caratteristiche complessive interme- die tra quelle dei polimeri che lo costituiscono. Questi composti si dividono ancora in tattici ed atattici.
I primi sono ordinati regolarmente con un impaccamento fitto delle molecole che costituiscono i gruppi laterali alla catena principale. I secondi hanno invece una orientazione di tali molecole che è di tipo casuale. In questo secondo caso il materiale polimerico pur essendo solido è privo generalmente di una struttura regolare, ed è quindi simile ad una sostanza amorfa, come una sostanza vetrosa, le cui molecole sono disposte tra loro come nei liquidi, pur essendo il materiale allo stato solido.
del fatto che essi sono corpi viscoelastici, con una vasta gamma di caratteristiche comprese tra quelle di un liquido di elevata viscosità e quelle di un solido con struttura cristallina o vetrosa.
Applicando una sollecitazione statica, di entità relativa, ad un polimero che si comporta come un liquido viscoso, questo seguiterà a deformarsi con continuità fintantoché la sollecitazione applicata resterà attiva. Questo fenomeno va sotto il nome di scorrimento viscoso o creep.
Se invece il polimero è simile ad un solido cristallino elastico, la sollecitazione provocherà una deformazione elastica che si manterrà inalterata solo se la sollecitazione si mantiene costante, mentre scomparirà al cessare di questa.
Il materiale polimerico potrà anche trovarsi in condizioni tali da presentare rigidità, e quindi bassa deformabilità, pur essendo dotato di una struttura amorfa simile a quella di un liquido, sarà allora assimilabile ad un vetro inorganico.
Questo comportamento dei polimeri dipende grandemente dalla natura chimica e dalla forma geometrica della catene molecolari polimeriche in esso presenti, oltre che dallo stato fisico che li caratterizza, che è influenzato dalla natura delle fasi presenti alla temperatura considerata.
Se queste sono ad alto peso molecolare, perché costituite da catene di atomi di forma allungata e regolare, ed inoltre tali catene sono impaccate regolarmente tra loro, il comportamento del polimero potrà spesso essere simile a quello di un solido cristallino elastico e plastico come un metallo, con deformabilità complessiva ridotta e resistenza anche elevata. E’ il caso delle fibre di Kevlar.
Al contrario se il polimero è a basso peso molecolare con catene che risultano essere corte e con rami laterali irregolari, e disposte tra loro in maniera disordinata come in un liquido, il suo comporta- mento potrà esseri più o meno rigido, essendo lo stato interno simile a quello di un vetro inorganico. Il comportamento del materiale polimerico dipenderà però nello stesso tempo anche dalla maniera in cui verrà sollecitato dall’esterno. Se la sollecitazione è statica e cioè lentamente crescente nel tem- po, il polimero avrà la possibilità di deformarsi, con un comportamento elastico o viscoelastico. Se invece le sollecitazioni sono applicate rapidamente tali deformazioni saranno ridotte o assenti ed il comportamento si avvicinerà a quello di un corpo rigido con rottura a scarso assorbimento d’energia. Esistono anche materiali polimerici detti Gel aventi una struttura intermedia tra quelle viste di un solido e di un liquido. Essi possiedono infatti una struttura interna a scheletro che conferisce loro una certa solidità, dentro la quale sono presenti zone amorfe di tipo liquido.
Questi materiali possono presentare un comportamento elastico simile di quello dei solidi, mentre possono assumere la forma del recipiente che li contiene se abbandonati per tempi lunghi come un liquido. Se invece si presentano rigidi e poco deformabili pur mantenendo la stessa struttura interna, prendono il nome di vetri gelificati.
E’ ovvio che per essere utilizzati convenientemente come materiali strutturali i materiali polimeri- ci dovranno mostrare di avere buona elasticità, tenacità, e resistenza alle sollecitazioni meccaniche sia statiche che dinamiche con tendenza allo scorrimento viscoso molto bassa alla temperatura di esercizio.
1.2.3
Matrici termoindurenti
Tra le matrici termoindurenti utilizzate per la produzione di PMC’s strutturali, la resina epossidica è il polimero di gran lunga più utilizzato; questo lascia il posto alle resine poliestere quando si vuole abbassare il costo del prodotto, o alle resine poliammidiche (in versione termoindurente) e ai policia- nurati quando è richiesta una più elevata temperatura massima di esercizio. Si usano invece le resine fenoliche se si vuole una migliore resistenza al fuoco ed una bassa emissione di fumi tossici in caso di incendio.
Il processo di polimerizzazione delle matrici termoindurenti avviene in genere per poliaddizione, consistente nella formazione di catene polimeriche a partire da una unità fondamentale detta monomero che si lega ad altri monomeri in presenza di un induritore. Per esempio, un monomero della resina epossidica (ne esistono varie formulazioni) è costituito 3 atomi di idrogeno, 2 di carbonio ed 1 di ossigeno.
Più in dettaglio, la polimerizzazione della resina epossidica per poliaddizione, avviene in presenza di un induritore costituito da un radicale (amine, amino derivati, anidridi) che presenta alle estremità un atomo di azoto che si lega ad uno dei due atomi di carbonio previa rottura del doppio legame con l’ossigeno.
La polimerizzazione per poliaddizione avviene con produzione di calore. E’ pertanto neces- sario, specie in presenza di elementi di grandi dimensioni provvedere ad un appropriato smaltimento del calore al fine di evitare eccessivi riscaldamenti che possono portare anche a fenomeni esplo- sivi. Il processo che porta alla completa polimerizzazione delle matrici termoindurenti è costituito essenzialmente da 3 distinte fasi quali (vedi anche Fig. 1.28):
1. gelificazione: durante questa fase che avviene solitamente a temperatura ambiente si ottiene la polimerizzazione di circa il 70% della matrice;
2. curing: durante questa fase il polimero viene riscaldato sotto pressione al fine di aumentare la compattezza del materiale assicurando così un buon legame fibra-matrice e minimizzando al tempo stesso eventuali tensioni residue formatesi nella fase precedente (con conseguente ritiro) a seguito del ciclo termico associato alla polimerizzazione; in questa fase si ottiene anche l’allontanamento di eventuali inclusioni di gas ecc.
3. post-curing: durante questa fase il polimero viene riscaldato ad una temperatura superiore a quella precedente al fine di conseguire un ulteriore indurimento della matrice (termoindurenti) ed un ulteriore rilascio delle tensioni residue eventualmente ancora presenti.
Figura 1.28: Processo di polimerizzazione
La temperatura di post-cura condiziona la temperatura critica ( o temperatura di transizione vet- rosa) Tgdel polimero ottenuto. Per temperatura critica si intende la temperatura a cui in un polimero
termoindurente avviene la rottura dei legami della catena con conseguente rammollimento del mate- riale. La temperatura critica è quindi la massima temperatura a cui la matrice può operare. Questa, in funzione del materiale, delle temperature di cura e post-cura, nonché della presenza di eventuali additivi, può variare da 50° C (cura a temperatura ambiente) a circa 280 °C. Le matrici polimeriche solitamente sono sensibili agli ultravioletti ed all’umidità che ne determinano una riduzione delle caratteristiche meccaniche e della resistenza allo scorrimento fibra-matrice.
A titolo di esempio, nella tabella seguente sono sinteticamente riportate alcune caratteristiche fisico-meccaniche di resine utilizzate nella produzione di compositi a matrice polimerica.
Proprietà R.Epossidica RT cured R.Epossidica Heat cured R.Epossidica Advanced R.Poliestere R.Fenolica Specific gravity 1.1-1.3 1.2-1.4 1.3 1.2 1.2-1.3 Tensile strength, MPa 50-70 70-90 60 50-60 50-60 Tensile modulus, GPa 2-3 2.5-3 3.5 2-3 5-11 Elongation to failure, % 2-6 2-5 2 2-3 1.2 Compression strength, MPa 80-100 120-130 300 120-140 70-200 Max operating tempera- ture,°C 70-100 100-180 180 60-80 100-125
Tabella 1.16: Proprietà di alcune resine per compositi a matrice polimerica (PMCs).
50 a 180° C, sebbene all’aumento di questa corrisponde in genere una diminuzione della resistenza meccanica e soprattutto della resistenza alla frattura (infragilimento).
Resina epossidica
Attualmente viene prodotta in diverse formulazioni e tipi (liquida, semisolida ecc) e presenta in genere buona resistenza meccanica, buona compatibilità con metalli ed altri materiali di interesse ingegneristico, basso ritiro, ottimo isolamento elettrico e bassa tossicità.
Il fenomeno di solidificazione di queste resine è di una certa complessità. Da un punto di vista chimico, l’indurimento può avvenire anche a freddo con tempi lunghi. Esso porta alla eliminazione di acqua formata da ossidrili liberi, con la formazione di legami trasversali tra le singole molecole, secondo una reazione chimica detta di reticolazione. Industrialmente il processo di indurimento viene condotto a temperatura sufficientemente elevata mediante un riscaldamento detto curing. I parametri fondamentali che hanno influenza sull’andamento dei fenomeni sono la temperatura di trattamento ed il tempo della sua durata. Per rappresentare quanto avviene si ricorre al diagramma T.T.T., ottenuto mediante trasformazioni-tempo-temperatura, rappresentato in Fig. 1.29.
Il diagramma rappresenta i cambiamenti di stato che avvengono nel polimero a temperatura di curing costante. Esso è diviso quindi in tante zone, ciascuna delle quali rappresenta lo stato fisico chimico nel quale il sistema materiale polimerico si trova alla temperatura di trasformazione individ- uata in ordinate e dopo che sia trascorso il tempo individuato in ascisse. Ciascuna zona è delimitata da linee di confine che sono il luogo dei punti rappresentativi del passaggio del materiale da uno stato ad un altro. Per analizzare in dettaglio la successione dei fenomeni che si verificano nel sistema, si traccia una retta orizzontale intersecante l’asse delle ordinate in corrispondenza della temperatura di curing considerata. La successione dei fenomeni descritti dal diagramma lungo tale retta è quella che